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lunedì 22 settembre 2014

V: La battaglia di Cheren: prima e seconda fase


LA PRIMA FASE DELLA BATTAGLIA
Gli Inglesi iniziarono con il saggiare le difese italiane attraverso bombardamenti, mitragliamenti aerei e cannoneggiamenti. Avevano il  controllo dei cieli  le loro artiglierie possedevano una gittata maggiore rispetto a quelle italiane, che evitavano di rispondere al fuoco per non facilitare la loro individuazione. Ai bombardamenti seguì qualche attacco poco convinto, nonché scaramucce tra pattuglie.

Cheren: carta inglese della prima fase della battaglia

All’alba del 3  febbraio i Britannici avevano ammassato le loro forze in direzione di quota 1616, di Cima Forcuta e del monte Sanchil.  Erano questi i principali obiettivi che contavano di conquistare . A fronteggiarli si trovavano principalmente i granatieri , in numero almeno nove volte inferiore rispetto a quello degli avversari.
Anche il forte del Sanchil era tenuto dai granatieri  della compagnia comando di reggimento, quasi tutti veterani.

Cheren: forte del Sanchil

Iniziò il cannoneggiamento dell’artiglieria pesante inglese, mentre l’aviazione riprendeva a bombardare e mitragliare. I genieri italiani cercavano intanto di stendere linee telefoniche supplementari dato che i bombardamenti avevano distrutto in parte le comunicazioni.
Nel frattempo, nella valle, i britannici continuavano ad ammassare  carri armati,  autoblindo,camionette d’assalto e camion carichi di truppe.
Carnimeo richiese vanamente ulteriori rinforzi al comando dello  scacchiere di Asmara, ma comprese che doveva arrangiarsi con i granatieri e con le truppe  in quel momento a sua disposizione.
Probabilmente il comando non aveva compreso che Cheren era difendibile e pensava che le forze italiane non avrebbero potuto reggere a lungo. Già si pensava ad una resistenza sull’Amba Alagi.
Per tutta la mattina quota 1616 fu bombardata.
Poi, per qualche minuto, tutto tacque.
Alcuni aerei inglesi, dopo una sventagliata di mitraglia, lanciarono centinaia di volantini che invitavano i soldati italiani a disertare( il lancio di volantini fu ripetuto varie volte nel corso della battaglia. Gli inglesi,infatti, utilizzarono anche la guerra psicologica, specie con le truppe coloniali che furono ripetutamente invitate a liberarsi dal giogo italiano).
I bombardamenti ripresero, continuando sino al pomeriggio.
Verso le cinque, dopo nove ore di bombardamenti, scattò il vero attacco.
Il 2° battaglione dei Camerons Highlanders iniziò a scalare la montagna. Al tramonto i Britannici riuscivano a conquistare quota 1616 travolgendo la  6^ compagnia Granatieri. La notte seguente  reparti indiani di Punjabs occupavano Cima Forcuta.

 Cheren: bersaglieri italiani

Gli Inglesi,però, che certo non nascondevano il loro disprezzo per le capacità militari italiane, si resero subito conto che, questa volta, le cose sarebbero andate diversamente. Le truppe italiane non sembravano assolutamente intenzionate a cedere, al contrario si battevano con determinazione in una battaglia che si sarebbe caratterizzata per la violenza degli scontri corpo a corpo.
La lotta  per  la conquista di quota 1616, infatti, era stata un massacro: i soldati scozzesi tentavano di superare la cresta di accesso alla quota, i granatieri si scagliavano contro sparando, lanciando bombe a mano, lottando corpo a corpo con le baionette. In rinforzo agli scozzesi furono inviati i Punjab , mentre i granatieri continuavano ad essere inferiori di numero.
Al tramonto, dopo tre ore di combattimenti violentissimi, i granatieri superstiti, incalzati dagli scozzesi, ripiegarono nella gola, riuscendo a trattenere l’ulteriore avanzata del nemico. Nel frattempo i reparti indiani avevano stretto in una morsa anche il Sanchil.
Nelle ore che seguirono gli scozzesi e  gli altri reparti di rinforzo consolidarono le posizioni su quota 1616, che non sarebbe più ritornata in mani italiane. Da lì iniziarono a tirare sugli altri settori italiani, con i mortai, con le mitragliatrici, con i cecchini.
Cheren: monte Dologorodoc
 Cheren:artiglieria britannica

La mattina del 6 febbraio i soldati italiani contrattaccarono , liberando il Sanchil, il costone di Cima Forcuta e ricacciando le truppe anglo-indiane nella valle, ma quota 1616 restò in mani  avversarie.
L’ordine di attacco fu dato ai granatieri dell’11° reggimento dal comandante Col. Corsi. Gli uomini si scagliarono contro quota 1616 urlando furiosamente, seguiti dai reparti ascari. I fucili furono usati come clave,lo scontro avvenne alla baionetta tra i soldati italiani e gli ascari che attaccavano e gli scozzesi e gli indiani che difendevano la posizione conquistata. Gli indiani ripiegarono confusamente, mentre le artiglierie inglesi avevano indirizzato il fuoco alle spalle dei soldati italiani attaccanti per impedir loro di ritirarsi e  chiuderli in una morsa. La linea dello scontro oscillava di continuo. I soldati rotolavano tra le rocce sferrandosi colpi di baionetta. I granatieri lanciavano bombe a mano come fossero sassi.
          

Gli scontri, in ogni caso pur violentissimi, erano caratterizzati da una certa reciproca cavalleria. Quegli uomini che si massacravano senza pietà durante il combattimento,cessavano poi di sparare per consentire alle rispettive pattuglie di raccogliere i feriti.
Poi l’artiglieria inglese riprendeva a battere le posizioni italiane.
Intanto continuavano ad affluire, da parte britannica, truppe fresche, soprattutto indiani. I granatieri erano sempre gli stessi.  Carnimeo aveva richiesto al comando di scacchiere atre truppe, soprattutto il 10° reggimento granatieri, ma inutilmente.
Obiettivo principale degli inglesi era ora il monte Sanchil, intorno al quale si riaccese violentissima la battaglia. Il numero dei granatieri posti a difesa si assottigliava, incalzato dai reparti indiani e colpito dai tiri che provenivano dagli scozzesi di quota 1616.
Fu decisivo l’arrivo dei bersaglieri, inviati di rinforzo, che si gettarono subito nella mischia  determinando un mutamento della situazione.
Gli indiani ripiegarono cercando di riorganizzarsi per riprendere l’attacco.
Non riuscirono nel loro intento: pur bersagliati dalle artiglierie britanniche e dagli scozzesi di quota 1616, gli italiani riuscirono infine a respingere l’attacco ed a conservare le posizioni.
Sino all’8 febbraio non si registrarono combattimenti rilevanti  , ad eccezione di scontri tra pattuglie, mentre le artiglierie inglesi bersagliavano continuamente le posizioni italiane sparando migliaia di colpi ogni ora. A questo si aggiungano i bombardamenti aerei. L’effetto delle granate era devastante, in quanto moltiplicato dalle rocce, che  sbriciolandosi in centinaia di schegge di pietra,  colpivano e ferivano gli uomini.
Alle ore 0,30 dell’8 febbraio i primi reparti indiani, avendo praticato una breccia tra le difese italiane ( si consideri che il fronte era lungo circa 60 Km e che, considerato il numero dei difensori di Cheren, si poteva contare su un soldato ogni 5 metri  ed un pezzo di artiglieria ogni 500) avevano intanto raggiunto l’abitato di Cheren.
Cheren:abitato
Sembrava l’inizio della fine, ma Carnimeo lanciò contro gli indiani  la cavalleria coloniale e gli uomini del 4° battaglione Toselli. Dopo sette attacchi consecutivi le truppe italiane decimavano e respingevano  gli avversari., che si ritiravano al di là del Falestoh.
Cheren:carro inglese “Matilda”

Cheren:cavalleria coloniale italiana (penne di falco) all’attacco

Gli scontri riprendevano nel pomeriggio del 10 febbraio dopo ore di bersagliamento da parte dell’artiglieria inglese, che giunse a sparare sino a 7.000 colpi ogni ora. Le truppe indiane erano decise a rioccupare Cima Forcuta.
 Per ben due giorni gli scontri proseguirono furiosi e la posizione passò da mano italiana in mano inglese e viceversa. A decidere le sorti dello scontro giunsero gli alpini del battaglione Uork Amba, inquadrati nel 10° reggimento Granatieri di Savoia, i quali, appena giunti da Addis Abeba, nella notte del 12 febbraio furono gettati nella battaglia. Riconquistarono  la posizione dopo furiosi scontri, restituendola saldamente in mani italiane, ma lasciando sul campo metà dei loro effettivi.

Battaglione Alpini

Nella giornata del 12 febbraio gli inglesi cercarono ancora di infiltrarsi nella linea del fronte, ma gli uomini del 4° Toselli respinsero gli indiani sul Falestoh e le truppe di Lorenzini, appena nominato generale, ressero su tutta la linea.
I britannici furono costretti ancora una volta a ritirarsi.
Le perdite, intanto, erano altissime: si consideri che solo il 4° Toselli,  in poco più di mezz’ora,  perse 12 ufficiali,e circa 500 fra graduati ed ascari.
Con il ripiegamento degli inglesi sulle posizioni di partenza aveva sostanzialmente termine la prima fase della battaglia.

LA SECONDA FASE DELLA BATTAGLIA

Tra il 14 e il 15 febbraio si registrarono solo scontri di pattuglie, mentre l’artiglieria inglese continuò a martellare incessantemente  le linee italiane.
Il 16,17,18 e 19 febbraio non si segnalarono scontri di rilievo.
Gli inglesi avevano intanto arretrato truppe ed artiglierie. Intendevano consentire il riposo delle prime,mentre continuavano ad affluire ulteriori forze britanniche di rincalzo.



Iniziò,sostanzialmente, una fase di stasi operativa. Gli italiani cercarono di  rinforzare le posizioni, costruendo ripari e muretti. Intanto confluirono alcuni reparti coloniali e di camicie nere di rinforzo alle nostre truppe, mentre gli inglesi furono raggiunti da reparti della Francia Libera  e dai commandos  palestinesi della comunità israelitica, giunti dal Cairo.
 Cheren:truppe britanniche
Nei bollettini ufficiali nazionali di guerra, veniva riportato giornalmente “ Sul fronte di Cheren attività di pattuglie e scambi di artiglierie”.

Gli uomini, però, morivano. Le granate inglesi non mancavano di colpire i ripari italiani e le perdite erano quotidiane.         

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