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martedì 21 giugno 2016

Filippo Corridoni Documenti Luglio 1915

LETTERA AUTOBIOGRAFICA DI CORRIDONI. LUGLIO 1915

Ho ventotto anni non ancora compiuti. I miei genitori sono operai e vivono col frutto del loro costante lavoro. Ho frequentato una scuola industriale superiore, da dove sono uscito col diploma di perito meccanico. Venni a Milano nel 1905 e vi esercitai fino al 1907 la professione di disegnatore e tracciatore di macchine. Di idealità repubblicane fin dalla prima fanciullezza, divenni socialista rivoluzionario fin dai primi mesi della mia permanenza in questa città. Entrai nella milizia sovversiva nella primavera del 1906 ed il mio ardore giovanile ed una certa vivacità dell'intelletto mi condussero subito nelle prime file.
In gennaio del 1907 ero segretario del circolo giovanile socialista; a marzo fondatore del Rompete le file! Insieme a Maria Rygier e ad aprile vice segretario della Federazione Provinciale Socialista. Allora ero puro d'anima e di sensi: non amavo le donne; non il vino, non la carne. Guadagnavo bene e spendevo pochissimo, in modo da poter disporre della maggior parte del mio stipendio per le mie idee. Ma incominciò subito contro di me una feroce implacabile persecuzione poliziesca, che si è arrestata alle soglie della caserma, e che probabilmente proseguirà quando avrò svestita la divisa del solato, se gli...austriaci non vi porranno rimedio.
Ebbi nel maggio del 1907 la mia prima condanna; e da allora ne ho dovute registrare ben trenta. Per otto anni consecutivi la mia vita è stata asprissima, terribile. Ho fatto ininterrottamente la spola fra una prigione e l'altra, con qualche puntata in esilio.
Ho sofferto, e tanto, ma ho il supremo orgoglio di poter attestare dinanzi all'universo, e senza tema di smentite, che le giornate del dolore sono state da me sopportate con coraggio e fermezza d'animo, senza che nessuno possa buttarmi in faccia un istante di debolezza o di viltà.
Ho patito fame, freddo, dileggi, vituperi, mortificazioni, senza mostrare a nessuno i miei patimenti. Ho fatto tutti i mestieri, nell'esilio doloroso, dal manovale di muratore al venditore di castagne. Ho vissuto dei mesi con semplice pane e ricotta ovvero con un piatto di spaghetti da quatteo soldi, mangiato una sola volta al giorno. Ebbene malgrado ciò, eccomi qua con la mia fede intatta pronto ad infilare ancora una volta la via crucis per il trionfo delle mie immortali idee.
In questi otto anni ho portato la mia parola da un canto all'altro d'Italia. Dappertutto mi son fatto degli amici; forse anche degli avversari: nemici no. Nemici no, perché (e non è una virtù) la mia anima è incapace di odiare. Ovvero io odio il male in se stesso e non nelle persone che lo compiono. E se combatto un avversario, anche con asprezza e durezza, lo faccio per guarirlo dal suo male morale, e non per il gusto di vederlo abbattuto e vinto. Al di là della mia penna affilata quanto una spada, vi son sempre le mie braccia aperte pronte a stringere l'avversario che si pente e si ricrede.
Le mie idee non mi procurarono che prigione e povertà; ma se la prigione mi tempra per le battaglie dell'avvenire, se la prigione mi nutrisce l'anima e l'intelletto, la povertà mi riempie di orgoglio. Se avessi avuto animo da speculatore o se avessi per un solo attimo transatto con la mia coscienza, ora avrei una posizione economica invidiabile, ma siccome io so, sento che un soldo solo illecitamente guadagnato costituirebbe per me un rimorso mortale e mi abbasserebbe talmente dinanzi a me stesso da uccidermi spiritualmente, così posso tranquillamente prevedere che la povertà sarà la compagna indivisibile della mia non lunga vita.
Ma io sono pagato ad usura dall'affetto veramente commovente che nutrono per me tutti i miei operai, che hanno imparato ad apprezzarmi e conoscermi nelle numerose difficili battaglie in cui sono per loro condottiero e, soprattutto, fratello d'armi.
Ed è un amore così ingenuo, puro, fortemente sentito, che fa bene al cuore e ne rimargina le ferite che vi aprono le inevitabili delusioni. I miei avversari da dieci anni a questa parte hanno avuto modo di far circolare sul mio conto ogni sorta di voci calunniose ed hanno intessute maldicenze idiote. Io non ho mai sentito il bisogno di raccogliere tanto fango. Ché la verità s'è fatta sempre strada naturalmente ed i galantuomini han fatto per proprio conto giustizia sommaria di certe bassezze. Ho anche i miei difetti – chi non ne ha? - ma gli sforzi che da tanti anni compio per detergere l'anima mia da ogni impurità e per rendermi degno della missione che il destino mi ha affidato, hanno raggiunto il risultato di far di me un uomo che può andar in giro per il mondo senza correre il pericolo di arrossire e chinare la fronte dinanzi a chicchessia.
Io vorrei dirle altro...ma il tempo sringe. Scrivo queste poche note in caserma, fra il chiasso dei miei compagni e tra un ordine e l'altro dei miei superiori.


sabato 18 giugno 2016

Filippo Corridoni. Documenti 1915 23 luglio 1915

IL SALUTO AGLI ORGANIZZATI DELL'U.S.M.

Il 23 luglio 1915, il giorno prima di partire per il fronte, Corridoni indirizzò ai compagni dell'U.S.M. questo suo saluto:
"Nel momento della partenza per il campo dell'onore e della gloria sento l'imperioso bisogno di rivolgere a voi, prodi compagni delle battaglie dell'ieri recente il mio commosso e fervido saluto.
Esso vuol dirvi il mio affetto immutato ed immutabile per la nostra amata istituzione, baluardo infrangibile dei diritti operai, ed anche la certezza di ritrovarci tutti saldi ed incrollabili attorno alla immacolata bandiera di combattimento, il giorno in cui la fortuna mi concedesse di ritornare fra voi sano e salvo a riprendere, con la vostra fiducia, il mio ambito posto di battaglia.
Ché io sono fiero ed orgoglioso di voi o compagni dell'Unione Sindacale! Voi primi e quasi soli, comprendeste fin dai primi mesi di quest'anno di passione, quale fosse il dovere dell'Italia, e frustaste colla vostra compattezza e saldezza di propositi e di azioni, l'opera di pervertimento del nostro proletariato, tentata ignobilmente dal socialismo ufficiale.
Voi sentiste che la causa del Belgio martire, della Francia calpestata, della Serbia agonizzante, dell'Inghilterra minacciata, era la nostra causa, e, da internazionalisti attivi e fattivi, da antimilitaristi  illuminati, voleste la guerra di nostra e di altrui liberazione.
Ed ora fate la guerra! La nostra gloriosa organizzazione ha l'onore ed il vanto di avere nelle file dell'esercito l'80 per cento dei propri soci di cui ben 500 volontari.
Essi combatteranno da prodi, ciò è indubitabile; ma esigono da voi compagni che restate un contegno fermo e deciso tanto nella prospera come nell'avversa fortuna. Esigono soprattutto che le vostre energie specialmente di voi, o compagni metallurgici, siano utilizzate allo scopo supremo ed unico: la vittoria.
Noi al fronte, voi nelle officine, tutti abbiamo un grave e nobile dovere d'assolvere, per la fortuna d'Italia, per la libertà d'Europa, per l'avvenire dell'umanità.
Compagni operai, fate che a vittoria copnseguita, quando riprenderemo la lotta per la nostra fede – oggi più di ieri viva nel nostro cuore – possa dirsi dai nostri stessi competitori di classe che voi meritaste la realizzazione dei vostri sogni di miglior avvenire per la sincerità, l'entusiasmo, l'ardore con cui combattete tutte le battaglie, siano esse per la patria, l'umanità o per i santi diritti del vostro lavoro.
Viva l'Italia! Viva L'Unione Sindacale!
                                                                                                                 FILIPPO CORRIDONI

(L'Internazionale, 21 ottobre 1922)

lunedì 13 giugno 2016

Filippo Corridoni Documenti. 1915

MANIFESTO DEL COMITATO INTERVENTISTA MAGGIO 1915

L'anima italiana non aspira alla guerra per la guerra, ma alla guerra contro la guerra. Gli italiani vogliono intervenire nel conflitto europeo perché tanto è necessario anche salvare la loro civiltà, la loro indipedenza, perché tanto è necesario per riscatto dei fratelli soggetti allo straniero, perché tanto è necessario che il conflito cessi.
Dobbiamo porgere la mano al Belgio martoriato per non essere a nostra volta martoriati, e per far sapere al mondo che l'Italia non è vile, perché la presente viltà addensa vituperio e fame sui nostri figli che emigrano per necessità di lavoro. Gli stessi partiti rivoluzionari facendo oggi transitorio sacrificio di ogni diverso postulato accettano di marciare sotto la bandiera delle attuali istituzioni per la necessità della patria.
Ebbene la monarchia in Italia sorse perché dalla maggioranza della nazione ritenuta necessaria per raggiungere l'unità, fatto questo necessario per la difesa degli interessi morali e materiali d'Italia. Se quando l'Italia è al bivio, se quando l'attitudine del suo governo determina o la sua prosperità o la sua gloria nell'avvenire, o novella servitù agli stranieri la monarchia non sa prendere la sua vita, ma si lasciasse arrestare da losche manovre di patteggiamenti collo straniero essa fallirebbe alla sua missione.
In nome di tutti coloro che oltre a sentire queste verità sentono il dovere di dirle, oggi i gruppi interventisti che raccolgono uomini di tutti i partiti proclamano altamente che il momento attuale pone il dilemma.
O la monarchia indica guerra agli imperi od essa è virtualmente decaduta prima che il popolo lo dichiari. 
Per l'assembleadei comitati interventisti:
 A. Albasini Strosati,. F. Corridoni, Riccardo Luzzatto, Luigi Siciliani, Paolo Taroni.


(Il Popolo d'Italia del 14 maggio 1915).