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mercoledì 27 dicembre 2017

1866 Quattro Battaglie per il Veneto. Bezzecca

APPROFONDIMENTI

La situazione generale militare: la costituzione del Corpo dei Volontari.

Nota*

Al termine delle operazioni contro la fortezza di Gaeta nel marzo del 1861, e dopo aver proceduto allo scioglimento dell’Esercito meridionale composto dai garibaldini che avevano preso parte alla spedizione dei Mille, era stato ipotizzato da parte del Governo regio di costruire un Corpo Volontari utilizzando i Quadri dei volontari di Garibaldi; sarebbe stata la soluzione ideale per  dare soluzione alla spinosa questione del reimpiego degli Ufficiali volontari che non si voleva a nessun titolo inserire nell’Esercito regolare. Fu definito un abbozzo di progetto che prevedeva un Corpo Volontari su tre divisioni per un totale di 10.000 uomini ciascuna, priva di artiglieria e genio; nel caso di mobilitazione, aliquote delle armi cooperanti sarebbero state fornite dall’Esercito regolare. Questo progetto, nel 1862, fu completamente abbandonato in quanto si percepiva che sarebbe stato destabilizzante in un settore, quello militare, estremamente delicato. Inoltre il senso di insicurezza e di fragilità della nuova struttura statale inducevano a temere qualsiasi esplosione di entusiasmo e di fede progressista, paventando che potesse innescare un processo di dissoluzione in un ordine costituito raggiunto con notevoli sforzi e già messo alla prova da tensioni interne  e dalla posizione internazionale del giovane Regno.

Con queste premesse al momento dello scoppio della III Guerra di Indipendenza non vi era nulla di precostituito in termini di forze volontarie.

IL 6 maggio 1866, dopo ben 5 giorni dall’annuncio della mobilitazione generale e l’inizio della radunata dell’Esercito regolare venne promulgato il decreto reale che indiceva il reclutamento di volontari in un corpo al comando di Garibaldi. Non fu una iniziativa del Ministero della Guerra, ma sotto la spinta sempre più incontenibile dell’opinione pubblica italiana. Nel Paese vi erano fortissime correnti di opinione che esigevano una partecipazione di volontari alla guerra all’Austria, a cui corrispondeva una non tanto celata irritazione degli ambienti governativi ed istituzionali quasi fosse, questo consenso dell’opinione pubblica alla forze volontarie, come una palese sfiducia nella classe dirigente che doveva condurre l’Italia alla guerra.

Il clima politico quindi non era dei migliori ed anche qui si coglie delle discrepanze ed attriti che sommati insieme portarono ai non brillanti della III Guerra di Indipendenza.

La decisione del Ministero della Guerra e del Governo del Re per risolvere il problema dei volontari fu la costituzione di un Corpo di Volontari su 10 reggimenti, da arruolarsi su base volontaria in due centri di reclutamento, uno a Como e l’altro a Bari. Tanto era la diffidenza verso questa iniziativa che a Como dovevano affluire i Volontari del Piemonte, della Lombardia, Isole e del versante occidentale delle provincie meridionali; gli altri dovevano affluire a Bari.

Il reclutamento diede un totale di 38.400 uomini presentatesi,  ma la forza media del Corpo non superò ai le 18.000 unità. In più la rigidissima selezione voluta da Garibaldi e dai suoi  comandanti fece si che solo 1/3 degli arruolati fu utilizzato, ovvero circa 10.000 uomini. Questa, grosso modo era la cifra che le Autorità avevano calcolato per il Corpo Volontari al momento dell’impiego operativo. Alla dichiarazione di guerra, il Corpo Volontari era così ordinato:
. 5 Brigate di fanteria, su due reggimenti
. 2 battaglioni bersaglieri volontari
. 2 squadroni guide
. unità di intendenza, sanità, del treno e di sussistenza 

Ad esse si dovevano aggiungere le seguenti forze provenienti dall’Esercito regolare :
. 1 battaglione bersaglieri
. 1 compagnia  zappatori
. 3 batterie da campagna su 6 pezzi ciascuna

. 1 batteria da montagna su 6 pezzi 

Massimo Coltrinari


Nota. Da questo post all'insietro fino alla data di settembre 2017 sono stati pubblicati i post che ricostruiscono la Battaglia di Bezzecca del 1866, come quarto segmento del volume "1866 Quattro Battaglie per il Veneto". Si conclude in questa maniera i contributi per questo bloc sul 1866. Verranno pubblicati ancora post relativi all'argomento tenendo a giorno il lettore dello sviluppo di questa ricerca.

Dai prossimi blog il "core" del blog sarà dedicato per il 2018 al Dizionario MInimo della Grande Guerra" in cui verranno posti dei post su argomenti centrali di questa ulteriore ricerca, a cui si richiese in un arco di tempo prefissato, commenti, note ed osservazioni, per affinarla e definirla più dettagliatamente. 
Questo in collaborazione con il Centro Studi sul Valor Militare - CESVA dell'Istituto del Nastro Azzurro. Roma
Email per contatti: centrostudicesvam@istitonastroazzurro.org)

domenica 24 dicembre 2017

Gli avvenimenti politico-diplomatici precedenti Bezzecca: come impiegare il Corpo dei Volontari


Il Comando supremo era pervaso da vari dissidi, primo fra tutti quello tra La Marmora e Cialdini, su un punto tutti erano d’accordo: quello di minimizzare il più possibile il ruolo e l’azione di Giuseppe Garibaldi. Si concordava nel concedergli un ruolo attivo nella prossima guerra, ma non tale da farlo assurgere a protagonista per evitare di dare l’impressione che il Regno non avesse abbastanza forze per operare da solo. Per ottenere ciò la soluzione che fu adottata fu quella di ricalcare gli schemi delle campagne 1848 e 1849, durante le quali Giuseppe Garibaldi era stato inviato in settori secondari con il compito di guardare i fianchi dell’Armata Regia contro improbabili azione nemiche. Vittori Emanuele II, inoltre, aveva disposto sotto forma di “desiderio espresso” che le unità volontarie non avessero un ordinamento simile a quello del Esercito regolare; inoltre precisò che non si doveva dare una numerazione ordinativa che facesse risalire le predette unità all’Esercito regio, come era accaduto del 1859 ( Divisione “Cacciatori delle Alpi”). In pratica si voleva tenere ben distinte le due entità: una cosa era l’Esercito regolare un’altra cosa erano le forze volontarie.  Di fronte a tutto questo Garibaldi espresse il suo fermo dissenso. Era sì convinto che entrare in guerra avrebbe significato vittoria; ma occorreva stre bene attenti che questa vittoria avesse contenuti sostanziali; ovvero che ad una eventuale pace si sarebbe ottenuto solo quello che si era conquistato con le armi, sul terreno, combattendo il nemico; non si avrebbe avuto nulla di più.
Pertanto aveva concepito un piano veramente ardito. Sbarcare in prossimità di Trieste, sbarco che sarebbe riuscito dopo aver eluso la crociera e la vigilanza della flotta austriaca, occupazione della città, come base per poi manovrare verso il nord sul rovescio delle Alpi Giulie. Con l’obiettivo tattico di prendere possesso dei passi che dal veneto adducono alle valli della Sava e della Drava. Inoltre, una massa di oltre 10.000 volontari si sarebbe radunata nelle marche e da qui la flotta italiana li doveva traghettare sulla sponda opposta, ove avrebbero iniziato la l’azione verso nord, portando la guerriglia. Nel contempo la Flotta italiana avrebbe dovuto bloccare a Pola quella austriaca
Questo piano avrebbe utilmente concorso alle operazioni condotte dall’Esercito regolare nella pianura veneta e sicuramente avrebbe consentito di guadagnare, al termine della guerra, una linea armistiziale coincidente con i nostri confini naturali.

Un piano veramente ardito, che si sarebbe potuto realizzare solo con il concorso reale del Governo centrale e dell’Esercito regolare. Garibaldi non proponeva soluzioni a vanvera: aveva fatto studiare nei minimi particolari ogni dettaglio ed aveva preso contatto con i patrioti giuliani e disponeva di una messe di dati informativi degni di nota.
Proprio questa organizzazione spinta al dettaglio allarmava e preoccupava il Governo centrale ed il Comando Supremo, che ritenevano inopportuno ed assolutamente da evitare, qualunque fossero i risultati, un altro grande successo militare di Garibaldi.

La precisa organizzazione del piano e la determinazione di Garibaldi allarmarono ulteriormente il Governo ed il Comando Supremo che paventava una prospettiva che assolutamente non doveva attuarsi, ritendo inopportuno, a prescindere da qualunque risultato la guerra avesse dato, un altro grande successo di Garibaldi.
La risposta, ovviamente politica, più che militare, e questo fu un altro grande errore della guerra del 1866 (ovvero anteporre i successi militari possibili alle esigenze politiche), fu di blandire Garibaldi con una soluzione di compromesso. Gli si proponeva di agire nel Trentino al fine di dare copertura al fianco nord dell’Esercito regolare; poi, una volta che l’Esercito austriaco fosse stato sconfitto in pianura, si sarebbero date le forze necessarie per uno sbarco in Croazia di garibaldini per portare poi aiuto all’Ungheria e renderla indipendente.

La reazione di Garibaldi fu in linea con la proposta: era inutile portare azioni in Trentino; una volta sconfitto l’Esercito austriaco sarebbe bastato una azione in Val Sugana  e poi puntare su Trento. Le obiezioni erano più che appropriate ma il Governo ed il Comando supremo insistettero. Comunicò che il Re Vittorio Emanuele II “desiderava” che il piano proposto dal Comando supremo fosse adottato da Garibaldi, e Garibaldi lealmente  dichiarò di accettarlo.

Ma fu un errore. Bismarck comunicò all’Italia che doveva assumere un atteggiamento risolutamente offensivo ed attivo verso l’Austria; non fece mistero che la Prussia non avrebbe tollerato un alleato a rimorchio,  adottante un atteggiamento prudente. Questa comunicazione è in gran parte la giustificazione adotta successivamente per l’abbandono a se stessa dell’Italia a Nikolsburg, ove fu negoziato l’armistizio con l’Austria. Nelle more di questi avvertimenti Bismarck  consigliò di assegnare un importate ruolo militare a Giuseppe Garibaldi, di appoggiare il suo piano strategico, mettendolo a capo di un Corpo di Volontari che conquista Trieste avanzasse verso nord, mettendo scompiglio nelle comunicazioni dell’Austria con il fronte sud. Contemporaneamente le armate prussiane avrebbero avanzato verso l’Ungheria con l’obiettivo di renderla indipendente. L’azione di Bismarck e di Garibaldi erano in perfetta armonia e avrebbe dato enormi vantaggi territoriali: l’Italia avrebbe avuto oltre  il Veneto la Venezia Giulia, mentre la Prussia avrebbe avuto modo, aiutando l’Ungheria a diventare indipendente, ad esautorare l’Impero Austriaco come grande potenza europea.


La Prima Guerra Mondiale sicuramente avrebbe avuto un andamento totalmente diverso se il Piano  Strategico di Garibaldi fosse stato accettato e non rifiutato perché un altro successo dello stesso Garibaldi avrebbe dato ombra al Governo ed alle forze moderate. La soluzione fu mediocre: non adottato il piano strategico di Garibaldi, fu ordinato che il Corpo dei Volontari doveva operare nel Trentino.


massimo coltrinari
(centrostudicesvam@istitutonastroazzurro.it)

venerdì 22 dicembre 2017

I piani operativi.


Il piano strategico delle forze volontarie italiane non poteva non essere disgiunto da quello generale dell’Esercito Italiano. Si è detto che l’idea iniziale di Garibaldi di sbarcare sia a Trieste che sulla costa dalmata non fu accettata dal governo regio. Quindi il Corpo dei Volontari fu inviato ad operare il quella parte del fronte. Il piano operativo discendete era quindi molto semplice.
Garibaldi dislocò le forze volontarie nell’ampia fascia compresa tra Bergamo e Salò, per lasciare il Comando Austriaco nella più totale incertezza circa la principale direttrice d’attacco ( piano di inganno); poi inizialmente intendeva svolgere una azione diversiva lungo la riva occidentale del Garda a scopo puramente dimostrativo.
In realtà lo sforzo principale lo intendeva sviluppare partendo dal Lago di Idro verso Val Giudicaria e a seconda delle circostante procedere o meno per la Val d’Ampola, con l’obiettivo di convergere  definitivamente sull’Adige, manifestando questi intendimenti il più tardi possibile per evitare che il nemico concentrasse contro di lui il massimo delle forze disponibili, che al momento risultavano sparse per tutto il Tirolo.


Per l’Esercito Austriaco, come visto, il piano strategico generale prevedeva mantenere un atteggiamento difensivo, ma un passivo, bensì attivo. In relazione ai suoi intendimenti tattici (VEDERE SE SI è INSIERTO LE CONCEZIONI TATTICHE SUL TESTO) aveva spinto il proprio sistema di avamposti oltre il Tonale e lo Stelvio, costituendo quattro aliquote di riserva tattica che si dislocarono in corrispondenza dello Stelvio, del Tonale, della Val Giudicaria e della Val d’Ampola, mentre la riserva tattica di disloco a Trento. Il Q. G. austriaco fu posto in Val Giudicaria e cioè in prossimità delle provenienze che il gen. Kuhn giudicava le più pericolose e altamente probabili: la Val Sabbia e la Val Camonica. Quindi il piano strategico austriaco per la difesa del Tirolo prevedeva l’occupazione delle testate delle Valli Valtellina ( ovvero occupazione del Passo dello Stelvio) e Camonica ( ovvero occupazione del Passo del Tonale) e quindi rimanere in attesa delle iniziative di Garibaldi, conosciute le quali si prevedeva di concentrare il massimo delle forze nel settore minacciato.

Massimo Coltrinari

giovedì 21 dicembre 2017

Le forze in campo


Il Corpo Volontari disponeva, come visto, di 18.000 uomini, e disponeva di 24 cannoni; non aveva elementi di supporto se non  a livello speditivo. Le forze austriache ammontavano, detratte le forze destinati a servizi di presidio  e in osservazione verso la Val Sugana a 13.000 uomini, e 36 cannoni al comando del gen. Kuhn[1]. Gli Austriaci potevano contare su tre forti, sistemati in eccellente posizione per sbarrare l’alta Val Giudicaria (Lardaro), la Val D’Ampola (Gligenti) e lo sbocco della val di Ledro sul Garda (Ponale).



[1]              Franz Kuhn von Kuhnenfeld, generale austriaco, era considerato il teorico della guerra di montagna. Al termine delle operazioni in Trentino fu accolto a Vienna come un vincitore ed ebbe onori e considerazione. Per la sua biografia ed un approfondimento della sua figura, Vds.: Quaderni On Line, post “1866 Protagonisti. Gen Franz Kuhn von Kunnenfeld” in data 6 settembre 2016  www.valremilitare cesvam,blogspot.com.  

martedì 19 dicembre 2017

Le operazioni del Corpo dei Volontari prima di Bezzecca:

4.6
      a. Le operazioni iniziali
Preso atto che il Corpo di Volontari doveva assicurarsi una linea più facilmente difendibile di quanto non fosse quella di confine, che passava appena al di là dell’abitato di Anfo, al coperto della quale attendere il completarsi della radunata e il concentramento dei reparti e delle unità, era necessario individuarla ed occuparla. Questa linea fu individuata nel corso del torrente Caffaro, il cui elemento più interessante, dal punto di vista tattico, su cui sviluppare l’azione successiva, era l’abitato di Ponte di Caffaro, dominato dal Monte Suello, il quale sbarrava le Valli Giudicarie e d’Ampola. Gli intendimenti di Garibaldi, per attuarli, erano chiari: una colonna d’attacco avrebbe dovuto fissare frontalmente le forze nemiche, mentre una seconda colonna sarebbe dovuta piombare sull’abitato dai contrafforti inferiori di Monte Suello. La data fissata per l’azione fu il 25 giugno. Iniziata, la colonna di attacco trovò di fronte solo pochi elementi presidianti gli avamposti per lo più tiratori provinciali di Innsbruck; non trovando resistenza la colonna proseguì verso il paese di Darzo, ed avanzò troppo in profondità perdendo i contatti con la colonna operante sulle pendici di Monte Suello. In questa situazione alquanto delicata, il col. Spinazzi, comandante del 2° Reggimento volontari, che aveva il compito di puntare sul Caffaro, convinto che si fosse aperta una insperata breccia nel dispositivo austriaco, abbandonò il suo posto di comando avanzato per andare ad incitare e spronare i reparti di rincalzo e recuperare le unità attestate sul Monte Suello, onde sfruttare la nuova situazione con una azione in profondità. Vista la situazione, la riserva tattica austriaca, composta da elementi del Reggimento di Sassonia, entrò in azione e piombò sui fianchi della colonna di  volontari, obbligandola retrocedere rapidamente per sottrarsi sia all’aggiramento che all’annientamento. L’azione durò varie ore, ma alla fine le forze volontarie riuscirono a raggiungere e ad attestarsi a Ponte di Caffaro; gli Austriaci, vedendo questo movimento, non si impegnarono a fondo per non logorarsi ulteriormente e su ordine del gen. Kuhn si fermarono: si voleva lasciare gli Italiani a Ponte di Caffaro quale zona di un loro concentramento per una successiva ripresa dell’azione, poiché su di esso era sempre agevole portare un contrattacco preventivo da Monte Suello, quando lo si sarebbe ritenuto opportuno.  Nella giornata si erano conseguiti i risultati che Garibaldi si aspettava, ma correndo un grossissimo rischio di vedere annientate tutte le forze impiegate. Garibaldi non ebbe modo di seguire da vicino l’azione e la sua assenza stava per essere fatale. In mattinata lo aveva raggiunto la notizia dei risultati della giornata di Custoza e subito si era dedicato ad organizzare il nuovo schieramento.


Sempre il 25 giugno erano iniziati i movimenti e l’azione lungo la sponda occidentale del Lago di Garda, in direzione di Gargnano. La località fu raggiunta senza che vi si verificassero particolari eventi. Per tutta la durata della campagna in questo settore la situazione rimase quella conseguita il 25 giugno. 

lunedì 18 dicembre 2017

Il rovesciamento della fronte 25 giugno 1866.



Nelle primissime ore del 25 giugno, Garibaldi ebbe comunicazione dal Comando Supremo della situazione in pianura. L’Armata del Mincio era in ritirata e necessità che le forze volontarie operassero in maniera da garantire il fianco nord dell’Armata stessa. Con vari dispacci e telegrammi lo stesso La Marmora aveva aggiornato Garibaldi.  Vi era il sostanziale pericolo che Brescia fosse occupata dagli Austriaci; onde evitare questo, Garibaldi decise di concentrare le forze volontarie nella piana a sud-ovest del Garda, sulle alture moreniche di Lonato, con il grosso sistemato a difesa. Dopo una attenta pianificazione, soprattutto per riguardo gli itinerari, disposto che piccolissimi contingenti sarebbero stati lasciati a contatto con il nemico, ordinò che dalla sera del 25 giugno iniziassero i movimenti verso il nuovo schieramento e che tutto dovesse terminare nella mattinata del 26. Tutto questo si svolse celermente e velocemente, agevolato anche dal fatto che le unità volontari erano “leggere”; Garibaldi non aveva nessuna notizia delle intenzioni del nemico, e quindi operò al buio, con le unità volontarie che uscivano dalle valli alpine e sboccare in pianura senza sapere chi avrebbero incontrato. Le disposizioni furono chiarissime: si doveva aspettare una battaglia di incontro e quindi ci si doveva preparare adeguatamente. Si trattava cioè di assicurare una articolazione alle unità ed un coordinamento interno che permettesse di assorbire l’urto iniziale del nemico e successivamente di far massa sul lato minacciato.

Il dispositivo tattico assunto dal Corpo dei Volontari fu a losanga che si trasformò ben presto in un triangolo schiacciato quando, senza aver incontrato forze austriache, il suo vertice raggiunse Lonato, su cui, come detto, si era imperniato lo schieramento difensivo. Il Corpo dei Volontari tenne le posizioni in difesa e a copertura di Brescia fino al 30 giugno, giorno in cui, vista l’inerzia austriaca, decise di riprendere l’iniziativa. Ordinando alle sue forze di spostarsi in Val Sabbia, per riprendere le operazioni in Trentino. Questa decisione fu suffragata anche dalla notizie avute dal Comando Supremo, che ipotizzava una azione dell’arciduca Alberto, verso l’Armata del Po per aprirsi la strada verso Firenze, capitale del Regno. 

venerdì 15 dicembre 2017

La ripresa delle operazioni nel settore montano


      c.

Le unità lasciate a contatto con il nemico sulla linea del Caffaro, un battaglione del 4° reggimento, non erano rimaste inattive. Su iniziativa, alla spicciolata, elementi individuali e in qualche caso piccole pattuglie si erano infiltrati in profondità nel territorio nemico. Erano azioni non coordinate, spesso mosse più dallo spirito di avventura che da reali esigenze tattiche, che, alla fine, servirono a Garibaldi per avere una idea chiara del dispositivo austriaco.
In sostanza, i suoi spregiudicati gregari, la cui azione rimase del tutto inavvertita dagli avversari, lo informarono che nel fondovalle gli Austriaci non avevano organizzato forti difese, mentre su molte dorsali risultavano pacificamente accampati forti contingenti di truppa. Uno di questi, in particolarmente consistente, si trovava sul rovescio di Monte Suello. Il generale (Garibaldi) ne dedusse giustamente che il Khun intendeva contrastargli il passo con reiterati controattacchi condotti dall’alto, quando egli avesse tentato di aprirsi la via in fondovalle, per cui decise di far avanzare le proprie colonne principali a mazzacosta e sulle pendici opposte a quelle sulle quali erano dislocate che noi sappiano essere una aliquota di riserva mobile. Ciò avrebbe costretto gli Austriaci a condurre la propria reazione dinamica dal basso verso l’alto, risalendo il fianco di valle su cui muovevano le unità garibaldine, ed avrebbe consentito ad esse di far fronte per tempo alla minaccia e di ributtarle sfruttando il dominio di quota. Successivamente l’azione l’azione sarebbe proseguita piombando dopo averne sopravanzato il fianco, sull’obbiettivo d’attacco ed, anche se l’avanzata sarebbe stata così ben più difficoltosa. Garibaldi confidava sullo slancio dei suoi Volontari per imprimere ugualmente fluidità e celerità al movimento”[1]


[1]              Langella P., (a cura di) , Le operazioni del Corpo Volontari garibaldini nelle Giudicarie”, Modena, Allegato alla Sinossi di Storia Militare, Accademia Militare, 1968, pag.17. Da questa Sinossi sono tratte le maggiori notizie di questo capitolo dedicato alle operazioni nel Trentino, oltre alle ricostruzioni dei combattimenti principali. Vuole anche essere un omaggio agli Ufficiali e Professori che, circa 50 anni fa, a favore del 150° Corso “Montello”  contribuirono alla nostra formazione culturale e professionale. 

martedì 12 dicembre 2017

Il Combattimento di Monte Suello. 3 luglio 1866



La necessità di riprendere l'avanzata al di là di Ponte di Caffaro dopo aver respinto l'avversario dalla cerniera di Monte. Suello che, ricordiamo ancora, dominava la linea ove era attestato il Corpo dei Volontari, sbarrava l'accesso all'Alta Val d'Idro e minacciava la stessa Rocca d'Anfo. Ma Monte Suello era una posizione molto forte e troppo ben presidiata per essere semplicemente sopravanzata, sia pure con i procedimenti escogitati da Garibaldi per contenere l'inevitabile reazione che si sarebbe scatenata da esso. Infatti, i reparti che lo occupavano non lo avrebbero abbandonato, se non costretti da un'azione di forza, inibendo l'uso della strada di fondovalle al necessario flusso dei rinforzi e dei rifornimenti. Inoltre il Corpo dei Volontari, nella sua progressione verso l'avanti, si sarebbe ben presto venuto a trovare rinserrato fra la testata della Val d'Idro, ove era presumibile l'irrigidimento dell'avversario, e le forze operanti dal Monte Suello.

Anche per l'attacco al Monte Suello, Garibaldi scelse la forma della manovra aggirante: fissato frontalmente l'avversario con un contingente minore e costrettolo ad uscire allo scoperto dai rovesci del monte, il grosso delle forze si sarebbe mosso, aggirando le pendici occidentali del Suello, articolato su due colonne di attacco, per realizzare di sorpresa un duplice aggiramento a breve e a più ampio raggio del fianco destro dello schieramento austriaco. Una riserva, inoltre, doveva assicurare libertà d'azione al Generale.

Ancora una volta, le cose non si svolsero secondo il piano di Garibaldi. Il Kuhn aveva rinforzato e raffittito il suo sistema d'avamposti, attorno al Monte Suello, con unità di cacciatori provinciali, i quali, avanzando e retrocedendo in ordine sparso, al coperto delle abetaie dovevano infliggere perdite ai garibaldini con la loro temibilissima abilità di tiro ed incanalarli ed attirarli in zone propizie all'azione delle truppe regolari. Le avanguardie garibaldine del contingente di fissaggio si lasciarono prendere nella trappola di questa tattica minuta ma efficacissima e, nel tentativo di eliminare la mobilissima catena dei tiratori, intervennero a loro sostegno i reparti retrostanti, che scalarono a gara le balze del monte. La battaglia divenne ben presto generale con l'arrivo del grosso austriaco, volgendo sin dall'inizio a sfavore dei Garibaldini. Il loro slancio fu tale che Garibaldi non poté trattenerli in tempo perché si adeguassero ai loro ristretti compiti e, anzi, anche le colonne incaricate dell'aggiramento non seppero resistere al rumore della battaglia e si lanciarono a testa bassa là ove essa ferveva, compromettendo definitivamente l'esito della manovra. A questo punto Garibaldi si portò in mezzo alla mischia, per raddrizzare le sorti della giornata e riuscì con la sua presenza e con l'immediata intuizione della situazione a contenere una pericolosissima azione avvolgente austriaca. Mano a mano, poté anche disimpegnare singole unità che ricompose ed avviò a sviluppare il previsto movimento aggirante, unitamente alla propria riserva generale.

Nella confusione della battaglia, gli Austriaci non avvertirono il movimento di disimpegno di parte delle forze antistanti e si accanirono per schiacciare ogni resistenza. Garibaldi, comprendendo che il fulcro dell'azione era costituito dal contenimento dell'attacco austriaco, poiché uno sfondamento nel settore avrebbe vanificato l'azione delle altre colonne d'attacco che stavano muovendo con grave ritardo verso i loro obiettivi, assunse direttamente il comando riuscendo a tenere le posizioni fino al tramonto, quando la pressione austriaca si affievolì. Durante l'azione lo stesso Garibaldi, ancora sofferente per la ferita toccatagli sull'Aspromonte, fu nuovamente colpito alla gamba sinistra.

A sera, intanto, le colonne d'attacco agenti sulle pendici occidentali del Monte Suello non avevano ancora preso contatto con l'avversario o raggiunto gli obiettivi fissati. Ma gli Austriaci, accortisi della loro presenza, ritennero ormai insostenibile la loro posizione e l'abbandonarono durante la notte.

La relazione ufficiale della campagna, redatta dallo Stato Maggiore, afferma che, se il disegno di Garibaldi fosse stato attuato, “gli Austriaci sarebbero stati costretti a sgomberare Monte Suello senza trar colpo[1], per effetto delle vigorose manovre aggiranti predisposte da Garibaldi. Essi avrebbero colto di sorpresa l'avversario per celerità d'esecuzione e imprevedibilità delle incidenze, mentre questi era tutto proteso ad esercitare il suo sforzo verso il fondo valle e poco cauto nel saper valutare la duttilità di procedimenti e la velocità d'azione del grande condottiero.[2]

domenica 10 dicembre 2017

Il riordino del Corpo dei Volontari 4-6 luglio 1866



  

Garibaldi, quindi, nonostante la disordinata esecuzione del suo piano, si era definitivamente impadronito dell'accesso verso l'alto corso del Chiese, spingendosi sino a Lodrone con le proprie avanguardie ed era soprattutto riuscito ad impedire al Kuhn di manovrare secondo i propri intendimenti.
Alla battaglia del Monte Suello seguì una breve pausa, dovuta alla necessità di riorganizzare il Corpo dei Volontari, più che alla ferita di Garibaldi. Infatti i magazzini d'Intendenza dell'Armata del Mincio, ridotta all'inazione, furono aperti in favore delle Forze volontarie, che riuscirono finalmente ad ottenere un armamento ed un equipaggiamento sufficienti, anche se non del tutto omogenei. Per contro, il La Marmora non ritenne opportuno concedere alcun rinforzo, soprattutto d'artiglieria, temendo un'azione austriaca dallo Stelvio e dal Tonale. In effetti, il Kuhn aveva divisato di cogliere Garibaldi alle spalle, mentre si trovava di fazione a Lonato, con una forte azione controffensiva dal Tonale, lungo la Val Camonica, su Bergamo e Brescia, ma ne era stato impedito categoricamente dall'Arciduca Alberto, il quale non intendeva correre il minimo rischio nel Trentino, dopo aver sgomberato la pianura veneta.

Il 6 luglio, il Comando delle Forze Volontarie diramava un ordine del giorno contenente minute prescrizioni ordinative e tattiche per lo sviluppo ulteriore dell'azione. Le più importanti sono le seguenti:
. si doveva procedere ad un ulteriore selezione, eliminando quanti non avessero dimostrato sufficiente resistenza fisica o piena saldezza morale;
. ogni reggimento avrebbe costituito una compagnia volante “formata dalla gente più ardita e svelta”. Esse dovevano agire nel territorio nemico compiendovi incursioni, imboscate e colpi di mano, infiltrandosi attraverso le zone impervie per nuclei e riformandosi in prossimità degli obiettivi;
. ugualmente ogni reggimento doveva riunire in una compagnia di riserva tutti gli elementi validi, che, per età, non fossero in grado di seguire i movimenti celeri del proprio reparto.

Eliminati così gli inidonei alla campagna, assegnati a scopi loro più congeniali i più spericolati, che potevano trascinare con il loro ardore indisciplinato i reggimenti d'appartenenza, ed i veterani che ne rallentavano la marcia, il Generale ammonì severamente i propri comandanti in sottordine di attenersi strettamente agli ordini e di tenere saldamente in pugno i propri uomini.[3]



[1]              Ibidem
[2]              Vedi nota n.33
[3]              Vds. Nota 33 

mercoledì 6 dicembre 2017

. I combattimenti di Lodrone e Darzo

  

Una ricognizione in forze fu attuata il 7 luglio dagli Austriaci per tentare di stabilire ove si trovasse il grosso delle forze garibaldine. Il Comando austriaco valutava che fosse giunto il momento di far intervenire la propria riserva tattica alla prima utile occasione. Forze pari ad un battaglione rinforzato, precedute da uno squadrone di Ulani, da tiratori provinciali e sostenute da artiglieria, cercarono di agganciare l'avanguardia garibaldina a Lodrone, per giungere a contatto con il grosso delle forze volontarie.

 Dalla scarsa consistenza del contingente avversario, Garibaldi intuì le intenzioni del nemico e trattenne le sue forze al coperto del Caffaro, ordinando all'avanguardia di retrocedere dalle posizioni tenute. Nel contempo, fece schierare sul Monte Suello una batteria e predispose forze per un contrattacco dalle pendici del monte, da effettuarsi non appena gli Austriaci si fossero avvicinati a Ponte Caffaro.

L'azione venne svolta con molto ordine e la colonna austriaca ripiegò non appena venne presa sotto il tiro dell'artiglieria del Suello e si profilò da esso la prevista reazione dinamica. A sera, i Garibaldini rioccupavano, senza incontrare resistenza, Lodrone.
Ma il Kuhn divenne sempre più impaziente d'arrestare definitivamente le forze volontarie. Infatti, dopo la battaglia di Sadowa, l'Armata del Po si era messa in movimento e il Generale austriaco temeva di trovarsi rinserrato fra Garibaldi ed un'azione del Cialdini lungo la Val Sugana, senza poter contare su di un ritorno dell'Arciduca Alberto.

L'azione delle compagnie volanti lo convinse che finalmente il Corpo dei Volontari doveva essersi concentrato alle spalle di Lodrone e che esso stava per riprendere l'offensiva verso le Giudicarie. Invece Garibaldi, fidando ancora una volta sulla celerità di movimento dei propri Volontari, aveva preferito non abbandonare la linea del Caffaro, appunto per non offrire il destro di un contrattacco preventivo in forze ad un nemico che si era dimostrato tanto irruente e manovriero.

Il 10 luglio, Lodrone venne nuovamente investita da due colonne d'attacco, destinate ad aprire il passo alla riserva strategica in movimento da Lardaro, mentre le altre riserve tattiche, fatte serrare sotto in Val Giudicaria e in Val d'Ampola, si tenevano pronte a sostenerne l'azione o a coprirne il ripiegamento. Le forze impegnate questa volta furono nettamente superiori ed avanzarono su entrambi i fianchi della valle per impedire ai Garibaldini di sottrarsi alla presa ritirandosi a scaglioni ed operando contrassalti locali dal lato non occupato dall'attaccante. Ma i Volontari ripiegarono ancora in perfetto ordine, contenendo ovunque la pressione austriaca ed il Kuhn, resosi conto che il suo colpo era caduto nel vuoto, ordinò l'arresto dell'azione ed un celere disimpegno. Questa volta, però, Garibaldi sostituì l'avanguardia con forze fresche ed incalzò vigorosamente gli Austriaci in ritirata sino a Darzo posizione più facilmente difendibile ed utile per il prossimo balzo in avanti, facendo controllare lo sviluppo dell'azione dal suo Capo di SM, Magg. gen. Fabrizi. Distaccamenti fiancheggianti raggiunsero anche Storo e si affacciarono in Val d'Ampola. Nella giornata, le compagnie volanti esercitarono un ruolo importantissimo per gettare scompiglio negli Austriaci sopravvanzandone lungo le dorsali le colonne, scorrendo la testata della Val d'Ampola, tormentando il nemico con il fuoco e lasciandolo sempre incerto sulle intenzioni di Garibaldi, comparendo ovunque e simultaneamente.

Garibaldi era riuscito a prevenire gli intendimenti operativi del Kuhn e ad imporgli la propria volontà sul campo con un'abilissima mossa di risposta, che tolse al Generale austriaco ogni spazio di manovra. In più, Garibaldi poteva ritenersi ora soddisfatto della disciplina di combattimento e del razionale uso dello spirito di iniziativa dei suoi Volontari, ma si avvicinava ormai il momento dello scontro decisivo ed il Generale decise di adottare procedimenti ancora diversi per penetrare più profondamente in un terreno sempre più difficile ed impervio.[1]



[1]              Vds. Nota n. 33

martedì 5 dicembre 2017

Il combattimento di Cimego.



Secondo la ricostruzione di Paolo Langella [1] “…fu proprio sulle difficoltà poste dalle ripide balze delle Valli Giudicarie e d'Ampola che Garibaldi fece leva per battere l'avversario. I fondivalle sempre più incassati, l'assenza d'arroccamenti idonei, i forti di Lardaro e Gligenti, che avrebbero imposto azioni sistematiche e rallentamenti, gli consigliarono di utilizzare al massimo la tattica d'infiltrazione che aveva dato così buoni successi con le compagnie volanti.
In sostanza, egli decise di sfruttare la maggiore mobilità e leggerezza del Corpo dei Volontari per ottenere la massima speditezza operativa e la sorpresa dell'avversario, disponendo che, ove le unità garibaldine non fossero a contatto con il nemico, l'avanzata dovesse avvenire sul fondo valle, ma anticipata dal movimento di robuste ali sulla linea displuviale delle dorsali. Esse dovevano muovere con un dispositivo molto aperto per avanzare più rapidamente e non offrire un obiettivo concentrato ed esattamente delimitato all'avversario, pur tenendosi in misura di potersi riunire rapidamente per agire a massa. Quando la dislocazione del nemico fosse certa, appariva invece opportuno investirlo muovendo per linee di cresta o filtrando attraverso ad esse con formazioni molto rade e poco profonde.

Il Comando delle Forze volontarie, raccomandò d'attaccare sempre in ordine sparso e di concentrarsi solo al momento dell'urto, come di disperdersi rapidamente in caso di scontro con forze superiori e di ripiegare sulle unità retrostanti o di riunirsi alle contigue per contrattaccare di sorpresa l'avversario, ormai certo di essere rimasto padrone del campo. In tutti i casi, ribadì ancora il Generale, gli attacchi dovevano essere condotti con dominio di quota e su punti sensibili dello schieramento nemico.

Il Corpo dei Volontari aveva ricevuto in rinforzo un battaglione di Bersaglieri dell'Esercito regolare e 14 pezzi d'assedio da usare contro i forti di Lardaro e Gligenti. Ben poca cosa a confronto dei rinforzi ottenuti dagli Austriaci, che poterono concentrare nel settore delle Giudicarie circa 20.000 uomini e 40 cannoni e che, con queste forze, erano in grado di dare il colpo decisivo alle Forze volontarie italiane.

Queste, nel frattanto avevano occupato Storo, accesso alla Val d'Ampola, ma, superata la displuviale, si erano ben presto trovato impastoiate nella difesa in contropendenza ordinata dal gen. Kuhn e poggiante sul forte Gligenti.

Per sbloccare la situazione, Garibaldi ordinò al suo 4° reggimento di superare l'aspra cortina interposta fra la Val Giudicaria e la Val d'Ampola e di tenersi pronto ad attaccare alle spalle il forte, recidendo alla base tutte le difese del settore. Contemporaneamente, chiamato a se il reggimento che operava lungo la costiera gardesana e sostituitolo con unità di nuova costituzione, gli ordinò di procedere sul rovescio della barra montuosa che delimita ad est la Val d'Ampola, per prevenire la difesa nemica della Val di Ledro: si delinea così la manovra a tenaglia che porterà alla battaglia di Bezzecca, conclusiva della campagna.

Ma l'attenzione di Garibaldi era volta anche al solco delle Giudicarie, ove era stato perduto il contatto con l'avversario ed ove il movimento riprese  in direzione di Lardaro (16 luglio).
Il gen. Kuhn reputò che questo fosse lo sforzo principale di Garibaldi e, non informato della forte concentrazione di forze che si stava realizzando in Val d'Ampola ed in corrispondenza della strozzatura della Val di Ledro, ritenne di poter assestare il colpo decisivo sul Chiese, per poi risalire da Storo la Val d'Ampola e schiacciare le restanti forze garibaldine contro le difese di forte Gligenti. La sua riserva tattica mosse lungo tre valli laterali convergenti su Cimego, percorrendone il fondo e inerpicandosi sulle pendici per avviluppare le unità volontarie.

Quest'ultime stavano avanzando secondo il dispositivo previsto da Garibaldi e le ali della colonna d'attacco (Brigata Nicotera, seguita a distanza dal parco delle artiglierie d'assedio di recente assegnazione) furono in parte ributtate all'indietro ed in parte rovesciate in fondo valle.
In particolare sul fianco destro gli Austriaci realizzarono una profonda penetrazione, riuscendo a collegarsi con le proprie forze in Val d'Ampola. Lo stesso Garibaldi, subito accorso sul luogo della battaglia, percorse la strada da Storo a Lodrone sotto un fittissimo fuoco di fucileria.
Ma, dopo l'iniziale rovescio dovuto all'assoluta disparità di forze, le unità volontarie delle ali, dispersesi come prescritto da Garibaldi per non essere schiacciate dal peso dell'attacco nemico, rialzarono il capo. I reparti si riformarono sulle dorsali spazzate dalla travolgente avanzata austriaca e si spiegarono nuovamente, concentrandosi ed aprendosi per contrassaltare o sviluppare intense azioni di fuoco.

Gli Austriaci furono costretti a contromanovrare per far loro fronte, ma, non appena era sventata una minaccia, un'altra si profilava da direzione diversa, poiché i piccoli nuclei garibaldini in cui si erano polverizzate le unità d'ala, convergevano al rumore degli scontri, rompendo il contatto non appena si profilasse una pericolosa reazione avversaria. Per cui gli Austriaci, per quanto fossero riusciti ad occupare posizioni dalle quali avviluppavano su tre lati le forze di fondo valle e ne dominavano la via di ritirata, non poterono sfruttarle come trampolino di lancio per quegli sforzi convergenti che avrebbero dovuto annientarle.

Nel contempo, Garibaldi faceva avanzare in rapida successione due battaglioni di riserva per alleggerire la pressione sulla Brigata Nicotera ed, individuata la cerniera di giunzione fra le forze provenienti dal Chiese e quelle dislocate in Val d'Ampola, ne ordinava l'occupazione dopo avervi fatto concentrare il fuoco delle pesanti artiglierie d'assedio.

Per tutto il resto della giornata, l'offensiva austriaca si insterilì in violente azioni di fuoco a distanza o in affannosi attacchi contro le formazioni garibaldine che , sparpagliandosi e concentrandosi continuamente, non offrivano mai un consistente obiettivo da battere.
A sera, comunque, il gen. Kuhn era certo di aver inflitto forti perdite al Corpo dei Volontari e, per effetto dell'ingannevole ed imprevedibile tattica garibaldina, di essere riuscito a disperderne una consistente aliquota, ma decise di sospendere l'azione conclusiva verso la Val d'Ampola, allarmato dalla notizia che il gen. Cialdini aveva occupato Vicenza. Convinto, erroneamente, di aver definitivamente arrestato Garibaldi, preferì non usurare oltre la propria riserva tattica e non trattenerla in una posizione troppo eccentrica rispetto alle provenienze.




[1]              Vds. nota n. 33

domenica 3 dicembre 2017

L’occupazione della Val d’Ampola

  .

La situazione del Corpo dei Volontari, la sera del 16 luglio, era la seguente:
. lungo l'alto corso del Chiese le forze volontarie erano saldamente attestate a Cimego, pronte a compiere un altro balzo in avanti verso Lardaro; a tale scopo il parco d'assedio destinato a batterne il forte venne fatto serrare sotto per eliminare indugi all'azione;
. in Val d'Ampola, le medesime occupavano saldamente la testata della Valle, mentre forti contingenti erano in marcia su entrambi le dorsali che la delimitano, con l'obiettivo di convergere nell'area di Pieve di Ledro-Bezzecca;
. gli Austriaci inibivano con forze mobili e con il fuoco del forte Gligenti l'uso dell'unica e malagevole strada che percorre la Val d'Ampola e da Storo adduce a Bezzecca.

Il Comando delle Forze Volontarie, tenuto conto che il grosso delle forze austriache si trovava nelle Giudicarie e che il previsto concentramento delle proprie forze in Val d'Ampola si stava attuando regolarmente ed all'insaputa del nemico, decise di agire in quest'ultimo settore, certo di aver a sua disposizione almeno quattro giorni prima che la riserva tattica austriaca riuscisse a trasferirvisi per dare battaglia.

Di conseguenza si dispose che:
. le forze agenti sui rovesci della displuviale est della Val d'Ampola accelerassero il proprio movimento, occupando il Monte Notta ed affacciandosi in Val di Ledro;
. non appena le forze mobili austriache si fossero precipitate dall'alta Val d'Ampola verso la conca di Ledro per fronteggiare l'inopinata minaccia, si stringesse d'assedio e si espugnasse il forte Gligenti per acquisire la disponibilità della carrozzabile di fondovalle;
. le forze agenti sulla barra che separa la Val Giudicaria dalla Val d'Ampola completassero il loro concentramento e rinunciassero a qualsiasi azione che potesse rilevare la loro presenza.

Come si vede, Garibaldi non si discosta dai tre fondamentali canoni, che hanno sempre inspirato la sua azione: manovra, celerità, sorpresa:

. manovra per far cadere le difese dell'alta Val d'Ampola e del forte Gligenti, che, perso l'appoggio delle forze mobili, non avrebbe potuto resistere a lungo;

. celerità nell'affrettare il movimento sulla destra e nell'adottare i provvedimenti necessari per eliminare rapidamente tutti gli inciampi, come il forte Gligenti, che potevano attardare la sua azione;

. sorpresa poiché l'azione sarà del tutto imprevista dall'avversario, ma anche perché egli ha già preparato (si consenta il bisticcio di parole) una sorpresa nella sorpresa, infatti le forze dislocate sulla spalla sinistra, non parteciperanno all'azione che si svilupperà in fondovalle e sul contrafforte di destra, pronte ad intervenire sul tergo di un nemico totalmente ignaro della loro presenza.

La notte sul 18 luglio, il Monte Notta veniva occupato senza colpo ferire, non avendo opposto resistenza il drappello di tiratori provinciali tirolesi che ne presidiava il pianoro di vetta.

Subito il col. Spinazzi[1], comandante del 2° Reggimento impegnato nell'azione si slanciò verso il fondovalle. In condizioni di disparità numerica, le forze garibaldine attaccarono da più punti Pieve di Ledro, occupandolo sul far sera.

Nel frattempo, però, un distaccamento austriaco di due compagnie, in perlustrazione lungo la dorsale, rioccupò il Monte Notta ed il col. Spinazzi fu costretto a distogliere forze per ricacciarlo da quella posizione. Su di essa, infine, si ritirò tutto il Reggimento, prostrato dalla lunga marcia e dal combattimento e ormai privo di viveri e di munizioni.

Come previsto da Garibaldi gli Austriaci si concentrarono e discesero in forze l'Ampola, paventando che i Volontari riuscissero a sbarrare l'imbocco della Val di Ledro. Ma non era questa l'intenzione del Generale che, come si è detto, voleva allontanare l'avversario dal forte Gligenti per poterlo rapidamente espugnare ed aprirsi la via per rifornire urgentemente le proprie unità, inerpicate sui contrafforti dell'Ampola ed ormai allo stremo delle riserve, dopo aver agito per più giorni in condizioni di assoluto isolamento.

Per questo, appunto, Garibaldi aveva trattenuto in attesa le forze dislocate sulla barra sinistra dell'Ampola, modificando il suo iniziale concetto di manovra formulato alla vigilia del combattimento di Cimego.
I preparativi per l'investimento del forte Gligenti, erano, intanto, già iniziati schierando 3 batterie(2 cannoni da campagna e 6 da montagna, non essendo possibile trasportare pesantissimi pezzi d'assedio) sulle balze strapiombanti che lo dominavano, portando a braccia i pezzi scomposti lungo ripidi ed aspri sentieri. Il forte Gligenti era reso temibile più dalla posizione sulla quale sorgeva che dall'opera dell'uomo. Esso, infatti, consisteva in un corpo principale, armato di 2 cannoni di grosso calibro e di una robusta caserma a prova di artiglieria, separati da un cortile murato attraverso cui passava la strada. Il complesso fortificatorio era situato in una piccola conca circondata da pareti pressoché a picco e dalle quali non poteva essere condotto alcun attacco, di fronte allo sbocco di una profonda e stretta forra, da cui usciva, con una strettissima curva, la carrozzabile della Val d'Ampola. Il forte fu sottoposto ad un furioso bombardamento e, con ardita manovra nel corso della quale cadde il tenente comandante di sezione, un pezzo da campagna fu messo in batteria nella forra. Caricatolo in posizione defilata, oltre la curva della strada, esso veniva spinto a braccia avanti allo scoperto per battere con tiri d'imbocco le cannoniere del forte.
A sera, esaurite le munizioni e non soccorso dalle forze mobili, il forte Gligenti capitolava, ed il Corpo dei Volontari si era così impadronito della Val d'Ampola.”[2]



[1]              Sulla azione di comando e partecipazione alla campagna del 1866, in particolare sulla sua condotta nella battaglia di Bezzecca, si innestarono varie polemiche che ebbero all’epoca molta eco sulla stampa. Per questo aspetto vds. Il post  “1866. La figura del Col. Pietro Spinazzi alla battaglia di Bezzecca” in data 24 settembre 2016, su: “www.valoremilitare cesvam.blogspot.com”.
[2]              Vds. Nota 33

domenica 26 novembre 2017

La situazione alla sera del 20 luglio 1866.



La situazione tattica alla sera del 20 luglio 1866 era tutta favorevole alla forze volontarie. Garibaldi era riuscito a costringere il gen. Khun in un vicolo cieco, non fornendogli altra via di uscita che quella d'affidarsi alle sorti d'una battaglia risolutiva. Al comando austriaco si presentavano solo due  alternative: o uno spostamento della sua riserva strategica in Val di Ledro, per contrastare il passo al Corpo dei Volontari e coprire Riva e Rovereto; oppure  concentrare tutte le proprie forze sotto Trento, per provocare la battaglia risolutiva.

La seconda opzione era la più accreditata, in quanto avrebbe permesso agli Austriaci di agire a forze riunite appoggiandosi alle fortificazioni di Trento, dopo aver allontanato notevolmente Garibaldi dalla propria base d'operazione. Ma occorreva considerare che era preclusa dall'avanzata delle forze regolari del regio esercito al comando del gen. Medici, che stavano risalendo la Val Sugana e che si sarebbero congiunte con il Corpo dei Volontari a Trento. Era evidente che gli Austriaci stavano per essere rinserrati n una morsa da cui era quasi difficile uscire.

Rimaneva la prima opzione, ovvero di manovrare per le linee interne contro le due masse nemiche prima che si riunissero e batterle separatamente. In pratica la soluzione che si prospettava era quella di affrontare Garibaldi in Val di Ledro e successivamente volgersi contro le forze regolari del gen. Medici.

Anche questa soluzione, però, presentava degli aspetti preoccupanti; infatti  si doveva operare celermente e l'aspra barra montana, interposta fra Lardaro e Pieve di Ledro-Bezzecca, attraversata solo da due sentieri rupestri, non gli avrebbe consentito il trasferimento di tutta la riserva strategica in tempo utile per intercettare Garibaldi. In più, il gen. Kuhn si era formato la convinzione, errata,  che il contingente dei Volontari, operante in corrispondenza delle Giudicarie, fosse stato nettamente battuto, per cui il Generale austriaco, pressato dall'urgenza del momento e partendo da un falso presupposto, decise di adottare il seguente piano:  dividere le proprie forze in due aliquote di pari consistenza; l'una avrebbe affrontato ed eliminato quelle che egli riteneva delle deboli forze residue poste a sbarramento del Chiese, quando l'altra avesse battuto i volontari a Bezzecca e ne avesse iniziato l'inseguimento lungo la Val d'Ampola. L’obiettivo che si perseguiva era di costringere Garibaldi a trovarsi rinchiuso senza alcuna via d'uscita, all'altezza di Storo. Realizzato ciò, riunire le proprie forze, non appena battuto Garibaldi, per agire a massa contro le forze regolari del gen. Medici, sotto le mura di Trento.

Il Comando austriaco aveva giustamente valutato che i Regolari italiani sarebbero stati trattenuti, sino al 26 o 27 luglio, dalle forze austriache che manovravano in ritirata in Val Sugana. Per alleggerire le proprie unità e rendere più spedito il movimento, il gen. Kuhn fu anche costretto a privarle delle artiglierie da campagna, sostituendole con batterie di racchette, sorta di lanciarazzi multipli dell'epoca, più leggeri da trasportarsi, ma molto più imprecisi e di minor potenza delle comuni bocche da fuoco dell’artiglieria campale.
A Bezzecca, comunque, erano presenti 8 pezzi da campagna ( quelli delle forze precedentemente operanti in Val d'Ampola), 4 pezzi da montagna e 8 racchette, provenienti dal settore delle Giudicarie, e circa 4.500 uomini.

Garibaldi oppose loro forze pressoché pari, sia perché dovette scaglionare in profondità un buon numero di reparti per fronteggiare eventuali azioni nemiche che si delineassero contemporaneamente in più punti dalla displuviale, sia perché l'angustia della Val di Ledro non consentiva un maggior concentramento di forze.
Inoltre il Generale intendeva, una volta battuti gli Austriaci, avviare subito forze fresche attraverso la Sella di Lesumo e Campi per Riva, aggirando le difese del forte di Ponale, posto a sbarramento della via più diretta per il Garda.

In agguato, per controllare la situazione, restavano le forze dislocate sulla spalla sinistra dell'Ampola.

La sera del 20 luglio, gli Austriaci avevano già raggiunto la displuviale in corrispondenza della testata della Val di Conzei (a nord di Bezzecca) e la mattina successiva, 21 luglio, si spiegarono su tre colonne di cui le due principali scesero lungo le pendici opposte delle Val di Conzei, convergendo sugli sbocchi della stessa valle;  la terza, molto meno robusta, puntò su Molina per integrare le difese del forte di Ponale ed impedire ai volontari la ritirata sul M. Notta. In secondo scaglione, seguendo la colonna principale di destra, marciava la riserva con anche il compito di proteggere il fianco esposto del dispositivo d'attacco.

Al comando della riserva tattica vi era il gen. Montluisant[1], a cui il gen. Kuhn affidò l’azione per la distruzione delle forze volontarie, ovvero dare battaglia a Bezzecca. Il gen. Montluisant elaborò il suo piano che prevedeva, in un primo tempo, di assicurarsi gli sbocchi della Val Conzei; successivamente, investire sulla fronte l'abitato di Bezzecca con la propria ala sinistra, mentre l'ala destra avrebbe operato un rapido movimento avvolgente della posizione. Determinato il crollo della difesa delle forze volontarie, Montluisant era più che convinto che le unità dei Volontari, anche se non direttamente impegnate nell'azione, non avrebbero retto ad una poderosa avanzata di tutte le sue forze e sarebbero rimaste travolte, ripiegando disordinatamente su Storo, per cozzare contro le truppe del gen. Kuhn. Inoltre preoccupandosi forse eccessivamente di lasciarsi aperta una via di ritirata, fermò la propria riserva a mezza via, ordinandole di assicurare a tutti i costi il controllo della displuviale in corrispondenza della Val di Conzei.



[1]                Bruno von  Montluisant è noto in Austria per la sua vittoria a Bezzecca, per la quale ebbe un alta onorificenza. Per la sua biografia ed un approfondimento della sua figura, vds.: Quaderni On Line, post “1866 Protagonisti. Gen. Bruno von Montluisant (1815-1896)” in data 6 settembre 2016  www.valremilitare cesvam,blogspot.com

sabato 25 novembre 2017

Bezzecca 21 luglio 1866 I Prodomi


      a. il campo di battaglia di Bezzecca

 Il campo di battaglia di Bezzecca si presentava secondo queste caratteristiche. Il villaggio di Bezzecca è ubicato in Val di Ledro, di fronte allo sbocco della Val Conzei, ed è profondamente incassato fra alti e poderosi contrafforti. Come tutte le posizioni all'ingresso di valli anguste, presenta lo svantaggio di essere dominata a tiro di fucile da balze strapiombanti, a loro volta sovrastate da altre quote sicché, per poterle tenere con sicurezza, è necessario, disperdere molte forze, spingendo in alto e verso l'avanti  con robusti distaccamenti a protezione della stretta.

Non era certo questa l'intenzione del Comando delle forze volontarie, il quale ignorava da quale e da quante direzioni sarebbe venuto l'attacco austriaco.

Garibaldi aveva intenzione, come di consueto, di battere l'avversario in un combattimento manovrato. Distaccamenti fiancheggianti erano stati posti a protezione delle diverse unità e quella di esse che fosse stata investita dall'attacco nemico avrebbe dovuto sostenere l'urto il più lungo possibile, per creare le migliori premesse per l'intervento delle altre, le quali avrebbero affrontato gli Austriaci in campo aperto.
Nella zona di Bezzecca, erano state presidiate due posizioni che apparivano assolutamente indispensabili alla sua difesa, cioè le alture di Naè, a ovest, ed il Poggio di S. Bartolomeo, a est dell'abitato, mentre si era provveduto a sbarrare la valle di Conzei in corrispondenza dei rilievi sovrastanti i villaggi di Enguiso e di Locca.

Nel caso di un attacco, Garibaldi aveva concordato con il gen. Haug[1], comandante della Brigata che teneva il settore, un'azione su Lesumo attraverso la dorsale della Val Conzei, per colpire sul tergo l'avversario fermato a Bezzecca. Un campo di battaglia alquanto particolare schiacciato dai rilievi e praticamente ridotto al solo fondovalle e alcuni declivi di mezzacosta.




[1]              Ernesto Haug, nato in Prussia, eclettica figura del risorgimento italiano. Dopo la conclusione della campagna entrò in polemica con lo Stato Maggiore dell’Esercito e con Garibaldi in quanto si riteneva non sufficientemente ripagato per il suo valore durante la giornata di Bezzecca. Per la sua biografia ed un approfondimento della sua figura, Vds.: Quaderni On Line, post “1866 Protagonisti. Il gen. Ernesto Haug (1817-1896)” in data 3 settembre 2016  www.valremilitare cesvam,blogspot.com

Bezzecca. 21 luglio 1866

b. la battaglia

Nella ricostruzione  di Paolo Langella[1] “all'alba del 21 luglio, le avanguardie austriache urtavano contro le difese di Enguiso e Locca, ma i grossi trovavano qualche difficoltà a spiegarsi, trattenuti dall'asprezza del terreno. Il gen. Haug rinforzando i presidi, riuscì ad arrestare gli Austriaci ed, illudendosi di poter resistere agevolmente su tali linee, sollecitò Garibaldi a compiere la mossa su Lesumo. Ma il Generale conosceva la debolezza intrinseca della due posizioni e, prevedendone la caduta non appena fossero state seriamente investite, rinforzò invece le difese di Bezzecca, inviandovi un battaglione al comando del figlio Menotti Garibaldi e facendo schierare tre batterie, due dietro l'abitato e una davanti a Bezzecca, per appoggiare l'azione in Val Conzei e successivamente coprire il ripiegamento dei presidi di Enguiso e Locca verso la linea di difesa principale, quando la situazione si fosse fatta insostenibile.

Ben presto l'ostinazione di Haug nel voler difendere gli accessi alla Val Conzei determinò una pericolosa crisi della difesa e le forze volontarie si trovarono in difficoltà. Sopravanzate sul fianco le posizioni, gli Austriaci scesero verso Bezzecca e inutili furono due furiosi contrattacchi all'arma bianca delle forza poste a suo presidio, come inutili risultarono i rinforzi inviati nel settore minacciato perché non vennero impiegati per prolungare l'ala della difesa ed intercettare gli attaccanti che trafilavano sul fianco, ma per rinforzare i presidi e ripianarne le perdite.

Le posizioni di Locca ed Enguiso, come logico, caddero e la batteria schierata davanti a Bezzecca riuscì a coprire il ripiegamento dei superstiti sparando a mitraglia, sotto una grandine di colpi.

Frattanto Garibaldi, che sino allora era rimasto in posizione arretrata, dubitando che l'attacco dalla Val Conzei non fosse l'azione principale, ma una diversione per distrarre forze dal settore prescelto per lo sforzo decisivo, si portò a Bezzecca preoccupato perla condotta del combattimento da parte del gen. Haug, il quale consumava le sue forze gettandole a spizzico nella battaglia.

Immediatamente individuò una pericolosissima situazione: le alture di Naè erano state abbandonate, su ordine del gen. Haug, per farne accorrere i difensori a Locca. Garibaldi ordinò che la posizione fosse subito rioccupata (e ciò fu fatto precedendo d'un soffio gli Austriaci) ed ordinò anche che venisse rinforzato il settore di Poggio S. Bartolomeo, la cui guarnigione, asserragliata nel recinto murato del cimitero che vi sorge, era duramente provata e sopportava il peso dell'attacco condotto dall'intera ala sinistra austriaca.

Intanto le unità che si ritiravano dalla Val Conzei, ripiegavano precipitosamente, incalzate da presso dall'avversario, travolgendo anche i reparti inviati a loro rinforzo e ancora in cammino verso le posizioni ormai perdute. Il precipitarsi in Bezzecca di un così gran numero di Volontari provocò una enorme confusione ed una calca indescrivibile, non perché fra le file garibaldine si fosse diffuso il panico, quanto per la strettezza del luogo ed il gran numero di difensori che già vi si trovavano.

Ogni comandante voleva schierare la propria unità per riprendere l'azione contro l'attaccante, anche a costo d'ingombrare il campo di tiro dei reparti già schierati a difesa; ogni Volontario che avesse perso contatto con la propria compagnia si intrufolava dove capitava per aprire il fuoco. Fu necessario far sgomberare rapidamente e con modi molto energici gli intrusi, lontano dalla linea del fuoco ed essi defluirono alla rinfusa nella zona di Tiarno, ove si ricomposero per rendersi utili nel prosieguo dell'azione. Fortunatamente gli Austriaci non avevano insistito nell'investimento di Bezzecca, accanendosi contro il Poggio di S. Bartolomeo e soprattutto contro le alture di Naè, in esecuzione del piano  del Mountluisant, ed un deciso contrattacco, ordinato da Garibaldi, riuscì a disimpegnare la batteria schierata davanti a Bezzecca, permettendole di retrocedere a riparo dell'abitato.

Intanto cadde la posizione di S. Bartolomeo, mentre le alture di Naè erano teatro di furiosi combattimenti, posizioni talvolta perdute, ma sempre rioccupate con sanguinosi contrassalti dei Volontari. Garibaldi, temendo uno sfondamento sulle ali e l'accerchiamento di Bezzecca e ritenendo ormai esauriti i compiti di fissaggio frontale del nemico, ordinò il ripiegamento, facendo concentrare tutto il fuoco di artiglieria disponibile davanti al villaggio a copertura del movimento retrogrado. Diede, inoltre, ordine al figlio Menotti di rinforzare la difesa sui rilievi di Naè e di mantenervisi a tutti i costi. Le alture di Naè, infatti, continuavano ad essere la posizione chiave della battaglia: prima avevano permesso di tenere Bezzecca, ora saranno il perno attorno a cui ruoterà lo schieramento delle forze volontarie per ripiegare ordinatamente in Val di Ledro, successivamente copriranno il fianco per le azioni controffensive sviluppate, in basso, verso Bezzecca e, per l'alto, contro Lesumo.

Garibaldi, individuandone immediatamente l'importanza, riuscì a conseguire la vittoria utilizzandole come elemento determinate della sua manovra. Nella ritirata di Bezzecca, si distinse particolarmente il figlio minore del Generale, Ricciotti Garibaldi, che riuscì a recuperare, guidando pochi animosi, un pezzo d'artiglieria ribaltato nel fango dai cavalli di traino e che stava per essere catturato dai cacciatori austriaci.

Ne frattempo, Garibaldi aveva fatto serrare sotto tutte le unità dislocate nell'Ampola, ordinata a quelle in attesa sulla sua dorsale sinistra di portarsi a Lesumo e ad un contingente minore di raggiungere la displuviale per proteggere loro il fianco da eventuali provenienze dalle Giudicarie.
Appena  questi movimenti furono a buon punto, concentrò un intensissimo fuoco d'artiglieria su Bezzecca e ben presto il paese fu in preda alle fiamme e gli Austriaci furono costretti ad uscirne. Colto il momento favorevole, il Generale sferrò un risoluto attacco per trattenere l'avversario in fondovalle ed impedire un suo disimpegno quando si fosse accorto che la sua linea di ritirata stava per essere recisa in corrispondenza di Lesumo.

Bezzecca venne riconquistata e gli Austriaci ricacciati verso la Val Conzei, ma un altro deciso contrattacco partiva dalle alture di Naè  costringeva l'avversario a ripiegare su Locca e poi su Enguiso. Peraltro, il distaccamento, inviato da Garibaldi a vegliare sulla displuviale, era venuto a contatto con la riserva del Montluisant e questi, quando ne ricevettero l'annunzio, stimò pericolosa ed insostenibile la propria posizione, ritenendo che si trattasse di avanguardie di forze ben più consistenti.

Ordinò allora la ritirata generale sul Monte Pichea, da dove poteva porsi in salvo su Riva, sottraendosi così, più per un caso fortunato che per decisione di comando, all'aggiramento predisposto con tanta cura da Garibaldi.

A sera, infine, a Garibaldi giunse la notizia che anche nelle Giudicarie l'attacco austriaco era stato respinto, non avendo voluto il gen. Kuhn spingere a fondo il proprio sforzo, quando si era accorto dell'entità delle forze che lo fronteggiava. Si concludeva così quella che poi passò alla Storia come la battaglia di Bezzecca, celebrata, non a ragione, come l’unica vittoria italiana del 1866. Fu una delle quattro battaglie che costrinsero l’Austria a cedere il Veneto, regione che fu annessa all’Italia con la forza delle armi e non per mera decisione austriaca.


massimo coltrinari
centrostudicesva@istitutonastroazzurro.org


[1]              Ibidem

martedì 7 novembre 2017

L'avanzata su Trento ed il celebre "obbedisco"



Il Comando Supremo, dopo l’occupazione del Veneto, era più interessato ad evitare che una Grande Unità dell’Esercito regolare fosse sconfitta che ad interrompere la linea di comunicazione Verona- Innsbruck, lungo la valle dell’Adige; si preoccupava, quindi, che l’investimento di Trento fosse condotto nelle migliori condizioni.

Pertanto il 22 luglio Garibaldi ricevette l’ordine da parte del Comando Supremo di agire con la massima velocità attraverso le Alpi Giudicarie e convergere su Trento e congiungersi con la colonna Medici, che oramai era in vista della città. Nella notte sul 23 lugL’avanzata su Trento ed il celebre “Obbedisco”.lio 1866 le unità volontarie si trasferirono a Cimego e nella stessa giornata iniziarono il movimento verso Lardaro. Gli Austriaci, a mezzanotte del 22 luglio, avevano anch’essi iniziato la riunione di tutte le forze dislocate sulla destra dell’Adige per farle poi confluire poi su Trento e organizzare una difesa organica prima che le unita italiane del Medici e volontarie si congiungessero.  Queste operazioni erano in corso e la marcia veloce su Trento in pieno svolgimento quanto giunse al Quartier Generale del Corpo dei Volontari, sera del 23 luglio, la notizia che a Nikolsburg era stata concordata una tregua d’armi tra Austriaci e Prussiani.
Questa tregua d’armi proseguì fino all’11 d’agosto. Due giorni prima, il 9 agosto 1866,  il Governo Italiano aveva preso la decisione di aderire all’armistizio e di non continuare la guerra. La Marmora manda a Garibaldi il famoso dispaccio telegrafico n. 1073:

Considerazioni politiche esigono imperiosamente la conclusione dell’armistizio per il quale si richiede che tutte le nostre forze si ritirino dal Tirolo, d’ordine del Re. Ella disporrà quindi in modo che per le ore 4 antimeridiane di posdomani 11 agosto le truppe da Lei dipendenti abbiano a lasciare le frontiere del Tirolo. Il generale Medici ha dalla parte sua cominciato i movimenti”[1].
Su questo telegramma e la relativa risposta sono state scritte molte pagine che sono entrate nella epopea garibaldina. La conclusione di tutte le considerazioni fu l’adesione di Garibaldi all’ordine di 

La Marmora.
Quale scossa abbia provato in quel momento il cuore dell’Eroe, scrive il Guerzoni, lo storico può indovinarlo, ma affermarlo con certezza non può…Garibaldi non tradì nemmeno ai più intimi la sua interna tempesta. Tranquillo prese la penna e rispose egli stesso al La marmora col famoso telegramma il cui testo è letteralmente: “Ho ricevuto il dispaccio n. 1073. Obbedisco. G. Garibaldi”.[2]

Garibaldi vedeva confermate le sue più pessimistiche previsioni e distrutte le speranze di liberare Trento ed il Trentino; vedeva resi vani tanto valore, tanti sacrifici, tanto sangue sparso che, alla luce delle decisioni prese, era stato, quindi, vano.
Terminava così la campagna del Corpo dei Volontari che rientravano nei confini del Regno.


[1]              Schiarini P., La campagna del 1866, in Il Generale Giuseppe Garibaldi, Roma, Ministero della Difesa, Stato Maggiore dell’Esercito, Ufficio Storico, 1982, pag. 294
[2]              Ibidem