Cerca nel blog

lunedì 22 settembre 2014

IV La Battaglia di Cheren: ore 7 del 15 marzo 1941


LA TERZA FASE DELLA BATTAGLIA
La terza e conclusiva fase della battaglia di Cheren ebbe inizio alle ore 7 del 15 marzo 1941.
I britannici diedero il via ad un bombardamento terrestre ed aereo sulle posizioni italiane terrificante. In poche ore sulle nostre truppe piovvero circa 30.000 granate con un effetto devastante sulle difese e sulle linee di collegamento. Protette dal fuoco dell’artiglieria le fanterie inglesi-scozzesi-indiane-francesi avanzarono su tutto il fronte.
Le nostre artiglierie, al comando del colonnello Lamborghini, fecero prodigi , ma erano notevolmente inferiori rispetto alla potenza di fuoco avversaria.
Gli indiani investirono le posizioni italiane fra il Sanchil e il Samanna, mentre battaglioni della 5^ divisione tentavano la conquista del monte Dologorodoc e la Brig’s Force cercava di aggirare le posizioni difese dal Gen. Lorenzini.
Nonostante la copertura aerea, l’artiglieria, l’impiego di ingenti masse di fanteria e le perdite gravissime l’attacco venne fermato dagli italiani che partirono subito al contrattacco: granatieri, bersaglieri, alpini, carabinieri ed anche finanzieri si scontrarono in una mischia terribile e sanguinosa.
Nella notte tra il 15 e il 16, però, alcuni reparti anglo-indiani ripresero l’avanzata e riuscirono  a conquistare le due posizioni chiave del Pinnacle e del Pimple sul massiccio del Dologorodoc.
Dall’alba del 16 marzo la riconquista della posizione del Dologorodoc divenne prioritaria per Carnimeo, che lanciò numerosi attacchi con i suoi migliori reparti.
Il 19 lanciò nel contrattacco gli alpini superstiti del Uork Amba, che fu sostanzialmente annientato,il 21  gli uomini del battaglione Toselli,il 23 gli ascari dell’85° battaglione.
Tra il 16 e 26 marzo 1941 Carnimeo lanciò ben otto violenti contrattacchi, che videro cadere la gran parte degli ufficiali e dei sottufficiali, compresi  i tenenti colonnelli Barzon e Giordano e i maggiori  Minasi e Agostini.
Ma la perdita più grave, specie per le ripercussioni sul piano psicologico, si verificò il 17 marzo. Colpito da una granata mentre tentava di riorganizzare reparti ascari che si  erano sbandati sul rovescio dello Zeban  per riportarli al combattimento, cadde il Gen. Lorenzini. Si concretizzava così una leggenda che voleva la fine dell’Impero coincidere con la morte del leggendario generale.
Da quel momento  iniziò il fenomeno della diserzione delle truppe indigene.

Cheren:  ascari in ritirata

Ad onore di queste va detto che gli ascari erano indubbiamente razza guerriera, ottimi combattenti se si trattava di attaccare, ma la guerra di posizione, sotto i bombardamenti, causava in loro una strana reazione. Si estraniavano, divenivano quasi degli automi, intontiti e incapaci di battersi, salvo, poco dopo, rilanciarsi quasi automaticamente  nel combattimento.
Un fenomeno analogo, anche se di minor portata,  si verificava, in campo  britannico, con le truppe indiane, valorose e ardite,anche se lente, negli attacchi, ma fisicamente meno portate a resistere alla tensione dei bombardamenti.
 Gli italiani erano ormai a corto di ufficiali e di sottufficiali, in gran parte caduti in combattimento, gli uomini erano esausti, malnutriti, a corto di munizioni e di acqua. I mitraglieri raffreddavano le canne delle vecchie mitragliatrici pesanti, molte risalenti alla Grande Guerra, orinandovi sopra. I più fortunati erano riusciti a sottrarre ai nemici moderne mitragliatrici leggere e munizionamento che ora utilizzavano contro i britannici, in aggiunta alle mitragliatrici leggere Breda già in uso alle nostre truppe.
Il 18 marzo radio Lisbona trasmise un commento “Radio Londra continua a mettere in rilievo l’accanita resistenza italiana a Cheren, la più tenace resistenza che le truppe imperiali britanniche abbiano incontrato fino ad ora in Africa. La radio britannica dichiara che la lotta è asperrima. Gli inglesi si giustificano con le difficoltà naturali del terreno e con la lontananza delle loro comunicazioni logistiche, ma essi dimenticano che, in compenso, posseggono una schiacciante superiorità i mezzi e la supremazia aerea. Si cita l’episodio di un reparto dello Yorkshire che è stato sottoposto all’assalto delle truppe italiane,ininterrottamente,per oltre cento ore. Un altro reggimento inglese del Midland,sostenuto da reparti indiani, che si è dovuto difendere disperatamente all’arma bianca. Il comportamento delle truppe italiane è oggetto d ammirazione negli stessi ambienti inglesi dove si rileva che esse sono state insistentemente bersagliate dalla Royal Air Force nel corso di tutte le azioni che non sono state sufficienti, del resto, a snidarle dalle loro posizioni
Alle  4,15 del 25 marzo 1941 nove battaglioni della 5^ divisione indiana, protetti dal fuoco di oltre 100 cannoni investirono la stretta di Dongolass.
Alle 8,30, nonostante la rabbiosa, disperata reazione degli italiani gli anglo –indiani raggiunsero gli obiettivi previsti.
All’alba del 26 marzo Carnimeo lanciò l’ultimo  contrattacco nel  disperato tentativo di riprendere il Dologorodoc, ma inutilmente.
La sera del 26 marzo il comando di scacchiere ordinava alle truppe di ripiegare su Ad Teclesan.
Cheren cadeva la mattina del 27 marzo, ma la lotta proseguiva sulle posizioni di Ad Teclesan per altri 4 giorni, con l’intervento del 10 reggimento granatieri che perse nel primo contrattacco il proprio comandante Col. Borghese.
L’esperienza di Cheren , però, era ormai irripetibile.

 truppe anglo-indiane  a Cheren

Il 1° di aprile i britannici entravano all’Asmara.
Sul fronte di Cheren gli Italiani avevano perduto oltre 12.000 uomini ed avuto circa 21.700 feriti ( non vi è conformità sulle perdite da parte delle diverse fonti).



CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE

Ci si è chiesto come mai gli Italiani dimostrarono nella battaglia di Cheren una determinazione, un valore e attitudini militari raramente riscontrate nel corso della seconda guerra mondiale.
Probabilmente una risposta sta nel fatto che le nostre truppe, in quella circostanza, erano comandate da ufficiali coraggiosi, capaci ed efficienti, che si scontrarono continuamente con l’inconcludenza e la limitata visione strategica dei comandi superiori. Comandanti come Carnimeo, Lorenzini riscuotevano il rispetto dei loro sottoposti ed anche la loro ammirazione. Comandanti di reparto come Corsi non esitarono a porsi a capo dei loro uomini nei contrattacchi. Gli ufficiali subalterni, comandanti di battaglione, di compagnia e di plotone combatterono e morirono a fianco dei soldati da loro comandati. Vi furono  rarissimi episodi di vigliaccheria, del tutto marginali. Gli Italiani, dimostrarono,in quella circostanza, che pur peggio armati  ed equipaggiati, se ben comandati potevano stupire con il loro valore  un avversario certamente severo nelle valutazioni, come quello britannico.
A tutto questo si aggiunga il fatto che gli Italiani erano certamente consapevoli che quella fosse l’ultima spiaggia dell’Impero e la storia ci ha insegnato che nei momenti più disperati le nostre truppe hanno offerto il meglio.
Ancora non mancava la consapevolezza che nessun aiuto sarebbe mai giunto dalla madre patria e che in quei giorni gli occhi del mondo in guerra erano puntati su quello scontro immane.
La violenza degli scontri, la durata della battaglia, la consapevolezza condivisa di una funzione superiore della quale i nostri soldati si sentirono investiti, cementarono un forte senso di appartenenza e di corpo, al  punto di portare uomini laceri, affamati, stracciati, ridotti a larve a battersi con coraggio smisurato e valore contro truppe eccellenti e costantemente rinforzate da reparti freschi.
Raramente  agli Italiani fu tributato l’onore che ad essi fu riconosciuto dal nemico britannico durante e dopo quella battaglia. Forse solo ad El Alamein agli Italiani fu riconosciuto il valore che dimostrarono sul campo di battaglia.
Il sacrifico ed il coraggio degli uomini che si batterono sul fronte di Cheren riscattò le sconfitte, non di rado dovute a incapacità dei comandi, e le umiliazioni subite dalle nostre truppe nel corso dei tre anni della seconda guerra mondiale.
Altrettanto deve dirsi dei nostri nemici in quella occasione. Gli anglo-indiani si batterono con valore e lasciarono sul campo migliaia i uomini.

Il 7 aprile 1941 W. Churchill scriveva al viceré dell’India “ Tutto l’impero è commosso per l’impresa delle truppe indiane in Eritrea. In me, il racconto dell’entusiasmo e della tenacia con cui esse hanno scalato e alla fine conquistato le ripide alture di Cheren risuscita il ricordo della frontiera Nord-occidentale di molti anni or sono. Come soldato che ha avuto l’onore di servire sul campo con soldati indiani provenienti da ogni parte dell’Indostan, come pure in nome del Governo di Sua Maestà ,chiedo a Vs. Eccellenza di comunicare ad esse e all’intero esercito indiano l’orgoglio e l’ammirazione con cui abbiamo seguito le loro eroiche gesta”. 

Nessun commento:

Posta un commento