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giovedì 26 dicembre 2019

ARMIR Fronte Russo Operazione Piccolo Saturno 20 novembre 21 dicembre 1942 La Situazione particlate II

Il Comando dell’8^ Armata aveva derivato, da uno studio condotto dal Servizio Geologico Militare tedesco, una carta geologica della riva destra del Don , alla scala 1:300.000 per far conoscere ai comandi interessati le caratteristiche dei terreni e per orientarli sui lavori campali da condurre in essi.
La copertura della riva destra era rappresentata da boschi scarsi e di ampiezza assai modesta nel tratto settentrionale del settore, fin sul tratto orientale dell’ansa di Verhnjj Mamon. Qui, fino alla foce del Boguciar, il bosco era disposto quasi ininterrottamente sulle due rive, poi fino al limite destro del settore la sponda del fiume si presentava quasi sempre scoperta. In profondità esistevano alcuni boschi, ma erano di limitata ampiezza, costituiti in prevalenza da querce che offrivano un’ottima copertura in estate e discreta anche in inverno. Assai più fitta si presentava la copertura della sponda sinistra, per il bosco quasi continuo, interrotto soltanto dagli abitati e da pochi altri tratti di pianura spoglia.
Gli abitati della riva destra del Don erano tutti di scarsa entità in quanto erano prevalentemente villaggi di pescatori e di contadini, composti da “isbe”[4], ottime per la protezione dalle intemperie, ma di limitatissima utilità per una organizzazione difensiva, essendo costruite in legname, prive di cantine e con tetti di paglia, pertanto soggette al pericolo d’incendio generato dalle azioni di fuoco del nemico. Nelle retrovie del settore ed in profondità, dietro lo schieramento delle Divisioni,esisteva una seconda serie di abitati di maggiore importanza, talora con caratteristiche quasi urbane (Rossosc, Millerovo e Boguciar). Questi centri erano dotati di alcuni edifici in muratura, essenzialmente chiese sconsacrate e scuole.
I maggiori assi di comunicazione ordinarie, tutte a fondo naturale erano:
-      la strada di arroccamento a tergo dello schieramento Jevdakovo – Podgornoe - Rossosc - Kantemirovka- Tcercovo - Millerovo;
-      le radiali verso le posizioni occupate su Don:
·     valle Boguciar, usata promiscuamente dai Corpi d’Armata II e XXIX tedesco;
·     Millerovo – Diogtevo - Mescov,usata dal XXIX Corpo tedesco;
·     Millerovo - Nizne Astakof - Bokovskaja, usata dal XXXV Corpo d’Armata –CSIR.
-      Le strade di retrovia:
·     Rossosc – Rovenki - valle Aidar - Starobelsk - ponte di Veselaja Gora – Voroscilovgrad;
·     Kantemirovka – Bielovodsk – Olkovaja – ponte di Luganskaja – Voroscilovgrad;
·     Millerovo – Olkovaja – ponte di Luganskaja – Voroscilovgrad.
A questa rete principale, mantenuta in parte dagli artieri del genio italiano ed in parte dalla Organizzazione Todt germanica, si collegava la rete stradale secondaria relativa alle singole unità, grandi e minori, schierate nei vari settori difensivi. Le unità dovevano provvedere , in proprio, alla manutenzione e talora all’apertura delle strade, impiegando i reparti direttamente dipendenti. La percorribilità del terreno fuori strada non era difficile in quella zona e per conseguenza anche gli immediati rovesci della posizione di resistenza potevano essere facilmente raggiunti dagli autocarri addetti ai rifornimenti. Da uno studio dei piani operativi sovietici, risulta evidente che nel dicembre del 1942, il Comando Supremo sovietico aveva deciso di battere l’8^Armata schierata in difesa sul medio corso del Don,mentre altre forze avrebbero eliminato le forze tedesche racchiuse nella sacca di Stalingrado spostando, verso ovest, di 150-200 Km, il fronte esterno di accerchiamento.
Questi compiti furono affidati al Fronte Sud-Ovest ed all’ala sinistra del Fronte del Voronez (6^Armata), mentre il coordinamento delle operazioni era Assicurato dallo Stavka (Quartier Generale).
Secondo l’iniziale piano d’operazioni (All. “H”) erano previsti due attacchi convergenti su Millerovo, da nord, impiegando la testa di ponte nel settore della Div. Ravenna, con le forze della 1^ Armata Guardie, e ad est, dalla zona di Cerniscevskaja, con le unità della 3^ Armata Guardie. Per conferire sicurezza al fianco sud dell’offensiva era stato pianificato anche un attacco, con la 5^ Armata Corazzata,dal basso corso del Tcir, su Tanziscaja. L’operazione, fissata per il 10 dicembre, era denominata “Saturno”.
Lo Savka rinforzò i fronti con molte unità tratte dalla riserva e da novembre affluirono, al Comando del Fronte Sud-Ovest, un Comando d’Armata, 2 Corpi meccanizzati, 3 Corpi corazzati, 5 Div. Fucilieri e 6 rgt. corazzati autonomi, la 6^ Armata del Voronez fu rinforzata con un Corpo Corazzato e 3 Div. fucilieri.
Ai primi di dicembre i comandi interessati iniziarono la fase organizzativa.
Al 10 dicembre, a causa della ridotta potenzialità della rete stradale e della scarsità di automezzi, l’approntamento e l’afflusso delle forze risultavano ancora incompleti, tanto che l’inizio fu ritardato.
Il 12 dicembre, nel frattempo iniziava l’operazione tedesca “Tempesta d’inverno” tendente a liberare la 6^ Armata di Paulus intrappolata a Stalingrado. Tale operazione, sfondando il le linee della 51^ Armata sovietica del Fronte di Stalingrado minacciava l’effettivo ricongiungimento con la 6^ Armata germanica.
Considerata la delicatezza della situazione lo Stavka rimandò l’inizio dell’operazione “Saturno” al 16 dicembre dopo aver mutato la direttrice dello sforzo principale da quella prevista nord-sud a quella nuova nord – sud/est, su Morozowsk.
Si mirava, con ciò, a battere il nemico del basso Don attaccando a tergo le sue forze dislocate nella zona Bokovskaja-Morozovsk annientandole con attacchi simultanei da est e da nord-ovest (All. “H”).
La 1^ e la 3^ Armata Guardie del Fronte Sud-Ovest dovevano accerchiare e distruggere, rispettivamente, l’8^ Armata Italiana ed il Gruppo operativo Hollidt (parte dell’Armata del Don comandata da Von Mainstain durante l’operazione “Tempesta d’Inverno”  muovendo, successivamente, su Morozovsk.
La 6^ Armata doveva agire sul fronte della Div. Cosseria dando sicurezza all’offensiva. La 5^ Armata, in cooperazione con la 5^ Armata d’urto del settore Stalingrado avrebbe dovuto eliminare le forze nemiche situate nella zona Nizne Cirskaja e di Tormosin (settore presidiato dalla 3^ Armata rumena). In appoggio vi erano 2 Armate aeree.
Il piano completo dell’operazione assunse il nome di “Piccolo Saturno”, quello che era un piano sussidiario all’operazione di accerchiamento della 6^ Armata tedesca divenne a questo punto concorrente e principale per evitare il successo dell’operazione “Tempesta d’inverno”.
L’idea generale sovietica era quella di ottenere un ampio e profondo accerchiamento delle forze dell’Asse schierate lungo il Don. La messa in pratica di tele intento era affidata alla 1^ e 3^ Armata Guardie che costituivano i fianchi del dispositivo. Il compito principale era affidato ai Corpi corazzati e meccanizzati che avrebbero sfruttato il successo delle Div. fucilieri in prima schiera per raggiungere le retrovie nemiche, sconvolgere i Comandi e la rete dei collegamenti, impegnare a fondo e fissare le riserve.
La fase di approntamento e di schieramento fu eseguita in segretezza effettuando l’occupazione delle basi di partenza con movimenti notturni anche senza riuscire ad eludere completamente l’attenzione dei Comandi italiani.
La battaglia, in realtà, aveva inizio (19 novembre) sul terreno dell’ansa di Serafimovic, difesa dalla 3^ Armata Romena (All. “D”).
Profilatasi la rottura di quel fronte il comando Gruppo Armate “B”, per evitare l’isolamento delle forze impegnate a Stalingrado, decideva di spostare in quel settore le Divisioni Tedesche inquadrate nell’8^ Armata: la 294^ (seconda schiera), all’ala sinistra, dietro il Corpo d’Armata Alpino, nella zona di Rossosc; la 22^ corazzata, con circa 200 carri, posizionata alle spalle dei Corpi d’Armata XXXV italiano e XXIX tedesco; e la 62^ schierata sul Don tra le Div. Pasubio e Sforzesca. Quest’ultima divisione sarebbe stata sostituita dalla 3^ Celere ch avrebbe interrotto il riordino, appena iniziato, per entrare in linea all’inizio della battaglia (All. “I”).
L’8^ Armata, pertanto, si trovava priva di forze in 2^ schiera, non riuscendo, dunque, a dare profondità al suo schieramento difensivo che la vedeva schierata su un fronte amplissimo e pari a 270 km.
( a cura di massimo coltrinari - ricerca.cesvam@istitutonastroazzurro.org)

[1] Ministero della Difesa, Stato Maggiore dell’Esercito, Ufficio Storico, Le Operazioni delle unità italiane in Russia,3^ Ed. pag. 295.
[2] Ministero della Difesa, Stato Maggiore dell’Esercito, Ufficio Storico, Le Operazioni delle unità italiane in Russia,3^ Ed. pag. 304 (doc. 92).
[3] Ministero della Difesa, Stato Maggiore dell’Esercito, Ufficio Storico, Le Operazioni delle unità italiane in Russia,3^ Ed. Cap. XIV.
[4] L'isba (in russo изба) è una tipica abitazione rurale russa a uno o due piani, interamente costruita di tavole di legno di tronchi d'albero.

[5] “LE OPERAZIONI DELLE UNITA’ ITALIANE AL FRONTE RUSSO (1941-1943) 3a ed., pag. 333.

venerdì 20 dicembre 2019

ARMIR Fronte Russo Operazione Piccolo Saturno 20 novembre 21 dicembre 1942 La Situazione particolate I




Già nel settembre precedente l’ARMIR, allora in via di completamento, aveva combattuto con successo una prima battaglia difensiva ma da come si svolsero i fatti, che ora non esporremo nella loro interezza, si potevano già cogliere alcuni segni premonitori di ciò che sarebbe successo qualche mese più tardi quando i sovietici lanciarono l’operazione “Urano”[1], ed in particolare l’ampiezza eccessiva dei settori da difendere e la scarsità di rincalzi/riserve. Al termine di questa battaglia rimasero, ad ovest del Don, due teste di ponte sovietiche che costituiranno la base di partenza per l’operazione “Piccolo Saturno, nonostante le richieste continue del comando dell’8^ Armata, nel periodo successivo, di poter effettuare operazioni al fine di eliminarle.
Sempre nel mese di settembre, inoltre, anche il C.A. Alpino, inizialmente orientato ad operare con il Gruppo d’Armate “A” sui monti del Caucaso, assunse lo schieramento inserito nell’8^ Armata, supportando le operazioni della stessa durante la prima predetta battaglia.
Questa battaglia non aveva permesso, fino ad inizio ottobre, di iniziare gli approntamenti per la sistemazione difensiva autunnale, così come era previsto da un ordine del Gruppo d’Armate “B”, peraltro attuazione delle direttive dell’OKW.[2] Oltre a ciò scarseggiavano una serie di equipaggiamenti essenziali per il completamento e l’approntamento delle posizioni difensive, quali filo spinato e mine anticarro.
Le disposizioni generali, impartite al Comando dell’8^ Armata, per la fase invernale delle operazioni erano le seguenti:[3]
-      difesa rigida, proiettata in avanti, coincidente con la sponda destra del Don, salvo poche eccezioni. Si dovevano mantenere le posizioni anche se accerchiate in attesa del contrattacco da parte di unità rese disponibili dal comando del Gruppo di Armate;
-      sicurezza contro i carri arati, sfruttando il terreno e creando l’ostacolo;
-      osservazione ininterrotte della sponda est del fiume;
-      continuità del “reticolato” portandolo sulla sponda del fiume;
-      avvicinamento dei rincalzi per un rapido impiego e rapido spostamento delle unità in secondo scaglione;
-      forte saldatura tra settori contigui;
-      difesa in profondità e protezione dei centri logistici.
Oltre a ciò venivano date disposizioni esecutive, che traevano spunto dalla campagna invernale dell’anno precedente. Tra queste vi erano:
-      la necessità che le riserve divisionali mantenessero le loro posizioni e che dovessero trovare riparo o in villaggi o in ricoveri che dovevano essere allestiti;
-      la disposizione per la quale era necessario scongelare, prima dell’impiego, gli armamenti che non potevano tenuti al riparo o protetti da coperte;
-      la concezione dell’ostacolo anticarro di forma triangolare, ritenuta la migliore.
Il comandante dell’8^ Armata aveva portato a conoscenza di tali ordini tutti i comandi dipendenti ribadendo gli ordini di difesa ad oltranza, assenza di manovra dei reparti in linea, in quanto compito dell’unità superiore.
La rigidità di una difesa così concepita impediva però il ricorso alla piccola manovra, alla cooperazione ed al concorso di altri mezzi dove la situazione del momento l’avrebbe suggerito. In sostanza l’azione dei reparti sarebbe stata estremamente compartimentata. Per questo motivo l’azione del Comando dell’8^ Armata, mediando gli ordini ricevuti, permetteva comunque piccole cessioni di terreno all’interno delle aree di responsabilità delle unità dipendenti favorendo anche la costituzione di gruppi mobili d’intervento.
A tutto ciò si aggiungeva l’eccessiva fronte, circa 300 km, assegnata all’armata italiana.
La scarsità di materiali ed equipaggiamenti per le fortificazioni campali non permisero di estendere a tutto il fronte la continuità degli ostacoli anticarro e dei reticolati.
Non fu possibile allestire una seconda posizione difensiva discostata dal corso del Don perché non vi erano ulteriori disponibilità di materiali, di uomini, di mezzi e di tempo, anche a causa della particolarità dell’ambiente operativo.
La pianura ucraina era vasta, uniforme e senza rilievi montuosi. Era attraversata da numerosi corsi d’acqua caratterizzate da brevi piene primaverili e lunghi periodi di gelo durante il quale l’acqua gelava e l’elevato spessore del ghiaccio consentiva il transito agevole ai mezzi pesanti a motore annullando così l’ostacolo naturale. L’escursione termica era elevatissima: d’estate la temperatura raggiungeva i 40°C e durante l’inverno sempre -2°C -4°C. Famoso era il “gelo siderale russo” che provocava gravissimi inconvenienti a uomini e mezzi.
Il settore nel quale era schierata l’8^ Armata italiana sulla riva destra del Don si estendeva dal kolkoz Bugilovka (località della sponda destra, circa 8 chilometri a sud di Pavlovsk), fino all’altezza della confluenza del Choper (affluente di sinistra).
L’ampiezza del settore misurava in linea d’aria 180 chilometri, che, seguendo il corso sinuoso del fiume,diventavano circa 270. L’elemento naturale di maggiore importanza in quel vasto territorio era il corso del Don.
La larghezza dello specchio d’acqua, nel tratto considerato, variava dai 100 ai 400 metri ed in taluni punti poteva essere guadato nella stagione estiva.
La sponda destra del Don, costituita prevalentemente da terreno calcareo-gessoso, si prestava bene alle opere di fortificazione campale e, in generale, aveva dominio della sponda sinistra. Dove confluivano nel Don corsi d’acqua più o meno importanti, la sponda si abbassava al livello del fiume, perdendo la caratteristica di ostacolo anticarro, posseduta per un tratto di circa 140 km più a valle; sarebbero occorsi lavori di sterro per accentuarne la ripidezza ; nell’ultima 50 di km a monte della confluenza del Choper, la riva non aveva caratteristiche di ostacolo.
(a cura di massimo coltrinari ricerca.cesvam@istitutonastroazzurro.org

sabato 14 dicembre 2019

ARMIR Fronte Russo Operazione Piccolo Saturno 20 novembre 21 dicembre 1942 La Situazione Generale II

Il 22 giugno 1941, dopo che le ultime speranze di evitare il conflitto, legate prevalentemente al cedimento politico - diplomatico dell’URSS, erano andate disattese, la Germania comunicava per le vie ufficiali all’alleato italiano l’avvio delle operazioni belliche contro l’URSS.
Nel frattempo le unità militari italiane del Corpo di Spedizione erano in fase di approntamento presso i rispettivi centri di mobilitazione.
In conclusione, nel giugno 1941 i russi ponevano in campo un grande esercito ben addestrato, appoggiato da parecchie migliaia di aerei e sebbene non fosse stata proclamata la mobilitazione generale, di mese in mese gli effettivi dell'esercito erano andati aumentando, tanto che verso la metà del 1941 ammontassero a 230 / 240 divisioni, anche se non tutte a organici completi  circa 170 di esse potevano essere impiegate in operazioni belliche nella Russia occidentale. Il maggior punto di forza dei russi risiedeva nel numero, nel coraggio e nella resistenza fisica dei soldati, nonché negli ampi spazi di cui potevano disporre a scopo di manovra e le condizioni climatiche ben conosciute.
Non meno importante era poi il fatto che la maggior parte del territorio sovietico dove erano dislocate alcune delle loro industrie belliche non poteva essere raggiunta dai bombardieri del nemico d'occidente.
Sul campo tattico il punto più debole dei russi era rappresentato dal fatto che le loro forze armate stavano subendo una radicale riorganizzazione, e relativamente pochi erano i comandanti che avessero avuto esperienze dirette della guerra moderna e specialmente del modo in cui essa era combattuta dall'esercito e dall'aviazione tedeschi.            
Su tale base l’apparato militare russo era senza dubbio ben organizzato ad una lunga guerra difensiva e di logoramento sul terreno, cosa che tradizionalmente costituiva il punto forte di tutte le guerre che si erano tenute nei territori dell’URSS.
Tale situazione era stata considerata dagli ufficiali dello stato maggiore generale tedesco che si impegnarono nella compilazione di dettagliati rapporti in merito alle prevalenti condizioni climatiche esistenti in Russia, e fu sollevata la questione dello speciale equipaggiamento invernale individuale di cui avrebbero dovuto essere dotate le truppe tedesche per fronteggiare il terribile inverno russo, ma poiché si prevedeva ed organizzava una campagna rapida, questo problema fu accantonato.
Su questo punto Hitler ravvisò una soluzione in uno spiegamento di tutte le forze disponibili destinato a durare soltanto da quattro a sei settimane e seguito poi da una campagna volta ad annientare l'esercito russo, o, almeno, ad occupare una porzione di territorio sovietico sufficiente a rendere impossibile qualsiasi attacco aereo su Berlino e sulle regioni industriali della Slesia. A sua volta, la Luftwaffe avrebbe potuto colpire i più importanti bersagli sovietici.
Sui problemi relativi a dove e con quale tipo di concentrazione sarebbe stato più opportuno impiegare l’apparato militare tedesco e quali sarebbero stati i limiti di tempo e di spazio  delle operazioni militari le decisioni dei vertici militari erano tutt’altro che definite ed al tempo dell’avvio della campagna bellica furono formulate soltanto le direttive di carattere generale.
Era evidente, quindi, che le possibilità di riuscita della campagna militare scatenata dalla Germania erano legate a doppio filo allo sfruttamento del fattore sorpresa ed alla capacità di ottenere il risultato finale nel più breve tempo possibile.     
(a cura di massimo coltrinar - ricerca.cesvam@istitutonastroazzurro.org

venerdì 6 dicembre 2019

QUADERNI DEL NASTRO AZZURRO N. 1 DEL 2019 Sommario e nota redazionale

SOMMARIO
Anno LXXX, Supplemento XI, 2019, n. 1,
11° della Rivista “Quaderni”
indirizzo:centrostudicesvam@istitutonastroazzurro.org

Editoriale del Presidente.  Carlo Maria Magnani:    ………………………………………………… ….Pag.5
In vista della Giornata del decorato. Torino 5-6 aprile 2019……………………………………………………Pag.5

IL MONDO DA CUI VENIAMO: LA MEMORIA
          
APPROFONDIMENTI

Alessia Biasolo, La causa dello sfacelo secondo Mussolini………………………………………………..…..Pag. 11
Massimo Coltrinari, La battaglia di Caporetto e la promessa del Re. La questione agraria
            Una storia italiana…………………………………………………………………………..…………....  Pag.15

DIBATTI
Marco Gioacchini, Considerazioni sul contributo degli I.M.I. all’industria tedesca:1943-1945 ………....  Pag.23
Giovanni Cecini, Il militare Alberto Sordi di celluloide. ”La Grande Guerra e “Tutti a casa”…………….  Pag.49

ARCHIVIO
Massimo Baldoni, Manfredo Fanti, dalla congiura conto il Duca a fondatore del Regio Esercito Italiano.. Pag.61

MUSEI, ARCHIVI E BIBLIOTECHE

Chiara Mastrantonio, Il sacrario delle Fosse Ardeatine. Una lettera interessante.………………………....  Pag.73

PosteditorialeAntonio Daniele, Il …………………………………..…………………………………………….Pag. 91

IL MONDO IN CUI VIVIAMO: LA REALTA’ DI OGGI


GEOPOLITICA DELLE PROSSIME SFIDE
Antonio Trogu, Civil-military cooperation: Definition. Purpose ad Situation…………………………………….……Pag. 95

SCENARI, REGIONI, QUADRANTI
Federico Salvati, Chi ha paura dell’orso Russo? (parte I)………………………...................................………………Pag. 103


Segnalazioni Librarie. ……………………………..…………………………………….……………...………...   Pag.111

Autori. Hanno collaborato a questo numero.…………....…………………………………………………………..Pag.112
Articoli di Prossima Pubblicazione…………………..……………………………………………….…………… Pag.112

                                              CESVAM NOTIZIE
Centro Studi sul Valore Militare……………………………………………..…………………………..………………….Pag. 113
                                               
I “Quaderni on Line”, Supplemento on Line, Anno 6°, VIII, 2018, Settembre 2018, n. 33……………………… Pag.117
I “Quaderni on Line”, Supplemento on Line, Anno 6°, IX, 2018,  Ottobre 2019, n. 34…………………….………..Pag.118
I “Quaderni on Line”, Supplemento on Line, Anno 6°, X, 2018, Novembre 2019, n. 35………………………….. Pag.121

“Quaderni” on line sono su: www.valoremilitare.blogspot.com

PER FINIRE
Massimo Coltrinari,  Il Valore Militare attraverso le Cartoline Militari ed oltre…... 

Nota redazionale

L’inizio di ogni anno è sempre utile per tracciare un programma preventivo di quanto si vuole fare in merito alle attività editoriali del CESVAM. Iniziamo con la Rivista, questa rivista, QUADERNI del Nastro Azzurro che sta attraversando un momento di crescita tanto interessante quanto difficile. Si è adottata per lei una linea editoriale basata sui contributi dei frequentatori del Master di 1° Liv. in Storia Militare Contemporanea 1796 -1960. Il Master ha preso avvio in questi mesi e promette bene, ma ancora i frequentatori sono nella impossibilità di collaborare con la rivista. Si pensa che lo saranno al memento della richiesta della Tesi, che presumibilmente avverrà dopo l’estate prossima in quanto la sessione autunnale di discussione sarà a novembre. Per quella data forse avremo i primi contributi. Quindi fino al n. 4 del 2019 è difficilmente prevedibile contributi dei frequentatori. Quindi la line editoriale sarà quella fin qui adottata, volta a focalizzare alcuni aspetti del Valore Militare come fattore immateriale di ogni strategia. Nel frattempo è in pieno approntamento il n. 3 del 2019 che sarà dedicato completamente alla presentazione delle attività del CESVAM, che attualmente attivano quindici comparti.
Altra indicazione che si vuole fare è la partecipazione del CESVAM a due principali attività che la Presidenza del Nastro Azzurro ha in animo di attuare: La Giornata del Decorato a Torino il prossimo 5 aprile e il 6° Incontro “Avversari ieri, amici oggi” che si terrà in Italia nel mese di giugno. Il CESVAM vi parteciperà, a concorso delle attività con un convegno, come prassi, per la Giornata del decorato, che sarà la continuazione come tema scientifico di quello della Giornata del Decorato 2018, ovvero sarà dedicato allo studio del valore militare e la crisi armistiziale del settembre 1943. Per l’incontro con gli amici della Croce Nera d’Austria è in programma una conferenza dedicata all’opera di ricostruzione del Regio Esercito all’indomani della fine della grande guerra per il ripristino degli argini dei fiumi e delle strade e dei ponti, sia ordinari che ferroviari per riportare alla regolarità la viabilità sconvolta dalle operazioni di guerra.
Sotto il profilo della pubblicazione di volumi, in questa primavera dovrebbero vedere la luce il volume dedicato al 1866, dal titolo “Quattro Battaglie per il Veneto”, dedicato alla Storia del Risorgimento, il primo volume dedicato alle operazioni sul litorale laziale, ovvero allo sbarco di Anzio, e ai volumi dedicati alle leggi raziali del 1938, oltre al completamento del Dizionario minimo della Grande Guerra.
Una prospettiva, quella descritta, estremamente impegnativa, che vede il CESVAM impegnato in tutte le sue risorse. E’ un aspetto, questo, di interpretazione operativa dell’Istituto del Nastro Azzurro come ente morale, ovvero come quel soggetto che si adopera per diffondere nella società i valori raccolti nello Statuto. Rimane sullo sfondo l’altro aspetto, quello associativo-combattentistico, che viene lasciato completamente in mano alle attività delle altre componenti dell’Istituto, prime fra tutte le Federazioni Regionali.

lunedì 2 dicembre 2019

ARMIR Fronte Russo Operazione Piccolo Saturno 20 novembre 21 dicembre 1942 La situazione generale I


Nel febbraio 1942 viene deciso l’invio al fronte russo di nuovi contingenti italiani, che andranno a costituire l’Armata italiana in Russia (ARMIR). In primavera e in estate riprende l’offensiva tedesca, concentrata sui territori sovietici sud-orientali. Nel settembre 1942 comincia la lunga battaglia di Stalingrado: i tedeschi stringono d’assedio la città, ma alla metà di novembre si trovano accerchiati dalla controffensiva sovietica; tra il dicembre 1942 e il gennaio 1943 comincia la ritirata delle forze italo-tedesche, nel corso della quale l’armata italiana (e soprattutto il corpo alpino) subirà gravissime perdite. La sconfitta tedesca a Stalingrado, e la successiva ritirata, rappresentano uno dei principali momenti di svolta nella vicenda della seconda guerra mondiale.
In Italia, i diversi contraccolpi alla vita quotidiana della popolazione, suscitano un crescente malcontento verso il regime politico che ha portato la Nazione in guerra. Il prolungarsi del conflitto e le notizie sempre più negative che giungono dai vari fronti incidono in modo evidente sul morale della popolazione, che dall’autunno del 1942 deve fare i conti anche con l’intensificarsi dei bombardamenti aerei. Nel marzo 1943 nei principali centri dell’Italia settentrionale gli operai dell’industria scendono in sciopero: oltre alla motivazione ufficiale, di natura economica, appare evidente la protesta contro la guerra e contro il regime.
Con l’invasione dell’Unione Sovietica avviata da Hitler nel 1941[1] l’intera prospettiva del conflitto registra una svolta destinata ad avere decisive conseguenze. L’attacco avrebbe dovuto avere inizio a maggio ma fu rinviato a giugno per la necessità di dover “aiutare” Mussolini in Grecia. Questo ritardo, seppur di poche settimane, è probabile che abbia influito in modo determinante sull’intera campagna di Russia in quanto il prematuro sopraggiungere dell’inverno del 1941 fece svanire per Hitler la possibilità di realizzare un blitz anche in Russia.
Malgrado le informazioni dell’intelligence inglese[2] che era riuscito a prevedere la data precisa dell’attacco, i russi non diedero peso, almeno in apparenza, alle informazioni che giungevano da Londra ritenendo che gli inglesi volevano seminare discordia tra Unione Sovietica e Germania, spargendo la voce di presunti preparativi di un attacco tedesco[3].       
Nel 1942 Hitler decise per una nuova offensiva appena possibile spinto anche dai suoi consiglieri economici i quali prevedevano che senza il petrolio, il grano e le altre materie prime del Caucaso, la Germania non avrebbe potuto sostenere lo sforzo bellico, ma quasi tutti i suoi generali conoscendo le condizioni critiche dell’esercito dopo l’offensiva fallita l’anno prima erano contrari, alcuni si dimisero come Rundstedt, altri li allontanò il fuhrer personalmente..
Inoltre mentre Germania e Italia seguirono il Giappone nel conflitto contro gli Stati Uniti, i Nipponici si astennero dal dichiarare guerra all'URSS, e conclusero invece con quest'ultima un accordo riguardante le frontiere della Manciuria e della Mongolia.
Sull’altro fronte, Churchill, che aveva nuovamente incontrato Roosevelt a Washington nel dicembre 1941, ricevette Molotov a Londra il 21 maggio 1942, e cinque giorni dopo fu conclusa l'alleanza anglo-sovietica. In agosto Churchill si recò in visita a Mosca da Stalin.
La situazione generale militare
La situazione generale del fronte dopo l’estate del 1942 era caratterizzata dal fatto che le operazioni condotte durante la precedente stagione estiva non avevano consentito il pieno conseguimento degli obiettivi fissati dal Comando Supremo germanico[4]. Le unità italiane erano assorbite prevalentemente dalle attività riguardanti il riordinamento dei reparti, il ripianamento delle perdite, l’inserimento in linea del corpo d’armata alpino, le modifiche allo schieramento, il rafforzamento delle posizioni di riva destra del Don, l’attestamento tattico e logistico per l’inverno e la raccolta di notizie ed informazioni sul nemico[5]. In particolare dopo circa un anno e mezzo di operazioni le unità tedesche ed italiane avevano comunque percepito di versare in una situazione di generale difficoltà dovuta a molteplici fattori[6].
I rapporti tra Germania e Urss si andavano progressivamente sviluppando in termini di contrapposizione.
La preoccupazione di Hitler era quella di costituire una forza militare così potente e visibile che servisse da deterrente contro qualsiasi ipotesi di minaccia anche ai confini russi.
A tale scopo la Germania stava apprestando ai confini sovietici un numero crescente di uomini  che dovevano servire, almeno nelle intenzioni, per scoraggiare un intervento armato della parte contrapposta.
Che il clima si andasse deteriorando trovava testimonianza nei documenti con cui gli Uffici degli Addetti militari italiani in URSS, in Germania e nei paesi ad essi collegati andavano segnalando il progressivo inasprimento dei toni attraverso il reciproco dispiegamento dell’apparato bellico nelle aree di confine e dai lavori di fortificazione e stradali in corso.
La conferma della probabilità dello scontro militare era data anche dalla diffusione di notizie che riportavano dettagli riguardanti le probabili azioni di guerra della Germania contro l'URSS, corredate di informazioni circostanziate sui piani di operazione e sugli obiettivi militari.
La sensazione che derivava dalle fonti diplomatiche era che una azione di guerra tedesca contro l’URSS era molto più di una semplice eventualità trovando giustificazione nel dichiarato scopo tedesco di eliminare fattori di minaccia ad est ed assicurarsi, al contempo, rifornimenti alimentari e materie prime necessari per il buon andamento e il successo della guerra.
Alcune notizie si spingevano persino più in avanti giungendo ad ipotizzare il periodo di avvio delle azioni militari previsto tra la fine di giugno ed i primi di luglio 1941.
Sulla base delle citate informazioni, che lasciavano presumere una rapida escalation militare, il 30 maggio 1941 l’Italia decise di avviare le procedure per la costituzione di un Corpo di Spedizione da inviare al fronte russo.
( a cura di massimo coltrinari) (ricerca.cesvam@istitutonastroazzurro.org

[1] L’ordine fu dato alle ore 3,15 del 22 giugno 1941.
[2] Stalin ricevette le prime informazioni sull’Operazione Barbarossa dallo stesso Churchill nell’autunno del 1940. Erano informazioni che l’Intelligence Service aveva ricevuto da u n agente segreto tedesco, tale Paul Thuemmel, nome in codice “A 54”, amico d’infanzia di Himmler. Il Thuemmel fu catturato dalla Gestapo nella primavera del 1941ed ucciso il 20 aprile 1945 a Theresienstadt. Altro agente, al servizio dei russi, era tale Rudolf Roessler che riferiva le informazioni acquisite direttamente a Alexander Rado, agente russo a capo di una rete spionistica che operava in Svizzera da “LA SECONDA GUERRA MONDIALE”, vol. 2, Arrigo Petacco, ed. Curcio, pag. 534.        
[3] “LA SECONDA GUERRA MONDIALE”, vol. 2, Arrigo Petacco, ed. Curcio, pag. 520.
[4] Mancata conquista di Leningrado; a Stalingrado si combatteva ancora; le forze destinate all’eliminazione dei salienti sovietici di Velikie e di Suhinici non erano state sganciate in quanto non avevano ancora conseguito l’obiettivo; Mosca, già quasi conquistata nel 1941, non era più indicata come obiettivo da conseguire; nella zona caucasica, il Gruppo di Armate “A” aveva raggiunto la zona settentrionale e tendeva ad approfondire l’avanzata verso sud.    
[5] Stato Maggiore dell’Esercito, Ufficio Storico, “LA STORIA DELLA DOTTRINA E DEGLI ORDINAMENTI DELL’ESERCITO ITALIANO” Vol. II, Tomo 2°, La 2a Guerra Mondiale, (1940 – 1943), Filippo Stefani, Roma 1985.  
[6] Eccessiva ampiezza dei settori difensivi; scarso scaglionamento in profondità; mancanza di riserve a disposizione delle Grandi Unità;deficienza dei materiali di rafforzamento; crisi nella disponibilità e nella distribuzione dei carburanti. 

lunedì 25 novembre 2019

ARMIR Fronte Russo Operazione Piccolo Saturno 20 novembre 21 dicembre 1942 Origini del Conflitto

I BELLIGERANTI ORIGINI DEL CONFLITTO  

Lo studio delle origini nel caso del conflitto[3] scatenato nel giugno 1941 da Hitler nei confronti dell’Unione Sovietica e nel bel mezzo della guerra contro la Gran Bretagna, non può essere affrontato facendo unicamente ricorso ai normali parametri storici al fine di individuarne gli antefatti e le cause sia reali che apparenti. Nel caso, si tratta di una guerra che affonda le sue motivazioni, e quindi il proprio antefatto, in un profondo ed insanabile conflitto ideologico tra i totalitarismi del XX secolo e che trova una causa reale remota in aspetti peculiari della ideologia hitleriana ed una causa prossima in questioni di natura economica e più precisamente in ragioni di economia di guerra. Non sono rivedibili, nella circostanza, cause apparenti che abbiano costituito, ancorché in retrospettiva, una sorta di movente immediato e rinvenibile in circostanze solitamente portate a  cause giustificative come possono esserlo incidenti diplomatici o di frontiera, od anche la “liberazione” di terre o popoli.  Ci troviamo davanti ad una guerra “ideologica” che in quanto tale si giustifica da sé senza fare ricorso a motivazioni tradizionali.
L’antefatto quindi, inteso come quell’insieme di avvenimenti che hanno influito su di un popolo e su uno Stato è individuabile nella formulazione di una “Weltanschauung”  nazista contenuta nel libro programmatico di Hitler. Nel “Mein Kampf”, ancorché disordinato ed insufficiente, si trova l’intero edificio ideologico nazista tale che “ciò che Hitler davvero voleva, in effetti si trova nel libro, anche i contemporanei non lo rinvennero.”[4], anche se si trattava di una ideologia “…incapace di dare formazione vuoi a una nuova idea, vuoi a una nuova visione della felicità sociale, me che risultava essere piuttosto una arbitraria compilazione di numerose teorie che, a partire dalla metà del XIX secolo, costituivano il diffuso patrimonio di una volgarizzazione scientifica celatamente nazionalista”4. In questo ambito si inserisce il discorso dello “spazio vitale”, o per meglio dire dello “spazio senza popolo” ad est dove un grande spazio era disponibile per il popolo tedesco. Uno spazio vitale non come necessità di risorse per la sopravvivenza del popolo ma come base di partenza per la conquista del mondo perché si era ormai ad una svolta storica mondiale e la sopravvivenza sarebbe stata di quella nazione che si fosse assicurata il predominio terrestre tale da renderla  indipendente e svincolata da restrizioni ed alleanze. Proprio in questa visione in cui la storia avanzava a passi rapidi risiede tra l’altro la causa remota di una aggressione lanciata nel bel mezzo di un conflitto di logoramento con la Gran Bretagna. Infatti per Hitler si trattava di una “..disperata gara contro il tempo, contro il corso della storia, e Hitler era incessantemente tormentato dalla preoccupazione che la Germania giungesse troppo tardi alla suddivisone del Mondo”
La causa reale prossima dell’attacco all’Unione Sovietica è rinvenibile in motivazioni legate strettamente all’economia di guerra. La Germania, con tutti i territori occupati, non riusciva a mantenere il confronto con le abbondanti risorse di materie prime di cui disponeva la Gran Bretagna aiutata dagli Stati Uniti. In particolare la sofferenza riguardava il settore energetico, base della industria moderna. Nel periodo 1940-1943 la Germania importava circa 1,5 milioni di tonnellate in massima parte dalla Romania, che si aggiungevano a circa 4 milioni di tonnellate di carburante sintetico prodotto a costi altissimi e che alla fine del 1943 giunse alla cifra di 6,5 milioni di tonnellate. Nel contempo la Gran Bretagna produceva circa 1 milione di tonnellate di carburante sintetico ma di contro riusciva ad importare carburante anche nel corso della guerra sottomarina del 1942 per circa 10,2 milioni di tonnellate. Nel 1944 la importazioni giunsero a 20 milioni di tonnellate. Le scorte tedesche arrivavano nel 1941 a circa 2 milioni di tonnellate di petrolio “A Londra suonavano dei campanelli di allarme tutte le volte che le scorte scendevano sotto i 7 milioni di tonnellate”. [5]
L’Europa nazista non costituiva di certo un “lebensraum” autosufficiente. La Germania dipendeva in termini di materie prime ed energia dall’Unione Sovietica e si trovava coinvolta in una guerra di logoramento contro la Gran Bretagna che non poteva sostenere nel lungo periodo.
E solo in Ucraina vi era abbastanza grano per il popolo tedesco, solo un Unione Sovietica vi erano abbastanza materie prime per sostenere lo sforzo bellico, e solo nel Caucaso vi era petrolio in grado di soddisfare alle esigenze dell’Europa nazista. Unicamente accedendo a queste risorse in breve tempo la Germania poteva continuare a sostenere un prolungato conflitto. La questione è in effetti di importanza centrale. Nell’immediato l’Unione Sovietica aveva tutto l’interesse a mantenere in relativa calma il proprio confine che ora, dopo la spartizione della Polonia era comune con la Germania, e di contro anche la Germania aveva libero accesso ad una grande quantità di risorse sovietiche in ragione di quanto stabilito dal patto di non aggressione. Ma il tempo, ecco di nuovo il fattore tempo, giocava a sfavore della Germania.  “Nel lungo termine, un alleanza vera e propria avrebbe comportato una inaccettabile dipendenza della Germania dai sovietici.” Tale era la dipendenza che ormai legava la Germania all’Unione Sovietica che lo stesso Goring ordinò la priorità nella fornitura ai sovietici di macchine utensili tedesche su quelle desinate alla Wehrmacht. In questa situazione Hitler era altresì persuaso che la conquista dell’Unione Sovietica fosse la mossa che gli avrebbe assicurato la vittoria definitiva. Questo concetto fu ribadito da Hitler stesso nel corso di un incontro con i vertici militari al Berghof il 31 luglio 1940. Nell’occasione il cancelliere tedesco chiarì che per mettere in ginocchio la Gran Bretagna occorreva estromettere la Russia su cui riponeva speranza, ma che comunque sia “… il pieno controllo del continente eurasiatico avrebbe quantomeno assicurato alla Germania le risorse di cui aveva bisogno per un vero e proprio confronto transatlantico”.
In ultima analisi si può affermare che nel caso di cui trattasi hanno trovato una sintesi comune antefatti di ordine ideologico con una specifica e reale causa prima quale quella della disponibilità di risorse per un Paese in guerra totale. La Germania era infatti consapevole che l’Europa nazista non gli assicurava una supremazia economica nei confronti dell’Impero inglese e degli Stati Uniti che lo supportavano. Questa fragilità economica non solo avrebbe minato alla fondamenta ogni tentativo di consolidare le conquiste occidentali ma avrebbe altresì comportato una progressiva sudditanza nei confronti dell’Unione Sovietica. Di fronte a queste alternative, confortata da una ideologia che vedeva nello scontro titanico contro il bolscevismo il destino nazista, e forti di un esercito che aveva dato dimostrazione di una capacità di ottenere vittorie veloci e definitive, va letto l’attacco sferrato di sorpresa contro l’Unione Sovietica, ineluttabile conseguenza di quel tragico meccanismo che una volta messo in moto non si arresterà che con l’annientamento totale della Germania.
( a cura di Massimo Coltrinari)



[1] Tratti dalla Direttiva “Principi dottrinali sovietici per l’azione offensiva” distribuita nel maggio 1942 al Comando del Fronte Ovest.
[2] Stato Maggiore dell’Esercito, Ufficio Storico, “LA STORIA DELLA DOTTRINA E DEGLI ORDINAMENTI DELL’ESERCITO ITALIANO” Vol. II, Tomo 2°, La 2Guerra Mondiale, (1940 – 1943), Filippo Stefani, Roma 1985, pag.412.  
[3] Vds. All. “B” e “C”).
[4] “Hitler una biografia” di Joachim Fest. Garzanti 2005.
[5] “Il prezzo dello sterminio. Ascesa e caduta dell’economia nazista” Adam Tooze, Garzanti 2008.

mercoledì 20 novembre 2019

ARMIR Fronte Russo Operazione Piccolo Saturno 20 novembre -21 dicembre 1042

I BELLIGERANTI LE ORIGINI DEL CONFLITTO 5

La dottrina sovietica  considerava la battaglia difensiva solo come una forma di combattimento a cui si poteva ricorrere per economizzare forze a favore di operazioni offensive su un altro settore del fronte e per guadagnare tempo al fine di concentrare le forze necessarie all’offensiva. In ogni caso, la dottrina prescriveva di passare, appena possibile, alla controffensiva.
Erano previste due forme di difesa:
-     rigida, col fine di mantenere terreno con una tenace resistenza accompagnata sempre da contrattacchi;
-     mobile, col fine di guadagnare tempo, indebolire il nemico, preservare le proprie forze anche perdendo terreno.
Le riserve previste dalla dottrina erano di tre tipi:
-     strategiche, nelle mani del Comando Supremo, dei Comandi di Gruppo di Armata e di Armata;
-     operative, a disposizione dei Comandi di Corpo d’Armata;
-     tattiche, per i Comandi di Divisione e unità minori.
Le condizioni necessarie[1]affinché un attacco fosse possibile erano considerate le seguenti:
-     accurata ricognizione della difesa nemica;
-     accurata preparazione dei reparti;
-     coordinazione fra le Armi;
-     continuità nell’azione di comando;
-     continuità del flusso logistico.
La preparazione si articolava nelle seguenti attività:
-     scelta della direttrice principale;
-     concentrazione di forze e mezzi in corrispondenza di essa;
-     trasferimento delle truppe sulle basi di partenza, al coperto dell’osservazione avversaria al fine di perseguire la sorpresa.
Per tutta la durata della fase andava curata la cooperazione tra fanteria, artiglieria, carri, aviazione e reparti speciali; inoltre andavano pianificati il fuoco di artiglieria e il sistema di fuoco della fanteria in modo continuo e massiccio; infine, doveva essere organizzata attentamente la difesa c/a e c/c.
Il successo dell’azione dell’artiglieria era possibile se la fanteria e i carri attaccavano a loro volta insieme all’artiglieria.
Siccome si presupponeva che i contrattacchi del nemico fossero appoggiati da carri armati, bisognava dotare i dispositivi in attacco su una consistente aliquota di mezzi c/c; inoltre, si riteneva che in conseguenza dell’attacco, il nemico avrebbe impiegato la sua aviazione e quindi bisognava organizzare attentamente la difesa c/a.
L’attacco si svolgeva con i primi scaglioni che dovevano essere distaccati dei gruppi di ricognizione, col compito di infiltrarsi all’interno delle difese nemiche al fine di raccogliere informazioni sul sistema difensivo in profondità del nemico.
Sui fianchi scoperti dovevano essere distaccate delle pattuglie di ricognizione, col compito di individuare l’afflusso delle riserve nemiche.
L’artiglieria e gli aerei da ricognizione dovevano controllare continuamente il campo di battaglia, monitorando lo spostamento di mezzi di fuoco, artiglierie, carri e afflusso delle riserve nemiche.
Alla base del successo dell’attacco vi era la sorpresa.
Per quanto riguarda l’impiego della fanteria, in caso di fortificazioni permanenti presenti nella difesa nemica, era previsto l’impiego di 1-2 squadre d’assalto per ogni battaglione fucilieri attaccante in primo scaglione.
La fanteria doveva impiegare il fuoco a massa diretto sui centri di fuoco pericolosi per i successivi movimenti, nonostante l’impiego coordinato e massiccio dell’artiglieria.
I carri armati venivano impiegati in massa ed in stretto coordinamento con la fanteria. A premessa dell’attacco con i carri era necessaria la ricognizione degli itinerari adducenti al margine anteriore e il controllo che non vi fossero ostacoli c/c; nella ricognizione del terreno e della percorribilità andavano impiegati carri leggeri T-60 e T-26; per la ricognizione in profondità mirata al controllo della presenza di artiglieria c/c nemica, dovevano essere impiegati carri T-34 e KV.
L’attacco corazzato doveva essere improvviso e massiccio. I carri andavano utilizzati sulla direttrice principale. Prima dell’avvio dell’attacco, doveva essere neutralizzata la difesa c/c del nemico.
L’attacco carrista doveva essere accompagnato in tutta la sua profondità dall’aviazione e dall’artiglieria.
Il dispositivo dei carri in attacco era scaglionato in profondità nel modo seguente:
-     primo scaglione, costituito da carri pesanti, il cui compito principale era di neutralizzare la difesa c/c rimasta e di sconvolgere il sistema di fuoco nemico;
-     secondo scaglione, costituito da carri medi, il cui compito era di attaccare direttamente dietro il primo scaglione, di completare la neutralizzazione e l’annientamento della difesa c/c e di eliminare i centri di fuoco e la fanteria nemica;
-     terzo scaglione, costituito da carri leggeri, che seguiva il secondo scaglione e aveva dietro di sé la fanteria, proseguendo l’azione di neutralizzazione ed annientamento;
-     riserva corazzata, nelle mani del comandante che organizzava l’attacco sulla direttrice principale.
Il primo scaglione di carri attaccava il margine anteriore quando la fanteria era pronta per l’attacco, mentre l’artiglieria trasportava per l’ultima volta il fuoco dal margine anteriore sulle difese più arretrate. Nel caso in cui il margine anteriore si trovasse a tergo di ostacoli c/c insormontabili e grandi ostacoli naturali, i carri avrebbero attaccato dopo che la fanteria, in cooperazione con l’artiglieria e l’aviazione, avesse forzato il margine anteriore permettendo ai carri il superamento dell’ostacolo c/c.
L’artiglieria, dopo la neutralizzazione degli obiettivi sul margine anteriore e sulle posizioni subito retrostanti, su segnale del comandante di divisione effettuava alcuni falsi trasporti di tiro verso il tergo. Al momento dell’ultimo ritorno di fuoco dal tergo sul margine anteriore il primo scaglione carri iniziava il movimento dalle posizioni di partenza.
Il definitivo allungamento del tiro doveva coincidere con il raggiungimento del margine anteriore da parte del primo scaglione carri.
Il secondo scaglione carri oltrepassava i dispositivi d’attacco dei battaglioni di fanteria retrostanti. La fanteria cominciava il movimento per l’attacco dietro il secondo scaglione carri.
Il terzo scaglione carri superava la fanteria davanti al margine anteriore della difesa nemica.
I primi scaglioni dei reggimenti fucilieri, senza sostare sul margine anteriore, continuavano il movimento in avanti mentre i secondi scaglioni dovevano muoversi verso il margine anteriore: questi entravano in combattimento solo nel caso di esaurimento dell’azione degli scaglioni antistanti, di irrigidimento della resistenza del nemico e per lo sfruttamento del successo sui fianchi, infine per sgominare il contrattacco nemico.
La dottrina sovietica prevedeva che il nemico organizzasse il contrattacco in conseguenza dei primi successi delle truppe attaccanti e per tale motivo considerava decisivo il consolidamento del successo da ottenere attraverso un’organizzazione difensiva sugli obiettivi conquistati.
Non appena la ricognizione avesse accertato la minaccia di contrattacco, l’artiglieria e i mortai avrebbero effettuato massicci interventi di fuoco sulle truppe contrattaccanti. I genieri avrebbero creato ostacoli a/u e c/c. La fanteria, incaricata di respingere il contrattacco, avrebbe occupato la posizione più vicina e favorevole e sarebbe intervenuta con il fuoco a massa di tutte le armi.
Si privilegiava il fuoco concentrato, attraverso l’impiego di lanciarazzi multipli.
Se quella Russa era come delineato una dottrina di tipo offensivo, i criteri per l’azione difensiva, oggetto della dottrina italiana nel periodo considerato, prevedevano un’azione elastica e manovrata. Il ricorso all’azione difensiva, che presupponeva inferiorità di forza, era considerato un mezzo per economizzare le forze a favore dell’offensiva per “sbarrare il passo al nemico mantenendo il possesso del terreno necessaria ed utile ai fini complessivi delle operazioni, per guadagnare tempo, onde superare una crisi e consentire la ripresa delle offensiva. La manovra difensiva doveva essere in grado di assestare l’attacco nemico per il tempo necessario ed indispensabile ad effettuare la manovra ed il contrattacco, il mantenimento di un complesso di forze scaglionate in profondità pronte a parare e reagire”.
L’organizzazione, dalla fronte alle retrovie, comprendeva elementi di osservazione e sicurezza, schierati in “zona di sicurezza”, davanti alla linea dei capisaldi a distanza tale da essere protetti e con il compito di evitare la sorpresa e logorare il nemico.
I capisaldi presidiati da unità organiche dovevano resistere ad oltranza. Dietro i capi saldi si trovava una scacchiera di centri di fuoco distribuiti in profondità ed aventi lo scopo di logorare il nemico convogliato fra i capi saldi e per appoggiare il contrattacco.
Il fuoco doveva essere contemporaneamente impiegato alla distanze ottimali.
Le artiglierie erano scaglionate in profondità per sorprendere il nemico e colpirlo nelle basi di partenza, appoggiare il contrattacco e colpire prioritariamente la fanteria nemica.
Rincalzi e riserve dovevano immediatamente contrattaccare ogni penetrazione nemica.
Doveva, infine, essere organizzata un’ulteriore posizione difensiva arretrata tale da far presidiare agli scaglioni arretrati.
La divisione era la pedina fondamentale, era la grande unità organica pluriarma inscindibile ed unitaria, capace di svolgere da sola uno o più atti del combattimento. Già prima e durante la guerra 1914-’18, la formazione meglio rispondente a tale concetto d’impiego era stata giudicata dai maggiori eserciti europei la ternaria (3 reggimenti di fanteria, 1 reggimento di artiglieria), mentre l’esercito italiano aveva conservato sempre la formazione quaternaria (1) (4 reggimenti di fanteria, 1 reggimento di artiglieria) e solo nel 1926 –anche se nell’ordinamento Diaz del 1923 era insito il compromesso della divisione quaternaria in pace e ternaria in guerra – lo Stato Maggiore dell’esercito optò per la formazione ternaria in pace ed in guerra migliorando anche il rapporto tra fanteria (9 battaglioni) ed artiglieria (4 gruppi su 12 batterie in totale).
Lo schieramento poteva essere suddiviso fra 2/3 scaglioni nel senso della profondità in cui operavano i Battaglioni.
In difensiva le divisioni, non impegnate in prima schiera, fanno parte della riserva di armata che può assegnarle ai Corpi d’Armata o impiegarle direttamente. Il Corpo d’Armata è, di norma, costituito da 3 divisioni.
Tutta la dottrina ha la grossa pecca di non sviluppare compiutamente l’impiego dei corazzati e dell’arma aerea. In particolare, gli aerei vengono citati per impieghi di ricognizione ed osservazione mentre i corazzati trovano spazio in alcune scarne e laconiche frasi, del tipo: “reparti celeri, carri veloci o d’assalto, lanciati contro elementi nemici che premono più da vicino, sono particolarmente adatti allo scopo”.[2]
La sostituzione della formazione ternaria con quella binaria, alla fine degli anni ’30, non trovò il benché minimo appiglio giustificativo nella dottrina tattica fin qui esaminata, anzi questo nuovo ordinamento indebolì notevolmente la capacità di combattimento di queste unità.
L’ampiezza della fronte divisionale in postura difensiva era, orientativamente, tra i 3 ed i 5 km che potevano essere aumentati fino a 10-14 in presenza di ostacoli difensivi, quali fiumi.
La manovra del Corpo d’Armata veniva considerata una serie di “colpi” di divisione, ciò, in realtà, con le divisioni binarie risultò un’ utopia. Con questi mezzi e queste dottrine si arriva infine a quello che sarà il secondo conflitto mondiale, accingiamoci dunque ad esaminare le ragioni che lo determinarono, pur sempre nei limiti della trattazione in oggetto.