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sabato 31 dicembre 2022

La Prigionia in URSS. 1941- 1954. Il retaggio

 



La prigionia in mano alla U.R.S.S. è quella che ha inciso più a fondo nel retaggio  del sistema socio-politico del dopoguerra. Prima che scoppiasse la guerra fredda, nella metà del 1946, già si avvertivano i sintomi di quelle che saranno le polemiche spesso roventi del dopoguerra. Il 20 agosto 1946, dopo un anno di attesa e di aspettative sempre più crescenti, quando tutti gli altri Paesi belligeranti avevano restituito in grandissima parte i prigionieri in loro mani, un comunicato del Governo di Mosca molto sobrio ed asciutto fa presente che tutti i prigioneri italiani in mano alla URSS erano stati restituiti, tranne un esiguo numero, circa 27, tra ufficiali e soldati, considerati criminali di guerra ed in attesa di giudizio. Tra questi anche un cappellano militare, Padre Brevi, considerato dai sovietici una spia del Vaticano.

In Italia le aspettative erano altre. Si aspettava il rientro di circa 70/80 mila prigionieri dalla Russia. A tutto il 1946 erano stati restituiti 21.000 soldati, di cui circa 11.000 appartenenti all’ARMIR i restanti liberati dall’Armata Rossa dai campi di concentramento tedeschi nella sua avanzata verso occidente.

La polemica divampò violentissima, e si manifestò in modo particolare nello scontro politico tra i partiti di sinistra, in particolare il PCI e i partiti del centro, in particolare la Democrazia Cristiana. L’accusa principale era che la URSS tratteneva i prigionieri italiani come schiavi, per ragioni ideologiche.

La realtà, emersa negli anni novanta all’indomani del crollo della URSS e alla parziale apertura degli archivi sovietici, era ben diversa da quella ipotizzata in Italia. La URSS aveva ragione nel sostenere che aveva restituito tutti i prigionieri italiani in suo possesso. Infatti è stato documentato[1] che l’Armata Rossa, nella sua avanzata verso occidente catturava circa 11.000/11.500 soldati dell’ARMIR e li avviò ai campi di smistamento ( le cosiddette marce del Davai). Nei campi di smistamento entrarono quelli che poi vennero restituì, tranne una percentuale dell’1% che morì per malattie o cause naturali.[2]

La vicenda dei prigionieri in mano alla URSS continuò in temi sempre aspri fino al 1954 quando, dopo la morte di Stalin, furono restituiti gli ultimi prigioneri, circa 10, trattenuti con pretesti e motivi vari.

 Il retaggio di questo particolare segmento del V fronte della Guerra di Liberazione è estremamente pesante. L’Italia inviò prima un Corpo di Spedizione, poi una Arma che raggiunse circa i 200.000. Nel corso delle offensive sovietiche del novembre-dicembre 1942 – gennaio febbraio 1943, che si conclusero con la caduta di Stalingrado, che determinarono la svolta della guerra in Oriente, le forze italiane furono annientate. Circa 100.000 uomini riuscirono a salvarsi tramite una ritirata, la celeberrima ritirata di Russia, ma altrettanti rimasero sul campo. Non per le vicende della guerra, ma in virtù della insipienza dei Comandati italiani sul campo, delle imposizioni tedesche e di un male interpretato senso dell’onore militare. Composte tutte da forze di fanteria, senza mezzi corazzati e meccanizzati, il compito era quello di resistere fino allo stremo sulle posizioni del Don. Una volta che la battaglia avrebbe rilevato le direttrici di attacco in profondità dell’attaccante sovietico, avrebbero dovuto intervenire le forze mobili tedesche, per chiudere le falle. Il compito delle forze Italia quindi fu assolto. L’errore fu il non aver dato di arrendersi sul posto. Sarebbe stata la salvezza di oltre 80.000 soldati italiani. Al contrario, messisi in marcia verso occidente, quanto contemporaneamente i sovietici provvedevano a distruggere tutta l’organizzazione logistica di retrovia con puntate di forze mobili, la speranza di sopravvivere nella steppa d’inverno erano presso che nulle. Infatti i comandi sovietici locali non inseguirono i soldati italiani in marcia, conviti e sicuri che la steppa, il cosidetto generale Inverno, li avrebbe uccisi. Come in realtà accadde. Il prezioso retaggio di questo segmento del V fronte è quello che occorre avere sempre autonomia decisionale quando si partecipa in una coalizione fi forze internazionali ed occorre sempre, in lealtà con gli alleati, preservare l’interesse nazionale. Un retaggio che permeò nel dopoguerra la partecipazione delle forze nazionali alle cosiddette Missioni di Pace, coalizioni internazionali sotto egida id organizzazioni sovranazionali.



[1] UNIRR, Rapporto UNIRR, 1995. In Italia la cifra dei presunti prigionieri era stata fissata in circa 84.000. Dei 201.0000 militari italiani presenti al fronte ai primi di dicembre, come attestano i documenti della Direzione di Commissariato dell’ARMIR sulla forza vettovagliata, ne erano rientrati in Italia 101.000. Pertanto considerate le perdite, a larghe spanne, la cifra dei prigioneri doveva essere circa 84.000 considerate le perdite. In realtà dei 101.000 soldati mancati, 90.000 erano Caduti nella ritirata e circa 11.000 raccolti come prigioneri dai sovietici, che in effetti restituirono. Vds. Coltrinari M., Le Vicende dei Militari Italiani in URSS, Roma, Archepares, 2021.

[2] Il tasso di mortalità nella prigionia in URSS è più o meno quello delle altre prigionie in mano della Gran Bretagna, Francia e Stati uniti.

martedì 20 dicembre 2022

Divisione Partigiana "Italia" Rimpatrio dalla Jugoslavia, Giugno 1945


 

 

Dalla Jugoslavia rientrano in Italia due unità combattenti, che sono assunte quasi a simbolo della Resistenza dei militari italiani all’estero: La Divisione “Italia” e la Divisione “Garibaldi”

 

La Divisione Italia, terminò la guerra operando nel nord della Jugoslavia e stava per essere coinvolta indirettamente nella vicenda della occupazione di Trieste da parte Jugoslavia nel maggio del 1945. Certamente dal punto di vista politici la presenza di unità combattenti italiane a Trieste, ovvero la Divisione “Italia” e quella, solo ipotizzata, della Divisione “Garibaldi” che stava per essere imbarcata a Ragusa con destinazione che poteva essere il territorio metropolitano ma anche l’Istria se non Trieste, avrebbe assunto un significato estremamente importante. Sia gli Alleati, ma soprattutto i dirigenti jugoslavi, pur apprezzando l’operato delle due divisioni, non erano propensi a vedere italiani in armi, nelle loro fila, in Istria e soprattutto a Trieste.

 

La questione fu risolta con il rimpatrio nel territorio metropolitano italiano, la Divisione “Italia” con destinazione il Friuli, la Divisione “Garibaldi” con destinazione le Puglie.

 

Le operazioni di rientro si possono fa risalire, per la Brigata “Italia” già il 18 giugno 1945 quando la Brigata versa alla II Armata jugoslava il materiale e i mezzi esuberanti (carri, cavalli, munizioni, armi pesanti, e materiale vario) le necessità del rimpatrio. Si risolvono le questioni relative a militari italiani che liberamente hanno scelto di rimanere in Jugoslavia. Il 24 giugno 1945 al cimitero di Mirogj il 24 giugno 1945 viene inaugurato un monumento dedicato ai Caduti della Divisione Partigiana “G. Garibaldi” alla presenza del Comandante la Divisione, Marras, e di Ufficiali e Truppa, della Autorità del Governo Croato e della Città di Zagabria. Fu indetto un concorso per la frase di incidere nella Lapide. Ne furono presentate quattro e non trovandosi l’accordo su quella da scegliere furono incise tutte e quattro.[1]

Il 27 giugno 1945 fu inviato al comando della Divisione l’ordine di rientro in Italia. Il rimpatrio doveva avvenire per ferrovia. Furono necessari due treni. Per tutto il pomeriggio del 27 giugno il personale fu impegnato a predisporre il caricamento dei treni.

Per accordi tra le Autorità superiori e per valorizzare il contributo dei militari dell”Italia“ “questa alla vigilia del rimpatrio venne elevata al ragno ordinativo di Divisione”. Di conseguenza la Brigata “Italia” si trasforma in “Divisione” ed i quattro battaglioni e rispettive compagnie in Brigate e Battaglioni.[2] La partenza è data alle ore 9 in punto del 28 giugno 1945 con direzione il territorio italiano. Tutti mancano dall’Italia da circa tre anni e in quel giugno 1945 giurava come presidente del Governo Italiano Maurizio Parri, che aveva partecipato alla guerra di liberazione con il nome di “Maurizio”. Il convoglio giunse a Sezana, a ridosso della linea di demarcazione italo-jugoslava, il 29 giugno 1945, ove si ferma in attesa di ulteriori disposizioni sia da parte alleata che da parte italiana. Tutto il personale è concorde che il rientro in territorio nazionale deve essere degno di nota e non si accettano soluzioni volte a sminuire il significato del rientro e il portato delle azioni della divisione. Questo comporta lungaggini burocratiche che si risolvono con interventi anche da Roma. Il 2 luglio 1945 la Divisone varca la linea di demarcazione e finalmente arriva in Italia, a Torre di Zuino, sede di uno stabilimento della Snia Viscosa che molti reduci ricordano come Torre Viscosa.

La cerimonia ufficiale di rientro si svolgerà a Udine il 7 luglio 1945. La Divisione si schiera alla presenza dell’On. Mario Palermo, sottosegretario alla Guerra, del gen. Howard del Comando della VIII Armata Britannica, competente per territorio, del Sindaco di Udine, Cosattini, di Mons. Nogara, Arcivescovo di Udine di rappresentati del Governo jugoslavo e del Comando de C.V.L. Comando Corpo Volontari della Liberta e di Rappresentati Militari dell’Esercito, tra cui il gen. Armellini, già comandante della divisone “Bergamo” in Jugoslavia. Subito dopo la cerimonia inizia la consegna delle armi.

Non si è ritenuto inquadrare il personale della Divisione “Italia” reduce dalla Jugoslavia in quanto il Regio Esercito era ancora sotto il mandato della Commissione di Controllo Alleata. La divisione fu considerata alla stregua di tutte le formazioni partigiane: al momento dell’arrivo delle forze alleate o dopo la fine della guerra in Italia, il 2 maggio 1945, tutte le formazioni dovevano consegnare le armi e le munizioni.

L’11 luglio il personale assiste ad una messa in Suffragio di tutti i caduti della Divisione: è l’ultima cerimonia ufficiale. Dal giorno dopo inizia l’invio in licenza di tutto il personale: è il sospirato ritorno alle proprie case.  Il Diario Storico della Divisione si chiude il 31 luglio 1945, mentre un Ufficio stralcio, composto degli Ufficiali Parmeggiani, già vicecomandante e capo di SM. Minati e Gardini, si reca a Roma a consegnare tutta la documentazione esistente ( vi arriva proprio il 25 luglio 1945, data estremamente significativa, e continua il lavoro fino al novembre 1945.



[1] Le frasi sono  1)“Compagno! Quando vedrai mia madre dirle di non piangere. Non sono solo. Giace con me un compagno Jugoslavo.” 2) Che nessuno ardisca gettare del fango sul sangue versato nella lotta in comune” 3) Trovammo qui fede-madre-pane-fucile.I morti lo sanno, i vivi non lo dimenticheranno”. 4) Fiume di sangue divisero due popoli. Li unisce oggi il sacrificio dei compagni jugoslavi”. Vds Bistarelli A., La Resistenza dei Militari Italiani all’Estero. Jugoslavia Centro Settentrionale, Roma, Commissione per lo Studio della Resistenza dei Militari Italiani all’estero, COREMITE, Rivista Militare, 1996, pag. 460

[2] La Divisione d’Assalto “Italia rientro in patria con questo Organico:

. Comando Divisionale.

  .. Comandante Giuseppe Marras

  .. Commissario Politico, Carlo Cutolo

  .. Vice Comandante e Capo di SM, Aldo Primeggiani

  .. Vice Commissario Politico, Alberto Mario Ceccarelli

  .. Capo Servizio Stampa, Cultura e Propaganda, Innocente Cozzolino

  .. Commissario di collegamento, Mario Tindari Gatan

. I Brigata “Garibaldi”

  .. I Battaglione “Ulisse Nannizzi”

  .. II Battaglione “Antonio Mercenario”

  … III Battaglione “Poljiana”

. II Brigata “Matteotti”

  .. I Battaglione “Crni Vrhi”

  .. II Battaglione “Francesco Bertuccelli”

  … III Battaglione “Saverio Failla”

.III Brigata “Mameli”

  .. I Battaglione “Novi Grabovac”

  .. II Battaglione “Cosimo Di Maggio”

  … III Battaglione “Ettore Ramires”

. IV Brigata “Fratelli Bandiera”

  .. I Battaglione “Antonio Longo”

  .. II Battaglione “Brezovac”

  … III Battaglione “Msrcello Piantanida”

. Battaglione Armi di Accompagnamento “Sarengraf”

.Compagnia Comando Divisionale

Compagnia Genio Divisionale

Reparto Sanità Divisonale

Centro Stampa e Propaganda

Cfr. Bistarelli A., La Resistenza dei Militari Italiani all’Estero. Jugoslavia Centro Settentrionale,  cit. pag. 466

sabato 10 dicembre 2022

Quadro di Battaglia del regio Esercito Italiano 10 giugno 1940


 Su www.storiainlaboratorio.blogspot.com post nei mesi di luglio ed agosto 2022 della genesi del manoscritto del volume "Il Quadro di Battaglia del Regio Esercito 10 giugno 1040. Tomo I - Gli Istituti e la Fanteria Tomo II La Cavaleria, l'ARtiglieria, Il Genio, La Guardia alla frontiera, I Servizi, Le Truppe Coloniali