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mercoledì 31 marzo 2021

Una Testimonianza

 

I prigionieri catturati dagli inglesi nella guerra 1940-1943

dell’Ammiraglio Gino Galuppini

a cura di Giovanni Cecini

 

Gli Storici, quelli con la “S” maiuscola, titolari di cattedre universitarie, o, più semplicemente “cultori della materia” hanno versato i famosi “fiumi di inchiostro” sulla infelice guerra combattuta dall’Italia al fianco della Germania dal 10 giugno 1940 all’8 settembre 1943.

Nessuno di loro, però, si è occupato in modo particolare dei prigionieri.

Infatti i prigionieri “non fanno storia”: tutt’al più si dichiara che sono stati catturati, o perduti, “tot” prigionieri.

Ovviamente i libri di storia compilati dagli Uffici Storici dell’Esercito, della Marina e dell’Aeronautica trattano ben poco dell’argomento, altrettanto ne fecero i giornali italiani dell’epoca, ricordiamo “Epoca fascista”, nella quale certe verità non potevano essere dette.

Se i giornali italiani non ne parlavano, i giornali inglesi dell’epoca, viceversa, ne parlavano e “con abbondanza”. Io sono andato a leggermi i “Times” di Londra dal 10 giugno 1940 in poi, elencando le date dei fatti d’arme e il numero dei prigionieri catturati, nonché quello degli aerei abbattuti e dei piloti catturati.

Ma anche sul “Times” non ho trovato documenti sulla cattura che è oggetto di questo scritto.

Unico accenno reperito è stato sul “Mattino” di Napoli del 20 giugno 1940 che parla del rientro in patria della motonave Calitea «giunta a Siracusa con i profughi dell’Egitto», dimenticando di dire che a bordo vi erano anche 66 membri dell’equipaggio e 298 passeggeri della, ormai “ex”, motonave Rodi catturata dagli inglesi.

Il Calitea fu fatto partire da Malta la sera del 12 giugno e giunse a Siracusa il mattino del 13.

Allora il lettore si domanderà: «come faccio a sapere questa storia?». E’ semplice: l’ho appresa dalla viva voce di uno di questi “prigionieri della prima ora”, l’allora tenente di artiglieria Vittorio Monaco, compagno di prigionia, nonché compagno di casa “50 anni dopo”.

Come è noto, la guerra tra la Germania contro la Francia e Inghilterra, iniziò nel settembre 1939, ma da tale data fino al 10 giungo 1940 l’Italia non fu coinvolta e rimase nello status di “non belligeranza”.

In questa posizione, attraverso l’Italia potevano giungere in Germania materiali strategici, quindi Francia e Gran Bretagna esercitarono un “blocco navale” nel Mediterraneo, consistente nel fermare le navi dirette a porti italiani ed ispezionarne il carico, per evitare il contrabbando di materiali strategici.

Queste ispezioni del carico, oltre che sulle navi mercantili, venivano effettuate anche sulle navi passeggeri e sulle navi “miste”, come la motonave Rodi della Società di Navigazione Adriatica.

I fatti si svolsero come segue.

Circa alle ore 12 del 9 giugno 1940, la motonave Rodi, in servizio sulla rotta “Isole italiane dell’Egeo” e Trieste, si trovava in navigazione al largo di Capo Malia (Malias Akra), estremità sud del Peloponneso, in viaggio da Rodi a Trieste con 305 passeggeri a bordo.

In quella posizione fu fermata da una nave da guerra inglese, che mandò a bordo un ufficiale e alcuni marinai armati, con l’ordine di dirottarla a Malta.

Per il personale di bordo questa era “normale amministrazione” però questa volta vi era l’aggravante di dover andare a Malta per effettuarla e non, come sempre, in mare aperto. (Si ricorda che Malta era una colonia inglese).

La Rodi giunse a La Valletta alle 17:30 del 9 giugno e fu sottoposta alla consueta ispezione, ma non fu lasciata ripartire, ma fatta ormeggiare a Marsa Scirocco, sotto la sorveglianza di un picchetto armato.

Questo anomalo comportamento mise in stato di agitazione sia i passeggeri che l’equipaggio per tutto il giorno 10.

Alla sera del 10 giugno, Mussolini dal balcone di Palazzo Venezia annunciò agli italiani l’entrata in guerra dell’Italia.

All’epoca non c’era la televisione, ma c’era l’EIAR: Ente Italiano Audizioni Radiofoniche che lo trasmise “al mondo”.

Il discorso ovviamente, fu ascoltato dai passeggeri della Rodi, che compresero il “perché” della prolungata sosta a Malta.

Da una relazione compilata dal Commissariato di bordo Ottavio De Vescovi al suo rientro a Siracusa il 14 giugno 1940, risulta che la notizia suscitò il giubilo dei passeggeri.

Ma c’era poco da “giubilare”. Il mattino dell’11 giugno, alle ore 6:00, la Rodi si trasferì da Marsa Scirocco al Gran Harbour, e fu fatta ormeggiare a fianco del Calitea altra motonave dell’Adriatica fermata a Malta il mattino del 9 giugno.

La Rodi fu dichiarata “preda bellica” e si iniziò un controllo dei passeggeri: quelli che risultarono militari furono dichiarati “prigionieri di guerra”.

La loro identificazione fu facile perché viaggiavano “a tariffa militare”. Furono fatti prigionieri i seguenti militari: tenente colonnello fanteria Guido Puchetti, tenente di vascello Silvio Giangrande, tenente artiglieria Vittorio Monaco, tenente fanteria Carlo Mariotti, sergente maggiore Nicola Coniglio e un aviere di cui non ricordo il nome. Inoltre un civile: l’operaio delle officine del Regio Esercito Fausto Labonia, che viaggiando “a tariffa militare” a scanso di equivoci fu incluso fra i P.O.W. [prigionieri di guerra].

A questi “prigionieri per documento di viaggio” se ne aggiunse uno “volontario” in quanto dichiarò di essere un ufficiale di complemento che rientrava in Italia perché richiamato; era il sottotenente Giovanni D’Orlandi, cittadino italiano residente in Egitto, figlio del medico personale di re Faruk, che fu subito incluso nel gruppo.

Questi sette militari, essendo stati dichiarati prigionieri di guerra il mattino dell’11 giugno 1940 sono senz’altro da considerare i primi catturati nella guerra 1940-43.

Come detto più sopra, la motonave Rodi fu dichiarata “preda bellica” e ribattezzata Empire Star e navigò sotto bandiera inglese per tutta la guerra. Affondò il 29 settembre 1945 per incendio a bordo mentre navigava tra Chios e Rodi.

L’equipaggio fu dichiarato “internato civile” ma non se ne conosce la sorte. Furono catturati: il comandante Eugenio Verga, i due ufficiali di coperta, Giuseppe Gay e Mario Depangher, il direttore di macchina Giuseppe Varriale, i due ufficiali di macchina, Giovanni Wetzl e Giulio Crauser, il marconista Napoleone Zani, 6 fra marinai e fuochisti.

Furono lasciati rimpatriare il commissario Ottavio De Vescovi, 20 fra marinai e fuochisti e 40 del personale di camera.

In totale 66 membri dell’equipaggio e 298 passeggeri, che, trasferiti sul Calitea, partirono da Malta la sera del 12 giugno e giunsero a Siracusa il mattino del 13.

Come ho detto all’inizio, forse “per ordini superiori” la stampa non si occupò del caso, fuorché il “Mattino” di Napoli, dopo una settimana e trattando solo dei rimpatriati dall’Egitto.

Mentre i militari catturati sul Rodi si possono considerare i primi prigionieri di guerra, non così gli ufficiali e i marittimi catturati a Malta.

Infatti il 10 giugno 1940 ben 28 navi per 144.658 t.s.l. si trovavano nei porti inglesi e furono confiscate e gli equipaggi internati. Altre 68 navi per 415.724 t.s.l. che si erano rifugiate in porti neutrali, ma che poi ruppero le relazioni con l’Italia, furono anch’esse confiscate e gli equipaggi internati.

Poiché il 10 giugno 1940 ben 179 navi mercantili per 1.026.000 t.s.l. non avvertite dell’imminente dichiarazione di guerra si trovavano in navigazione o in porti esterni, ne rimangono 83 che, rifugiate in porti di nazioni neutrali, vi rimasero internate, e, quando possibile, gli equipaggi furono rimpatriati durante la guerra, ma di questo ben pochi storici se ne sono occupati.

sabato 20 marzo 2021

Rivista QUADERNI n. 3 del 2020 luglio-settembre 2020

 



Per la parte dedicata alla Storia, iniziano con questo numero le pubblicazioni dedicate al centenario del Milite Ignoto che ricorre il prossimo anno. L’’Istituto è particolarmente impegnato in questa data anniversaria, e la Rivista non può che assecondare questa scelta. Prosegue, sull’abbrivio della Giornata del Decorato del 2021, che non si è potuta celebrare per via della epidemia da Covid19, che non può fermare l’attività posta in essere a corredo scientifico di detta giornata, le note riguardanti la campagna di Sicilia del luglio 1943 e degli avvenimenti riguardanti la campagna d’Italia del 1944. Contributi di Massimo Coltrinari e Luigi Marsibilio, nell’ambito delle ricerche avviate a seguito dei Progetti in corso riguardanti le tematiche della Guerra di Liberazione, e una di Giorgio Clemente che affronta particolari situazioni di nostri militari durante la seconda guerra mondiale e una nota di Consalvo Dolce riguardante l’intervento dell’impegno degli Stati Uniti nel Vietnam.

 

Per la parte geografica apre Valentina Trogu trattando della sociologia della deterrenza, mentre in geopolitica delle prossime sfide, una nota sul covid e come viene affrontato, che fa riflettere sulla leaderschip degli Stati Uniti nel mondo occidentale e Luca Bordini che tratta della digitalizzazione nelle FF.AA. Infine Stefano Chiarle tratta dell’Ucraina e del suo cammino verso la democrazia.

 

Nelle rubriche, quelle relative al CESVAM si riportano alcune peculiari attività del Centro, con la evidenziazione delle realizzazioni editoriali mentre gli Indici della rivista QUADERNI ON LINE si riferiscono al III trimestre del 2020. Si può finalmente dire che un costante aggiornamento delle NOTIZIE CESVAM e degli eventi a cui si partecipa come CESVAM è possibile trovarlo sulla home page della piattaforma www.cesvam.org alla rubrica “Eventi” ed alla rubrica “Notizia CESVAM”, mentre è in progetto la pubblicazione su questa rivista dei contenuti dei vari comparti della piattaforma

La rubrica di chiusura riporta la iconografia brigate di fanteria della prima guerra mondiale, come tradizione di questa rivista.

Da ultimo, l’editoriale del Presidente Nazionale ed il Post editoriale del Direttore del Periodico sono intonati al tema della celebrazione del Milite Ignoto, nel solco delle scelte sopra dette, e dei contenuti evidenziati nella pubblicazione consorella. (massimo coltrinari)

 

In I di Copertina:  Lapide Commemorativa del Bollettino della Vittoria del 4 Novembre 1918

Per info: quaderni.cesvam@istituton

Per richiedere la rivista: segreteriagenerale@istitutonastroazzurro.org

mercoledì 10 marzo 2021

Osvaldo Biribicchi. 1943-1945: il ruolo dei reparti regolari dell’Esercito nella Campagna d’Italia al fianco degli Alleati

 

 

Nella primavera del 1943 le forze armate italiane, dopo la tragica ritirata dalla Russia e la resa in Nord Africa, il 12 maggio 1943, non erano più in grado di tener testa agli avversari. Di ciò erano consapevoli Mussolini, il Re e milioni di cittadini ormai stanchi di lutti ed inutili sacrifici. Prolungare un conflitto ormai perduto avrebbe significato solamente aggravare la già critica situazione economica e sociale, rinviare la sconfitta finale, esporre l’Italia ad ulteriori perdite di vite umane e distruzioni apocalittiche. Fu in questa atmosfera che gli anglo-americani si prepararono ad invadere la penisola. La caduta di Lampedusa e Pantelleria l’11 ed il 12 giugno 1943 fu la premessa dello sbarco degli Alleati in Sicilia, che avvenne il 10 luglio tra Siracusa e Licata, in attuazione della operazione Husky. Iniziava la cosiddetta Campagna d’Italia che per i tedeschi invece sarebbe iniziata la sera dell’8 settembre 1943 nel momento in cui Badoglio annunciò l’armistizio. Per entrambi terminerà il 2 maggio 1945 con la firma nella Reggia di Caserta della resa di tutte le forze tedesche in Italia. In Sicilia, il 12 luglio la linea di difesa costiera italo-tedesca fu sfondata. Pochi giorni dopo, il 19, Mussolini si incontrò a Feltre con Hitler con l’intenzione di esporre all’alleato la drammatica situazione in cui versava l’Italia e l’impossibilità a poter continuare la guerra. Di fronte a Hitler, determinato a proseguire ad oltranza la lotta fino alle estreme conseguenze, Mussolini che ormai aveva esaurito ogni energia non trovò la forza di esporre ciò che i suoi più stretti collaboratori, fra questi il Capo di Stato Maggiore Generale Ambrosio, gli avevano suggerito. Nelle stesse ore in cui si svolgeva quell’incontro, Roma veniva bombardata pesantemente (dalle ore 11,05 alle 14,20) da circa 200 bombardieri americani che, in sei successive ondate, colpirono i quartieri San Lorenzo e Tiburtino, sedi di importanti scali ferroviari, Prenestino, Tuscolano e Casal Bertone. Fu colpito anche il Cimitero del Verano. Le vittime accertate furono 1.486. L’impatto sul morale della popolazione già provata fu notevole; Pio XII uscì dal Vaticano e si recò nei luoghi del bombardamento invocando la pace e la fine del conflitto. In Sicilia le forze italo-tedesche continuavano a combattere contro gli anglo-americani che il 22 luglio entravano a Palermo, prima grande città europea ad essere liberata dagli Alleati. Due giorni dopo fu tenuto il Gran Consiglio del Fascismo[1] che si concluse a tarda notte con l’approvazione di un Ordine del Giorno (il cosiddetto Ordine del Giorno Grandi) in cui si imponeva al Capo del Governo di rimettere ogni potere nelle mani del Re. Tutti erano convinti che una volta rimosso Mussolini, eventualmente sostituto dallo stesso Grandi ex ambasciatore a Londra, ci sarebbero state concrete possibilità di intavolare trattative con gli Alleati per una pace onorevole, salvando l’integrità nazionale, la monarchia ed il fascismo stesso. Il 25 luglio, una data che rimarrà ben incisa nella storia recente d’Italia, Mussolini si recò presso la residenza del Re, a Villa Savoia, per partecipargli la decisione del Gran Consiglio. Vittorio Emanuele III, dopo oltre 22 anni di stretta collaborazione, lo fece arrestare dai carabinieri ed affidò il Governo al Maresciallo d’Italia Pietro Badoglio, ex Capo di Stato Maggiore Generale, che nel suo proclama agli italiani dichiarò: «Per ordine di S.M. il Re e Imperatore assumo il Governo militare del Paese, con pieni poteri. La guerra continua […]  La consegna ricevuta è chiara e precisa […] chiunque si illuda di poterne intralciare il normale svolgimento o tenti di turbare l’ordine pubblico, sarà inesorabilmente colpito». In pratica si assistette ad un rivolgimento tutto interno all’ambiente monarchico-fascista, la monarchia abbandonava il fascismo a sé stesso, togliendogli ogni potere. Questo è uno dei punti cruciali di quello che sarà il momento delle scelte all’indomani della crisi armistiziale e delle sue tragiche conseguenze. Pietro Badoglio formò un governo di militari ed alti funzionari dello Stato, tutti fino a poche ore prima di “provata fede fascista”. Il comportamento ambiguo, le incertezze ed i ritardi con cui il governo Badoglio avviò contatti segreti per trovare un accordo con gli Alleati furono così tanti e persistenti da ingenerare in questi ultimi seri dubbi sulle reali intenzioni degli italiani. Badoglio, che non voleva rivelare ad Hitler le proprie intenzioni, non predispose nulla dal punto di vista militare per evitare l’afflusso in Italia, dopo la destituzione di Mussolini, di ingenti forze tedesche. Dal 26 luglio al 18 agosto, infatti, in attuazione del piano di operazioni Alarico[2] predisposto già da maggio del 1943, i tedeschi fecero affluire in Italia attraverso il Brennero, il Passo di Tarvisio e gli altri valichi alpini 17 divisioni e 2 brigate in rinforzo a quelle già presenti. Formalmente queste truppe scendevano nella penisola in aiuto degli italiani impegnati a contrastare gli anglo-americani in Sicilia[3], in realtà si predisponevano ad occuparla nel caso in cui il governo Badoglio si fosse ritirato dalla guerra. Il 31 luglio il governo italiano decideva segretamente di avviare colloqui attraverso i normali canali diplomatici con gli Alleati. Nelle ore pomeridiane del 3 settembre 1943, sotto una tenda piantata negli aranceti nella piana di Cassibile in Sicilia, veniva firmato l’armistizio, passato alla storia come Armistizio Corto, un documento ambiguo (tra l’altro non vi era alcun cenno al trattamento dei prigionieri italiani in mano alleata), approvato da Badoglio il quale sperava di poterlo rinegoziare da posizioni migliori in futuro. Tale armistizio fu poi annunciato da Eisenhower da Radio Algeri alle ore 16,30 dell’8 settembre 1943. Badoglio, sconcertato in quanto si aspettava erroneamente l’annuncio non prima del 12 settembre, si risolse a proclamarlo con una trasmissione che l’EIAR (Ente Italiano Audizioni Radiofoniche, la progenitrice della odierna RAI) mise in onda alle 19,45. All’annuncio dell’armistizio, ai tedeschi non restò che mettere in atto senza più indugi il piano Alarico. In un clima di grandissima confusione, iniziò quella che è passata alla storia come la fuga di Pescara. Il Re, Badoglio ed i massimi vertici militari abbandonarono precipitosamente Roma alla volta di Pescara e subito dopo di Ortona per imbarcarsi sulla corvetta Baionetta. Gli Alleati intanto proseguivano la lenta ma inarrestabile risalita della penisola continuando ed intensificando i bombardamenti aerei; furono particolarmente colpite le città di Napoli, Salerno, Foggia, Bologna, Torino, Genova e soprattutto Milano[4]. Non solo le grandi, ma anche decine di piccole città e paesi che non erano sedi né di fabbriche né di caserme furono oggetto di bombardamenti aerei. A Frascati, piccolo centro dei Castelli Romani, ove si trovava il quartier generale di Kesselring, il giorno dell’armistizio 130 bombardieri americani sganciarono 1.300 bombe che causarono 500 morti tra i civili e 200 fra i militari tedeschi. Il tributo pagato dalla popolazione a causa dei bombardamenti aerei nel corso di tutta la Campagna d’Italia fu altissimo[5]. Nelle stesse ore in cui il convoglio con le massime cariche dello Stato si dirigeva indisturbato verso la costa adriatica le forze armate italiane, disorientate ed in mancanza di disposizioni operative chiare e precise, iniziavano a sfaldarsi progressivamente. La nuovissima corazzata Roma, con a bordo l’ammiraglio Bergamini, veniva affondata nelle vicinanze dell’Isola dell’Asinara in Sardegna da aerei tedeschi decollati da Istres in Francia; nella capitale avvenivano i primi scontri tra reparti del regio esercito e tedeschi; la 5a armata americana al comando del generale Clark sbarcava nel golfo di Salerno dove incontrava una accanita difesa tedesca. La mattina dell’11 settembre il Re e Badoglio sbarcarono a Brindisi, a partire da quel momento nacque il cosiddetto Regno del Sud al fine di garantire formalmente la continuità della sovranità dello Stato italiano[6]. Il giorno dopo, il 12 settembre, paracadutisti tedeschi liberavano Mussolini tenuto prigioniero in un albergo sul Gran Sasso in Abruzzo. Ebbene, in quel periodo convulso e travagliato gli Alleati acconsentirono non senza diffidenza e dietro insistente richiesta del governo Badoglio, che voleva concorrere attivamente alla liberazione del Paese dall’occupazione tedesca, alla costituzione di una unità combattente. Il 27 settembre 1943 in Puglia, diciannove giorni dopo l’armistizio, nasceva il 1o Raggruppamento Motorizzato, l’embrione del nuovo esercito, formato con unità prelevate dal LI Corpo d’Armata e dalle Divisioni “Legnano”, “Piceno” e “Mantova” oltre a 2 battaglioni e due sezioni Carabinieri. L’unità fu posta al comando del generale Dapino. Intanto, la situazione politico-militare progrediva rapidamente: il 29 settembre fu firmato l’Armistizio Lungo o armistizio di Malta l'atto con il quale vennero precisate le condizioni della resa senza condizioni già contenute genericamente nell'armistizio di Cassibile (armistizio corto) che rimarranno in vigore fino al 10 febbraio 1947 quando il Primo Ministro De Gasperi firmerà a Parigi il Trattato di pace. Con la firma del cosiddetto armistizio lungo l’Italia liberata fu costretta a fornire agli anglo-americani tutto ciò che rimaneva delle proprie risorse finanziarie ed infrastrutturali. Il 13 ottobre il governo Badoglio, la cui attività amministrativa era stata sottoposta al diretto controllo anglo-americano, al fine di chiarire la propria condotta politico-militare dichiarò guerra alla Germania. A partire da questa data, il Regno del Sud assunse la posizione di cobelligerante ovvero non fu più considerato nemico ma neanche alleato nel senso stretto del termine. I tedeschi, a loro volta, riconobbero ai militari del Regno del Sud, fino a quel momento considerati alla stregua di banditi, lo status di combattenti nemici “legali”.             L’8 dicembre 1943, il 1o Raggruppamento Motorizzato ebbe il battesimo del fuoco a Monte Lungo in Campania. L’attacco non riuscì a conseguire l’obiettivo prefissato e fu ripetuto, questa volta con successo, il 16 dicembre con il supporto degli americani. Alla fine di gennaio 1944, il comando dell’unità operativa fu assegnato al generale Umberto Utili che il 31 marzo la guidò in un’altra battaglia importante della Campagna d’Italia quella di Monte Marrone della catena montuosa delle Mainarde al confine tra Lazio e Molise. Dopo i successi di Monte Lungo e di Monte Marrone gli Alleati autorizzarono la trasformazione del 1° Raggruppamento Motorizzato in una unità più consistente. Il 18 aprile 1944 nasceva il Corpo Italiano di Liberazione (C.I.L.) con una consistenza di 25.000 uomini, espressione della ferma volontà del Regno del Sud di impegnarsi al fianco degli Alleati contro i tedeschi. Il C.I.L. operò prima sulle Mainarde, inquadrato nel Corpo di Spedizione Francese, poi sul litorale adriatico alle dipendenze del V Corpo d’Armata britannico. Negli stessi giorni in cui il generale Utili assumeva il comando del 1° Raggruppamento Motorizzato il VI Corpo d’Armata americano sbarcava a sud di Roma tra Anzio e Nettuno. I tedeschi furono sul punto di ricacciare in mare gli Alleati i quali impiegarono più di quattro mesi prima di riuscire, il 4 giugno 1944, ad entrare a Roma distante solo una cinquantina di chilometri.

Il C.I.L. nel 1944 affrontò tre cicli operativi risalendo la penisola dal Sangro al Metauro. Il primo ciclo lo possiamo inquadrare nel periodo 18-31 maggio, nella zona delle Mainarde come detto. Il secondo dal 1° giugno al 16 agosto nel settore adriatico che si concretizzò in una avanzata di 350 chilometri. Nei giorni dall’8 all’11 giugno il C.I.L. liberò Chieti, successivamente raggiunse l’Aquila e Teramo, città sgomberate dai tedeschi poche ore prima dell’arrivo delle avanguardie italiane. Il 17 giugno passò alle dipendenze del Corpo d’Armata polacco; il giorno seguente venne liberata Ascoli Piceno, il 30 giugno Macerata. Nel periodo 6-9 luglio si svolse la battaglia di Filottrano propedeutica alla liberazione di Ancona che avvenne il 18 luglio. Il terzo ed ultimo ciclo, 17-31 agosto, fu caratterizzato dallo spostamento dei settori di combattimento verso la media ed alta collina marchigiana; tra il 28 ed il 30 agosto furono liberate Urbino e Pegli ove il C.I.L. concluse la sua attività operativa[7] ed il 24 settembre fu sciolto. Dai suoi reparti fu avviata la costituzione dei Gruppi di Combattimento «Legnano» e «Folgore» a cui si sarebbero aggiunti i Gruppi “Cremona”, «Friuli», «Mantova» e «Piceno», tutti armati ed equipaggiati con materiale inglese. Il 31 luglio 1944, infatti, la Commissione Alleata di Controllo aveva autorizzato la preparazione di sei Gruppi di Combattimento, unità di livello divisionale con un organico di circa 9.500 uomini. Il Gruppo di Combattimento «Piceno» fu trasformato in centro di addestramento complementi e pertanto non prese parte ai combattimenti. Dei cinque gruppi operativi, quattro: il «Cremona», il «Friuli», il «Folgore» ed il «Legnano», furono impiegati in combattimento nel periodo 14 gennaio –                                                          23 marzo 1945 mentre il «Mantova» rimase in riserva. Gli Alleati vi inserirono delle unità di collegamento, le British Liaison Units (B.L.U.), che avevano il duplice compito di facilitare tecnicamente le comunicazioni tra comandi anglo-americani ed italiani e controllare l’operato di questi ultimi verso i quali nutrivano ancora scarsa fiducia. Successivamente, di fronte all’impegno, al valore ed al sacrificio dei soldati italiani queste riserve furono spazzate via lasciando il posto ai più ampi attestati di stima ed amicizia da parte degli Alleati.                ...............................................................................................                        All’inizio del 1945 la sconfitta della Germania appariva ormai inesorabile. La Campagna d’Italia volgeva al termine ed uno degli obiettivi principali era quello di impedire, in vista del dopoguerra, che i tedeschi distruggessero ciò che di ancora efficiente era rimasto dell’apparato industriale nel nord Italia. Il piano alleato prevedeva di sfondare le difese della linea Gotica con una manovra a tenaglia su Bologna, l’infiltrazione rapida di truppe nel cuore della Valle Padana ed una contemporanea puntata offensiva su Venezia, Trieste, La Spezia e Genova. L’offensiva venne lanciata il 9 aprile 1945, preceduta da un intensissimo bombardamento di artiglieria ed aereo. Le difese tedesche, fisse ed ancorate al terreno, furono investite e travolte in più punti. Il 21 aprile Bologna fu raggiunta dalle unità polacche e dai Gruppi di Combattimento, la rotta tedesca assunse proporzioni sempre più gravi. Il 30 aprile gli Alleati entrarono a Torino, Milano e Venezia, due giorni dopo a Trieste. La progressione degli Alleati e la contemporanea convergenza di tutte le forze insurrezionali che liberarono le grandi città prima dell’arrivo degli anglo-americani, impedì la temuta distruzione generale minacciata dai tedeschi di ogni infrastruttura economicamente utile. L’annuncio della resa di tutte le forze tedesche in Italia, firmata il 29 aprile, fu annunciata il 2 maggio. La Campagna d’Italia terminava sei giorni prima della fine della guerra in Europa, convenzionalmente fissata l’8 maggio con la firma a Reims della resa generale tedesca, e una settimana dopo la fine della Guerra di Liberazione, conclusasi il 25 aprile nel giorno in cui il Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia proclamava l’insurrezione generale. Il senso della Campagna d’Italia vista dagli Alleati è racchiuso nelle parole del Generale Alexander: «Quali che siano le valutazioni che possono farsi sull’importanza della Campagna, esse vanno espresse non in termini di terreno conquistato, poiché il terreno non era vitale, nel ristretto senso della parola, né per noi né per il nemico, ma considerando le conseguenze che essa ebbe sulla guerra nel suo complesso. Le armate alleate in Italia non vennero impegnate contro le principali armate nemiche, e i loro attacchi non furono diretti, come lo furono quelli degli alleati a ovest e dei russi ad est, contro il cuore della Patria tedesca e i centri nevralgici dell’esistenza nazionale della Germania. Il nostro ruolo fu subordinato e preparatorio. Dieci mesi prima che da ovest venisse lanciato il grande assalto, la nostra invasione dell’Italia, all’inizio condotta con forze molto moderate, attirò in quelle remote regioni truppe che, se impiegate in Francia, avrebbero potuto far pendere la bilancia dall’altra parte. Col progredire della Campagna, un sempre crescente numero di forze tedesche affluì a contrastarci il passo. I supremi amministratori della strategia alleata ebbero sempre cura di provvedere affinché le nostre forze non superassero mai il minimo necessario a consentire di assolvere i nostri compiti; durante quei 20 mesi, non meno di 21 divisioni vennero sottratte al mio comando a beneficio di altri teatri d’operazioni. I tedeschi non operarono detrazioni paragonabili alle nostre. Tranne che per un breve periodo della primavera del 1944, essi ebbero in Italia un numero di formazioni sempre superiore al nostro, e noi sapemmo fare così buon uso di quel breve ed eccezionale periodo che nell’estate del 1944, il momento critico della guerra, i tedeschi furono costretti a dirottare otto divisioni verso il nostro teatro d’operazioni secondario. A quel tempo, quando l’importanza del nostro contributo strategico aveva raggiunto il suo punto massimo, 55 divisioni tedesche furono inchiodate nel Mediterraneo dalla minaccia, effettiva o potenziale, costituita dalle nostre armate in Italia. I dati comparati sulle perdite ci dicono la stessa storia. Da parte tedesca, esse ammontarono a 536.000 uomini. Le perdite alleate furono 312.000 uomini. La differenza è ancora più notevole se si considera che fummo sempre noi ad attaccare. Quattro volte effettuammo quella che è la più difficile operazione della guerra, uno sbarco anfibio. Tre volte lanciammo un’offensiva preordinata con la forza di un intero gruppo di armate. In nessun’altra parte di Europa i soldati affrontarono un terreno più difficile e avversari più decisi. La conclusione è che la Campagna d’Italia assolse la sua missione strategica».

 

 

 



[1] All’interno del Partito Nazionale Fascista si era creata una fronda che faceva capo a Ciano, Grandi e Bottai.

[2] Il piano Alarico a sua volta prevedeva una serie di specifiche operazioni: Schwarz, occupazione e controllo dei principali nodi stradali e ferroviari; Achse, occupazione della base navale di La Spezia; Student, occupazione di Roma e cattura del governo; Eiche, liberazione di Mussolini.

[3] L’operazione Husky,  iniziata il 10 luglio 1943, terminò il 16 agosto con l’ingresso degli Alleati a Messina.

[4] Milano fu bombardata da 916 bombardieri della RAF i quali sganciarono 4.284 tonnellate di bombe su tutta l’area della città nelle notti dell’8, del 13, del 15 e 16 agosto 1943. Fu colpito il 50% degli edifici; le vittime furono 2.000 ed oltre 250.000 gli sfollati. I principali monumenti milanesi furono semidistrutti, il teatro La Scala fu centrato in pieno da una bomba di grosse dimensioni.

 

[5] Secondo l’Istituto Centrale di Statistica, i morti civili per bombardamenti aerei furono 18.376 dal 10 giugno 1940 al 7 settembre 1943 e 41.420 dall’8 settembre 1943 al 25 aprile 1945.

 

[6] Il 4 giugno 1944, con la liberazione di Roma, si concluse la breve parentesi del Regno del Sud.

 

[7]Complessivamente il Corpo Italiano di Liberazione nel periodo aprile-agosto 1944 ebbe 377 caduti e 880 feriti.