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giovedì 28 febbraio 2013

1. La Prima Guerra Mondiale: caratteristiche e peculiarità


Di seguito cinque paragrafi della Relazione tenuta al convegno "La Grande Guerra" svoltosi a Rimini il 17-18 ottobre 2008.
Dopo aver tratteggiato il carattere saliente della I Guerra Mondiale, si indicano a)  il concetto dello "stallo tattico", b) Il fallimento dell'Offensiva, c) La evoluzione della Dottrina, d ) come si cercò di porvi rimedio. 


(Questo materiale pubblicato vuole anche essere un omaggio ed un pensiero all'amico Ettore Tosi Brandi, uomo d'arme che  si distinse tra gli incursori e le forze speciali, che  l'anno scorso una repentina quanto inesorabile malattia lo ha sottratto a noi)

2. La strategia si annulla e la manovra, combinazione del movimento e del fuoco, si azzera


3. La tecnologia annulla le concezioni napoleoniche dell'attacco.


4. L'ecatombee di uomini impone nuove concezioni


5. I Guerra Mondiale: come si cercò di porre rimedio allo stallo tattico


Occasional papers n.4 Prima Guerra Mondiale.


Perché la I Guerra Mondiale è una Guerra Risorgimentale
Ovvero
La I Guerra Mondiale si può considerare come la guerra conclusiva del processo unitario italiano?
Le ragioni che spingono a dare una risposta positiva possono essere individuate nelle seguenti:

  1. L’Italia nel 1914 rifiutò, attraverso l’azione del suo Ministro degli Esteri, ogni concessione di Vienna volta ad acquisire la neutralità italiana. Impegnata nei Balcani contro la Serbia e successivamente in Oriente a fianco della Germania, l’Austria non aveva le forze per sostenere un terzo fronte nei sui confini meridionali. L’Italia, nella crisi del luglio 1914, generata dall’attentato di Sarajevo, rimase neutrale, sottolineando che gli impegni della Triplice erano ormai scaduti e questi impegni erano solo di carattere difensivo. L’Austria, invece, attaccò la Serbia per vendicare l’assassinio del principe ereditario. La conseguenza fu che l’Italia rimase, nel 1914 neutrale. Rinnovate le offerte di Vienna, in cambio di neutralità all’inizio del 1915, l’Italia rispose che non poteva accettare altro che il raggiungimento dei suoi confini naturali, ovvero Trento e Trieste e tutti i territori di lingua italiana ancora soggetti all’Austria. Si sottolineò che lo scopo primario era quello di completare l’opera risorgimentale iniziata nel 1848 ( nel 1859 fu strappata all’Austria la Lombardia con Milano, nel 1866, il Veneto con Venezia). Nelle trattative, le ulteriori offerte di Vienna non giunsero a tanto e vi fu la rottura. Questa fu la premessa del Patto di Londra dell’Aprile del 1915, nel quale si assicurava all’Italia, qualora fosse scesa in guerra, il possesso di tutti i territori con popolazione italiana soggetti all’Impero Austro-Ungarico. E fu la guerra all’Austria. ( Noi dichiarammo guerra all’Austria nel 1848, nel 1859, nel 1866 e nel 1915) Tutta la propaganda italiana, a fronte delle accuse austriache di tradimento e di “giri di valzer italiani”, fu incentrata sulla acquisizione di Trento e Trieste e dei territori con popolazione italiana, ovvero concludere il processo unitario nazionale italiano. Tutti gli italiani, tutta la Nazione Italiana doveva essere entro lo Stato Italiano. Quindi la guerra che fu definita mondiale per l’Italia si conbattè per questo scopo unitario e nazionale.
  2. All’indomani della Presa di Roma, nel 1870, ma anche nel 1861, al momento della proclamazione del regno d’Italia il 17 marzo, era in vigore, dati i tempi estremamente rapidi della unificazione (1859 e soprattutto il 1860, anno che si può definire “mirabilis” per il processo unitario italiano) l’asserzione che “Fatta l’Italia, occorreva fare gli Italiani” era il tema centrale dibattuto . Nei cinquant’anni successivi molti sono stati i momenti in cui si era sull’orlo di compromettere il processo unitario proprio perché gli italiani erano diversi tra loro e molti non accettavano l’unificazione. Molti erano nostalgici dei Borboni, e dell’Austria ( il concetto ricordato era L’Austria Felix) molti del Papa re. Altri vedevano in Casa Savoia l’espressione delle sole classi capitalistiche e borghesi: tassa sul Macinato, rivolte sociali contadine, fallimento della politica coloniale con Dogali ed Adua,  Bava Beccarsi e la repressione violenta a Milano nel 1896, il regicidio di Umberto I nel 1900, l’opposizione alla guerra di Libia, la settimana rossa in Ancona e nelle Romagne, portavano ancora in discussione il principio della unificazione italiana. Con la fine della Prima Guerra Mondiale e la vittoria, questo ebbe termine: gli Italiani acquisirono il concetto di appartenenza, a prescindere dalle classi sociali ad uno Stato. La ragione è nelle tragedie e nei sacrifici della  guerra mondiale. Dopo il disastro di Caporetto, con il proclama dell ‘11 Novembre 1917 nel quale Vittorio Emanuele III prometteva ad un esercito di contadini, in caso di vittoria, “la terra”, ovvero la tanto sospirata riforma agraria, contro il latifondismo e la mezzadria, trasformò un esercito in fuga in un baluardo insormontabile. La battaglia di Arresto del novembre 1917 la battaglia del Solstizio del giugno 1918 e Vittorio Veneto sigillarono la volontà di tutti di vincere per una Italia in cui si riconoscevano tutti gli Italiani. Ecco, quindi, che la guerra mondiale ha “creato”, nel sacrificio e nel sangue, gli Italiani uniti, scopo centrale del risorgimento italiano.
Queste principali due ragioni, con altre secondarie, possono permettere di dare una risposta positiva alla domanda posta. La Prima Guerra Mondiale per noi Italiani è una guerra risorgimentale, combattuta contro il “nemico ereditario” lo stesso delle guerre dell’ottocento, che era fermo nella sua volontà di non permettere l’unificazione italiana, una volontà che nasceva dal 1815 quando Metternich considerava, con tutta l’Austria, l’Italia una semplice espressione geografica. Ci sono volute guerre su guerre per vincere questa volontà e quindi creare, con la forza della armi, l’Italia.
Di contro dal 1918, scomparsa l’Austria, e venuti meno i residui dei simpatizzanti degli Stati PreUnitari, l’unità italiana non è più messa in discussione, tanto che l’unità stessa riuscì ad essere mantenuta nonostante la crisi armistiziale del 1943 e la guerra perduta. Oggi solo gli italiani possono mettere in discussione l’Unità del loro paese, non minacce sterne.

Infine, per sottolineare la risposta positiva al quesito posto ci si chiede. Perché è stata combattuta la I Guerra Mondiale?  10 italiani su 10 rispondono Trento e Trieste?

Syllabus La Seconda Guerra Mondiale



STORIA MILITARE E DOTTRINE STRATEGICHE

SYLLABUS

Lezione DS ST6
La Seconda Guerra Mondiale 1939 1945

Argomento: La seconda guerra mondiale: Piani,obiettivi e forze impiegate.
                      Piani: Correlazione tra l’invasione della Russia di Napoleone (1812)
                      e di Hitler (1941)


Obiettivi da Raggiungere:
Gli obiettivi che si devono perseguire nel corso della lezione, che si ricollegano ai temi precedentemente trattati riflettenti il pensiero napoleonico, sono i seguenti:
·       Familiarizzazione con il metodo storico: Guerra classica, Premessa; Belligeranti. Le origini del conflitto.  Situazione generale:  La Situazione Particolare. L’ambiente operativo. I piani operativi Gli Avvenimenti: le operazioni terrestri., aeree e navali;  Considerazioni finali. Ammaestramenti: considerazioni finali riferite all’epoca del conflitto. Gli ammaestramenti di valore attuale.
·       Dare un quadro generale delle linee evolutive della Seconda guerra mondiale: la guerra in Europa centrale, la Guerra in Africa settentrionale, la Guerra nei Balcani, la “mondializzazione” del 1941, la Guerra nel Pacifico e nel Subcontinente indiano
·       Focalizzare l’attenzione su alcuni punti: piani, obiettivi e forze impiegate da chi aveva l’iniziativa strategica nel 1939/1943.
·       Indicare gli obiettivi e le forze impiegate dall’Italia nei suoi principali teatri. Quello nord africano e quello sovietico.
·       Mettere le premesse per spiegare i motivi che portarono l’Italia alla crisi armistiziale del 1943
·       Confrontare due piani generali a distanza di tempo. La’invasione della Russia da parte di Napoleone (1812) e quella di Hitler (1941)


2)    Contenuti
I contenuti della lezione sono:
Si toccheranno i seguenti punti, che concorrono a illustrare e motivare l’argomento proposto:


1.     La guerra degli altri 1939-1940
2.     L’entrata in guerra dell’Italia 10 giugno 1940
3.     La  guerra in Africa Settentrionale  1940-1941
4.     L’attacco alla Grecia  28 ottobre 1940
5.     La campagna in Jugosloavia
6.     Il Csir e l’Armir 1941-1942
7.     La Guerra in Africa Settentronale 1942
8.     La Ritirata in Russia
9.     La campagna di Tunisia
10.  La Perdita della Sicilia e le premesse per l’armistizio


11.  Il Piano di Napoleone per l’invasione della Russia  1812
12.  Il Piano di Hitler per l’invasione della Russia  1941
13.  Correlazioni




3)    Domande che è opportuno farsi

1.     Perchè l’Italia è entrata in guerra nella seconda guerra mondiale?
2.     Il piano di Napoleone poteva funzionare, date le premesse?
3.      Il Piano di Hitler poteva funzionare, date le premesse?


4)    Riferimenti

 1. Documenti annessi[1]
    1. Occasional Papers [2]
    2.  
    3.  
  1. Letture consigliate[3]

    1. Nigel Nicolson, Napoleone in Russia. 1812: Il tramonto di un sogno imperiale, Milano, Rizzoli, 1987
    2. Giuseppe Inaudi, La notte più lunga, Roma, Ministero della Difesa, Stato Maggiore dell’Esercito, Ufficio Storico, 1979






[1] I Documenti annessi sono sintesi di punti essenziali della Lezione. Servono per ampliare i concetti  che non possono essere, per evidenti limiti oggettivi, esplicati nella Lezione Frontale. La loro lettura potrebbe essere utile qualora sorgessero dei punti interrogativi o domande, o curiosità  alle quali non è stato possibile rispondere in Aula.
[2] Le occasional papers di questa lezione sono molteplici. Si consiglia di visitare i seguenti blog: www.coltrinaristoia militare.blogspot.com,
[3] Le letture consigliate sono facoltative. Servono per approfondire ed  allargare gli orizzonti e rappresentano una nota aggiuntiva alle Lezioni Frontali, nella prospettiva di un aggiornamento, una volta terminato il corso. 

Applicazione del Metodo storico


Esempio.
Accertamento di Storia Militare  15° Corso

La Campagna di Polonia nel 1939.

La Dottrina di Impiego della Germania
La tecnica della Blitzkrieg


I Fase


La fanteria da posizione tiene impegnati i difensori lungo tutto l’arco del fronte e predispone cortine fumogene per proteggere e mascherare i movimenti delle forze corazzate attaccanti.
I bombardieri fungono da artiglieria a lunga gittata per isolare il campo di battaglia, interrompendo le linee di rifornimento dei difensori e riducendo al silenzio l’artigleria, in questo caso quella polacca.

L’avanguardia corazzata, affiancata da genieri e da forze e da truppe d’assalto avanzano verso il primo ostacolo: in questo caso un fiume. Protette da cortine fumogene e dall’azione dell’artiglieria e dei bombardieri concentrata sulla prevista testa di ponte, le truppe d’assalto attraversano il fiume su canotti mentre i genieri allestiscono un ponte di barche. Sulle zone che si trovano alle spalle dei difensori possono essere lanciate truppe paracadutiste per scompaginare le retrovie, creare confusione, disorientare  e cercare di concorrere a determinare il crollo dei combattenti presenti nella individuata testa di ponte.

2.Fase
Le truppe d’assalto e le squadre di guastatori distruggono, quando è possibile, i capisaldi ed allargano la testa di ponte, cosicché le forze corazzate, attraversato il fiume, vi passano indenni negli intervalli. La fanteria e l’artiglieria seguono le forze corazzate eliminano le resistente residue e proteggono i fianchi. I bombardieri sgombrano il terreno davanti alle forze corazzate e proseguono gli attacchi alle linee di comunicazione ed alle riserve.

3 Fase
Le avanguardie corazzate, formato un varco nelle linee difensive, si aprono a ventaglio ed aggirano i capisaldi residui della difesa. Alcune impegnano il nemico alle spalle finchè sopraggiunge la fanteria motorizzata; il grosso delle forze corazzate occupa i più importanti nodi stradali e ferroviari, paralizzando le unità logistiche e di sostegno. Il grosso della fanteria attraverso il fiume quando i difensori sono ormai demoralizzati per il caos creatosi alle loro spalle. Si deve ad ogni costo tentare di catturare o accerchiare i difensori evitando che essi possano ripiegare.


4 Fase

Le prime tre fasi sono state attuate a certi intervalli, l’ungo l’intero fronte: le avanguardie ora penetrano ora in profondità, nel territorio nemico, puntando sulle città e sui centri più importanti: la fanteria motorizzata la segue per mantenere la sicurezza delle comunicazioni e neutralizzare i capisaldi nemici che ancora resistono: anche la fanteria di linea (appiedata) avanza, essa ha il compito di rastrellare il campo di battaglia, raccogliere gli sbandati ed i prigionieri, eliminare le sacche di resistenza, ovvero rendere in sicurezza il territorio nemico conquistato. La fanteria in seconda linea avanza partendo dalle primitive posizioni con il compito di proteggere l’organizzazione logistico di sostegno per le unità avanzate.


La dottrina tedesca era questa. Nella sua fase applicativa questi principi furono applicati al piano operativo germanico. Per la campagna di Polonia il piano operativo tedesco aveva come obbiettivo la distruzione delle forze armate polacche nel più breve tempo possibile, mediante un attacco concentrico mosso, a sud-ovest dalla Slesia e a nord dalla Pomerania e dalla Prussica orientale con obbiettivo Varsavia.

Nei primi cinque giorni, le forze tedesche avevano già spezzato il cordone di truppe polacche schierate lungo il confine ed avanzavano verso i  loro obbiettivi. . Tutto procede secondo i canoni della dottrina, quanto le armate meridionali erano destinate ad andare incontro ad una grossa sorpresa.

Quello che poi sarà definita la battaglia della Bzura. L’attacco polacco del 9 settembre, unica mossa controffensiva dell’esercito polacco in tutta la campagna, condotto in modo vigoroso e su vasta scala. Il comando polacco portò il colpo sul centro dello schieramento tedesco che stava svolgendo una limitata azione. Resisi conto della situazione e del pericolo che tutto poteva essere compromesso, i responsabili tedeschi, von Rundstedt e von Manstein, allontanandosi dalla dottrina, ed agendo d’iniziativa, fecero compiere alle loro forze corazzate una diversione e portando avanti le riserve, impegnandole, e diedero vita ad una battaglia, su un fronte ristretto, e riuscirono ad avere ragione e riprendere poi le linee dottrinali del piano, determinando l’andamento positivo della campagna. 

venerdì 22 febbraio 2013

L'argomento scelto: La campagna nelle Marche. 1860 Occasional papers n. 3

OCCASIONAL PAPERS N. 3

L’avvenimento scelto. La spedizione nelle Marche Settembre 1860.

L’avvenimento scelto è la spedizione nelle Marche del settembre 1860 da parte delle forze sarde al Comando del Generale Manfredo Fanti. Come appare subito evidente è una parte ridotta di un grande quadro. Il quadro generale è composto dagli avvenimenti del 1859 e 1860, i noti e indimenticabili “anni mirabilis” durante il quale si forma e si attua l’unità dell’Italia sotto Casa Savoia. Dal punto di vista della ricostruzione militare sono veramente interessanti. Tutta la campagna del 1859, la sua fine improvvisa, il momento di stasi seguito alle dimissioni del Cavour, il suo ritorno, la spedizione dei Mille in Sicilia e gli avvenimenti nelle marche e nell’Umbria con la presa di Ancona, la battaglia del Volturno e l’incontro a Taverna Catena tra Vittorio Emanuele II e Giuseppe Garibaldi, vicino Teano con i plebisciti, sono  i fatti salienti di questi anni straordinari. Volere applicare in modo approfondito un solo punto,anche in maniera ridotta, del Metodo Storico a questi avvenimenti avrebbe prodotto un volume troppo “pesante” con il rischio di fallire l’intento. E’ stato quindi necessario ridurre ad un segmento particolare questi avvenimenti.
Si è scelto la spedizione nelle marche nel settembre 1860, con accenni necessari diretti ed indiretti alle concomitanti operazioni in Umbria.
La spedizione nelle Marche è la diretta conseguenza dell’iniziativa garibaldina che va sotto il nome di spedizione dei 1000[1]. Il 5 maggio 1860, 1085 Garibaldini salparono da Quarto, vicino Genova, con direzione la Sicilia; sbarcati a Marsala l’11 e sconfitte le truppe borboniche a Calatafimi il 15, con tappe molto ravvicina, coinvolgendo la popolazione conquistarono in breve tutta la Sicilia, e, ai primi di settembre, passato lo stretto di Messina, risalirono la CAlabria giugendo con le avanguardie Napoli, ove Garibaldi il 7 settembre fece il suo ingresso trionfale.
Di fronte a questa situazione, Cavour, da sempre contrario all’impresa, che inizialmente cercò di ostacolare ed impedire, promosse un movimento inserruzionale controllato dai moderati a Napoli in funzione antigaribaldina ed anti mazziniana, che fallì. Di fronte al pericolo di una costituzione di una Repubblica ad impronta democratica a Napoli, Cavour decise[2] di far intervenire l’esercito sardo, col triplice scopo di occupar e le due provincie pontificie ed avere quindi la possibilità di scendere a sud, bloccare ogni possibile sviluppo del’iniziativa democratica che aveva preso slancio dai successi di Garibaldi e consolidare definitivamente le stesse conquista garibaldine inevitabilmente esposte alla reazione e riscossa del re di Napoli.
Si passava alla guerra.  Nella stesura del piano operativo, ove subito si accantonò l’idea di inviare truppe al sud via mare, si scelse l’opzione di occupare  l’Umbria e le Marche, soprattutto Ancona, che permetteva di avere una base navale in Adriatico. Fanti ricevette il Comando della spedizione. Le truppe destinate all’invasione furono ordinate su due Corpi d’Arma a, il IV, messo la Comando del generale Cialdini,raccolto intorno a Rimini ed il V, messo al comando del generale Morozzo della Rocca, raccolto nell’area Arezzo San Sepolcro.
Le forze d’invasione  consistevano  in 35.000 ordinati in 5 Divisioni, con 78 cannoni da campagna, di cui 33.000 come Fanteria e 2500 come Cavalleria
Il IV Corpo d’Armata ave a la 4a Divisone ( al comando del generale Pes di Villamarina) la 7a Divisione (al comando del generale Leotardi) e la 13a divisione (al comando del generale Cadorna); Il V Corpo d’Armata aveva la 1a Divisone (al comando del generale de Sonnaz) e la divisione di riserva ( al comando del generale de Savoiroux)
A queste forze si affiancavano le forze volontarie, come la Colonna Masi, composta per la maggior parte da esuli romani, i Cacciatori delle Marche, che operarono nel fermano, ed altre formazioni minori di patrioti che operarono nell’alto Montefeltro.
La flotta sarda, al comando dell’Ammiraglio Carlo Pellion di Persano, doveva cooperare con le forze di terra ed entro in Adriatico il 15 settembre. 
La raccomandazione del Cavour a Fanti era chiara “condurre le operazioni militari in guisa da evitare ogni apparenza di collisione colle truppe francesi” e di comportarsi in modo “che la nostra condotta sia tale, da poter essere sempre giustificata se non presso la diplomazia, almeno presso l’opinione pubblica”
Le forze pontificie erano al comando del generale De La Moricière, ed assommavano a circa 16.000 uomini; molto composita la provenienza di questi uomini, solo un quarto provenivano dalla provincie della Chiesa, ovvero erano italiani, denominati “indigeni”, il rimanente erano francese, belgi, svizzeri, austriaci, irlandesi austriaci e tedeschi. Il grosso dell’esercito pontificio del 1860 era composto da Fanteria, principalmente di linea, con specialità bersaglieri, tiragliatori e volteggiatori; carente l’artiglieria da campagna, che assommava a 30 pezzi operativi, e la cavalleria, non più di 500 uomini, compresi i Gendarmi a cavallo. La qualità di queste forze era carente per il fatto che avevano avuto un addestramento mirato al controllo del territorio ed antiribellione più che ad affrontare situazione, come si diceva allora “di campagna”
Erano ordinate su quattro brigate, con Quartier Generale a Spoleto. La 2a Brigata (al comando de generale de Pimodan) era a Terni; al 1a Brigata ( al comando del generale Schmidt) a Foligno; la Brigata di Riserva ( al comando del gen. Cropt) a Spoleto e la 3a brigata ( al comando del generale de Courthen) a Macerata. Inoltre le principali piazzeforti ( Roma e Ancona) e quelle minori (Pesaro, Fano, Orvieto, Viterbo, Spoleto, Paliano, Civitacastellana) erano occupate dalle rispettive guarnigioni.
Anche i pontifici avevano le loro forze volontarie: una colonna nell’ascolano al comando del cap. Chevignè ed una colonna anch’essa irregolare fra Frosinone e Velletri al comando del ten.col. Mortillet.[3]

L’11 settembre 1860 la campagna ebbe inizio. In contemporanea si svilupparono azioni sulle due direttrici, quella umbra e quella marchigiana: Morozzo della Rocca occupò subito Città di castello e Cialdini, passato il confine alla Cattolica, investì subito Pesaro e subito dopo Fano, mentre la 13a Divisione, che operava anche come collegamento tra i due Corpi d’Arma avanzando lungo la dorsale appennica, occupava Fossombrone.
Il 13 settembre sempre la 13a Divisione occupava Gubbio; contemporaneamente la 1a Divisione investiva Perugia, che fu occupata il 14 sera.
Cialdini, superata Fano raggiunse la sera del 14 Senigallia.
Il 15 settembre Morozzo della Rocca raggiunse Foligno e inviò una colonna al comando del generale Brignone verso Spoleto che fu conquistata il 17, e proseguì verso Terni, Narni, Rieti raggiunte nei giorni successivi. Con queste occupazioni il controllo della strada proveniente da Roma era assicurato, consentendo l’accesso al meridione attraverso l’Aquila. Già dalla giornata del 18 settembre il Comando sardo aveva la via aperta verso sud; questo è estremamente importante per comprendere nella loro reale dimensione i fatti che si stavano svolgendo in contemporanea nelle Marche.
Cialdini il 15 settembre, onde evitare di avvicinarsi troppo sotto le mura della piazzaforte di Ancona, da Senigallia prese la strada dell’interno ed attraverso Jesi, Torre di Jesi, e raggiungendo Osimo il 16, dando origine a quella manovra di interposizione volta ad intercettare in campo aperto le forze pontificie in movimento dall’Umbria verso Ancona. Il giorno successivo occupò la dorsale da Osimo verso il Mare con a destra la vallata del fiume Musone, occupando Castelfidardo e le Crocette, ovvero controllando la strada postale Roma Ancona
Il De La Moricière, colto alla sprovvista da questa invasione da nord, l’11 settembre è costretto a rivoluzionar ei suoi piani. Perde due giorni in preparativi, poi tutte le forze operative, circa 8500, vengono indirizzate verso Ancona. L’intento principale e quello di rinchiudersi nella piazzaforte dorica, resistere il tempo necessari per far intervenire le Potenze amiche della Santa sede, soprattutto l’Austria. Alle 24 del 12 settembre le truppe pontificie in Umbria iniziarono il movimento verso Ancona: la Brigata Cropt da Foligno via Colfiorito per Serravalle, la Brigata de Pimodan da Terni a Spoleto. Alla sera del 13 la Brigata Cropt era a Serravalle mentre quella de Pimodan raggiungeva Foligno e si apprestava il girono successivo a passare gli Appennini sempre per il passo di Colfiorito. Nel prosieguo le forze pontificie raggiunsero prima Macerata e poi il 16 settembre Loreto, ove tutte si riunirono nella giornata del 17. [4]
La situazione tattica alla sera del 17 settembre riferita alle marche era la seguente:
Il IV Corpo d’Armata era attestato sulla Dorsale Osimo Castelfidardo – Crocette fino al mare, e sbarrava la strada per Ancona; aveva forze orientate verso Nord, cioè verso Ancona; di fronte aveva sulla dorsale Recanati-Loreto fino al mare le forze Pontificie.
Queste, riunitesi tutte a Loreto avevano come scopo il raggiungimento di Ancona e dovettero per questo dare battaglia.
 Il piano del de La Moricière fu brillante nella concezione ma eseguito male.
 Il 18 settembre scesero da Loreto e diedero battaglia alle forze contrapposte sarde: è lo scontro detto di Castelfidardo del 18 settembre in cui furono sconfitte. Il giorno dopo, 19 settembre, quelli che si erano ritirati a Loreto, si arresero al Cialdini; ad Ancona arrivarono non più di 100-150 uomini, compreso il comandante in Capo generale de La Moricière.[5] 
Tra il 20 ed il 22 settembre Morozzo della Rocca, che già dal 17 aveva iniziato a dirigersi su Ancona dall’Umbria sempre attraverso il passo di Colfiorito, però attivamente tra Macerata ed Ascoli reprimendo su ordine di Fanti alcuni tentativi di rivolta sanfedista nelle campagne.[6]
Pur avendo libera la strada verso il sud, tutte le forze sarde furono radunate e lanciate all’investimento di Ancona. Il piano fu elaborato dal Fanti dopo una ricognizione lungo la costa svolta a bordo di una nave della squadra navale. L’offensiva principale sarebbe stata lanciata sulla destra, in prossimità del mare, dal V Corpo d’Armata, mentre il IV avrebbe operato sulla sinistra e la Squadra Navale avrebbe bombardato energicamente il fronte marittimo della Piazza. Le operazioni contro Ancona dovevano essere brevi  in quanto un lungo assedio sarebbe stato “inopportuno per ragioni politiche”[7]
L’investimento della piazzaforte ebbe inizio il 23 settembre con la dichiarazione del blocco navale, il 24 le truppe sarde serrano sotto; in una mattinata furono conquistate Pietralacroce, Monte Polito e Monte Pelago in virtù di una viguorsa azione delle truppe del della Rocca che iniziaroo a scendere lungo la valle degli Orti;  il 26 settembre cadde il Borgo Pio ed il giorno successivo il Lazzaretto. Il 28 settembre le forze di terra erano in grado di dare l’assalto finale con la scalata delle mura; l’azione della flotta contro il forte della Lanterna, che saltò in aria, fece crollare tutta la difesa a mare.
A questo punto il De La Moricière, che aveva resisto per oltre dieci giorni in Ancona in attesa dell’arrivo delle forze austriache, avendo tutte le comunicazioni funzionanti comprese che era stato abbandonato a se stesso e decise di arrendersi. La resa fu firmata il 29 settembre.[8]
Il bilancio della campagna era positivo in ogni suo aspetto:in 18 giorni le truppe sarde avevano conquistato 5 città murate, 2 roccaforti ed una piazzaforte come Ancona,oltre ad avere disperso in campo aperto tutte le forze operative pontificie
Questo il segmento del quadro generale che si propone per l’applicazione, ancorché parziale delpunto del Metodo Storico prescelto.
(tratto da Massimo Coltrinari, Cialdini era in Osimo. Riflessioni sul settembre 1860 nelle Marche. Personaggi, Operazioni. Piani, di prossima pubblicazione.)
Per gentile concessione della Società Editrice Nuova Cultura

[1] Nel 1985 si tenne a Castelfidardo un convegno dedicato a questo avvenimento
[2] Già il 3 agosto 1860 Cavour aveva percepito il pericolo che si andava profilando a Napoli, scrivendo all’ammiraglio Persano: “Onde impedire che la rivoluzione si estenda sul nostro Regno, non avvi ormai che un mezzo solo; renderci padroni senza indugio dell’Umbria e delle Marche” Cfr. Barbieri A., 1860. Il generale Manfredo Fanti” in Rivista Militare, 1960, ‘ag. 365-376
[3] Per dettagli sulle forze pontifici vds Coltrinari M., Le forze armate pontificie a Castelfidardo. 18 settembre 1860, Castelfidardo, Associazione Italia Nostra, 1984
[4] Per dettagli su questi movimenti vds Coltrinari M., Le manovre che determinarono la battaglia di Castelfidardo. 11-17 settembre 1860, Castelfidardo, Associazione Italia Nostra, 1990
[5]Cfr.,  Coltrinari M., Il combattimento di Loreto, detto di Castelfidardo, Roma, Edizioni Nuova Cultura Università La Sapienza, 2009; Bonci G., Il combattimento di Castelfidardo. 18 settembre 1860..in. “Il Secondo Risorgimento d’Italia n. 1 2010
Poggi A., , La Giornata di Castelfidardo. Biblioteca “L.Radoni”, in “Il Secondo Risorgimento d’Italia n. 1 2010
[6]Ben si scorgeva nella vigorosa mano che reprimeva si tosto i germi di una guerra civile, quel tratto sicuro e quella pronta risolutezza che in cotal genere di cose aveva il fanti potuto procacciarsi nelle lunghe guerre combattute nella Spagna”. Cfr. Carandini F., Manfredo Fanti generale d’armata, Verona, 1872
[7] Candeloro G., Storia dell’Italia Moderna, Milano, Feltrinelli, 1958-1968, Volume IV (1849-1860),  pag. 496
[8] Cfr.,Coltrinari,M., L’investimento e la presa di Ancona. La conclusione della campagna di annessione delle Marche 20 settembre – 8 ottobre 1860, Roma, Edizioni Nuova Cultura Università La Sapienza, 2010

Syllabus. Riflessioni sull'insegnamento Napoleonico.Potere moderato e potere progressista:le due anime del Risorgimento: Manfredo Fanti e Giuseppe Garibaldi. L'anno "mirabilis":1860. B3

STORIA MILITARE E DOTTRINE STRATEGICHE
SYLLABUS

Lezione DS ST4
Riflessioni sull’insegnamento napoleonico

Argomento: Potere moderato e potere progressista: le due anime del Risorgimento. Manfredo Fanti e Giuseppe Garibaldi. L’Anno “Mirabilis” il 1860

1)    Obiettivi da Raggiungere:
Gli obiettivi che si devono perseguire nel corso della lezione, strettamente legati al nostro istituto e al futuro dei Frequentatori che diverranno ufficiali di Stato Maggiore
·        Familiarizzazione con il metodo storico: Guerra classica, Premessa; Belligeranti. Le origini del conflitto.  Situazione generale:  I Capi. Gli Stati Maggiori. I Quadri; Le Forze. Terrestri , Navali Gli Avvenimenti: le operazioni terrestri. Situazione Particolare: L’ambiente operativo. I piani operativi; Gli avvenimenti:le operazioni terrestri, le operazioni navali; Considerazioni finali. Ammaestramenti: considerazioni finali riferite all’epoca del conflitto.
·        Presentazione la ricostruzione di un avvenimento militare nella sua completezza
·        Conoscenza di personaggi non di primo piano come protagonisti di grandi avvenimenti
·        Illustrare l’influenza napoleonica su fatti e uomini che contribuirono alla costituzione dell’Esercito Italiano
·        Illustrare le due principali correnti di pensiero ed azione che animarono il nostro Risorgimento
2)    Contenuti
I contenuti della lezione sono:
Dopo un breve accenno alle lezioni precedenti (Gen Manfredi) ed alla nascita dello Stato Maggiore Generale secondo la concezione prussiana di primo ottocento  in riferimento all’oggetto della lezione,  in applicazione del metodo storico si toccheranno i seguenti punti, che concorrono a illustrare e motivare l’argomento proposto:
1.      La ricostruzione di un evento militare: La campagna nelle marche e nell’Umbria del 1860
2.      L’assedio di Ancona: una operazione interforze
3.      L’Italia dal 1815 al 1859
4.      Gli antefatti della campagna
5.      Le Istituzioni Militari Pontificie
6.      I protagonisti, i personaggi, i capi ed i quadri coinvolti nella campagna
7.      Le forze: l’Armata di invasione e l’Esercito Pontifico
8.      Il piano di invasione. Le operazioni. L’azione del IV e V Corpo d’Armata
9.      La Manovra di interposizione del Cialdini e l’azione concorrente della Flotta
10.  Lo scontro di Castelfidardo come premessa all’investimento della Piazzaforte di Ancona
11.  Investimento, assedio e presa di Ancona
12.  Potere moderato e potere progressista: Manfredo Fanti e Giuseppe Garibaldi
13.  Considerazioni e conclusioni

3)    Domande che è opportuno farsi

·        Quali sono i motivi per cui Manfredo Fanti è sconosciuto, nonostante il suo ruolo sia espressione pratica dell’azione mirabile del Cavour?
·        La contrapposizione tra Manfredo Fanti e Giuseppe Garibaldi può rappresentare l’antefatto tra la concezione dell’Esercito di Popolo (Milizia) ed esercito di caserma?
·         Perché occorsero oltre 30 anni per la costituzione in Italia di uno Stato Maggiore dell’Esercito ( 1882)
·        Quali sono stati i reali motivi del successo di questa operazione interforze, esempio mirabile della nostra storia militare?


4)    Riferimenti

 Documenti annessi[1]
    1. Occasional Papners n. 3: L’Avvenimento scelto: la spedizione nelle Marche [2]
    2. Metodo Storico Schema Analitico S1
    3. Metodo Storico Schema Sintetico S2
    4.  
    5.  
  1. Letture consigliate[3]
    1. Coltrinari Massimo, Il Combattimento di Loreto detto di Castelfidardo, 18 settembre 1860 Roma,Università    La Sapienza Edizioni Nuova Cultura, 2009
    2. Coltrinari Massimo, L’investimento e la presa di Ancona, 19 settembre – 3 ottobre 1860Roma, Università la Sapienza, Edizioni Nuova Cultura. 2010      
    3. Virgilio Ilari, Storia del servizio Militare in Italia. La 2Nazione Armata” (1871-1918), Roma,Centro Militare di Studi Strategici, Rivista Militare, Vol. II. 1990
    4. Piero Pieri, Storia Militare del Risorgimento. Guerre ed Insurrezioni, Roma, Commissione Italiana di Storia Militare, 2011






[1] I Documenti annessi sono sintesi di punti essenziali della Lezione. Servono per ampliare i concetti  che non possono essere, per evidenti limiti oggettivi, esplicati nella Lezione Frontale. La loro lettura potrebbe essere utile qualora sorgessero dei punti interrogativi o domande, o curiosità  alle quali non è stato possibile rispondere in Aula.
[2] Le occasional papers di questa lezione sono molteplici. Si consiglia di visitare i seguenti blog: www.coltrinaricastelfidardo1860.blogspot.com, in cui vi è riportata la Bibliografia Ragionata dal 1860 ad oggi; www.Ancona.Lastoria.blogspot.com, per eventuali notizie sulla Piazzaforte dorica e www.storiainlaboratorio.blogspot.com, in cui sono indicati i riferimenti dei volumi (Tomo I e Tomo II)”Ancona l’ultima difesa pontificia di Ancona. 1860
[3] Le letture consigliate sono facoltative. Servono per approfondire ed  allargare gli orizzonti e rappresentano una nota aggiuntiva alle Lezioni Frontali, nella prospettiva di un aggiornamento, una volta terminato il corso.