Cerca nel blog

martedì 30 novembre 2021

Giovanni Messe. Relazione. La Battaglia di Natale Terza Parte

 

b)- Lo svolgimento dell'azione

L'urto dei russi si scatenò alle 6:40 sull'estrema sinistra del fronte della "Celere", investendo successivamente il centro e poi la destra presidiati dal 3° reggimento bersaglieri e da CC.NN della Legione “Tagliamento".

Contemporaneamente, a scopo dimostrativo-impegnativo, due squadroni di cavalleria e una compagnia di  fanteria  attaccavano  il  nostro  caposaldo  avanzato  di  Vessilij, sul  fronte  della “Torino".

L'immediata reazione del presidio, il preciso fuoco di sbarramento dell'artiglieria ed il contrattacco di una compagnia, partita da Junj Komunar, valsero a frenare fin dal principio la spinta dell'avversario che, assai malconcio, fu costretto a ripiegare.

Frattanto nel settore della "Celere" la lotta si faceva sempre più accanita. Travolte le difese esterne, il nemico straripava infrenabile nell'interno delle posizioni dove i presidi, completamente aggirati, resistettero fino all'estremo sacrificio. Rottosi in cento episodi, il combattimento si protrasse per più ore in una successione di assalti, contrassalti all'arma bianca. Gli abitati nei quali il nemico era riuscito ad insediarsi vennero riconquistati da simulacri di compagnie: battaglioni ridotti a pugni d'uomini, che l'insostenibile spallata aveva spinto all'indietro, riguadagnarono metro per metro tutto il territorio di proprio dominio. A sera la linea era quasi tutta ripristinata se si eccettuano i villaggi di Novaja Orlovka e Novopetropavlovskij i cui presidi avevano ripiegato dopo strenua lotta sui blocchi viciniori, e di Ivanovskij il cui margine sud era ancora strenuamente difeso da una retroguardia lasciatavi dal XVIII°  battaglione bersaglieri .

Anche il nemico accusava un forte logoramento e, a parte qualche progresso territoriale, i suoi scopi erano frustrati.

Ed ancor più dover constatare l'inanità del sacrificio che la prova gli era costata allorché, il 26, la "Celere", in concorso coi reparti germanici di riserva posti alle sue dipendenze, passava al contrattacco. La "Torino" impegnava nel contempo le difese avversarie dell'alto Bulavin - Timofejevskij, manovrando in direzione est e cadendo sul fianco di colonne russe che, partite dalla zona di Olichovatka - Kurgan - Ploskij, tentavano di dilagare sull'ala sinistra della "Celere", verso sud, in direzione del Krynka.

Al tramonto la situazione era pressoché al completo pareggiata, tanto che l'indomani, con pochi colpi bene assestati, le ultime isole di resistenza nemiche venivano spazzate via e le nostre truppe potevano di nuovo consolidarsi sulle posizioni, senza che l'avversario potesse vantare un più che modesto risultato.

c)- La nostra controffensiva

Nello stesso giorno 27 dicembre, informato dell'esito favorevole sortito dalle operazioni di contrattacco , il Comando della 1° Armata corazzata ordinò:

- al XLIX° Corpo d'inseguire con la divisione "Celere" il nemico lungo la direzione Ivanovskij - Nikitino fino ad affermarsi sulla linea Grabova - Nikitino compreso;

- al Corpo Italiano di sostenere l'azione della divisione "Celere", in un primo tempo attaccando con obbiettivo la linea Voroscilova - alture a sud-ovest di Olichovatka; poi, approfondendo successivamente la penetrazione in armonia ai progressi della stessa "Celere", fino ad affermarsi sulle alture ad ovest di Nikitino.

La nuova linea di contatto fra la "Celere" e la "Torino" venne fissata al margine est di Novaja Orlovka, margine nord-ovest di Nikitino, margine nord-ovest di Gorodischtsche.

In conseguenza, lo stesso giorno 27, con ordine di operazione n° 51 (allegato n° 61), disponevo l'attacco per il giorno seguente assegnando :

- alla divisione "Pasubio": la fronte Debalzevo - Ilinskaja;

- alla divisione "Torino": la fronte quota 237 - quota 290, gruppo case senza nome circa 2 km. ad ovest di Hf. Nikischin, con obiettivo intermedio Mogila Ostraja, a nord del medio Bulavin, e la fronte quota 301 - quota 311.7.

Lo svolgimento della controffensiva fu caratterizzato da due fasi:

- la prima, il giorno 28, nella quale l'impeto e lo slancio delle truppe attaccanti riuscirono a prendere il sopravvento sul nemico;

- la seconda,  sviluppatasi  nei giorni 29 e 30, durante i quali la forte resistenza ed i violenti contrattacchi con cui i russi reagirono, impedirono di conseguire, dopo rudi ed alterne vicende, ulteriore guadagno.

In particolare :

- la divisione "Celere'', superando il giorno 28 la resistenza avversaria che si appoggiava su quelle stesse posizioni  dalle quali era scattato l'attacco nemico, occupò successivamente Rassypnej, Timofejevskij, e la stazione n° 3 a sud di Nikischin – Voroscilovka;

- la divisione "Torino", che si era ripartita in due colonne, con quella settentrionale, rappresentata dall'82° fanteria, dopo aver spezzato la salda linea di resistenza avversaria, occupava Kumschazij, Plosskij e Mogila Ostraja; con quella meridionale, costituita dall' 81° fanteria, si inoltrava fino alla zona di Kurgan Ploskij imbattendosi colà in una cinta di fortini e di trinceroni gremiti di mitragliatrici, mortai e cannoni. Animosamente la colonna si scagliava alla loro conquista, ma quando già ne aveva espugnata la maggior parte un violentissimo contrattacco dell'avversario la coglieva su un fianco e la obbligava ad arrestarsi. Senza peraltro voler rinunciare all'arduo scopo, che l'intervento di aliquota di cavalleria russa rendeva sempre più precario, quei tenaci fanti protraevano il combattimento fino a tarda sera, allorché, per la necessità di darsi ricovero per la notte, dovettero arretrare su Novaja Orlovka;

- la divisione "Pasubio" spalleggiava l'attacco della "Torino" e della "Celere" con intensa azione dimostrativa, ad onta che sul terreno piatto ricoperto di neve, il movimento delle fanterie e degli uomini isolati fosse minutamente controllato dall'avversario e che, in conseguenza dell'ambiente topografico, la reazione dei difensori potesse svilupparsi con la massima efficacia.

Incassato il primo colpo i russi tornarono alla riscossa con l'intento di riprendere le posizioni perdute. Pertanto la  giornata del 29 fu anch'essa contrassegnata da azioni violente in  ogni direzione.

Sulla fronte della "Celere" il nemico lanciò colonne d'attacco da Striukovo, da Vesselij, da Nikitino e dalla balka Olichovatka, ma tutte dovettero tornare sulle posizioni di partenza.

Una soltanto riuscì ad averla vinta su quota 331,7 dove il reparto germanico che la presidiava fu costretto a ripiegare. Era una altura di speciale importanza topografica e tattica e questo spiega l'accanimento col quale fu investita e la mordente ostinazione con cui fu difesa. La supremazia del numero s'impose tuttavia. Quel successo locale fu però del tutto transitorio, tanto che il 31 dicembre un colpo di mano del XVIII° battaglione bersaglieri, sostenuto da carri armati germanici, ci restituiva integralmente la posizione.

Altro cardine della partita era rappresentato per i russi da Voroscilova, modesto gruppo di case, difeso con implacabile pertinacia dal LXIII° battaglione CC.NN e poi anche dal LXXIX° accorso a rinforzarlo. Alla fine il nemico dovette desistere da ogni tentativo.

Sedatesi, allo scadere del 29, le ultime sporadiche resistenze sulla linea, potevo dare alla stessa il suo definitivo riassetto; e pertanto, allo scopo di conferire un maggior equilibrio allo schieramento determinatosi nei settori delle divisioni "Pasubio" e "Torino'', il 30 (allegato n° 62) prescrivevo :

- asse della posizione di resistenza: linea Casello B.V. - Ssaviolevka - quota 277.4 - Ubeschischtsche - Juni Komunar - Malo Orlovka - Novaja Orlovka;

- posizioni avanzate: Pioskij con le alture adiacenti e Vesselij;

- settori:

per la divisione "Pasubio", dalla ferrovia Chazepetovka - Debalzevo al medio Bulavin compreso;

per la divisione "Torino", dal  medio Bulavin escluso, alla linea di contatto con la divisione "Celere" e con l'82° fanteria dislocato in zona Vesselij- Juni Komunar .


(continua  con pubblicazione il 10 dicembre 2021) la second aparte è stata pubblicata in data 2o novembre 2021

 

sabato 20 novembre 2021

GIovanni Messe. Relazione. La Battaglia di Natale Seconda Parte

 

 

1°) La battaglia di Natale

 

Il Comando Supremo Tedesco era fermamente deciso a riprendere in mano l'iniziativa, perduta nei mesi invernali, al ritorno della buona stagione.

Il tempo trascorso era stato intensamente utilizzato ad accumulare nuovi materiali, ad organizzare ed addestrare nuove divisioni. Abbiamo visto come lo stesso Hitler avesse dichiarato a Mussolini di essersi personalmente rifiutato di intaccare questa preziosa massa di manovra, malgrado le infinite voci di allarme che gli giungevano da ogni parte del fronte durante i rigidi mesi dell'inverno.

L'esperienza della precedente campagna non era andata perduta. Occorreva abbandonare lo schema della guerra lampo su tutto l'immenso fronte, abbandonare gli obiettivi politici e troppo costosi di Leningrado e di Mosca. L'esercito tedesco doveva proseguire, bensì la distruzione delle armate russe mediante ampie manovre avvolgenti, ma nello stesso tempo doveva mirare all'annientamento del potenziale bellico sovietico, con l'occupazione delle zone del Caucaso, del Caspio e con l'interruzione della grande arteria fluviale del Volga. Anche i procedimenti tattici dovevano essere riveduti sulla base della passata esperienza, in modo da evitare il rapido anemizzarsi della capacità offensiva, determinato da sfasamento tra operazioni e servizi. Questo concetto doveva praticamente tradursi in un più prudente impiego delle masse corazzate.

Il Caucaso e Stalingrado materializzavano dunque gli obiettivi del nuovo ciclo offensivo: il possesso delle risorse petrolifere, la porta aperta verso il Medio Oriente, la chiusura dei traffici sul Volga.

In armonia con questa concezione strategica era stata operata una vasta riorganizzazione dello schieramento tedesco, culminante nella costituzione del nuovo dispositivo offensivo: gruppo di eserciti "B" al comando del Maresciallo von Weichs, a nord, tra l'Orel e Charcov; gruppo di eserciti "A" al comando del Maresciallo List, a sud, tra Charcov e Mar Nero. Del gruppo di eserciti "A" faceva parte la l7° Armata, cui era assegnato il nostro Corpo d'Armata, (successivamente 1'8^ Armata italiana), la 1^ Armata corazzata, 1'11^ Armata e la 3^ Armata romena.

L'offensiva veniva aperta il 28 giugno all'estremità settentrionale del dispositivo, propagandosi quindi gradualmente per la destra fino ad interessare l'intero schieramento meridionale. Il 5 luglio il Don era raggiunto nella zona di Voronesch e successivamente giù giù fino a Sserafimovitch. La 4^ Armata corazzata del gruppo eserciti "B" si spingeva allora arditamente verso sud, percorrendo oltre trecento chilometri in nove giorni e tagliando il Don a monte di Ternovskaja, alle spalle di Rostov. Le premesse per l'intervento del gruppo eserciti meridionali nella battaglia erano assicurate.

L'avversario, evidentemente, non intendeva accettare la lotta decisiva sulle posizioni tenute durante l'inverno ed ancora una volta si affidava allo spazio per sottrarre le sue armate a sicura distruzione. Il piano operativo del Comando Supremo russo appare completamente aderente alla situazione e contiene fin dall'inizio i germi del ritorno controffensivo che doveva portare al disastro tedesco del successivo inverno. Questa volta, infatti, la massa d'attacco tedesca, per quanto potente si presentava relativamente sottile ed il suo addentrarsi in territorio nemico doveva determinare automaticamente brillanti occasioni per la contromanovra dell'avversario. Si aggiunga poi che la stessa distribuzione degli obiettivi principali, Stalingrado - Caucaso, portava naturalmente a spezzare lo sforzo in due direzioni divergenti, aumentando così gli elementi di debolezza insiti nel piano di operazioni tedesco.

Conviene osservare però, che le considerazioni che precedono sono da ascriversi in gran parte al senno del poi, mentre i  successi della nuova offensiva, grandiosi dal punto di vista territoriale ed anche cospicui dal punto di vista tattico nelle singole battaglie che segnarono la via dell'avanzata, potevano allora apparire ancora una volta, come in realtà apparvero a tutto il mondo, tali da segnare i destini della guerra con il colosso moscovita.

a)- Situazione ed ordini

Il settore più sensibile sul fronte dello C.S.I.R. era quello della divisione "Celere", e non soltanto perché corrispondente ad una zona di saldatura, ma anche, e soprattutto, perché uno sfondamento in quella direzione avrebbe portato il nemico a dilagare sulla grande rotabile di Charzyssk con la possibilità di:

- raggiungere per la via più breve l'importante obiettivo territoriale di Stalino;

- minacciare a tergo lo schieramento della 1^ Armata corazzata.

L'ampiezza della fronte del settore era inoltre sproporzionata alle scarse forze disponibili ed anche il rinforzo della Legione CC.NN., che avevo assegnato alla "Celere", non migliorava molto la situazione.

In sostanza, con una massa di fanteria costituita dal 3° reggimento bersaglieri, il quale era sensibilmente ridotto di forze, e da due battaglioni CC.NN., bisognava garantire un fronte di oltre 20 chilometri.

Il Corpo Italiano era in quel momento fronteggiato da:

- due divisioni di fanteria;

- alcune unità non indivisionate;

- un numero imprecisato di pezzi d'artiglieria.

Ma il 20 dicembre la nostra ricognizione aerea segnalava numerosi trasporti ferroviari provenienti da est e da sud-est, oltre a concentramenti di truppe nella zona di Tschemuchino - Nikischin, in corrispondenza del settore della divisione "Celere" e dal punto di sutura col XLIX° Corpo.

Tali notizie, confermate ben presto da altre fonti informative, consentirono di definire esattamente lo schieramento nemico, quale risulta da annesso grafico.

In sostanza:

- situazione immutata sulla fronte delle divisioni "Pasubio" e "Torino";

- tre divisioni di fanteria ed un corpo di cavalleria su tre divisioni, sulla fronte della divisione "Celere".

Lo stesso servizio informazioni dava come imminente un attacco nemico con asse la saldatura tra il Corpo Italiano e il XLIX° Corpo; e difatti, come fu dato poi appurare per mezzo di un ordine di operazioni catturato dopo la battaglia ad un ufficiale prigioniero, era nel concetto di azione del Comando nemico di:

- impegnare fortemente la destra della divisione "Celere";

- sfondare al centro, tra Petropavlovka e Novo Orlovka, puntando decisamente su Alexejevo Orlovka;  

- dilagare sulla nostra tergo con la cavalleria fino alla linea del Krynka. Il Corpo Italiano era sprovvisto, com'è noto, di qualunque riserva: però il Comando della 1^ Armata corazzata aveva dislocato nel settore della "Celere" una massa di contrattacco costituita:

- dal 318° reggimento fanteria;

- da un reggimento paracadutisti;

- da una formazione corazzata su 75 carri.

Il 23 dicembre il Comando della 1° Armata corazzata emanava  l'ordine di operazioni n° 63 (allegato n° 59) col quale, in previsione dell'attacco nemico e nell'intento di poter imprimere al combattimento una condotta unitaria, costituiva:

- un gruppo di difesa, agli ordini del Comandante della XLIX° Corpo alle cui dipendenze venivano poste anche le forze schierate nel settore della divisione "Celere";

- un gruppo di contrattacco, ai miei ordini, con le divisioni "Pasubio" e "Torino" ed altre forze germaniche che , in effetti, non giunsero.

Linea di contatto fra i due gruppi: quella già esistente fra "Torino" e "Celere".

In forza di tali ordini, il 24 dicembre diramavo, (allegato n°60), ai due divisionari della "Pasubio" e della "Torino" alcuni orientamenti operativi, richiamando principalmente la loro attenzione sulla eventualità che l'attacco nemico si estendesse anche in corrispondenza dei propri settori, tracciando le linee sommarie delle singole azioni controffensive:

Alla stregua dei fatti mi proponevo:

- resistere ad oltranza sulla fronte della divisione "Celere", mentre "Torino" e "Pasubio" avrebbero svolto azione di alleggerimento, che la divisione "Torino", in particolare, doveva realizzare con un'immediata pressione sul fianco destro dell'avversario;

- non appena delineatasi  la direzione principale dello sforzo, contrattaccare  con le sue riserve dislocate nel settore della "Celere" per annullare eventuali successi parziali avversari;

- successivamente approfittare di eventuali occasioni favorevoli conseguenti all'effetto morale, per

migliorare le nostre posizioni.


 (continua in data 30 novembre 2021)  La prima parte è sta pubblicata in data 10 novembre 2021

lunedì 15 novembre 2021

Il Capitano Pietro Zaninelli

 

Maria Luisa Suprani Querzoli

 

Il coraggio e la generosità: la figura del Capitano Pietro Zaninelli

 

 

Se vuoi trovar l’Arcangelo da fante travestito,

ricercalo a Manzano e troverai l’ardito![1]

 

Una  brevissima premessa di ordine personale: durante uno dei miei viaggi sul Montello, passando nei pressi della Casa Bianca, appresi dell’eroico gesto del Capitano Zaninelli[2], gesto lucido e generoso a fronte della prospettiva pressoché certa dell’imminente fine.

Il valore degli Aditi è proverbiale, così come le loro abilità, ma il coraggio del giovane Capitano è da ascriversi ad un’altra categoria, quella della mera generosità d’animo: l’unica sua foto ad oggi pervenuta  (dove lo sguardo è lasciato all’immaginazione dell’osservatore) può essere assunta a ritratto di un’integrità e di una saldezza alle quali l’esaltazione appare estranea.

Il Montello, di per sé, rimanda all’asprissima Battaglia del Solstizio[3], la stessa che assistette alla perdita della figura dell’Asso dei Cieli, Maggiore Francesco Baracca. Gli Arditi detennero il triste primato, in quel frangente, della percentuale più alta di Caduti[4].

Durante tale battaglia d’arresto, la riconquista delle posizioni perdute sul Montello e a Nervesa divenne un obiettivo ineludibile.

Del dispositivo d’attacco predisposto allo scopo faceva parte la 1ª Compagnia ‘Aosta’, comandata dal Capitano Zaninelli. Il pomeriggio del 15 giugno 1918 essa fu impegnata in quattro assalti sanguinosissimi contro la Casa Bianca (ora Casa Zaninelli), caposaldo – osservatorio di grande rilevanza, tanto da renderne necessaria la pressoché impossibile conquista. Fu durante l’ultimo di questi assalti che il Capitano perì. L’osservatorio riuscì a giungere in mano italiana solo durante la notte, grazie al concorso della Compagnia ‘Monte Piana’[5].

La narrazione del momento, densissimo, precedente l’attacco:

 

Poi, tra Maggiore [Freguglia] e Capitano [Zaninelli] un rapido colloquio: gli ultimi ordini e gli ultimi scambi di idee davanti al terreno della battaglia; gli sguardi fissi al di là della siepe di destra; cenni con le mani, entro l’ingombro del fogliame, a indicare possibili vie, a stabilire obbiettivi.

E quando il Maggiore s’era allontanato, aveva ancora detto:

“Attento, tra poco, al segnale di tromba!”.

Tra poco. Gli assalitori eran lì, in attesa, sulla piccola striscia umida della strada sterrata tra le siepi, scherzando da ragazzi in piena libertà.

[…]

Zaninelli, pochi metri a monte del brusio delle Fiamme nere s’era, dal Cappellano del Reparto, in cristiana umiltà, confessato. Ora rientrava sorridente e sereno in mezzo agli assalitori che lo idolatravano. Timore della morte? All’ufficiale del II plotone che gli chiede in quell’attimo un ulteriore schiarimento, egli risponde senza la minima titubanza:

“Non vi preoccupate: ci sarò io!”.

[…]

Eccolo: l’attacco!

La Compagnia esce all’assalto in perfetta formazione d’attacco. […] La Compagnia di Zaninelli s’è buttata fuori dalla strada […] aprendosi a forza il varco attraverso la siepe di destra.

“Avanti a plotoni affiancati”.

E dopo pochi passi:

“Di corsa”.

Il Capitano stesso intona il canto degli Arditi.[6]

 

Medaglia d’Argento al Valor Militare

Cadeva colpito a morte da mitragliatrice nemica

alla testa degli arditi della sua compagnia,

dopo averli per tre volte condotti all’assalto di munita posizione nemica

al canto dell’inno del battaglione.

 

Montello, 15 giugno 1918[7]

 

La leggenda vuole che, di fronte all’ordine fatale, il Giovane abbia risposto con uno dei celeberrimi motti degli Arditi, dove traspare lo sprezzo della vita stessa, di fronte alla salvezza della Patria.

Nel tempo, lo stesso motto è divenuto sinonimo del massimo disimpegno nonché, anche se le accezioni appaiono scarsamente convergenti, di una certa indulgenza verso alcune espressioni del Ventennio (a ben vedere, esse costituiscono un furto del patrimonio di Valore degli Arditi di cui ancora si attende la restituzione).

La memoria, se non adeguatamente alimentata, tende a falsare le prospettive.

Può  così anche capitare di imbattersi, in un mercatino di cimeli militari[8], in una delle numerose Medaglie al Valore dello stesso Zaninelli, ceduta facilmente grazie all’oblio che circonda tuttora, immeritatamente, la sua generosità d’animo.

 

 



[1] Strofa tratta da un celebre Stornello degli Arditi (L. Freguglia, XXVII Battaglione d’Assalto. Gli Eroi del Montello, Bassano del Grappa: Itinera Progetti, 2017, p. 11).

[2] Capitano Pietro Zaninelli (Lodi, 11 ottobre 1895 – Giavera del Montello, 15 giugno 1918).

[3] Periodo: 15 – 23 giugno 1918; luoghi: Passo del Tonale; Altopiano dei Sette Comuni; Monte Grappa; Fiume Piave (Seconda Battaglia del Piave).

[4] «Particolarmente tragico fu il bilancio delle perdite in occasione della Battaglia del Solstizio, per il quale il Comando Supremo comunicò le seguenti percentuali: Arditi 20%, Fanteria 16%; Bombardieri 7%, Artiglieria 6%, Bersaglieri 6%, Mitraglieri 5%, Genio 2%»(L. Freguglia, XXVII Battaglione d’Assalto. Gli Eroi del Montello, cit., p. 14).

[5] Cfr. ivi, p. 16.

[6] Ivi, pp. 74 – 75.

[7] Ivi, p. 23.

[8] La testimonianza, risalente al 2011 e tuttora in rete, è presente in un forum italiani dedicato al mondo militare dei più seguiti.

martedì 9 novembre 2021

Giovanni Messe. Relazione. La Battaglia di Natale 1941. Prima Partre

 PREMESSA

La campagna estivo-autunnale si era svolta sotto il segno della migliore fortuna ed aveva rappresentato il periodo brillante della condotta delle operazioni, dove sorpresa, iniziativa e superiorità morale e di mezzi erano stati altrettanti coefficienti d'impulso per la  irresistibilità dell'avanzata e sui quali il Comando germanico aveva giuocato il destino della guerra col conseguimento più rapido e lo sfruttamento massimo del successo.

Sacrifici, disagi, pericoli, rischi d'ogni genere, difficoltà d'ogni specie e misura erano stati accettati da tutti con l'animo sgombro da dubbi ed esitazioni anche in rapporto ai notevoli successi fino ad allora conseguiti. L'offensiva russa di Rostov delineò invece per la prima volta, in ben altri termini, la situazione quale essa era di fronte ad un nemico di insospettata solidità e che dimostrava di resistere all'urto ed alla compressione.

Invero il successo russo di Rostov non metteva soltanto in risalto la mancanza di riserve germaniche immediatamente disponibili, ma dimostrava la capacità del Comando russo di condurre una guerra offensiva invernale, con masse sorprendentemente organizzate ed armate.

L'audacia con la quale i sovietici si ostinavano nella lotta e la risolutezza con cui si accingevano alla temeraria impresa, non potevano fare a meno di offrire la sensazione che l'inverno si sarebbe presentato assai duro per gli alleati, i quali all'asprezza della stagione resa loro più cruda dall'inesperienza, dalla mancanza d'ambientamento e dalla assoluta impreparazione sulla quale il Comando tedesco si era fatto cogliere per 1'equipaggiamento invernale, avrebbero dovuto aggiungere il tormento di una lotta attivissima contro un avversario animoso e deciso a sfruttare a tutti gli effetti l'indiscutibile superiorità materiale, morale e spirituale.

Conseguenza ineluttabile era che lo C.S.I.R sarebbe rimasto in linea con le sue truppe stanche da cinque mesi di marce e di combattimenti, in condizioni igienico-sanitarie preoccupanti, senza alcuna speranza di avvicendamento, dato che l'estensione della fronte assegnatagli e la necessità di saldare gli schieramenti avevano assorbito tutte le sue forze, privandolo perfino della più modesta riserva.

Nel suo complesso, la campagna invernale rappresenta pertanto la fase più aspra e difficile delle operazioni sul fronte russo, anche se sotto veste dimessa e poco appariscente.

Pur senza che nel settore del Corpo Italiano, come del resto in nessun altro settore, si verificassero avvenimenti decisivi, il nemico non allentò mai 

(continua in data 20 novembre 2021)

giovedì 4 novembre 2021

Ordinamenti del Regio Esercito 1940

 

IL QUADRO DI BATTAGLIA DELL’ESERCITO ITALIANO NEL 1940

Luigi Marsibilio

 

Il Regio Esercito era inteso come l’esercito del Regno d’Italia e tale denominazione venne mantenuta dal maggio 1861 al giugno 1946. Questo strumento militare fu impiegato in tutte le vicende belliche che hanno coinvolto il nostro Paese, in particolare nella 1ª e nella 2ª Guerra Mondiale. E’ stato inoltre protagonista del colonialismo italiano. Assunse il nome di Esercito Italiano con la fine del regno dei Savoia.

Nel settembre del 1939, quando la Germania invase la Polonia, l'Italia dichiarò la propria "non belligeranza". Benito Mussolini, conscio del fatto che i conflitti di Etiopia e Spagna avevano pesantemente intaccato le scorte dell'esercito e bloccato il suo ammodernamento, decise dunque di non intervenire.

A fronte di tale sensata scelta, il Duce, impressionato dai folgoranti successi tedeschi e persuaso che il conflitto non sarebbe durato a lungo, fece il possibile per accelerare i tempi per l’entrata in guerra dell’Italia, che avvenne il 10 giugno 1940.

L’aspetto non trascurabile era che il Regio Esercito, pur avendo il consistente organico di 75 divisioni, presentava gravi carenze nei settori dell'armamento e dei materiali. In particolare:

          i pezzi di artiglieria erano ancora quelli impiegati nel primo conflitto Mondiale;

          i carri armati erano leggeri con corazza ed armamento inadeguati;

          le mitragliatrici erano quantitativamente insufficienti;

          i reparti erano carenti di automezzi;

          le uniformi erano di pessima qualità;

          mancavano gli equipaggiamenti e le attrezzature adatte alle aree dove le unità avrebbero operato (cioè in Libia, Unione Sovietica, Albania e Grecia).

Secondo lo storico Giorgio Spini, una delle cause di tale situazione deficitaria era da attribuirsi al fatto che la cosiddetta “sbirrocrazia di Mussolini”, come egli definì  il fascismo, rivelò la propria debolezza proprio nelle Forze Armate, in quella realtà che la retorica del regime avrebbe voluto organica al proprio disegno totalitario; contrariamente a quello che era avvenuto negli anni trenta nel settore degli armamenti, allorquando le ricerche nel campo militare avevano dato buoni frutti.

L'Italia infatti possedeva bocche da fuoco di ottima qualità, inserite tra le migliori del conflitto, ma pochissimi esemplari furono prodotti e distribuiti. Anche l'armamento individuale era degno di nota con il moschetto automatico Beretta (usato da truppe speciali come la 185ª Divisione Paracadutisti Folgore), la mitragliatrice Breda mod. 37 o la pistola Beretta M34 per ufficiali. All'entrata in guerra i carri armati disponibili erano di tipo leggero e con armamento fisso, il carro medio era decisamente inferiore a quelli avversari. Per quello che riguarda i carri pesanti, praticamente ne fu prodotto un solo esemplare prima dell'8 settembre 1943. Vennero invece prodotti molti esemplari di un semovente, il 75/18, che dimostrò potenza e affidabilità anche dopo il 1943, nonostante l'arrivo di nuovi carri messi in campo dall'Asse e dagli Alleati.

Veniamo ora alla situazione dei reparti. Il Regio Esercito, nella seconda guerra mondiale utilizzò diversi tipologie di Divisioni, per la maggior parte di fanteria. La divisione era l'unità di base.

Il 10 giugno 1940, le 75 divisioni erano così ripartite:

59 di fanteria, 3 della milizia, 2 coloniali libiche, 5 di alpini, 3 celeri, 3 corazzate e 2 motorizzate.

La gran parte di queste grandi unità erano dislocate nel territorio metropolitano o in Libia, e solo due erano in Africa Orientale Italiana (la cui guarnigione era composta in gran parte da unità di Camicie Nere e da brigate coloniali).

La riorganizzazione del 1938 aveva portato alla costituzione di divisioni di fanteria cosiddette binarie, poiché erano composti da 2 reggimenti di fanteria (invece dei precedenti tre), oltre ad uno di artiglieria.

Alla maggior parte di queste unità, successivamente, venne aggregata una Legione d'Assalto di Camicie Nere. A queste, occorre poi aggiungere un battaglione di mortai da 81, una compagnia con artiglieria anticarro, una compagnia del genio, una mista con telegrafisti e marconisti, oltre a diverse sezioni (fotoelettricisti, sanità, sussistenza e pesante).

Per quanto concerne la forza organica ed i materiali, una divisione di questo tipo risultava composta da circa 13 mila uomini ed equipaggiati con 60 pezzi di artiglieria, 156 mortai e 350 mitragliatrici. Per il trasporto erano disponibili circa tremila cinquecento animali, 154 carri, 153 biciclette, 71 motocicli e 131 mezzi di vario tipo. L'effettiva assegnazione avvenne abbastanza a rilento per problemi addestrativi e per la limitata disponibilità di materiali, ed era ancora largamente incompleta al momento dell'entrata in guerra.

Numerose sulla carta, in realtà al momento della dichiarazione di guerra la maggior parte delle divisioni italiane erano incomplete sia in termini di uomini che di materiali, difatti su 75 divisioni appena 35 potevano considerarsi pienamente operative. Questa situazione non venne mai interamente rettificata durante il corso della guerra, e una parte considerevole delle divisioni sul territorio metropolitano o impegnate in compiti di guarnigione in Francia e nei Balcani, rimasero incomplete dal punto di vista dei materiali, dovendo anzi spesso cedere parte delle proprie dotazioni per sostenere le divisioni impegnate nelle zone di operazioni.

Successivamente all'ingresso in guerra, vennero costituite numerose altre unità di livello divisionale. Tra queste, vi erano anche Divisioni di paracadutisti (due, con una terza mai completata) ed oltre 20 Divisioni costiere. Queste ultime erano essenzialmente di reparti di seconda linea, di consistenza variabile a seconda della zona di impiego.

Nei mesi precedenti alla dichiarazione di intervento, il Duce, pur perfettamente consapevole della situazione deficitaria dello strumento militare italiano, continuava ad esprimersi con grande fiducia sullo sviluppo che avrebbero avuto gli eventi. Purtroppo, nessuno dei responsabili delle forze armate, i marescialli Badoglio e Graziani, l’ammiraglio Cavagnari ed il generale Pricolo osava contraddirlo. Solo il maresciallo Badoglio, a fine maggio, in occasione di un incontro a palazzo Venezia, aveva osato fargli presente che non c’erano carri armati  ed aerei sufficienti, né camicie per i soldati. Perciò, riteneva opportuno un differimento dell’intervento al fine di prepararvisi un po’ meglio. Mussolini, rimbeccando l’alto generale, ritenne la sua valutazione semplicemente “poco esatta” ed affermò che a fine estate tutto sarebbe finito e che vi era solo la necessità di alcune migliaia di morti per sedersi al tavolo della pace come belligerante. Nonostante le palesi carenze e l’impreparazione organizzativa, i nostri soldati, i marinai e gli avieri, non si sottrassero al loro dovere. Come ben sappiamo, attraverso innumerevoli difficoltà ed indicibili sofferenze, essi combatterono strenuamente fino all’estremo sacrificio, mantenendo sempre saldo il principio del valore militare.

 

Gen. Luigi Marsibilio.