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lunedì 22 giugno 2015

Ricerca. Raccolta dati al termine della mobilitazione "rosso" maggio 1915

La consistenza dell’Esercito Italiano
Il 24 maggio 1915








Il Comando Supremo, in data 21 maggio 1915, prevedendo che la guerra sarebbe stata onerosa, al di là delle aspettative della opinione pubblica, che vedeva la conclusione in poche settimane, in un clima di euforia patriottica, aveva presentato al Ministero della Guerra un piano di ampliamento delle Unità di campagna.[2]
 Scartata l’idea di aumentare il numero delle Grandi Unità (Armate e Corpi di Armata) anche per la mancanza di artiglierie adeguate, i criteri adottati furono i seguenti:
. Raggiungere l’aliquota di 300.000 uomini con il richiamo della classe 1895 e la revisione dei riformati delle classi dal 1895 al 1882.
. Inquadrare il contingente con sottufficiali e caporali esuberanti presso i depositi e presso le unità mobilitate
.Utilizzare ufficiali delle unità mobilitate, della Milizia Mobile e dai corsi Allievi Ufficiali di complemento.
. Provvedere alla acquisizione di tutti i materiali necessari alle unità di nuova costituzione.
In pratica per l’inizio del 1916 il Comando Supremo prevedeva la costituzione delle seguenti nuove unità:
Fanteria: 49 Reggimenti e 46 battaglioni, di cui 47 reggimenti di fanteria di linea, uno di granatieri, 2 di bersaglieri, più 14 battaglioni a piedi , 6  ciclisti, 26 battaglioni di alpini;
Cavalleria: 14 sezioni mitragliatrici, una per ciascun reggimento di cavalleria
Artiglieria da Campagna: 13 gruppi su 3 batterie. Inoltre, in base al materiale disponibile, 9 reggimenti su 9 batterie.
Artiglieria pesante campale: 2 gruppi di 3 batterie da 105; 6 gruppi d 3 batterie da 102 R.M.; il massimo possibile di batterie obici da 149°.
Artiglieria da montagna: 4 gruppi di 3 batterie
Artiglieria da fortezza: 10 gruppi di 3 compagnie
Artiglieria d’assedio: 6 batterie da 260 Schneider, 8 batterie mortai da 210 ed il maggior numero possibile di batterie di grosso calibro;
Genio Zappatori: 35 battaglioni su 2 compagnie
Genio Telegrafisti: 10 sezioni R.T.
Genio Pontieri: un battaglione di 2 compagni con equipaggiamento
Genio Minatori: 2 battaglioni su due compagnie
Genio Ferrovieri: preparazione di 300 motoristi, elettricisti e motoristi per materiali perforatori
Reparti mitragliatrici: 42 compagnie di 3 sezioni ciascuna,
Servizi: 12 sezioni sanità; 12 sezioni sussistenza.
Il programma del Capo di Stato Maggiore  prevedeva che l’Esercito Mobilitato sarebbe salito di circa 270.000 unità, ed avrebbe avuto 444 bocche da fuoco in più ed avrebbe raggiunto la forza di 1.340.000 uomini e 2344 bocche da fuoco. Da questi dati, si può dedurre, che la momento della entrato in guerra l’Esercito Italiano aveva mobilitato 1.070.000 uomini ed aveva in dotazione 900 bocche da fuoco, ripartito in 4 Armate.

Al momento della attuazione, constatata la impreparazione dell’Italia e le sue scarse risorse finanziarie ed economica, il programma così predisposto fu sostanzialmente decurtato e quindi per la primavera del 1916 l’ampliamento dell’Esercito era così previsto
Fanteria: 24 Reggimenti  su 3 battaglioni di 4 compagnie
Bersaglieri, 2 reggimenti su 3 battaglioni di 4 compagnie, 2 sezioni mitragliatrici, 41 compagnie bersaglieri;
Alpini: 26 Comandi di Battaglione, con 40 compagnie 2 sezioni mitragliatrici per battaglione
Cavalleria: nessun aumento
Artiglieria da Campagna: nessun aumento
 Artiglieria pesante campale: 10 comandi di gruppo obici p.c. e28 batterie da da 149A.; 2 comandi di gruppo su 3 batterie e 6 comandi di gruppo da 102 e 16 batterie;
Artiglieria da montagna: 4 gruppi da 65° su 3 batterie
Artiglieria da fortezza: 20 gruppi di 3 compagnie
Artiglieria d’assedio: nessun aumento
Genio Zappatori: 35 battaglioni su 2 compagnie
Genio Telegrafisti: nessun aumento
Genio Pontieri: 2 equipaggi da ponte
Genio Minatori: 2 battaglioni su due compagnie
Genio Ferrovieri: nessun aumento
Reparti mitragliatrici: nessun aumento,
Servizi: 12 sezioni sanità; 12 sezioni sussistenza. Integrazione di aliquote di sussistenza, sanitarie di commissariato ed automobilisti.

Da quanto sopra si deduce che  l’Esercito Italiano non solo era entrato impreparato in guerra, ma che una stima di quello che serviva era stata notevolmente ridotta per mancanza di mezzi economici e finanziari della Nazione. Sarà questo il motivo dei sostanziali non progressi delle prime quattro battaglie dell’Isonzo, che portarono tutti dalla illusione di una guerra facile e breve, ad una dura realtà.

Una analisi delle forze al momento della entrata in guerra il 24 magio 1915, permette di evidenziare, i seguenti dati come consistenza quantitativa dell’esercito Italiano:

Fanteria
Fanteria di Linea e Granatieri
2 reggimenti di granatieri
94 reggimenti di fanteria di linea dell’esercito permanente
50 di fanteria di Milizia Mobile
Bersaglieri
13 reggimenti bersaglieri
Alpini
8 Reggimenti su 52 battaglioni con un totale di 179 compagnie
Reparti Mitragliatrici
309 Sezioni Mitragliatrici ( sotto organico di 314 sezioni)
Sezione Pistole Mitragliatrici
500 Sezioni Pistole Mitragliatrici sulle 1740 previste in organico
 Autoblindo-mitragliatrici
3 Squadriglie su 6 macchine ciascuna

Cavalleria
. 30 reggimenti di cavalleria

Artiglieria
. da campagna
49 Reggimenti di artiglieria da campagna su 8 batterie su 3 gruppi
. da montagna
3 Reggimenti da montagna su 14 gruppi, su 50 batterie;
. someggiata
18 batterie someggiate
. pesante campale
2 reggimenti pesanti campali, su 6 gruppi e 14 batteria ciascuno (112 pezzi in totale)
.da fortezza
10 Reggimenti di artiglieria da fortezza su 78 comandi di gruppo e 277 compagnie
.d’assedio
46 Batterie d’assedio (158 pezzi in totale)
.controaerea
3 sezioni di artiglieria contraerea (4 pezzi in totale)
.bombarde
Non vi era alcuna bombarda in dotazione
. Sezioni aerostatiche di artiglieria
3 Sezioni aerostatiche auto campali, 2 da fortezza ed 1 di rifornimenti
. Sezioni fono telemetriche
Nessuna sezione fono telemetriche
Porti Rifugio
Non erano stati ancora previsti alla data del 24 maggio 1915
. Munizionamento per le artiglierie
Al 24 maggio 1914 la produzione giornaliera era di 14 mila colpi, corrispondente ad un rifornimento medio di 7 colpi per ogni arma schierata.

Genio
. zappatori
 2 Reggimenti zappatori su 21 compagnie zappatori ciascuno
. telegrafisti
1 reggimento telegrafisti su 21 compagnie
. pontieri
1 Reggimento pontieri su 15 compagnie
. minatori
1 Reggimento minatori su 21 compagnie e 4 sezioni
. ferrovieri
1 Reggimento ferrovieri su 12 compagnie

Aeronautica[3]
Aeroplani
15 squadriglie, con 72 apparecchi
Dirigibili
3 Dirigibili ( M1, P.4,P.5)
Aerostati
6 Sezioni aerostatiche da campagna; 4 Sezioni Aerostatiche da fortezza

Altre Armi e Specialità
. Carabinieri
1 reggimento su 3 battaglioni di 3 compagnie, 1 Gruppo su 2 squadroni, 73 Sezioni
. Regia Guardia di Finanza
4 battaglioni di frontiera, 14 battaglioni, 2 Compagnie costiere
. Milizia territoriale
200 battaglioni ordinari e costieri mobilitati dei 324 previsti
. Reparti presidiari
143 reparti presidiari su base compagnia
. Reparti disarmati
4 Reparti ( uno per Armata ) di 500 uomini l’uno
. Centurie di Lavoratori
Nessuna Centuria di lavoratori era presente all’atto dell’entrata in guerra


Le Armi portatili ed il relativo munizionamento è un altro dato interessante per comprendere la preparazione dell’Esercito Italiano alla guerra. Nel maggio 1915 l’Esercito Italiano disponeva di 760 mila fucili e 170,000 moschetti con una riserva di 200.000 fucili, esclusi i 50.000 in consegna alle società di tiro a segno. E di 1600 moschetti . Vi erano, inoltre, complessivamente presso le direzioni di artiglieria, i distretti militari ed i depositi dei corpi 1.242.850 fucili modello 70/87, di cui 338.241 appartenenti a dotazioni di mobilitazione e 903.609 alla riserva. Le mitragliatrici ammontavano a 618
 Nel maggio del 1915 il munizionamento ammontava a circa 800.000.000 di cartucce per il fucile mod.91, pari ad 800 colpi per ciascun fucile, e 700 colpi per i 170.000 moschetti, mentre per le mitragliatrici vi erano 100.000 per ogni arma. Per il mod. 70/82 vi era una disponibilità di 28.000.000 di colpi.

Il Servizio Automobilistico, che inquadrava 350 ufficiali e 9000 uomini di truppa aveva 210 drappelli, 110 sezioni ordinarie, 61 sezioni per munizioni, 18 reparti, 5 parchi, 4 depositi centrali, 5 laboratori, 400 autovetture, 3400 autocarri 150 trattrice 110 motocicli.

Il Servizio Sanitario che aveva 800 medici che salirono a 100 con il complemento, mentre in organico erano previsti 3000 ufficiali medici.. Si ebbero al momento della entrata in campagna 3 reparti someggiati per gruppo alpino, 53 sezioni di sanità, 126 ospedaletti someggiati da 50 letti,  82 ospedali da campo da 100 letti, 42 ospedali da campo da 200 letti 108 ambulanze, 108 autobus, 16 treni attrezzati; fuori dal territorio dichiarato in stato di guerra vi erano 28 ospedali principali, 2 ospedali succursali, 6 depositi di convalescenza, 31 infermerie presidiarie.

Il Servizio di Commissariato, che provvedeva al rifornimento dei viveri, al vestiario ed all’equipaggiamento, aveva a seguito di mobilitazione messo in campo 28 sezioni sussistenze ordinarie, 25 sezioni sussistenze con salmerie, 4sezioni sussistenze per cavalleria, 6 panifici avanzati, 4 sezioni panettieri con forni mod.93, 3 sezioni panettieri con forni mod.97 carreggiati, 1 sezione panettieri con forni mod 97 someggiati. 13 sezioni panettieri con forni Weiss, 31 squadre  panettieri per divisione con forni Weiss, 13 squadre panettieri per truppe suppletive con forni Weiss, 14 comandi parco viveri, 79 squadre di parco viveri per divisione, 28 squadre di riserva per truppe suppletive, 3 squadre di riserva per gruppo alpino, 3 salmerie a disposizione per gruppo alpino 3 colonne viveri di gruppo alpino, 6 magazzini avanzati viveri, 6 magazzini avanzati vestiario ed equipaggiamento, 6 parchi buoi. Ognuno dei 14 Corpi d’Armata territoriali, in tutto il paese, aveva una compagnia di sussistenza che funzionava come centro di mobilitazione delle rispettive unità dislocate in zona di guerra.



[1] Testo tratto in larga parte ed in sintesi dal volume, in preparazione nel giugno 2015,  di Massimo Coltrinari, La Prima Guerra Mondiale e le Marche. Il 1915. Sotto Attacco, che vedrà la luce nel settembre-ottobre 2015, per i tipi della Società Editrice Nuova Cultura, nella Collana Storia in Laboratorio. Per ulteriori informazioni: www.storiainlaborato,blogspot.com. L’autrice ringrazia Massimo Coltrianari e la casa Editrice per la disponibilità mostratagli. Inoltre Vds. Ministero della Guerra, Comando del Corpo di Stato Maggiore, Ufficio Storico, L’Esercito Italiano nella Grande Guerra. Le Operazioni del 1916. Gli avvenimenti Invernali. Narrazione, Roma, istituto Poligrafico dello Stato, 1931.
[2] Il Quadro di Battaglia dell’Esercito Italiano alla data del 24 maggio 1915 si trova in Coltrinari M., Le Marche e la Prima Guerra Mondiale. Il 1914. Le Brigate di fanteria 2marchigiane”, Roma, Edizioni Nuova Cultura, 2014.
[3] Esisteva anche la “Aviazione per la Marina, con proprei dotazioni d aeroplani e dirigibili

giovedì 18 giugno 2015

Testo-draft della conferenza del 13 giugno 2015 alla Polveria "Castelfidardo" di Ancona

Nenni, Mussolini e la guerra al nemico ereditario
L’interventismo rivoluzionario.
 I rapporti tra i due uomini politici italiani nella primavera del 1915


Massimo Coltrinari
  
Il 1914 si chiuse per Pietro Nenni nel migliore dei modi. Era rinchiuso nel carcere dell’Aquila in attesa del processo per i fatti della Settimana Rossa del giugno precedente.  Il processo si doveva tenere il 4 gennaio  1915, ma il 26  dicembre, in giorno in cui cadeva combattendo Bruno Garibaldi sul fronte delle Ardenne, nasceva la principessa Maria di Savoia ed il Re, il 30 dicembre, aveva concesso una amnistia per tutti i reati politici, tra cui quelli della Settimana Rossa. Pietro Nenni fu liberato il 31 dicembre e subito si mise in viaggio per Ancona.
Nello stesso periodo, in virtù dell’azione intrapresa nei mesi precedenti, volta sempre più ad un interventismo deciso e reale, Benito Mussolini fu espulso dal Partito Socialista il 24 novembre 1914. Nove giorni prima, il 15 novembre 1914 aveva fondato “Il Popolo d’Italia”, nel cui primo numero comparve  come fondo quell’articolo (“Audacia”) che divenne famosissimo, un sorta di bandiera dell’interventismo. Questo della fondazione del “Popolo d’Italia” rappresenta un passo importante sulla strada dell’interventismo in quanto il giornale rispondeva alle aspettative ed esigenze di larghi strati della popolazione italiana ancora non ben definiti, ma orientati verso una presa di posizione nelle vicende della guerra europea in corso che determinò il successo immediato del giornale. [1]
Pietro Nenni riprende in Ancona la sua attività politica. Il 10 gennaio 1915 assume di nuovo la direzione del “Lucifero”[2] e subito dopo si impegnò a fondo nella campagna interventista con articoli, scritti, conferenze, dibattiti e manifestazioni.  Contemporaneamente Mussolini faceva la stessa cosa, tanto che divennero i leader di punta del movimento interventista. In questo clima di cementata amicizia , i bersagli della loro azione erano principalmente i neutralisti di tutte le tendenze, dai giolittiani ai conservatori, dai triplicisti ai cattolici, dai socialisti ai monarchici. Entrambi erano convinti che si dovesse combattere questa guerra, intesa come l’ultima guerra del risorgimento per il compimento dell’Unità Nazionale.
Interessante notare che in questo periodo Nenni si impegnò a trovare volontari repubblicani per inviarli alla spicciolata prima in Montenegro e poi in Serbia, nelle fila del Corpo di Spedizione Francese che ivi operava. In un articolo sul “Lucifero” del 24 gennaio 1915 ribadì questo orientamento: occorreva aiutare coloro che si battevano contro l’Austria.
Il 20 gennaio 1915 iniziò la sua collaborazione con il “Popolo d’Italia”, insieme a futuri antifascisti come Guido Dorso e Maria Rygier. Il primo articolo aveva come titolo “Quale guerra?” che sostituì il fondo del direttore. Il 1 febbraio 1915 apparve il secondo articolo dal titolo “La Triplice” , che fu pubblicato in terza pagina. In entrambi gli articoli le posizioni espresse erano sostanzialmente identiche a quelle di Mussolini.
Sul “Lucifero” del  31 gennaio, ove da quanto aveva ripreso la direzione si firmava “Cavaignac”, Nenni pubblicò “Pane e Lavoro” articolo di una serie[3] che provocherà  l’apertura di un procedimento penale a suo carico perché vari articoli erano stati ritenuti diffamatori delle istituzioni e vilipendio dell’Esercito nonché volti alla istigazione a delinquere.
Una nota della Questura di Ancona, in data 7 febbraio 1915, così definiva Pietro Nenni, sotto il profilo politico “ La sua vera finalità, in armonia a quella dei compagni di fede, è di tentare il rivolgimento degli attuali ordinamenti politici, preparando moti e rivolte popolari nel momento che ne sarebbe meno probabile la repressione, perché impegnata la maggior parte dell’Esercito in una impresa bellica. E’ opinione tanto sua che dei suoi compagni di lui che si potrebbe avere ragione sulle poco numerose e non troppo disciplinate truppe rimaste nel Regno, la cui compagine si tenterebbe scuotere facendovi infiltrare elementi fidi alla causa repubblicana, come si deduce dal fatto che parecchi sovversivi internazionali, specie in questi ultimi tempi, fecero domanda per conseguire la nomina ad ufficiale di complemento nella milizia territoriale.”[4]
La campagna pro o contro l’intervento aumentava,intanto, i toni. Per domenica 21 febbraio 1915 coloro che si opponevano all’intervento, socialisti in testa, in tutta Italia organizzarono comizi ed incontri per sensibilizzare l’opinione pubblica sulla necessità di evitare a tutti i costi la guerra. Era una sorta di mobilitazione del neutralismo di sinistra, che si alleava automaticamente con i neutralisti conservatori, con i clericali, i “triplicisti” ed altre componenti di destra. La manifestazione principale si tenne a Milano, al Teatro del Popolo, con interventi di Bruno Buozzi, Emilio Caldara, Ettore Reina e tante altre personalità di spicco del neutralismo. In questo convegno avrebbe dovuto parlare anche Pietro Nenni, ma ne fu impedito da scalmanati per lo più provenienti dalle fila degli anarco-neutraliste.
A fronteggiare questa iniziativa si mobilitarono i fasci rivoluzionari interventisti, ma ancora il loro peso era minimo. Nenni, il giorno successivo, in una riunione privata organizzata dalla Associazione “Trento e Trieste” tenne un discorso interventista, che il 23 febbraio, come resoconto, fu pubblicato sul “Popolo d’Italia” che definiva Nenni “valoroso milite di un’idea fino al sacrifico”. Scrisse un articolo, che fu pubblicato il 22 Febbraio sul Popolo d’Italia e poi il 28 successivo sul “Lucifero” dal titolo “Il Doppio Alibi”. Una attività intensa, alimentata dal fatto che tutti avevano capito che le decisioni definitive non erano state prese. Il Governo aveva un atteggiamento attendista. Si constatava che non denunciava la Triplice, intendendo mantenere un legame con gli Imperi Centrali, e quindi consentiva alle imprese italiane di continuare a fornire prodotti e materiali a quelle austriache e germaniche; vi era stato il discorso di Salandra dal Campidoglio, vera assurdità diplomatica, in cui emerse la formula del “sacro egoismo”  formula che aveva messo in cattiva luce l’Italia agli occhi di tutta Europa, di una parte e dell’altra; si osserva che la preparazione dell’Esercito e della Marina continua alacremente, volta a colmare i vuoi lasciati dalla recente guerra di Libia, presagio questo ad un intervento.
 La morte di San Giuliano a cui era subentrato Sydney Sonnino era stata vista come un cambio di direzione, come in realtà fu, ma senza certezze e chiarezza. In pratica vi era un clima difficilissimo, in cui le criticità aumentavano di giorno in giorno, ed i contrasti interni si acuivano, creando tutte le premesse per una guerra civile. Ancorché ancora non ben organizzati, gli interventisti acquisivano sempre più forza; via via essi trovarono in Mussolini un personaggio di riferimento, catalizzatore spirituale e fisico di gruppi di diversa provenienza ed origine politica.
Pietro Nenni era in sintonia con Mussolini e la sua attività. Le sue vicende sono significative nel quadro della attività interventista. Il 25 febbraio 1915, insieme al gerente  (direttore responsabile) Vincenzo Guardabassi, fu rinviato a giudizio per i contenuti dell’articolo “Viltà ed Intrigo” pubblicato in data 7 febbraio sul n. 6 del “Lucifero” ed il 2 marzo il Pretore di Ancona lo condannò ad una multa di venti lire. Interessante annotare che nella idea e nell’azione di Pietro Nenni Ancona era il punto focale di ogni azione. In una riunione del fascio rivoluzionario interventista, nella Casa Repubblicana di Faenza, assicurò tutti che si stava preparando la rivoluzione ed il segnale sarebbe partito da Ancona. Però occorreva calma e sangue freddo in quanto, se il Governo si fosse deciso all’intervento, i piani rivoluzionari sarebbero rimasti nel cassetto. Era una vera e propria dichiarazione pubblica di intenti.
Con questi intendimenti, poi non tanto segreti, fu indetto per domenica 7 marzo in Ancona un comizio in cui avrebbero dovuto parlare Nenni, Mussolini e De Ambris, comizio che fu annullato per la disposizione governativa che proibiva momentaneamente tutte le riunioni pubbliche e private.
 In occasione dell’anniversario della morte di Giuseppe Mazzini, il 10 marzo 1915 apparve sul “Popolo d’Italia” un articolo dal significativo titolo “Ricordando Giuseppe Mazzini, per l’Italia contro la Monarchia”, a cui seguì, il 4 aprile 1915, un altro dal titolo “La logica del Sacro Egoismo”.
Nel solco delle intenzioni rivoluzionarie in aprile, Pietro Nenni, con Mussolini, Cesare Rossi, Michele Bianchi, Giovanni Marinelli la Rygier e vari altri esponenti interventisti partecipò ad una riunione segreta a Roma in cui si preparò un documento rivolto al popolo italiano contenente i motivi e le aspettative dell’interventismo sovversivo. Importante questa riunione, che certamente ebbe i caratteri di una chiamata all’azione, in quanto fu l’ultima volta che Pietro Nenni prese la parola assieme a Benito Mussolini.
La situazione nell’aprile del 1915 cominciava ad essere più fluida. Qualcosa doveva essere trapelato in merito ai contatti con gli Alleati dell’Intesa in quanto il 21 aprile 1915 Mussolini in dichiarazioni pubbliche si disse convinto che l’Italia sarebbe entrata in guerra; il 23 aprile 1915 Nenni scrisse un articolo per il “Popolo d’Italia” dal titolo “Per il proletariato”.
 Mentre Nenni era impegnato in un in un giro in Svizzero in cui tenne discorsi interventisti a Zurigo, Basilea, Baden e da cui aveva ricavato l’impressione che Giolitti fosse un alleato dei Tedeschi,[5] in Italia si ebbero le naturali conseguenze della firma del patto di Londra, sottoscritto il 26 aprile 1915, ma tenuto segreto nei suoi contenuti. Il 4 maggio fu denunciata la Triplice, segnò evidente che ci si orientava per la guerra. A questo i neutralisti, Giolitti in testa, fecero seguire uno sforzo deciso per impedirla. Ricevuto dal Re il 10 maggio, Giolitti si disse pubblicamente favorevole ad accettare le nuove offerte austriache, che nella sostanza erano quelle precedenti, in cambio della neutralità. Come logico, si opposero gli interventisti con manifestazioni di piazza a Roma, con d’Annunzio, a Milano con Mussolini in Ancona con Pietro Nenni, precedute il 5 maggio da un incendiario discorso dello stesso D’Annunzio a Quarto pronunciato in occasione della cerimonia commemorativa della partenza della Spedizione dei Mille, nel 1860.
In questo clima sempre più di contrapposizione, il Governo non prendeva posizione, mentre i neutralisti ostentarono il loro orientamento con appoggio manifesto a Giolitti, ove emerse che, nella realtà, il Parlamento era a maggioranza neutralista. Il Governo, constato questo, si dimise, e portò ogni decisione nella mani del re. Il 16 maggio 1915, Mussolini organizzò una imponente manifestazione all’Arena di Milano, in cui intervennero oltre 100.000 persone, in cui proclamò che le dimissioni del Governo Salandra sarebbero state respinte e quindi si andava alla dichiarazione di guerra, cosa che realmente accadde.
 In quei giorni, Pietro Nenni, in Ancona, organizzava una manifestazione dietro l’altra, con dimostrazioni che avevo alla testa la bandiera dell’Associazione Trento e Trieste, in piena sintonia con quelle di Milano e di altre parti d’Italia.
Il dato era tratto. La dichiarazione di guerra fu consegnata all’Austria il 23 maggio e la guerra iniziò dal giorno successivo. Sul “Lucifero” del 23 maggio Nenni scriveva “Fermezza. Fermezza e disciplina cittadini… Vinceremo… Nella fede repubblicana vivemmo. Per essa lottammo. Per essa moriremo se sarà necessario. Dopo aver gridato “Evviva la Repubblica”! gridiamo 2Evviva l’Italia”!  E per l’Italia, per la sua difesa, per il suo onore, per la sua grandezza domandiamo un fucile ed un posto alle frontiere.” Un articolo che è un programma politico di come interventismo rivoluzionario sia confluito nella guerra all’Austria nel solco della tradizione del Risorgimento. Mussolini, il 24 maggio 1915 sul 2Popolo d’Italia” scrive “Un grido solo erompe dai nostri petti: “Viva l’Italia!”. Non mai come in questo momento noi abbiamo sentito che la Patria esiste, ch’essa è un ‘dato’ insopprimibile e forse insormontabile della coscienza umana; non mai, come in questo cominciamento della guerra, noi abbiamo sento che l’Italia è una personalità storica, vivente, corposa,immortale. Noi vogliamo vincere. A qualunque costo… e noi, o madre Italia, ti offriamo, senza paura e senza rimpianto, la nostra vita e la nostra morte”[6]
A tante dichiarazione seguì comportamenti coerenti. Pietro Nenni, lasciata la direzione del “Lucifero” a Enrico Sternini, si arruolò come volontario il 27 maggio 1915 e fu preso in forza al 3° Reggimento artiglieria da costa. Per Benito Mussolini ci fu un imprevisto, che lo pose in un imbarazzo morale. Era stato disposto che gli appartenenti delle classi di prossimo richiamo, fra cui quella di Mussolini,  non potevano partire volontari. Presentatosi in caserma a Milano, fu respinto. Per dirimere ogni dubbio ed anche per rispondere a domande ed interrogativi, Mussolini l’11 giugno 1915 pubblicò un breve corsivo sul “Popolo d’Italia” che concludeva ..”Comunque il mio turno verrà per la guerra, al contrario di quanto pensano i neutralisti, gli illusi e gli imbecilli, non sarà né facile né breve.”[7]
Fu, quella della primavera del 1915 una stagione di grande intesa ed amicizia tra Pietro Nenni, repubblicano, e Benito Mussolini, socialista interventista. Entrambi vedevano nella guerra la possibilità di  portare a compimento l’Unità d’Italia iniziata con il Risorgimento, attraverso la guerra al nemico ereditario; guerra che, vinta, avrebbe portato, e qui sta il loro approccio rivoluzionario, a cambiare gli ordinamenti politici, in primo luogo la Monarchia e Casa Savoia, che attraverso il moderatismo cavourriano, in nome dell’Unità, aveva soffocato il movimento democratico e progressista di Garibaldi e Mazzini.
Vinta la guerra, nei Pietro Nenni rimase fedele a questo programma rivoluzionario; Mussolini, mascherando con parole rivoluzionarie la sua azione, saltò il fosso e divenne, con la marcia su Roma e l’accettazione del Governo, il principale difensore di casa Savoia e della Monarchia. E l’amicizia tra i due andò in frantumi.



[1][1]Mussolini. Legato da vincoli di amicizia, cementata da alcuni mesi passati insieme in carcere, a Pietro Nenni, il 20 novembre 1014 pubblicò un accorato ed amicale profilo di Nenni in relazione alla vicenda del processo della settimana rossa, che terminava con una frase significativa “A Pietro Nenni, cui mi legano vincoli forti di amicizia per la vita passata in comune durante alcuni mesi di carcere ed agli altri imputati giunga l’augurio fraterno e commosso del “Popolo d’Italia”. M.” Per la prima volta Mussolini si firmava con l’iniziale del suo cognome maiuscola, firma che poi negli anni seguenti divenne famosa.
[2] Il “Lucifero” si pubblicava in Ancona. Era stato fondato nel 1871 da due garibaldini reduci dalla Spedizione dei Mille. Nel 1915 sempre in Ancona si pubblicava un altro foglio 2 Il Vecchio Lucifero” espressione dei repubblicani intransigenti. Il “Lucifero” è pubblicato ancora oggi in Ancona.
[3] Gli articoli, sempre a firma “Cavaignac” sul “Lucifero” sono: Il Grande veggente,(7 marzo) Per l’Italia contro la Monarchia(14 marzo), Rivoluzione (21 marzo), La Terra dei Morti (28  marzo), la Repubblica (11 aprile), Benemerenze Regie (25 aprile)  Abbasso il Re, evviva la repubblica! (16 maggio)
[4] Susmel D., Nenni e Mussolini. Mezzo secolo di fronte, Milano, Rizzoli, 1969, pag. 50
[5][5] In una lettera che apparve sul “Popolo d’Italia” il 13 maggio Nenni così scriveva a Mussolini: “Caro Mussolini, non so chi abbia scritto che ai confini termina la patria e incomincia il patriottismo. Certo è che non avrei, in Italia, tremendamente sofferto per le ultime losche manovre giolittiane, come ho sofferto nella Svizzera Tedesca, dove mi sono recato per alcuni giorni chiamato dai nostri emigranti che attendono trepidanti le estreme decisioni del Governo… Volevo che sapessero gli Italiani con quale e quanta gioia i Germanici seguono le manovre giolittiane.. Ho sentito parlare di Giolitti colla stessa venerazione con cui si parla del Kaiser..”Cfr. Susmel D., Nenni e Mussolini. Mezzo secolo di fronte, Milano, Rizzoli, 1969, pag. 54

[6] Cfr. Susmel D., Nenni e Mussolini. Mezzo secolo di fronte,cit, pag. 55
[7] Cfr. Susmel D., Nenni e Mussolini. Mezzo secolo di fronte, cit, pag. 55

lunedì 15 giugno 2015

Nota: Interventismo in Ancona nel 1914-195.

Nota sull’

Incontro
“L’Interventismo in Ancona nel 1914 -1915:
Nenni Mussolini e la guerra al nemico ereditario”

Massimo Coltrinari


Sabato 13 giugno 2015 alla Polveriera “Castelfidardo”al Campo degli Ebrei, in Ancona si è tenuto il primo degli incontri del ciclo proposto ed organizzato dalla  Accademia di Oplologia e Militaria di Ancona del socio Massimo Coltrinari dal tema: L’Interventismo in Ancona nel 1914 -1915:Nenni Mussolini e la guerra al nemico ereditario” nel quadro del programma promosso dal Comune di Ancona volto ad evocare il centenario della Prima Guerra Mondiale
Come già detto in varie occasioni e in sede di presentazione il ciclo di incontri, a cadenza mensile, è stato voluto dal compianto Franco Sestilli, presidente della Accademia, purtroppo scomparso alcune settimane fa, per significare il ruolo di Ancona nel Grande Conflitto.
Massimo Ossidi, che gli è succeduto nella carica di Presidente della Accademia, ha ricordato nel suo intervento che  grazie alla fattiva opera di Franco Sestilli, l’azione di rievocare eventi significativi che videro Ancona protagonista della Storia d’Italia negli anni precedenti la Guerra Mondiale si è concretizzata con gli incontri dedicati alla figura ed all’opera di Lamberto Duranti, anconetano, il primo giornalista italiano deceduto nella Grande Guerra. In una cerimonia al Famedio del Cimitero della Tavernelle, Franco Sestilli sottolineò come Ancona fosse in prima linea in un impegno politico e sociale che esprimeva la somma di valori civici di lunga tradizione risorgimentale. In una successiva manifestazione nella Sala della Società di Mutuo Soccorso di Casteld’Emilio Franco Sestilli ribadiva l’importanza che Ancona e gli anconetani hanno nei mesi che precedettero il nostro intervento. Ricordò che ai funerali di Lamberto Duranti ad Ancona il 20 gennaio 1915 vi erano oltre 30.000 persone. Franco Sestilli, gravemente ammalato non potè essere presente l’8 maggio scorso quando l’Ordine dei Giornalisti delle Marche nella Sala del Consiglio del Comune di Ancona organizzò un convegno nazionale in cui la figura di Lamberto Duranti fu adeguatamente ricordata.

Su questo filone avviato da Franco Sestilli, si è innestato l’incontro di sabato 13, il primo dei 12 incontro in programma per questo progetto culturale. Con un taglio decisamente accademico e volutamente non divulgativo, Massimo Coltrinari, socio della Accademia, ha presentato  ai Soci, agli amici e a quanti vorranno intervenire, i dettami dell’interventismo che ebbero come cornice Ancona. Partendo proprio dal funerali di Lamberto Duranti, che erano stati preceduti da quelli di Bruno e Costante Garibaldi, che avevano riavviato in forma più pressante il problema della nostra posizione nella guerra europea, si analizzerà l’azione e l’opera svolta ad Ancona e nel resto di Italia di interventisti come Pietro Nenni, Benito Mussolini, Cesare Battisti, Luigi Albertini, Filippo Corridoni, ed altri tutti legati in un modo o nell’altro ad Ancona.
Pietro Nenni era direttore del Lucifero, giornale del partito repubblicano che si contrapponeva al “Vecchio Lucifero”, giornale dei repubblicani più intransigenti, entrambi stampati in Ancona. Come direttore del Lucifero Nenni era una forza trainante per tutto il movimento repubblicano, che aveva visto la massima espressione nell’organizzare la Legione Garibaldina che stava combattendo nelle Argonne, in cui erano affluiti, primi fra tutti Chiostergi, Marabini e tanti altri, gli esponenti di spicco del repubblicanesimo marchigiano.
A questo punto ha preso la parola Manlio Bovino, attuale presidente della Associazione “Amici del Luficero”, che ha tratteggiato la storia del Giornale e del suo significato nella storia di Ancona, con alcune considerazioni di ordine odierno.

Massimo Coltrinari ha ripreso il filo della conferenza con un analisi del rapporto tra Pietro Nenni con l’altro interventista, Benito Mussolini, che sul suo foglio matricolare aveva segnato “Renitente alla chiamata di leva della sua classe” a subito dopo, “Condannato ad un anno di reclusione militare per renitenza alla leva”, un Mussolini antimilitarista ed antimonarchico che aveva rinsaldata la sua amicizia, entrambi erano romagnoli, con Nenni nei giorni convulsi e tragici della settimana rossa. Ed in questo rapporto che emerge il ruolo primario di Ancona in quei mesi decisivi

Mesi che videro anche l’opera di un altro anconetano illustre Luigi Albertini, direttore del Corriere della sera, che sotto la sua direzione divenne uno dei primi giornali d’Italia; una direzione la sua che fu definita una mezza via tra unica compagnia di gesuiti ed una legione di carabinieri, tanto era determinato nella sua azione. All’interventismo del Corriere della Sera si farà cenno anche illustrando la figura di Filippo Corridoni, marchigiano, che cadrà alla trincea delle Frasche il 25 ottobre 1915, così come le altre figure di interventisti come Luigi Lori di Firenze, Publio Paletti di terni, Peppino Garibaldi, Cesare Rossi, Miche Bianchi Giovanni Marinelli ecc.

Un dato rilevate che sottolinea come l’interventismo in Ancona e nella Marche cosi come nelle Romagne, era fortemente radicato. Un dato che occorre ben comprendere, ed e questo uno degli scopi dell’incontro, per spiegare il fallimento dell’azione di bombardamento della flotta austriaca contro Ancona e contro le altre città marchigiane e romagnole il primo giorno di guerra.


E’ seguito un dibattito con in cui è stato chiesto di illustrare pi a fondo il rapporto tra questi rivoluzionari, come Nenni e Mussolini e la loro famiglia; E’ stato fatto notare, infine che Il Conferenziere ha solamente accennato al Rapporto tra D’Annunzio e Ancona, un rapporto con Adolfo De Bosis molto intenso, ma che si rivolge soprattutto sul versante letterario e non interventista e quindi a margine del tema della conferenza






giovedì 4 giugno 2015

Ancona. Testo Conferenza: 24 maggio 1915: l'Italia entra in guerra

Nell'ambito delle celebrazioni pr il centenario della Grande Guerra, Il Magnifico rettore della Università Politecnica delle Marche ed il Comandante del Comando Militare Esercito Marche, d'intesa con il Prefetto di Ancona, 
hanno organizzato una conferenza
dal titolo: 
24 maggio 1915: l'Italia Entra in Guerra
 ordinata su due relazioni
 Una del Magg Gen Massimo Coltrinari, il cui testo è riportato sotto, l'altra dal prof. Roberto GUglianelli
il cui testo sarà pubblicato appena avuta l'autorizzazione.



Università Politecnica delle Marche
26 maggio 2015


Magg. Gen. (aus) Massimo Coltrinari
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24 maggio 1915: l’Italia entra in guerra
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(Testo Esteso. Riportato anche il riferimento al Power Point disponibile)


La dichiarazione di neutralità proclamata dall’Italia il 2 agosto 1914 faceva terminare in modo irreversibile gli effetti diplomatico-militari della Triplice Alleanza, alleanza con l’Austria e con l’Ungheria che durava da oltre trent’anni, dal 1882. Cadevano anche gli accordi delle convenzioni militari con Germania ed Austria, di cui la più recente convenzione era ancora fresca di inchiostro essendo stata stipulata nel marzo 1914.
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La dichiarazione di neutralità apre la grande stagione dell’interventismo che durerà in modo sempre più intenso per circa 10 mesi. Una stagione che vide attivi anche i neutralisti, ancora propugnatori della Triplice Alleanza, e fautori di richieste dell’Austria. In cambio della nostra neutralità o meglio della nostra non entrata in guerra chiedevano “compensi” che, via via erano sempre più consistenti, andando ad alimentare quell’accezione che l’Italia avrebbe ottenuto moltissimo senza la guerra, senza i sacrifici immani del primo conflitto mondiale. E’ il “parecchio” di giolittiana memoria, che in realtà era più che altro un tergiversare interessato dell’Austria, convintissima di poter vincere la guerra, insieme alla Germania, e covava la riserva mentale che al momento opportuno l’Italia avrebbe pagato ogni cosa.
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L’interventismo non faceva calcoli. Per primo si mossero i repubblicani e quanti si rifacevano al risorgimento nazionale; il volontariato garibaldino si mobilitò ed organizzò prima formazioni minori di volontari accorsi in Francia a combattere per la Francia, e poi formò la Legione Garibaldina che con la divisa della legione straniera combattè nelle Argonne dal dicembre  1914 al febbraio 1915. Il valore e l’eco delle gesta garibaldine in Francia (caddero tra gli altri Bruno e Costante Garibaldi, nipoti dell’Eroe dei due Mondi, e Lamberto Duranti, anconetano, il primo giornalista caduto nella Guerra Mondiale) rinforzò le fila interventiste.

Accanto ai futuristi, la corrente letteraria che vedeva tra gli altri Filippo Maria Marinetti e tanti altri esponenti di spicco del mondo dell’arte e della pittura e scultura italiana del tempo, agirono come interventisti uomini che incisero anche negli anni futuri nelle vicende italiane. Qui ad Ancona basti ricordare Filippo Corridoni, che poi cadde il 25 ottobre 1915 alla Trincea delle frasche, Medaglia d’Oro al Valor Militare e a cui è intitolata la sua città natale, Corridonia, Pietro Nenni, direttore di quel giornale che ancora oggi si stampa in Ancona, “Il Lucifero”, e Benito Mussolini, socialista, direttore dell”Avanti” che nel novembre 1914, proprio per aver aderito alle idee interventiste, fondò il “Popolo d’Italia”, a cui collaboro in modo fattivo e costante anche Cesare Battisti.

Sul piano strettamente militare, non si può comprendere a pieno le decisioni prese nel maggio 1915 se non si fa un brevissimo cenno a quelli che erano i due principali argomenti in discussione: la soluzione del problema strategico, dopo la dichiarazione di neutralità,  ed un ancor più breve cenno al problema tattico.
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 Il problema strategico era da anni allo studio dello Stato Maggiore Italiano.
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Qui non vi è lo spazio per approfondirlo.
Cadorna lo risolse con il famoso “sbalzo in avanti”
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 Il problema tattico Cadorna lo risolse con la emanazione del famoso Libretto Rosso che è all’origine di polemiche e discussioni da oltre cent’anni
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L’interventismo, quindi,  preparò l’opinione pubblica italiana alla guerra. Quindi l’azione politica e quella diplomatica si poterono esplicare in modo positivo e propositivo, in modo tale che fu superata la crisi governativa gravissima del 12-15 maggio 1915, in cui il Governo Salandra, firmatario del patto di Londra, rassegnò le dimissioni. Un patto di Londra che ha una genesi veramente sorprendente
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Dopo accordi preliminari ed in un contesto che merita un più approfondito studio per le conseguenze che puoi ebbe negli anni a venire, per comprendere come mai i nostri responsabili politici e diplomatici del tempo siano stati così superficiali, l’Italia firma con la Gran Bretagna e con la Francia ed i loro alleati, il noto “Patto di Londra”, il 24 aprile 1915. Tra le clausole, alcune accettate dai nostri rappresentanti con troppa leggerezza, vi era quella che l’Italia si impegnava ad entrare in guerra entro un mese dalla firma del Patto. Altre clausole furono in seguito oggetto di controversie, tanto che quello che poi passò sotto il nome di “Vittoria Mutilata” ha l’origine in questi accordi poco chiari e poco meditati.

Sul piano militare il Patto di Londra prevedeva la stipula immediata di una convenzione militare.[1]
Tale convenzione fu firmata a Parigi il 2 maggio 1915; una convenzione, come fa rilevare Antonello Biagini, che poneva le basi non solo per la futura collaborazione fra gli alleati, ma dava anche una indicazione precisa circa lo sforzo russo contro l’Austria-Ungheria.[2] In modo appropriato Giorgio Rochat sottolinea come non avesse senso fissare, in termini militari in questa sede le cifre, mentre era importante indicare con chiarezza la necessità di uno sforzo comune italo-russo contro l’esercito austro-ungarico.[3] 

Con questa convenzione si delineava chiaramente che era necessario legare strettamente gli alleati tra loro e quindi ogni sforzo doveva essere armonizzato con quello degli altri; inoltre,  si mettevano condizioni e paletti ben precisi all’operato degli Stati firmatari, come ad esempio quello di impedire la firma di armistizi separati, di calibrare lo sforzo bellico, di creare le condizioni per la costituzione di un Comando Unico delle operazioni su tutte le fronti, cercare di armonizzare le aspirazioni, spesso contrastanti tra loro, dei francesi, inglesi, russi e degli italiani.

Questa convenzione non ebbe tanto fortuna. Il problema del Comando Unico, che vide accesi dibattiti in svariate sedi, non fu mai risolto; il coordinamento delle varie operazioni fu scarso, e quando si riuscì a realizzarlo ci fu solo attraverso le conferenze interalleate, che erano organi occasionali e temporanei.

Si avviò anche gli accordi per una convenzione militare con la Russia. Il 5 maggio 1915 il colonnello Edoardo Ropolo si presenta al Granduca Nicola, comandante in capo ed ebbe subito un colloquio con il Capo di Stato Maggiore Nicolay Januskevic. Entrambi convennero che occorreva coordinare gli sforzi: i Russi si trovavano sulla linea dei Carpazi ed avevano come obbiettivo di raggiungere la pianura ungherese battere l’esercito Austro-Ungarico con l’aiuto dell’Esercito italiano e serbo. Fu preparata la convenzione italo-russa che fu firmata il 21 maggio 2015 a Pietrogrado. Ma nonostante questo nello sbalzo iniziale l’influenza delle operazioni russe non ebbe alcun esito.

 Il Comando Supremo aveva provveduto, con lo scorrere dei mesi alla mobilitazione,
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 che fu autorizzata dal governo solo nella primavera del 1915, con colpevole ritardo.
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Il 4 maggio 1915 fu denunciato il Patto della Triplice Alleanza che convinse l’Austria che l’Italia ormai aveva deciso di intervenire; da qui si perse il vantaggio della sorpresa perchè l’Austria iniziò a predisporre le difese nel suo settore meridionale. Ebbe venti giorni di tempo per preparare la propria difesa contro cui si infransero gli attacchi italiani delle prime battaglie dell’Isonzo.

Il Comando Supremo, una volta messo al corrente degli impegni che si erano presi, coscio della realtà, comunicò al Governo che prima del 20 maggio non sarebbe stato possibile dichiarare la guerra.

Iniziarono quelle due settimane, le più difficili per l’Italia, che sono la testimonianza di come l’Italia giungesse impreparata al conflitto. Un maggio che fu definito radioso, ma che radioso non lo fu per niente.
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Lo scontro tra interventisti e nazionalisti divenne sempre più duro. Il 5 maggio, a Quarto, Gabriele d’Annunzio pronuncia il suo discorso in occasione del 50° anniversario della partenza dei Mille avendo una eco veramente notevole.

I Neutralisti, con Giolitti in testa, accanto al Vaticano, ai cattolici ed a una  parte dei socialisti concentrano i loro sforzi appoggiandosi alle iniziative dei rappresentanti tedeschi in Italia, sia
 della Germania sia dell’Austria. In questo contesto arrivano le ultime offerte dell’Austria in cambio della neutralità italiana. E’ il “famoso “parecchio” ma nella sostanza non soddisfa le esigenze italiane, ovvero non ci viene concessa Trieste, punto focale delle trattative.
Inizia una settima veramente terribile per l’Italia e per i suoi destini
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Il parlamento è dominato dai neutralisti.  Giolitti sa che un passaggio parlamentare farebbe cadere il Governo. In questa situazione Francia e Gran Bretagna temono che gli accordi presi con l’Italia possano cadere e quindi sono sempre più diffidenti. La situazione raggiunge il punto culminante quando Salandra, capo del Governo, constata che non ha l’appoggio di tutti i partiti politici e rimette
il mandato al Re. Le dimissioni del Governo e le susseguenti trattative, tra il 14 ed il 19 maggio, sono i giorni più  difficili.
 Il Re ha in quel momento in mano il destino del Paese.
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Si hanno imponenti manifestazioni interventiste in tutta Italia; il Corriere della Sera di Luigi Alberini, Anconetano (un suo monumento è a Piazza Cavour, a testimonianza del suo amore per Ancona)  è capofila della campagna interventista, che sommata alla debolezza ed alla passività delle forze neutraliste, che non osano rischiare una crisi politica in questi frangenti, orientarono sempre più il Re verso la guerra.
Dopo consultazioni con tutti i maggiori esponenti politici decide di respingere le dimissioni del Governo; che significava  la dichiarazione di guerra.
Le Camere sono convocate regolarmente per il 20 maggio, e in due tornate, il Governo ha i pieni poteri. Viene predisposta la dichiarazione di guerra all’Austria che viene inviata il 22 maggio al nostro Ambasciatore a Vienna che la consegna il 23 maggio: dal 24 maggio 1915 l’Italia si considera in guerra con l’Austria.
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Solo i socialisti continuarono a proclamarsi contrari alla guerra , senza però promuovere una reale opposizione  secondo al formula nota del “ne aderire ne sabotare”. I cattolici ed i giolittiani finirono invece per sodalizzare con il Governo Calandra. Questi, chiuso in una concezione angusta della guerra, rifiutò ogni collaborazione  sia dei cattolici, sia dei giolittiani sia degli interventisti democratici  in quanto non vedeva i vantaggi di una “Unione Sacra” per il superiore interesse della Patria, ma continuava a ragionare in termini di rivincita politica della destra tradizionale. E questa scelta, per l’Italia, fu foriera in futuro di guai a non finire.

Questo difficile passaggio parlamentare e politico ha riflessi molto gravi sul piano militare. La diffidenza di Francia e Gran Bretagna, rallentano l’invio di materiale e equipaggiamenti promessi; l’Austria si è preparata e quindi l’effetto sorpresa svanisce; lasciamo all’Austria stessa l’iniziativa operativa.
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Questa si esplica con l’azione navale di bombardamento contro le coste marchigiane e romagnole nelle prime ore del 24 maggio 1915: è un obiettivo strategico: quello di creare le condizioni per una rivolta delle popolazioni sulla scia della Settimana Rossa che in queste regioni si era svolta l’anno prima.
I danni materiali nelle varie località attaccate (Porto Corsini, Rimini, Pesaro, Senigallia, Ancona) sono notevoli dal punto di vista materiale.
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Ancona viene duramente colpita
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L’attacco austriaco fece delle vittime, anche  tra i militari. Alla Caserma Stamura, che oggi non esiste più, fu colpito e smantellato il fabbricato adibito a prigione militare, come fu colpito il fabbricato adibito ad alloggiamento dei soldati. Vi furono tra loro 11 morti e parecchi feriti. Qui a Villarey, ove i soldati dormivano anche nei cortili, si ebbero tre morti .
Parecchi colpi caddero nei dintorni della caserma, in Via Villarey provocando danni alle cose e qualche ferito.
Il comportamento delle popolazione e quello dei soldati fu esemplare: subito ci si mise a  soccorrere i feriti e aiutare coloro che avevano bisogno. Dalle prime ore subito emerse quel concorde sostegno tra popolazione civile e militari che è alla base del consenso che si ebbe nei successivi anni di guerra e che rappresentò il fallimento dell’attacco austriaco.
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L’azione di uomini politici come Nenni, che qui in Ancona dirigeva “Il Lucifero”, Filippo Corridoni, Benito Mussolini, che fu un protagonista della Settimana Rossa, Cesare Battisti, ed esempi dei garibaldini, primo fra tutti l’anconetano Lamberto Duranti, tutti interventisti, determinò una adesione alla guerra, nel solco risorgimentale, insospettabile solamente l’anno prima.
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La tradizione risorgimentale si affermo e si impone

Ecco perchè si può dire che la Prima Guerra Mondiale è la IV guerra d’indipendenza, in cui si esplicò quanto detto prima, ovvero fatta l’Italia nel risorgimento, occorreva  fare gli Italiani. Le Marche  ed Ancona in particolare, il primo giorno di guerra, dimostrarono che questo assunto era reale.

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 Dalle Marche partì la prima azione di guerra contro l’Austria-Ungheria della Regia Marina. Al dirigibile, “Città di Ferrara” , il cui aeroscalo era a Jesi, fu affidata la prima operazione offensiva della guerra: il bombardamento della piazza di Pola, mentre al dirigibile “Città di Jesi” che aveva come aeroscalo Ferrara, fu affidata identica missione, che per avverse condizioni meteorologiche non si sviluppò appieno. Mentre sorvolava la costa nemica sopravvennero anche alcune avarie ed il dirigbile fu costretto a rientrare, dopo quasi dieci ore di volo.

Così è descritta l’operazione  del “Città di Ferrara” nella Relazione Ufficiale della Marina:

 “Lasciato l’aeroscalo di Jesi alle ore 23,30 del 23 maggio  con cielo coperto e piovaschi, l’aeronave prese quota e diresse verso il mare. Per assicurare quanto era possibile l’esito di questa prima missione, quattro barche erano ancorate di 10 miglia in 10 miglia sulla congiungente Ancona-Pola perché servissero di controllo nella rotta. A mezzanotte il dirigbile aveva raggiunto la seconda barca: la velocità che risultava di 75 km ora faceva prevedere che la meta sarebbe stata raggiunta introno alle 1,45 se il vento non avesse mutato di direzione e di forza. Però, poco dopo un nutrito fuoco di cannoni antiaerei  diretto contro l’aeronave , che navigava a 600 metri di quota, rilevò la presenza di navi nemiche”
Il fuoco proveniva dell’incrociatore leggero “Saida”, al comando del C.V. Buchmayer e del’altro incrociatore Szigetevar, al comando del C.V.Schmidt, che precedevano il Gruppo “, composto dal grosso della flotta austriaca (I, III; IV Divisione), che faceva rotta verso Ancona. Apri il fuoco contro il “Città di Ferrara” anche il cacciatorpediniere “Velebit, comandante il C.C. Mauer, che seguiva gli esploratori.
Il “Città di Ferrara” , per sfuggire al fuoco nemico,  diresse verso --“ Nord ovest, aumentando contemporaneamente la quota a 900 metri. Compiuto un largo giro fu ripresa la rotta, ma non fu scoperto alcun segno di terra prima dell’alba. Forse il vento di levate, più fresco e più alto, aveva spinto il dirigibile verso il centro dell’Adriatico: qualunque ne fosse la causa, ormai era troppo tardi per raggiungere Pola. Invertita la rotta, l’aeronave ritornò sulla costa italiana atterrando sopra Riccione; scendendo poco a Su Est lungo la spiaggia, scoprì successivamente le navi austro-ungariche che avevano bombardato Rimini e quelle che ancora facevano fuco su Senigallia, e diresse per attaccarle.
Riferiamo colle stesse parole del Comandante del Città di Ferrara ( ten. di vascello Castruccio. Castracane) l’ultima parte della sua crociera: “ Si da la caccia mentre le navi si allontanano verso levante a grande velocità; causa il forte vento contrario s’impegna molto tempo a raggiungerle, ciò che avviene molto tempo prima che essi si uniscano al resto della squadra che, proveniente da Ancona, dirige a Nord Nord Est
La nave, che è del tipo Radestsky al momento in cui le si lanciano 3 bombe da 262 mm compie una rapida accostata a sinistra e le evita; si accosta seguendola e poco dopo altre 3 bombe da 262mm e 2 da 179 mm, ed una da 262 mm, sono state lanciate ed evitate ugualmente. Il resto della squadra, essendo ormai vicino, dirigo per l’hangar. Da notarsi il fatto che la nave sopra accennata non abbia fatto fuoco contro l’aeronave, ciò che fa supporre essa sia sprovvista di cannoni antiaerei. Entrando in hangar si procede ad una accurata visita ed alla rimessa a punto dei motori. Dalla visita all’involucro, ancora in corso, appaiono fori causati da colpi di fucile che vengono tappati- Non si è ancora riusciti a trovare i fori sul cielo del ballonet dannosi molto per l’inquinamento.”
Mentre il “Città di Ferrara” era in missione su Pola, tre aeroplani austriaci raggiunsero l’aeroscalo di Jesi e lasciarono cadere varie bombe, senza provocare danni di rilievo. Era però chiaro che il nemico aveva ben chiaro il concetto di contraviazione, andando bombardare le basi dei dirigibili nelle Marche. Ancor più chiaro aveva il concetto di bombardamento dei punti militari delle città nemiche, come dimostra il bombardamento di Venezia, in cui impiegò 2 velivoli che sganciarono 19 bombe.
Come appare evidente, non vi era stata alcuna preparazione a difesa di questa minaccia sia aere che navale. Ancona era praticamente una piattaforme smantellata ed indifesa, mentre non esisteva alcuna forma di organizzazione antiaerea. Questo argomento sarà oggetto della conferenza autunnale del CME Marche in programma ad ottobre, ovvero la difesa costiera e antiaerea. La difesa attiva era affidata al sommergibile “Argonauta”. Gli ordini erano chiare: all’imbrunire doveva prendere il pare, adagiarsi sul fondo, e prepararsi ad eventuali attacchi contro navi nemiche che si fossero presentate davanti al porto di Ancona. Proprio il 23 maggio, la barca-rimorchiatore che doveva avvertire “Argonauta” della presenza delle navi nemiche, fu impiegata per l’assistenza alle barche predisposte per la missione del dirigibile “Città di Ferrara” contro Pola. A fronte di questa circostanza, nella impossibilità di essere avvertito, il Comandante dell’”Argonauta” ritenne inopportuno lasciare il porto ed immergersi, quindi rimase in banchina. Quando si palesò la presenza nemica con l’inizio del bombardamento della città, l’”Argonauta” immediatamente usci dal porto; una manovra maldestra (una gomena nella concitazione, si impigliò nelle eliche)  lo bloccò all’uscita del porto; quindi la sua azione fu nulla e la flotta austriaca potè agire indisturbata.

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Siamo qui in questa caserma, intitolata al Cap. Villarey, medaglia d’Oro al Valor MIlitare nella guerra del 1866 e che era sede nel 1915, del Comando Brigata “Messina” e sede del 93° Reggimento di Fanteria “Messina”; un reggimento legato ad Ancona ed alle Marche da lunga data, ancorchè portante il nome della città di “Messina” e lo sarà anche nei decenni a venire, fino ai giorni delle operazioni in Grecia e a quelli tragici della crisi armistiziale del settembre 1943.
Il 93° Reggimento Fanteria aveva avuto come comandante in Libia l’allora colonnello Armando Diaz, che succederà al Gen. Cadorna nel novembre 1917 e che sarà l’artefice ed il protagonista dell’ultimo anno di guerra.
 La storia del reggimento è intessuta, come quelle degli altri reggimenti della fanteria italiana, di risvolti, iniziative ed  episodi tutti volti a creare amalgama, consenso, fratellanza fra gli uomini. Ovvero era in pieno svolgimento il portato risorgimentale ”Fatta l’Italia, occorre fare gli Italiani”.
Il 93° Reggimento fanteria proprio qui alla Caserma Villarey stava accogliendo nelle sue fila, i complementi in attesa di partire per il fronte, complementi che venivano da tutta Italia. La Mobilitazione “rossa”, così chiamata per il colore della carte su cui era stampata era in pieno svolgimento, ancorchè in gran parte occulta e stava predisponendo l’Esercito che avrebbe condotto le operazioni contro l’Austria.
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Sul piano più generale, la dichiarazione di Guerra fu prematura. L’Italia non era preparata ad una azione offensiva in profondità. Sarebbero occorsi altri mesi per preparare uomini e mezzi. L’Esercito, che fino al 1914 era incardinato su una Alleanza difensiva, in breve dovette passare ad una azione offensiva per cui non era preparato. Ne fa fede, tra i tanti esempi, l’atteggiamento del Comandante della 4a Armata schierata nelle Dolomiti, Gen. Nava, che ritardò di oltre un mese l’attacco a fondo alle posizioni austriache in Val di Landro e sul Falzarego; Cito questo perché erano in prima linea le Brigate “Marche” e “Ancona” nell’area della Tre Cime di Lavaredo-Monte Piana.
Oltre alle titubanze ed alla mentalità non aggressiva di Nava, gravissime erano le carenze in termini di artiglieria, di munizionamenti e materiali.
Si può dire che, anche se le truppe avessero conquistato di slancio le posizioni austriache sia sul fronte isontino che in Carnia che sul fronte dolomitico, o in uno solo di questi fronti, e si fossero spinte in avanti, l’azione si sarebbe certamente fermata per mancanza di alimentazione logistica per carenza di ogni sorta di materiale e mezzi.

La guerra riporta tutti alla realtà
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Lo constata con un po’ di amarezza anche Salandra ed il Governo, che, sull’onda del maggio radioso, aveva creduto che in breve si sarebbe giunti a Trieste e a Lubiana. La realtà si dimostrò in tutta la sua cruda verità: eravamo entrati in guerra troppo presto e impreparati.

 Gli austriaci ci fermano: sono le prime battaglie dell’Isonzo che fanno calare tutti i veli
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L’economia italiana non era stata preparata a questa esigenza: tutto si dovette inventare sul momento ed occorsero mesi prima che le nostre industrie riuscissero a fornire all’Esercito i mezzi per sostenere le offensive che Cadorna progettava.
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 Era necessario prevedere e predisporre tutti quegli atti volti a passare da una economia di pace ad una economia di guerra
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Basti solo pensare alla semplice alimentazione del soldato in linea e nelle retrovie. La Barilla iniziò la produzione su larga scala di pasta secca solo a guerra iniziata, mentre la produzione di carne in scatola, (nel corso della guerra ai soldati vennero distribuiti 230 milioni di scatolette) iniziò nella tarda estate del 1915.

Il sistema produttivo militare fu potenziato guerra durante, non prima, ( a pieno regime si ebbero 28 panifici, 12 molini, 3 galettifici, 2 stabilimenti per la produzione di scatolette di carne, 27 magazzini viveri). Lo stesso sistema delle requisizioni si mise in moto in ritardo., mentre le commissioni per gli acquisti all’estero, soprattutto quella negli Stati Uniti, si insiedarono a guerra iniziata.
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Sul paino strettamente personale, vi sono dei risvolti positivi in termini di alimentazione del soldato. Si è detto  che la Prima Guerra Mondiale è stata la IV Guerra di indipendenza in cui si formò, dopo aver fatta l’Italia, l’Italiano. Ebbene “nel rancio“ vi sono aspetti che vanno sottolineati.

La pasta, il pomodoro e l’olio d’oliva scandivano le consuetudini della alimentazione del soldato meridionale; la polenta, il riso, il latte ed il burro, quelle del soldato settentrionale. Ora i settentrionali avevano cominciato a consumare la pasta, il pomodoro, l’olio d’oliva; i soldati meridionali apprezzavano il riso, il burro, il latte, la polenta. Il mescolamento degli italiani fece si che  si avviò uno scambio di ricette locali che poi, terminata la guerra divennero patrimonio culinario nazionale. Ricette come le “Tagliatelle alla bolognese”, le “zeppole leccesi”, il baccala alla vicentina” e il “fricandò friulano”, e per citare le Marche, “ i svinciscgrassi” e “ lo stoccafisso all’anconetana”  superarono le dimensioni locali e divennero patrimonio nazionale. Anche questo contribuì, dopo fatta l’Italia, a fare gli Italiani.

Accanto ad aspetti positivi, però, rimaneva costante la carenza di tutto, frutto della prematura entrata in guerra

Si potrebbe portare altri esempi, soprattutto nel settore della produzione delle armi, delle munizioni, degli equipaggiamenti, ma la tendenza è la stessa: si era in ritardo; non si era adeguatamente preparati alla guerra che si era dichiarata.
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La stessa Ancona, città importante dal punto di vista militare come piazzaforte, era stata come tale smantellata a fine ottocento, ed era praticamente senza difesa al momento dell’attacco austriaco, come visto; così come tante altre piazzaforti adriatiche. Esempio significativo che fino alla primavera del 1915 noi consideravamo l’Adriatico un mare in cui non avremmo dovuto combattere.

Questa entrata in guerra nel 1915 fu, quindi, dal punto di vista della preparazione affrettata sotto molti punti di vista: operativo, tattico, logistico, che determinò la mancanza dello sfruttamento dell’iniziativa, la mancanza della sorpresa  che, in aggiunta al mancato coordinamento con l’azione dell’Esercito Serbo e con l’Esercito Russo, determinò il non conseguimento di importanti risultati nei primi mesi di guerra, quei risultati che tutti gli Italiani ed il Governo per primo, sperava di conseguire.
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In conclusione:
        L’intervento è il frutto di un processo decisionale che sancisce la crisi del regime liberale e le sue difficoltà nella gestione dei movimenti di massa.
        Dal punto di vista strategico accentua le difficoltà dell’Austria-Ungheria ma non avviene in un momento favorevole e non può essere decisivo, perché il tempo a disposizione per una adeguata preparazione non ci fu.
        Il conflitto è ormai una guerra di attrito che non lascia spazio alle ipotesi di manovra ed esalta la dimensione materiale, mentre sul piano tattico si cerca una soluzione che sblocchi lo stallo, ovvero è una guerra di tipo industriale che privilegia il sistema paese che mobilita tutte le sue forze e risorse per la vittoria.

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Le Marche furono in prima linea fin dal primo giorno di guerra  ed  Ancona, riprese il suo ruolo di piazzaforte offensiva nel medio ed alto adriatico ed assumendo una importanza fondamentale nei successivi tre anni di guerra     

Lastrina 39

Ancona 22 maggio 2015

Massimo Coltrinari
(massimo.coltrinari@libero.it)



[1] Il testo dice: “Une convention militare sera immédiatement conclue entre les états majors généraux de la France, de la Grande Brétagne, de L’Italie et de la Russie; cette convention fixera le minimum des forces militaires que la Russie devra employer contre l’Autriche-Hongrie afin d’empeécher cette Puissance de concentrer tous ses efforts contre l’Italie, dans le cas où la Russie se déciderait de porter son principal effort contro l’Allemagne. La convention militaire réglera la question des armistices, qui relève essentiellment commandament en chef des armees.”
Toscano M., Il Patto di Londra. Storia Diplomatica dell’intervento italiano (1914-1915); Bologna, Zanichelli, 1934. In questo volume si trova il testo completo del memorandum o patto di Londra.
[2] Biagini F. A., In Russia Tra Guerra e Rivoluzione. La missione militare italiana 1915-1918, Roma, Edizone Nuova Cultura,  1910
[3][3] Rochat G., La convenzione militare di Parigi (2 maggio 1915), in “Il Risorgimento”, VIII (1961) n. 3, pagg. 127-156