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martedì 20 settembre 2022

Divisione Partigiana d'Assalto "G Garibaldi" - Jugoslavia Giugno 1945

 


Il Rimpatrio della Divisione G

 

Tutti gli uomini che avevano combattuto nella Jugoslavia meridionale furono raccolti nella Divisione “Garibaldi”. Nella primavera del 1945 la Divisone fu concentrata a Ragusa, in attesa dell’imbarco.

Il 7 marzo 1945, il Comando della Divisione emise il foglio n. 376 che dettava le norme dell’imbarco. L’imbarco doveva avvenire per reparti omogenie, in modo disciplinato , senza manifestazione di alcuna specie, al fine di evitare incresciosi incidenti. Ogni comandante di compagnia doveva avere al seguito il ruolino degli uomini presenti e saranno riconosciuti al momento dell’imbarco stesso dal comandante di compagnia stesso; era previsto l’arresto immediato per chi avesse cercato di imbarcarsi clandestinamente; inoltre, una volta imbarcati, gli uomini non potevano più, per nessuna ragione, scendere a terra.

L’8 marzo 1945 partiva da Ragusa il I° Scaglione di Rimpatrio formato dalla VI Brigata “Garibaldi”, poi due battaglioni di complementi, per un totale complessivo di 42 ufficiali, 105 sottufficiali e 1777 militari di truppa. Questo scaglione era al comando del Capo di SM della “Garibaldi” capitano Roberto Berio. Subito dopo parti il 2à Scaglione di Rimpatrio che comprendeva la 1a e la 2° Brigata “Garibaldi” per un totale complessivo di 71 ufficiali, 140 sottufficiali e 1440 uomini di truppa, al comando dello Stesso Ravnich, comandante della Divisione.

Restavano in Jugoslavia, in particolare in Bosnia e in Montenegro molti militari sia sbandati che im servizio presso le unità di artiglieria dell’Esercito Jugoslavo. Questo formarono poi il 3° Scaglione di Rimpatrio che si imbarcò il 15 marzo 1945, composto da quasi tutti gli sbandati della zona, oltre a 8 ufficiali e 330 tutti artiglieri; inoltre si imbarcarono i restanti complementi dei reparti combattenti.

Alcuni giorni prima del rimpatrio della Divisione “Garibaldi” era stata costituita, su ordine del Ministro della Guerra, tramite lo Stato Maggiore dell’Esercito, una “base” italiana a Ragusa per raccogliere il maggior numero possibile di militari dispersi o ancora sbandati che si trovavano in zona. Il comando della base venne affidato al capitano Angelo Graziani; la base funzionò per circa un anno e fu chiusa il 22 febbraio 1946, per il sorgere di dissidi tra le autorità italiane e quelle jugoslave per la questione di Trieste. In questo arco di tempo furono raccolti e rimpatriati 5970 sbandati e dispersi fra cui 209 mogli e figli degli stessi.

La Divisione “Garibaldi” sbarcò a Taranto e fu raccolta al Campo di Sant’Andrea. Qui oltre 3000 militari optarono per combattere ancora nella fila del Regio Esercito. Di questi, circa 1164 residenti nelle regioni già liberate, ovvero a su della linea gotica, furono inviati in licenza in attesa di essere reimpiegati. “£6 militari delleclasse più anziane vennero congedati.

Il 16 marzo 1946 la Divisione “Garibaldi” fu passata in rassegna dal Luogotenente del Regno, Umberto di Savoia. Alla bandiera del Reggimento ”Garibaldi” per i reparti di fanteria della Divisione omonima, venne concessa la Medaglia d’Oro al Valor Militare con la seguente motivazione:

“Degni eredi delle tradizioni militari e del sublime eroismo della divisone “Taurinense” e “Venezia” duramente provate prima e dopo l’armistizio, i reparti di fanteria della divisione partigiana “Garibaldi” dai resti di quella unita derivati, si forgiavano in blocco granitico ed indomabile, animato da nobili energie e da fede nei destini della Patria.

In diciotto mesi di epici ed ininterrotti combattimenti, scarsamente riforniti di viveri, senza vestiario né medicinali, con gli effettivi minati da malattie tenevano alto, in terra straniera, il prestigio delle armi italiane, serbando intatta la compagine spirituale e materiale dei propri gregari che volontariamente preferivano la sanguinosa lotta della guerriglia ad una avvilente resa. Ultimata la guerra in Balcania e rientrati in Patria, ridotti ad un terzo, dopo i duri combattimenti sostenuti nelle aspre montagne del Montenegro, dell’Erzegovina, della Bosnia, e del Sangiaccato, chiedevano unanimi l’onore di difendere il suolo natale, emuli di quanti si immolarono in Italia e al dovere, tramandando ai posteri le leggendarie virtù guerriere della stirpe.”

 

La motivazione della Medaglia d’Oro riverbera in parte i tempi andati. Il presente era sempre difficile. La Divisione “Garibaldi” operò nella Jugoslavia centrale ed ebbe come base per il suo rimpatrio, come visto, Ragusa.

 

Una vicenda che merita di essere ricordata e che sottolinea la situazione estremamente difficile di quel periodo è quella in cui la Divisione composta da militari diventati combattenti per la libertà jugoslava stavano per essere inviati a Trieste, come forza d’intervento italiana. Ragusa, infatti era un ottima base per l’invio della divisone in Istria.

La ricostruzione di questa vicenda, rimasta al piano degli intendimenti ed estremamente significativa è stata ricostruita sotto il titolo “una illusione svanita”[1]  da parte dei protagonisti.


[1] Viazzi L., Taddia, L. La Resistenza dei militari italiani all’Estero. La Divisione “Garibaldi” in Montenegro, Sangiaccato, Bosnia, Erzegovina, Roma, C.O.M.R.M.I:T.E., Rivista Militare, 1994, pag. 809

venerdì 9 settembre 2022

L'Uscita dell'Italia dalla guerra.

 

Settembre 1943

Dal punto di vista degli Alleati, l’Italia come potenza antagonista, non è stata mai considerata una reale minaccia. Fin quando le forze alleate, soprattutto inglesi, operarono da sole in Africa settentrionale, le forze armate italiane riuscirono a tenere testa e soprattutto a portare la minaccia ancorchè potenziale, al Canale di Suez. Le varie offensive in Africa settentrionale, una sorta di pendolo avanti ed indietro, tenevano l’unico fronte aperto della Gran Bretagna con un esercito europeo. L’arrivo di sole due divisioni tedesche portò alla conquista di Tobruck ed una marcia in avanti fino ad El Alamein.  Si rilevava in tutto questo la debolezza della Gran Bretagna che non era in grado da sola a sconfiggere le forze italiane e due divisioni tedesche. La situazione sarebbe rimasta in stallo, se non ci fosse stato l’aiuto concreto degli Stati Uniti. Churchill era a colloqui con Roosevelt quando arrivò la notizia della caduta di Tobruch il 27 giugno 1942 2 la richiesta britannica fu chiara: l’invio in africa settentrionale di 250 carri armati Scherman con i relativi equipaggiamenti e materiali di supporto. La richiesta fu accolta e da questo momento gli equilibri di potenza tra Gran Bretagna e Stati Uniti iniziano ad evolversi, spostandosi a favore di questi ultimi. Churchill sarà molto rammaricato e mostrerà tutto il suo disappunto. Quando nell’autunno dell’anno successivo, sconfitta l’Italia alle conferenze del Cairo ma soprattutto a quella di Teheran, Stati Uniti e Unione Sovietica discuteranno tra loro, mentre a lui è concessa la sola parte del comprimario. La Gran Bretagna aveva perso la leaderschip del mondo e doveva passare la mano, processo questo che avrà una diretta conseguenza sugli avvenimenti di cui stiamo trattando, ovvero in tutta l’operazione di sbarco ad Anzio che dal suo inizio vedeva gli Stati Uniti contrari a quello che consideravano solo una dispersione di forze.

La battaglia di El Alamein, ancorchè una vittoria inglese, è la logica conseguenza di questo processo che avrà il suo epilogo in Africa con la vittoriosa avanzata verso occidente dell’8a Armata al comando di Montgomery che riuscì a togliere agli Italiani la Libia prima, e poi a sconfiggerli definitivamente in Tunisia, maggio 1943. Lo sbarco in Marocco e sulle coste algerine da parte di forze alleate cambiò completamente la situazione in Nord Africa, decretando la ormai fine della presenza dell’Asse nel continente africano. Era il debutto delle forze statunitensi in guerra. Nonostante la vittoria al passo di Kesserine, le forze dell’Asse erano destinate ad essere distrutte. Ormai gli statunitensi stavano prendendo dimestichezza con la guerra ed i loro soldati acquisivano esperienza. L’assalto a Pantelleria che oppose una scarsissima resistenza, era il preludio all’assalto al territorio metropolitano italiano. Lo sbarco in Sicilia prevedibile e previsto, iniziò a mettere a nudo la consistenza dell’alleanza italo-tedesca. Mentre gli statunitensi non esitarono a dare i loro migliori armamenti agli inglesi e a sostenerli in moto massiccio, i tedeschi ebbero un atteggiamento opposto nei confronti degli italiani. IN Africa mandarono due sole divisioni non avendo per nulla una visione strategica di grande respiro. La Sicilia e la Sardegna, minacciate, non videro l’arrivo di nessun reparto tedesco per tempo. IL disprezzo che i tedeschi avevano per i fascisti italiani era tale che non fecero nulla per salvarlo. La presenza di due o tre divisioni tedesche in Sicilia, come le due in Sardegna, sicuramente avrebbe contrastato di molto l’azione alleata e, forse, lo sbarco non sarebbe riuscito, vito che le forze italiane da sole, con qualche reparto tedesco giunto all’ultimo momento erano riuscite ad arrivare a far arretrare le forze alleate quasi alla famosa linea del bagnasciuga. I tedeschi abbandonarono al lor destino sia Mussolini che il fascismo. Quando questo cadde, si meravigliarono di tanta inconsistenza, ma anche qui non diedero aiuto al legittimo Governo italiano per impedire un eventuale sbarco sul continente. E, come naturale conseguenza, l’Italia uscì dalla guerra con l’armistizio del settembre 1943. A questo punto i tedeschi furono costretti a mandare forze in Italia, che prima tenevano ad oziare in Francia e nel nord della Jugoslavia, assumendosi l’onere della difesa di quello che adesso chiamavano il fronte meridionale. Avessero mandato qualche mese prima (maggio giugno 1943) solo la metà delle forze che adesso dovevano impegnare, avrebbero difeso questo fronte meridionale con a fianco le divisioni italiane che sicuramente sarebbero ritornate utili. In più se avessero sostenuto l’Italia, non sarebbero dovuto intervenire né in Grecia, né nell’Egeo, né in Albania nei nel resto dei Balcani, che fino al settembre 1943 erano presidiate da forze italiane. Questa che possiamo definire una vera e propria miopia strategica, che non si riscontra in campo alleato, da un certo punto di vista è uno dei errori più evidenti della condotta della Germania, che non riuscì ad utilizzare al meglio le forze alleate.

L’uscita dalla guerra dell’Italia fu un danno per la Germania, mentre in campo alleato evidenziò in modo chiaro il dissidio tra statunitensi e britannici in merito alla condotta della guerra in generale, e la conferenza di Teheran lo mise bene in luce, e la conduzione della campagna in Italia che per questo dissidio fu una serie interminabile di equivoci, mezze misure, errori e sconfitte di cui Anzio è una somma di tutto questo.