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mercoledì 17 luglio 2019

.Napoleone 1800 La Seconda Campagna d'Italia 5



Il quarto colpo di audacia e di fortuna.

Bonaparte fu dunque condannato ad allearsi con Sieyès ed era la sola carta in definitiva che egli potesse giocare ([1]). Gli era infatti impossibile tentare un colpo di Stato da solo. Non disponeva di un consistente numero di partigiani nei due Consigli e non aveva truppe alle proprie dipendenze.
 Incontrò Sieyès dal fratello Luciano (Presidente dell’Assemblea dei Cinquecento) il 1 novembre ([2]). Bonaparte fu perentorio e contestò a Sieyès di voler presentare alla Francia una nuova Costituzione già fatta senza che essa fosse discussa articolo per articolo. “Noi abbiamo bisogno - aggiunse Napoleone - di un Governo provvisorio e di una Commissione legislativa per preparare una Costituzione ragionevole da porre alla votazione del popolo”.

Avrebbe approvato un Governo ridotto a tre Consoli e, siccome lo si giudicava necessario, sarebbe stato d'accordo a essere uno dei tre Consoli provvisori con Sieyès stesso e con il collega Roger Ducos.

Quanto al governo definitivo sarebbe stata un'altra cosa e si sarebbe riservato di far parte del potere esecutivo o di preferire il comando d'una Armata sulla base di ciò che Sieyès avrebbe deciso. Se non si fosse fatto come suggeriva, precisò che non si sarebbe potuto contare su di lui. Non mancavano infatti generali in grado di dar man forte militare ai congiurati.
In realtà egli giocava d’azzardo, ben sapendo che, dei Generali più influenti, Moreau al momento gli era favorevole, come pure Jourdan, che Augerau era screditato e che Bernadotte era troppo prudente per impegnarsi in un colpo di Stato. A malincuore Sieyès accettò e in quella data fu decretato che il colpo di Stato sarebbe avvenuto il 16 brumaio (7 novembre). Era il quarto gioco d’azzardo favorito dalla fortuna. non aveva concorrenti per costituire il braccio militare del colpo di Stato.

Il quinto colpo di fortuna
Fu scelta la data del giorno dopo (16 brumaio - 7 novembre) per il colpo di Stato ma i deputati collusi avevano paura e all'ultimo momento si rimandò. A tardare troppo si rischiava però una reazione giacobina perché le ultime elezioni erano state a loro favorevoli. Fouché sollecitava di muoversi e finalmente fu stabilita la data del 18 brumaio (9 novembre). Si era pensato al 17 ma era venerdì e Bonaparte, superstizioso, fece ritardare l’operazione di un giorno il colpo di Stato ([3]).
 Per scongiurare il pericolo (diffuso ad arte) di un attacco aile Assemblee parlamentari fu trasferito il Corpo legislativo fuori Parigi e conferito il comando delle truppe della capitale al generale Bonaparte, incaricato di vegliare sulla sicurezza del Consiglio stesso.
Vuoi perché preoccupati vuoi perché complici, gli Anziani approvarono il trasferimento del Corpo legislativo e conferirono a Bonaparte l'autorità sulle forze militari della capitale ([4]).
 Era, a quel momento, necessario ottenere le dimissioni dei Direttori. Moulin e Gohier rifiutavano e furono consegnati al palazzo del Lussemburgo sotto la guardia di Moreau. Talleyrand si preoccupò di Barras, portando con sé 2 milioni di franchi che non furono però necessari perché Barras capì al volo e firmò la sua lettera  di dimissioni.
L'esecutivo non esisteva più.  Alla sera del 18 brumaio il piano dei congiurati aveva funzionato perfettamente. “Oggi non è andata troppo male” confidò Bonaparte  a  Bourrienne ([5]). 
 Alle 13.30 Luciano, che presiedeva il Consiglio dei Cinquecento, aprì la seduta e si scontrò subito con l'ostilità dei deputati che chiedevano le prove del pericolo che avrebbe minacciato il Corpo legislativo ([6]).

Alle 15.15 fu decisa una sospensione di un quarto d’ora della seduta e Bonaparte, impaziente, apparve improvvisamente nella galleria. Non avrebbe avuto il diritto di entrare senza l'autorizzazione del Presidente ma approfittò della sospensione. Nell’aula regnava il disordine e non tutti erano al loro posto. Bonaparte prese la parola con voce poco sicura e, subito contestato, perse il sangue freddo e pronunciò frasi irritate e inopportune ([7]). Aveva perso il controllo del suo stesso pensiero e Bourrienne affermò nelle sue memorie di avergli a questo punto detto nell'orecchio: “uscite Generale, voi non sapete più che cosa state dicendo”.
Bonaparte lasciò allora il Consiglio degli Anziani senza averli convinti, si recò all’Orangerie (dove erano riuniti I Cinquecento) ed entrò anche qui senza autorizzazione. Volarono minacce ([8]) e Bonaparte dovette ritirarsi scortato da quattro granatieri, il viso pallido e insanguinato, probabilmente per essersi grattato nella concitazione con qualche bottone dell’uniforme ([9]).
Sembrava aver perso la partita, la fortuna sembrava essersi rivoltata bruscamente contro di lui e i deputati giacobini sembravano padroni della situazione. 

Fu salvato, invece, da una intelligente decisione del Presidente Luciano Bonaparte che, dopo un momento di perplessità, lasciò la poltrona della Presidenza per recarsi alla tribuna e dichiarare: “non c'è più libertà. Non avendo più la possibilità di farmi intendere, vedrete almeno il vostro Presidente depositare, in segno di doglianza pubblica, le insegne della magistratura popolare” ed uscì lasciando i deputati disorientati.
Fu poi dato ordine a Murat di intervenire nella sala delle sedute. Murat e Leclerc entrarono e ne cacciarono i deputati. “Cittadini rappresentanti - dichiarò Leclerc - non si può più rispondere della sicurezza del Consiglio. Vi invito a ritirarvi”. Di fronte al rifiuto e alla proteste dei deputati un ufficiale ordinò allora: “Granatieri avanti! Tamburi, la carica! Più brutalmente Murat avrebbe urlato: fottetemi tutto quel mondo là dentro”.([10])

 La sera del 19 brumaio Cabanis, membro dell'Istituto nazionale, arringò un certo numero di membri dei Consigli dei Cinquecento e degli Anziani:  “Per salvare la Repubblica non c'è che un mezzo, riformare le leggi organiche affidando questo incarico a un governo provvisorio”.
Il  Governo che in effetti si sostituì al Direttorio fu formato da tre membri che presero il titolo di Consoli. Furono Bonaparte, Sieyès e Ducos. Due commissioni  furono incaricate di preparare il cambio costituzionale reso necessario dalla situazione e Bonaparte diventò “Primo Console”.
Nonostante le malaccorte parole di Bonaparte di fronte ai Consigli, paradossalmente divenne indispensabile un intervento armato che relegò Sieyés in secondo piano. L'operazione parlamentare di Sieyés si era trasformata in un colpo di Stato militare di Bonaparte ([11]) che fu nominato Primo Console. Ancora una volta la fortuna fu dalla sua parte ma il suo potere non era affatto sicuro, sia per l’ostilità dei giacobini sia per l’opposizione, anche armata, dei realisti in Vandea. Era necessario un successo militare personale di Bonaparte.




[1] Bonaparte non aveva simpatia per Sieyès e propose a Gohier il proprio ingresso nel Direttorio. La risposta di Gohier fu molto chiara: la Costituzione francese esigeva che si potesse far parte del Direttorio solo a quarant'anni. Anche Moulin, vecchio generale, fu dello stesso parere.
Un'alleanza di Bonaparte con i giacobini non era possible. vi si opponeva Bernadotte che aveva sposato la vecchia fidanzata di Bonaparte, Desirée Clary e non nascondeva i suoi sentimenti di gelosia nei confronti di Bonaparte, con il quale si rifiutò anche di far colazione, perché “un uomo che aveva violato la quarantena avrebbe potuto portare la peste”. Barras fu escluso fin dall'inizio. Benché regicida, Barras pensava probabilmente a una restaurazione monarchica.
[2] Il 25 ottobre il piano in quattro punti di Sieyès gli fu spiegato dal fratello Luciano, divenuto Presidente del Consiglio dei Cinquecento: inventare un pericolo per far uscire i Consigli da Parigi, perché si ignorava come avrebbero reagito i sobborghi operai; dare il comando di tutte le forze militari a un generale, che avrebbe dunque potuto essere Bonaparte; costringere almeno tre membri del Direttorio a dare le dimissioni;  convincere i Consigli a votare i pieni poteri a una Commissione incaricata di redigere una nuova Costituzione, in pratica quella che Sieyès aveva elaborato da lungo tempo.
La revisione della Costituzione era peraltro impossibile perché il titolo 13º imponeva infatti un lasso di tempo di nove anni tra la domanda di revisione e la revisione medesima.
Intanto, con la guerra della seconda coalizione alle frontiere, ci si meravigliava che Bonaparte non prendesse un comando di truppe.
Il Direttorio convocò il generale il 28 ottobre per invitarlo riprendere servizio. Gohier affermò nelle sue memorie di aver detto a Bonaparte che gli amici della Repubblica desideravano che egli fosse alla testa dei suoi difensori e il Direttorio lasciava a Bonaparte la scelta dell'Armata di cui assumere il comando. Bonaparte rifiutò affermando di avere ancora bisogno di riposo.
[3] La sera precedente Bonaparte aveva pranzato da Cambacérés, si era mostrato molto allegro ed era andato a letto alle due. Nella notte stessa partirono le convocazioni degli Anziani per un Consiglio straordinario, nel momento stesso in cui agli ufficiali congiurati furono trasmessi gli inviti a recarsi in via della Vittoria al domicilio di Bonaparte.
Si dal primo mattino del 18 brumaio (9 novembre) una folla in uniforme raggiunse via della Vittoria. C'era Lefebvre che comandava la divisione militare di Parigi, McDonald, Moreau e lo stesso Bernadotte in borghese ma che non rimase. C'era anche, con il pretesto di una rivista militare, Sebastiani con il 9° reggimento dei dragoni così come Murat  con il 21º reggimento di cacciatori.
il Consiglio degli Anziani si riunì alle sette e i deputati si interrogavano sul perché di un'ora così mattutina. Il Presidente Lemercier li avvertì che una grave minaccia pesava sulla Rappresentanza nazionale e fu anche affermato che era avvenuto un massacro di deputati da parte di briganti.
[4] Prontamente avvertito Bonaparte nominò come aiutante il Generale Lefebvre e come Capo di stato maggiore Andréossy. Marmont ebbe l'incarico di sorvegliare  le Tuileries e Murat il palazzo del Consiglio dei Cinquecento. Poi a cavallo, contornato da ufficiali tra i quali Berthier e Moreau, egli raggiunse il Consiglio dei Cinquecento per ringraziare i deputati.
Lungo la strada incontrò il segretario di Barras e colse l’occasione davanti ai soldati che lo circondavano di indirizzare tramite lui all’Eminenza grigia del Direttorio queste parole: "in quale stato ho lasciato la Francia e in quale stato l'ho ritrovata? Avevo lasciato la pace e ritrovo la guerra! Vi avevo lasciato delle conquiste e il nemico ha superato le vostre frontiere! Ho lasciato i nostri arsenali pieni e non ho ritrovato nemmeno un'arma! Ho lasciato milioni recuperati in Italia e ritrovo dappertutto solo tassazione e miseria! I nostri cannoni sono stati venduti e il furto è stato eretto a sistema! Le risorse dello Stato sono sparite! Si è ricorso a mezzi vessatori contrari alla giustizia e al buon senso! Si sono lasciati i soldati senza difesa! Dove sono i bravi, i 100.000 camerati che io ho lasciato coperti di allori? Che cosa sono diventati? Questo stato di cose non può durare perché entro tre mesi ci porterebbe al dispotismo. Ma noi vogliamo la Repubblica la Repubblica sulle basi dell’uguaglianza, della morale, della libertà civile e della tolleranza politica. Con una buona amministrazione tutti gli individui dimenticheranno le fazioni per diventare solo francesi. È tempo infine che si renda merito ai difensori della Patria che ne hanno diritto. Secondo qualche fazioso saremmo tutti nemici della Repubblica, noi che l'abbiamo affermata con il nostro lavoro e il nostro coraggio. Noi non vediamo persone più patriottiche che i bravi che sono mutilati al servizio della Repubblica”.                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                    i soldati applaudirono l’allocuzione di Bonaparte che aveva lo scopo di giustificare il colpo di Stato e catturare la simpatia di un esercito restato profondamente repubblicano. Parigi non si mosse. La città era sorvegliata dagli agenti di Fouché. Réal era pronto a paralizzare eventuali iniziative dell'amministrazione parigina.
[5] Il 19 Bonaparte si svegliò alle quattro del mattino mentre le truppe stavano già muovendo verso Saint Cloud dove Bonaparte e i suoi aiutanti di campo arrivarono verso mezzogiorno, attraversando in vettura la piazza della Concordia, dove Bourrienne avrebbe confidato a Lavallette:  “domani dormiremo al Lussemburgo  o finiremo qui”. Piazza della Concordia era, infatti, la sede tradizionale della ghigliottina.
 C'era già molta gente: deputati, curiosi, soldati. Gli operai erano ancora al lavoro: qualcuno preparava la galleria del primo piano per il Consiglio degli Anziani, gli altri stavano adattando l’Orangerie per ospitare i Cinquecento e Bonaparte si installò con Sieyès in un appartamento vicino alla galleria.
[6] Si chiese che all'istante tutti i membri del Consiglio rinnovassero il giuramento di fedeltà alla Costituzione. Il Presidente approvò disponendo che il giuramento fosse individuale. Ciò per guadagnare tempo, perché intendeva aspettare le proposte del Consiglio degli anziani. La seduta del Consiglio degli Anziani era presieduta da Lemercier e furono subito poste domande di spiegazioni da parte di alcuni deputati che si meravigliavano di non essere stati convocati il giorno precedente per deliberare sul decreto del trasferimento a Saint Cloud.

[7] “Rappresentanti del popolo, voi non siete affatto in circostanze ordinarie, siete sopra un vulcano”, comincia Bonaparte senza dare però alcuna spiegazione sui pericoli in corso. Al contrario, si attardò a giustificare se stesso dall'accusa di dittatura lanciata contro di lui: “se avessi voluto opprimere la libertà del mio Paese, se avessi voluto usurpare l'autorità suprema non mi sarei rimesso agli ordini che voi m'avete dato. Ve lo giuro, la Patria non ha nessun difensore più zelante di me. Io mi dedico tutto intero per far eseguire i vostri ordini”.  La situazione fu dipinta nei colori più cupi: risveglio della Vandea, mancanza dell'Esecutivo ma nessuna allusione ai giacobini.
“E la costituzione?” si gridò da più parti. Bonaparte perse a questo punto il sangue freddo: “Voi invocate la Costituzione? Può essere ancora una garanzia per il popolo francese? Voi l'avete violata il 18 fruttidoro, il 22 floreale, il 30 pratile! La Costituzione è stata invocata da tutte le fazioni ed è stata violata da tutti! Essa non può essere per noi un mezzo di salute perché non ottiene il rispetto di nessuno”. Bonaparte promise poi di rinunciare ai suoi poteri non appena fossero stati superati i pericoli.
“Ma quali pericoli?” domandavano molti deputati “i nomi, fate i nomi!”. Bonaparte tirò allora in ballo Barras e Moulin che l'avrebbero invitato ad abbattere tutti gli uomini che hanno idee liberali e, approfittando della sorpresa, si lanciò in nuove affermazioni: “le differenti fazioni sono venute a bussare alla mia porta ma io non le ho affatto ascoltate, perché non sono di nessuna parte, sono soltanto dalla parte del popolo francese”.
L’arringa non convinse però l’Assemblea e Bonaparte si innervosì vieppiù: "se qualche oratore pagato dallo straniero ha suggerito di mettermi fuori dalla legge, che la folgore della guerra lo distrugga all'istante! Io mi appellerò a voi, miei bravi compagni d'arme, a voi che tante volte ho portato alla vittoria”.
[8] Un deputato lo interpellò: “che fate voi temerario? Ritiratevi, voi violate il santuario delle leggi”. Da tutte le parti si alzarono le proteste: “fuori legge il dittatore! Moriamo al nostro posto! Viva la Repubblica viva la Costituzione!”
[9] Da questo dettaglio è stata accreditata la leggenda di un'aggressione contro un Bonaparte disarmato, con la conseguente accusa ad un certo deputato Aréna  d'aver voluto pugnalare il generale.
[10] Nei suoi dettati da Sant'Elena Napoleone racconta: “Bonaparte discese nel cortile del castello, chiamò le truppe a sé, montò a cavallo e le arringò: sono andato a far loro conoscere i mezzi per salvare la Repubblica e renderci la nostra gloria e mi hanno risposto a colpi di pugnale. Essi hanno voluto così realizzare il desiderio dei re coalizzati. Che cosa avrebbe potuto fare di più l'Inghilterra? Soldati, posso contare su di voi?” Acclamazioni unanime avrebbero risposto a questo discorso e tosto Bonaparte avrebbe ordinato a un Capitano d'entrare con 10 uomini nella sala dei Cinquecento e liberare il Presidente.
Il fratello Luciano ha lasciato invece un diverso resoconto dei fatti.  Sarebbe stato lui ad uscire liberamente e tenere il discorso che si attribuì Napoleone: “il Presidente del Consiglio dei Cinquecento vi dichiara che dei faziosi, pugnali  alla mano,  hanno violato le delibere. Vi richiede di impiegare la forza contro questi faziosi. Il consiglio dei Cinquecento è sciolto”.
 Un intervento militare così brutale non era stato previsto nel piano dei cospiratori. Era necessario intimidire, però rimanendo in un quadro legale per condurre la Rappresentanza nazionale a votare il principio d'un'altra Costituzione. Le malaccorte parole di Bonaparte davanti ai due Consigli avevano compromesso la riuscita del colpo di Stato e obbligato i soldati di Murat e di Leclerc ad intervenire.
[11] È ciò che Napoleone spiegherà a Sant’Elena a Bertrand: “Doveva essere una rivoluzione civile e non una rivoluzione militare. In verità erano Sieyès e i civili che agivano, io non ero che il loro agente. I fatti non si sono svolti affatto come essi speravano. Io ne ho raccolti i frutti ma non ero allora il personaggio principale; i civili e Sieyés non mi consideravano che come una loro macchina”.

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