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venerdì 6 marzo 2015

Accademia di MIlitaria e Oplologia: una nuova ricerca: i giornalisti Caduti nella Prima Guerra Mndiale

 Egregio Professore,

come da accordi telefonici Le invio il materiale da me raccolto in anni di ricerche su Lamberto Duranti di Ancona, il primo giornalista italiano Caduto eroicamente nella Grande Guerra. Fu uno dei garibaldini della Legione Garibaldina a morire nelle Argonne (Francia) combattendo assieme ai francesi e contro i tedeschi. 

Come Lei sa, lunedì 5 gennaio prossimo ricorre il 1° Centenario della sua morte in combattimento con la Legione Garibaldina nelle Argonne contro i tedeschi e sarà commemorato nel cimitero delle Tavernelle dove fu sepolto con gli onori militari (nell'occasione la città di Ancona proclamò il lutto cittadino): "Lamberto Duranti - Un anconetano nella Rossa avanguardia delle Argonne" 1914-1915, cliccare su:
Ma il suo nome per errore e/o dimenticanza non figura sulla lapide con i nomi di 83 giornalisti Caduti in guerra nel 1915-1918, inaugurata da Mussolini il 24 maggio 1934 al Circolo della Stampa di Roma (vedere allegato 1 in calce) e casualmente ritrovata a Roma nel maggio 2011 in una cantina dell'INPGI (Istituto Nazionale di Previdenza dei Giornalisti Italiani "Giovanni Amendola"). Le ricerche hanno comunque dato i loro frutti perché il numero dei giornalisti Caduti nella Grande Guerra è quasi raddoppiato rispetto a quelli riportati sulla lapide. Per ora siamo arrivati a 150. 

Attualmente a seguito di una Convenzione stipulata due anni fa dall'I.N.P.G.I. con un'équipe di storici del Dipartimento di Scienze Sociali ed Economiche dell'Università "La Sapienza" di Roma, guidata dal professor Luciano Zani, si sta completando il lavoro di ricostruzione biografica dei giornalisti Eroi della 1^ guerra mondiale in vista di un'imminente ed importante pubblicazione da presentare in occasione della ricollocazione della storica lapide (o meglio, di una nuova iscrizione marmorea aggiornata e corretta con i nomi dei 150 giornalisti  (67 in più rispetto alla lapide, compreso Duranti) con accanto i nomi delle testate con cui collaboravano e le onorificenze ricevute) nel corso di una pubblica cerimonia alla presenza delle più alte cariche dello Stato.

Sarebbe questo, credo, il giusto riconoscimento del sacrificio di questi giovani giornalisti, non come semplice blasone di categoria o come esaltazione del momento bellico, ma come espressione di coesione nazionale e di passione professionale. Verrebbe così finalmente anche riabilitata la memoria di quei colleghi che hanno immolato la loro vita per la Patria e sono stati poi ingiustamente dimenticati da tutti, Gazzetta Ufficiale compresa.

Come ha, infatti, tenuto giustamente a sottolineare il professor Zani "le loro storie sono state, tranne eccezioni, trascurate dalla storiografia, mentre meritano un approfondimento scientifico e critico: la lapide, questo piccolo “sacrario” che ne consacra la memoria, andrebbe necessariamente affiancata a una ricostruzione storica che ridia scrittura alla loro penna e voce ai loro ideali e alle loro illusioni, togliendo la loro morte dal cono d’ombra dell’oblio e dalla luce fuorviante della retorica patriottica, restituendola alla dimensione della serena e obiettiva ricostruzione storica".

Le segnalo inoltre che sono 5 i giornalisti nati nelle Marche Caduti nella Grande Guerra (oltre a Duranti, Augusto Agabiti di Pesaro, Filippo Corridoni di Pausula poi Corridonia - proprio in suo onore, Amilcare Mazzini di Mondolfo e Gaetano Serrani di Tolentino) ed altri 3 vissuti nelle Marche, pur essendo nati invece in altre Regioni. Hanno lavorato in giornali marchigiani Gaspare Bianconi di Norcia e Arturo Caruso di Acerra, mentre Giuliano Bonacci di Firenze, inviato di guerra del Corriere della Sera e figlio di Teodorico, ex Ministro della Giustizia e Vice Presidente della Camera, apparteneva ad una famiglia di Jesi. 

Di tutti Le invierò con e mail a seguire il materiale da me raccolto.

A mio parere sarebbe opportuno onorare la loro memoria e il loro sacrificio.

Con i miei più cordiali saluti

Pierluigi Roesler Franz
Consigliere nazionale dell'Ordine dei Giornalisti e Presidente del Gruppo Romano Giornalisti Pensionati presso l'Associazione Stampa Romana 
Via Alessandro Serpieri 7
00197 ROMA
06-321.45.74
335-820.12.40
   

Allegato 1

                    I 150 Giornalisti Eroi della Grande Guerra e la storia della lapide che li ricorda.

Una grande lapide in marmo con impressi i nomi di 83 giornalisti Eroi di ogni parte d’Italia morti per la Patria nella 1^ Guerra Mondiale 1915-1918 è stata casualmente ritrovata a Roma nel maggio 2011 nello scantinato di un complesso di proprietà dell'INPGI (Istituto Nazionale di Previdenza dei Giornalisti Italiani "Giovanni Amendola").

Si tratta di una scoperta di grande valore, soprattutto perché é un'epigrafe unica (misura cm. 170 di altezza, cm. 101 di larghezza e cm. 3 di spessore e pesa circa un quintale e mezzo) di cui si erano del tutto perse le tracce.

Sulla targa marmorea, priva di data, vengono riportati, oltre ai nomi dei colleghi, le onorificenze al valor militare concesse loro in vita o alla memoria e le testate giornalistiche per le quali collaboravano. In particolare 5 giornalisti risultano insigniti di medaglia d'oro, 21 di medaglia d'argento e 2 di medaglia di bronzo (vederehttp://www.televideo.rai.it/televideo/pub/articolo.jsp?id=9700http://www.pietredellamemoria.it/pietre/lapide-giornalisti-caduti-grande-guerra/, http://www.lagrandeguerra.net/ggidentificatigiornalistigrandeguerra.html).

Ma a quando risale questa lapide? Di essa se ne iniziò a parlare già durante il primo conflitto mondiale. Infatti, come si legge sulla Gazzetta Ufficiale del Regno d'Italia del 5 ottobre 1916 n. 234 a pag. 4998, il Consiglio Direttivo dell'A.S.P.I. - Associazione della Stampa Periodica Italiana (che fu fondata a Roma nel 1877 dopo il duello a colpi di sciabola avvenuto nella capitale la sera del 18 maggio per lavare l’onta di un articolo ritenuto sarcastico e diffamatorio; la sfida fu vinta dall’onorevole Augusto Pierantoni - avvocato, deputato radicale per molte legislature e genero del ministro della Giustizia Pasquale Stanislao Mancini - che, alto come un corazziere, dopo tre attacchi ferì in allungo all'avanbraccio il giornalista parlamentare del “Fanfulla” Fedele Albanese e che successivamente confluì nell'Associazione Stampa Romana - sindacato unitario dei giornalisti del Lazio che ne continuò l'opera), decise che "i nomi dei Soci Caduti al fronte per la grandezza dell'Italia siano esposti in un quadro nel salone sociale con delle brevi note biografiche. A guerra finita verrà indetta una solenne commemorazione dei Caduti e verrà in tale occasione scoperta nel grande salone dell'Associazione una targa marmorea che recherà i nomi dei valorosi con la data del loro sacrificio".

All'epoca l’A.S.P.I. aveva sede a Palazzo Marignoli, imponente edificio quadrilatero costruito nel cuore di Roma alla fine dell'Ottocento tra via del Corso/via delle Convertite/piazza San Silvestro/Via di San Claudio (siamo a due passi da Palazzo Chigi e da Palazzo Montecitorio).
Un'ulteriore conferma della collocazione di una lapide si ricava dalla lettera del 15 gennaio 1923 (ritrovata dal giornalista Salvatore Maffei, Presidente dell'Emeroteca Tucci di Napoli, che ringrazio) che Edoardo Giordano dell'Unione Giornalisti Napoletani (l'attuale Associazione Napoletana della Stampa nata con l'altra denominazione sociale nel 1912) scrisse al carducciano Floriano Del Secolo, condirettore del quotidiano "Il Mezzogiorno" e professore di lettere al Convitto della Nunziatella: "Caro Floriano, attendo sempre dalla tua cortesia le poche parole d'iscrizione occorrenti alla lapide per i giornalisti caduti in guerra. Grazie e cordiali saluti, tuo E. Giordano".

Successivamente anche Alberto Bergamini e Salvatore Barzilai proposero di "incidere nella pietra perenne i nomi di tutti i giornalisti immolatisi per la più grande Italia" (vedere notizia in 1^ pagina sul "Bollettino della Federazione della Stampa" del 25 gennaio 1924 intitolata "In memoria dei giornalisti italiani caduti per la Patria").

Sempre nel 1924, nel volume di 264 pagine "Giornalismo eroico" di Arturo Lancellotti, Edizioni Fiamma, Roma, con prefazione di Giovanni Biadene, Segretario Generale della Federazione Giornalistica Italiana, si riporta un elenco dei 46 giornalisti che si conoscevano fino ad allora (sulla lapide ne sono, invece, indicati ben 37 in più).

La collocazione nell'atrio del Circolo della Stampa di Roma della lapide in memoria dei giornalisti Caduti nella Grande Guerra, casualmente ritrovata nel maggio 2011 in una cantina, risale, però, alla sera del 24 maggio 1934 in occasione della ricorrenza annuale dell'entrata in guerra dell'Italia quando fu ufficialmente inaugurata "da Benito Mussolini nel corso di una solenne cerimonia alla presenza del Segretario del Sindacato nazionale Fascista dei Giornalisti, del Capo Ufficio Stampa del Duce e di molti giornalisti, tutti in camicia nera". In tal modo il Regime riusciva ad utilizzare la memoria dei caduti nel rafforzamento del consenso ai valori, alle norme e ai miti del fascismo.

Ne dette notizia "La Stampa della Sera" di Torino del 24-25 maggio 1934 in prima e seconda pagina. A confermare che fosse proprio quella la targa marmorea è l'articolo "I giornalisti Caduti in Guerra", pubblicato alle pagg. 765-766 dell'Annuario della Stampa Italiana a cura del Sindacato nazionale Fascista dei Giornalisti edizione 1933-1934, Nicola Zanichelli Editore - Bologna che indica i nomi di 82 giornalisti morti durante il 1° conflitto mondiale con accanto la testata giornalistica su cui scrivevano. Nell'elenco riportato nell'Annuario della Stampa Italiana del 1933-1934 figurano, tuttavia, numerosi errori sia nei cognomi che nei nomi e nelle testate e manca solo il nome di Carlo Ridella, ex Direttore de "La Provincia Pavese", 83esimo giornalista Caduto in guerra e pluridecorato il cui nome è stato, infatti, scolpito proprio in fondo al centro sulla lapide (probabilmente vi fu quindi aggiunto in un secondo tempo).

Da allora la lapide rimase esposta per circa 35 anni a Palazzo Marignoli. Poi l'Associazione Stampa Romana si trasferì, prima in piazza San Lorenzo in Lucina (stesso stabile dove aveva il suo ufficio privato l'ex Premier Giulio Andreotti) e da qui - intorno al 1979 (durante la presidenza di Ettore Della Riccia, già Presidente dell'INPGI) - negli attuali locali di proprietà INPGI nell'adiacente piazza della Torretta 36.
Evidentemente durante il trasloco di sede da palazzo Marignoli non si trovò posto per ricollocare la lapide che finì così in un grande scantinato che si era appena liberato in un complesso INPGI a sud di Roma in via dei Lincei 123 (nei pressi della via Cristoforo Colombo) insieme a molti arredi, mobili, libri, enciclopedie ed incartamenti vari. Ed é qui che é stata ritrovata dall'allora Presidente della Commissione Assegnazione Alloggi e Affitto Immobili INPGI Massimo Signoretti e dal Dirigente del Servizio Immobiliare INPGI - settore tecnico - ing. Francesco Imbimbo.

In 3 anni e mezzo di appassionanti e faticose ricerche, grazie anche alla collaborazione con l'Emeroteca Tucci di Napoli, la Biblioteca Nazionale Centrale di Roma, l'Istituto del Nastro Azzurro per decorati al valor militare, l'Archivio di Stato di Bologna - Ufficio per le notizie alle famiglie dei militari di terra e di mare, la Direzione Generale della Previdenza Militare, della Leva e del Collocamento del Lavoro dei Volontari Congedati, il Commissariato Generale per le Onoranze ai Caduti in Guerra del Ministero della Difesa, e le Associazioni storico-culturali "Fronte del Piave" e "Cime e trincee", nonché di storici e soprattutto di tanti appassionati, che ringrazio di cuore, sono riuscito non solo a ricostruire la biografia essenziale di 81 degli 83 giornalisti Eroi, ma ho potuto persino individuarne altri 67 che erano rimasti finora nel dimenticatoio  (tra i quali Giulio Bechi, Umberto Boccioni, Filippo Corridoni, Vittorio Locchi, Carlo Stuparich, Eugenio Vajna de Pava e Giacomo Venezian). Pertanto il totale dei colleghi Caduti nella Grande Guerra é diventato oggi di 150.

Tranne di Vittor. (forse Vittorio o Vittorugo) Caggiano de "Il Commercio" (é l'unico giornalista di cui non si sa ancora praticamente nulla) e di Ettore Cantagalli Del Rosso del "Corriere di Livorno" (il suo nome è scolpito anche sulla lapide esposta nella città labronica in piazza Manin 1; già sottotenente dei bersaglieri di origini toscane che il 22 ottobre 1918 attraversò a nuoto 4 volte il Piave per salvare sull'isola Vittoria un ufficiale pilota britannico caduto con il suo aereo e che per questo gesto eroico fu decorato con la medaglia di bronzo e la Croce inglese. Morì però 9 anni dopo, nel 1927, nella disastrosa battaglia di Er-Raheiba in Cirenaica combattendo con il 7° Battaglione Libico) ho potuto riscoprire i dati anagrafici salienti (luogo e data di nascita, paternità - e in molti casi anche la maternità - distretto militare, ruolo svolto in guerra, data e luogo dell’eroica morte, motivazione delle decorazioni ottenute per il valore dimostrato sul campo, testate giornalistiche per le quali lavoravano in redazione o erano collaboratori, eventuali iscrizioni al sindacato dei giornalisti, nonché loro opere letterarie, testamenti, commoventi lettere inviate ai familiari pochi giorni prima di morire al fronte, scritti, foto, busti, lapidi ed ogni altro interessante riferimento alla loro pur breve vita).

Scorrendo la lista dei giornalisti caduti al fronte ci si può rendere conto della varietà e qualità dei profili biografici, che consentono uno sguardo profondo sul clima generazionale di rinnovamento e sulla trasformazione stessa del giornalismo italiano. Solo per fare alcuni nomi, tra i più noti e influenti: Cesare Battisti, Luigi Berta, Giuliano Bonacci, Gaspare Bianconi, Giosuè Borsi, Alberto Caroncini, Gualtiero Castellini, Annunzio Cervi, Gianni Cipolla, Attilio Deffenu, Luigi De Prosperi, Felice Figliolia, Mario Fiorini, Federico Grifeo di Partanna, Nino Oxilia, Enzo Petraccone, Vincenzo Picardi, Carlo Ridella, Franco Scarioni, Renato Serra, Scipio Slataper, Roberto Taverniti, Ruggero Timeus Fauro, Carlo Vizzotto, Spiro Xydias.

Per avere un'idea della sua importanza storico-culturale e non solo per la nostra categoria basti pensare che i 150 giornalisti (direttori, vicedirettori, capiredattori, inviati speciali, inviati di guerra, redattori, corrispondenti dall'Italia e dall'estero, collaboratori e stenografi) rappresentano praticamente tutte le Regioni italiane (tranne per ora solo l'Abruzzo) e numerose testate giornalistiche, sedici delle quali ancora in edicola.

La maggior parte di essi sono morti al fronte attaccando il nemico, altri in trincea, in aereo, in ambulanze, in ospedaletti da campo o in ospedali militari. Due di essi sono annegati in mare a bordo della stessa nave trasporto truppe affondata nel Mar Egeo silurata da un sommergibile tedesco. Altri due colleghi della stessa testata sono morti incredibilmente a pochi metri e a poche ore di distanza tra loro! Solo pochissimi Eroi hanno avuto il privilegio di morire in casa o in un ospedale della propria città per malattia o ferite riportate al fronte.

I 150 colleghi, molti dei quali erano partiti volontari per il fronte, hanno affrontato il nemico da soldati, sottufficiali ed ufficiali, rappresentando tutte le varie armi, Aeronautica e Marina conprese: alpini, fanti, cavalleggeri, bersaglieri, artiglieri (di campagna, di montagna e di fortezza), bombardieri, mitraglieri, granatieri, genieri, ufficiali medici e postali, esploratori, arditi e persino 4 piloti e 1 furiere del C.R.E. (Corpo Reali Equipaggi di Marina) al servizio del comando dell'incrociatore corazzato "Amalfi", che fu la prima nave italiana affondata dal nemico nella Grande Guerra il 7 luglio 1915 a 30 km. dalla costa al largo di Rovigo (fu colpita a un siluro lanciato da un sommergibile tedesco UB 14 camuffato da austroungarico U 26 (la Germania all'epoca non era ancora ufficialmente in guerra con l'Italia).

Che si tratti poi di Eroi lo provano le decorazioni ottenute: ben 9 medaglie d'oro, 63 medaglie d'argento, 29 di bronzo, 4 Croci di Guerra, 5 Promozioni per merito di guerra, una Menzione dell'Ordine Militare francese e una Croce inglese. In pratica, in media ben 2 su 3 giornalisti Caduti hanno ottenuto un riconoscimento militare o un'onorificenza per le loro gesta eroiche al fronte.

Rispetto ai dati riportati sulla lapide si può dire che in essa manchino oltre la metà delle medaglie realmente conferite. Come risultano inoltre sbagliati o mancanti sulla targa marmorea anche numerosi nomi e cognomi.

Il 1° giornalista martire della Grande Guerra é il marchigiano Lamberto Duranti che cadde contro i tedeschi nelle Argonne (Francia) il 5 gennaio 1915 assieme a Costante Garibaldi (nipote dell'Eroe dei Due Mondi), combattendo contro i tedeschi nella Legione Garibaldina quattro mesi prima che l'Italia scendesse ufficialmente in guerra contro l'Austria. 

Il 1° giornalista Caduto, invece, nel nostro Paese é il napoletano Manlio Pintaura del "Roma" di Napoli che morì a Lucinico il 10 giugno 1915.

Il nome più conosciuto é certamente quello del martire Cesare Battisti (giornalista e politico, Direttore de "Il Popolo", che fu impiccato dagli austriaci nel castello del Buon Consiglio a Trento il 12 luglio 1916). Tra i Caduti figurano ben 23 altri Direttori, Vice Direttori ed ex Direttori di giornali e riviste: Agabiti, Alquati, Arculeo, Bacchi, Berta, Bianconi, Borsi, Caravaglios, Caroncini, Cipolla, don Daelli, Deffenu, Dogliotti, Ferro, Fiorini, Franquinet de Saint Remy, Marchini, Natale, Picardi, Ridella, Talice, Vacca e Venezian. E sono morti in guerra anche un deputato in carica (il tarantino Federico Di Palma), il figlio del Fondatore e primo Direttore del "Gazzettino" di Venezia (Talamini) e i figli di 2 ex ministri (Bonacci e Picardi). E' questo un dato che dovrebbe far riflettere, soprattutto le giovani generazioni, perché fa ben capire come un secolo fa questi giornalisti si siano eroicamente sacrificati per la Patria, mantenendo fede ai loro ideali in cui credevano fermamente.

Tra i Caduti non mancano personaggi di primo piano: patrioti, politici, sindacalisti, nazionalisti, interventisti, neutralisti, massoni, socialisti, radicali, democratici, liberali, repubblicani, mazziniani, irredenti (giuliani, dalmati e istriani), garibaldini e nipoti di garibaldini della spedizione dei Mille, un consigliere comunale di Torino, il segretario del partito radicale a Torino, nonché scrittori, letterati, critici letterari, poeti, poeti-soldato, poeti dialettali, umoristi, vignettisti, disegnatori satirici, caricaturisti, teosofi, musicisti, registi del cinema muto e pittori anche futuristi.

Ed ancora: il pupillo di Benedetto Croce (Petraccone), il fratello dell'inventore del fotogiornalismo in Italia (Porry Pastorel), l'ex segretario della Federcalcio (Scarioni), l'autore di "Addio giovinezza" (Oxilia), il fratello del Kipling italiano (Cipolla), il figlio dell'autore dell'inno della FNSI - Federazione nazionale della Stampa Italiana (Caravaglios), un vicebibliotecario della Camera dei Deputati (il pesarese Agabiti) e persino l’ideatore della soubrette italiana (Vizzotto) , nonché un colonnello dell'Ufficio Stampa del ministero della Guerra (Giulio Bechi, bisnonno di Giovanni Alberto Agnelli, scomparso prematuramente nel 1997 a soli 33 anni mentre stava per assumere il comando del gruppo Fiat).

L’elenco dei giornalisti Caduti comprende cattolici, terziari francescani, non credenti convertiti al fronte, ebrei e persino un cappellano militare del Sovrano Ordine di Malta, nonché colleghi che vantavano nobili origini, come conti, marchesi e baroni.

Erano, infine, nati all'estero quattro dei 150 giornalisti che figurano nella lunga lista: Amerigo Rotellini (a San Paolo del Brasile da famiglia mantovana emigrata in Sud America dove aveva fatto fortuna. Suo padre era il ricchissimo editore del "Fanfulla" di San Paolo del Brasile), Alfredo Casoli (in Argentina, ma residente a Milano dove lavorava per il "Corriere della Sera"), Felice Suigo (anch’egli in Argentina, ma residente sin da bambino a Cislago, in provincia di Varese, e lavorava per il "Corriere della Sera") e Vezio Lucchesi (a Il Cairo, corrispondente dall'Egitto del "Corriere della Sera" e pilota in guerra). 

In sintesi, la lapide rappresenta uno spaccato di storia italiana d'inizio Novecento pressoché sconosciuto. E se non fosse mai stata rinvenuta, dunque, sarebbe stato impossibile ricostruire la storia dei giornalisti morti nella Grande guerra, molti dei quali per errore non figurano, paradossalmente, sull'Albo d'Oro dei Caduti della Grande Guerra (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale suddiviso per Regioni), nonostante parecchi di essi abbiano addirittura ricevuto onorificenze militari.

Roma, 27 dicembre 2014


Pierluigi Roesler Franz



La documetazione inviata a seguito è pubblicata su
www.ancona.lastoria.blogspot.com
post in data 6 marzo 2015

Il materiale così raccolto servirà per la stesura di un paragrafo del volume, in PREPARAZIONE, 
 dal titolo
 Le Marche e la Prima Guerra Mondiale: il 1915
IN PRIMA LINEA

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