Cerca nel blog

giovedì 14 maggio 2020

L'approccio per la Guerra di Liberazione


La crisi armistiziale-Una guerra su cinque fronti

Massimo Coltrinari


La lotta che il popolo italiano intraprese, all'indomani dell'armistizio dell'8 settembre 1943 con le Nazioni Unite può essere intesa come un tutto uno, ovvero una opposizione armata al nazifascismo ed adesione alla coalizione antihitleriana. Scopo di questa nota è individuare i fronti di questa guerra in cui si combatté in nome di una Italia diversa e democratica.
I fronti individuati sono i seguenti:
- Quello dell'Italia libera, ove gli Alleati tengono il fronte e permettono al Governo del Re d'Italia di esercitare le sue prerogative, seppure con limitazioni anche naturali per esigenze belliche. Il Governo del Re è il Governo legittimo d'Italia che gli Alleati, compresa l'URSS, riconoscono.
- Quello dell'Italia occupata dai tedeschi. Qui il fronte è clandestino e la lotta politica è condotta dai C.L.N., composti questi dai risorti partiti antifascisti. È il grande movimento partigiano del nord Italia.
- Quello della resistenza dei militari italiani all'estero. È un fronte questo non conosciuto, dimenticato, caduto presto nell'oblio. È la lotta dei nostri soldati che si sono inseriti nelle formazioni partigiane locali per condurre la lotta ai tedeschi (Jugoslavia, Grecia, Albania).
- Quello della Resistenza degli Internati Militari Italiani, che opposero un deciso rifiuto di aderire alla R.S.I., di fatto delegittimandola.
- Quello della Prigionia Militare Italiana della seconda guerra mondiale.

Se vediamo il singolo militare, il singolo cittadino atto alle armi vediamo che alla guerra parteciparono per vare vie, spesso seguendo scelte le più disparate: chi come rifiuto di consegnarsi ai tedeschi; chi, catturato, finì nei campi di concentramento in Germania e in Polonia; chi entrò nelle file partigiane e prese le armi; chi rientrò in Italia del Sud e nella stragrande maggioranza entrò nelle file dell'Esercito del Re; chi visse, senza cedere, sui monti in Italia e all'estero per non consegnarsi ai tedeschi e non collaborare, chi nei campi di prigionia degli ex-nemici, ora alleati, accettò di collaborare in nome del contributo che l'Italia doveva dare per un domani migliore.
L'approccio adottato permette di poter sviluppare le ricerche in queste cinque direzioni al fine di vedere quanti e quali italiani portarono, come dice Luciano Bolis il loro “granello di sabbia”, oltre a quella che vide coinvolti quelli che rimasero fedeli alla vecchia Alleanza che ha permesso di riportare alla luce tanti episodi ormai avvolti nel buio, ma deve essere ulteriormente integrato.

Il Primo Fronte: L'Italia del Sud

Qui ricomincia a funzionare il vecchio Stato, ma accanto si sviluppa la dialettica dei partiti. Partecipano alla guerra prima il I Raggruppamento Motorizzato, poi il C.I.L., poi i Gruppi di Combattimento. Sono, in nuce, i soldati del futuro esercito italiano, che operano secondo le regole classiche della guerra. È indubbio che combattono contro i tedeschi, anche se il rapporto con gli Alleati è sempre di sudditanza. Con la liberazione di Roma e l'avanzata nell'Italia centrale, la lotta al nazifascismo non è disgiunta da una appassionata discussione sul futuro politico dell'Italia e sulle prospettive di vero rinnovamento democratico. Le forze partigiane e dei partiti antifascisti coesistono, oltre che con l'organizzazione militare del Regno, anche con la Chiesa Cattolica, fattori entrambi che condizionano in senso moderato l'attivita antifascista.

 Il Secondo Fronte: L'Italia del Nord

Al momento dell'Armitizio, l'Italia fu tagliata in due. Al nord i tedeschi impongono la Repubblica Sociale. Qui si ha la forma più compiuta di resistenza. Si hanno le formazioni partigiane organizzate dai partiti antifascisti in montagna, mentre nella pianura e nelle città si organizzano i GAP e le SAP. Oltre a ciò la popolazione civile partecipa alla guerra collaborando con il movimento partigiano in mille forme, e subendo terribili e inumani rappresaglie; inoltre gli operai con i loro scioperi e la loro resistenza passiva contribuiscono a rallentare lo sforzo bellico dell'occupante e a minare anche la propria sicurezza. Si ha il coinvolgimento di ampi strati della popolazione nella guerra al nazifasismo, che si integra con il particolare profilo delle bande in montagna, che non sono solo gruppi di combattenti ma anche luoghi di dibattito e di formazione politica.

 

Il Terzo Fronte: L'Internamento

Nei mesi di settembre ed ottobre l'esercito tedesco fa prigionieri ed interna in Germania oltre 600.000 militari italiani, dando origine al fenomeno dell'Internamento Militare Italiano nella seconda guerra mondiale. Questi militari non hanno lo status di prigionieri, ma di internati, ovvero nella scala del mondo concentrazionario tedesco, sono sullo stesso livello dei prigioneri sovietici (La URSS non aveva firmato la convenzione di Ginevra del 1929) e poco al di sorpra degli ebrei. Ovvero il loro trattamento era durissimo. In queste circostanze per uscire da questo inferno ci si sarebbe aspettata una adesione plebiscitaria alle proposte di collaborazione sia dei nazisti sia degli espopenti della R.S.I. Invece la quasi totalità degli internati oppose il rifiuto ad una qualsiasi forma di collaborazione, subendone le più terribili conseguenze. Fu un fronte di resistenza passivo, ma determinato, che nella realtà dei fatti delegittimò sul piano interno ma anche agli occhi dei germanici la Repubblica Sociale. Infatti una adesione in massa degli internati ai fascisti di Salò avrebbe permesso alla R.S.I. di avvalorare le tesi della propaganda di essere l'unica rappresentante della vera Italia. In realtà questa non adesione, in sistema con la lotta partigiana, isolò Mussolini relegandolo a semplice rappresentante di se stesso e dei suoi accoliti.

Il Quarto Fronte: La Resistenza dei Militari Italiani all'Estero

Se nel nord Italia si sviluppò il movimento partigiano attraverso bande armate, all’estero i militari italiani sopresi dall'armistizio dell'8 settembre e sottrattisi alla cattura tedesca si opposero ai tedeschi in armi, inizialmente, poi dando vita, in armonia con i movimenti di resistenza locali, a vere e proprie formazioni armate. Per la resistenza di formazioni organiche sono noti i fatti di Lero e di Cefalonia. Meno noti tanti altri fatti in cui unità militari italiane organiche resistettero ai tedeschi fino al limite della capacità operativa. Un esempio per tutti: La Divisione “Peruigia”, stanziata nel sud dell'Albania, tenne in armi il porto di Santi Quaranta fino al 3 ottobre 1943, in attesa di un aiuto da parte italiana ed alleata. Una divisione di oltre 10.000 uomini, che dominava un’area abbatanza vasta e che avrebbe potuto dare un forte aiuto ad un intervento alleato dall'altra parte dell'Adriatico. 10.000 militari italiani che rimasero compatti per tre settimane oltre l'armistizio, in armi e che pagarono duramente questa loro resistenza. Infatti tutti gli ufficiali della Perugia furono fucilati, e gli uomini internati in Polonia.
Per le unità che passarono in montagna e si unirono ai movimenti partigiani locali, noti sono gli avvenimento delle divisioni “Venezia” e “Taurinenze”, che diedero vita alla Divisione Partigiana Garibaldi; meno note le vicende delle divisioni “Firenze” ed “Arezzo” in Albania e delle divisioni italiane stanziate in Grecia. Militari italiani diedero vita alla divisione “Italia” in Jugoslavia. Oltre che nei Balcani, militari italiani parteciparono ai fronti di resistenza locali. Così in Corsica, ove oltre 700 militari caddero per la liberazione di Aiaccio, cosi nella Provenza; in centro Europa la presenza di militari italiani è certa.

Il Quinto Fronte: La Prigionia
Vi erano, al momento dell’Armistizio, circa 600.000 prigionieri nelle mani delle Nazioni Unite. Soldati per lo più caduti nelle mani del nemico a seguito dell’offensiva in Nord Africa (1940-’41) alla resa in Tunisia ed al tracollo del luglio agosto 1943 in Sicilia. Per lo più, tranne i 10-12.000 soldati in mano all’URSS, erano in mano anglo-americana. Questi soldati, questi italiani all’annuncio dell’Armistizio dovettero, come tutti, fare delle scelte. La stragrande maggioranza scelse di cooperare con gli ex-nemici, contribuendo anche loro a costruire un futuro migliore. Una aliquota molto bassa non volle cooperare, non solo perché fedeli alla vecchia alleanza, ma per variegate motivazioni.
Ad esempio a Hereford (USA) vie erano circa 4.000 italiani che gli americani consideravano “tout court” fascisti. In realtà, fra questi non cooperatori vi erano sì fascisti, ed anche prigionieri delle Forze della R.S.I., ma anche monarchici, liberali, moderati, repubblicani, socialisti, comunisti o laici in senso stretto che avevano fatto una scelta personale.
I prigionieri in mano agli Angloamericani furono organizzati in ISU, Italian Service Units, compagnie di 150 uomini addetti ad un particolare lavoro. Il loro contributo si esplicò negli Stati Uniti e in Gran Bretagna con l'impegno nei grandi arsenali o nelle basi, oppure in Nord Africa e quindi in Italia, parte integrante della organizzazione logistica alleata. Anche loro, con il loro lavoro, portarono il contributo alla vittoria finale. Soprattutto i prigionieri che operarono in Italia nel campo delle comunicazioni, dei trasporti e del genio, confluirono poi nelle unità del nuovo esercito italiano, gestendo il materiale di guerra americano. Ovvero, anche il prigioniero che, in un contesto particolare, combatte.

A tutti i fronti si accede perchè volontari. Si hanno diverse figure giuridiche, che già descriviamo, come il partigiano, il patriota, il prigioniero, l'internato, l'ostaggio, il deportato, tutte figure che si delineano a seconda del fronte con cui si combatte. Un fronte che rimane unitario, nella volontà ferma di sconfiggere il nazifascismo. E in nome di questa unità, ricordiamo in questa data unitaria chi, pur nella diversità di grado ma non di natura, diede il suo contributo, il suo granello di sabbia, su fronti diversi, affinchè si realizzasse una Italia migliore.

Questo il quadro generale di ricerca che si propone, in una visione storico-scientifica unitaria, al fine di consegnare alle nuove generazioni un approfondimento, oltre che una conoscenza, di fatti che generarono gli anni della vicenda repubblicana la cui matrice non si può non conoscere se si vogliono affrontare i problemi che abbiamo di fronte.

Nessun commento:

Posta un commento