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sabato 8 febbraio 2020

ARMIR Fronte Russo Operazione Piccolo Saturno 20 novembre 21 dicembre 1942 Considerazioni Finali 1


Alla luce di quanto sino ad ora esposto è doveroso fare alcune considerazioni finali e tentare di trarre interessanti ammaestramenti.
L'8° Armata era ormai in difensiva da mesi. La ripresa dell’offensiva era stata rinviata alla primavera successiva e fra i Comandi e le truppe si era determinato una specie di disarmo psicologico: in un contesto così chiaramente difensivo, il principio dell'offensiva va pertanto inteso come iniziativa. Anche in quest'ottica, il principio è stato comunque completamente disatteso, infatti ci si era adattati a subire passivamente il criterio della difesa rigida sancito dal Comando Gruppo Armate “B”, che aveva disposto “la difesa del fiume non deve essere realizzata in modo elastico, ma in modo rigido, occorre impedire ai nemico nel modo più assoluto di attraversare, anche temporaneamente, l'ostacolo acqueo, gli attacchi nemici devono essere stroncati davanti alta linea di difesa, che è rappresentata dalla sponda da noi occupata. Eccezioni a tale principio possono essere “autorizzate solo dal Comando Supremo”. Veniva cosi escluso ogni ripiegamento tattico sia ai fini della manovra, sia per ottenere un raccorciamento del fronte e una conseguente maggiore disponibilità di forze. In caso di rottura e di superamento, i reparti dovevano solo preoccuparsi di resistere ad oltranza sul posto, in attesa del “contrattacco liberatore” che, di fatto, non arriverà mai. L'Armata era così condannata ad una assurda difesa ad oltranza contro forze nettamente preponderanti. Il margine di iniziativa era perciò nullo e ciò era tenuto ben presente dall'avversario allorché concepì le varie manovre a tenaglia che provocarono i nostri successivi tracolli.
Per quel che riguarda il secondo principio, in difensiva la “manovra” si realizza essenzialmente con i contrattacchi che devono essere “istintivi e immediati”. Per effettuare i contrattacchi occorrono riserve mobili; nel caso in esame non solo le riserve non erano mobili, ma mancavano del tutto! La situazione era infatti la seguente:
a livello Comando Divisione e Corpo d'Armata, non vi erano riserve precostituite;
a livello Armata mancavano anche qui le riserve perché la “Vicenza”, la sola Grande Unità inizialmente non schierata sul Don, in realtà era indisponibile perché impegnata nella difesa retrovie e non aveva artiglierie;
la “Celere” poi, l'unica Grande Unità motorizzata e quindi la sola preziosa ai fini della manovra, era stata impiegata staticamente sul Don;
a livello Gruppo Armate: nessuna riserva era tempestivamente disponibile perché la 385° Divisione germanica era in lento afflusso a scaglioni (il primo reggimento arriverà in zona il 12 dicembre, il terzo reggimento arriverà il 19 dicembre, a battaglia conclusa) e la 27^ Divisione germanica, la sola disponibile a partire dal 15 dicembre, disponeva di una limitata capacità operativa.
In sintesi, a tutti i livelli mancava la possibilità di manovrare le forze.
Circa II principio della “massa”, l'8° Armata in realtà aveva poco da sbizzarrirsi. Tenuto conto delle poche forze a disposizione in relazione agli enormi settori da presidiare, non poteva che schierarsi a cordone sul Don. L'unica massa che si poteva ottenere era cioè una “non massa”. Infatti la carenza di riserve vista a livello Grande Unità, valeva anche ai più bassi livelli del battaglione e del reggimento; tutte le poche forze disponibili erano quindi proiettate in avanti.
II dispositivo restava comunque estremamente rado; il motivo è semplice; secondo la dottrina di allora una Divisione binaria poteva presidiare un settore di 10-14 km di ampiezza in presenza di un ostacolo difensivo, cioè circa la metà del settore mediamente assegnato alle Divisioni sul Don. Più che di densità, quindi, era opportuno parlare di diradamento spinto all'inverosimile, condizioni cioè che non solo non consentivano di realizzare la massa, ma offrivano al nemico la “chance” dì fare la “sua massa” con estrema facilità, poiché dovunque attaccava trovava solo un velo di forze.
Si consideri, in proposito, I’asserto del Clausewitz: “generalmente nell'attacco ad una sosta necessaria non succede più un secondo slancio”.
Né l'Armata poteva realizzare la massa con il fuoco: le artiglierie disponibili, insufficienti e obsolete, non potevano certo realizzare concentrazioni di fuoco massicce e tempestive; analoga osservazione vale per lo forze aeree tedesche, che attirate dalla fornace di Stalingrado, erano rimaste praticamente assenti per tutta la battaglia.
La carenza di forze non offriva certo obiettive garanzie di rispettare il quarto principio: la sicurezza.
I rapporti di forza erano decisamente a favore del nemico.
In difesa, specie in presenza di enormi spazi, si cerca di garantirsi con un dispositivo profondo o comunque prevedendo di reiterare l'azione in profondità, utilizzando le posizioni più convenienti. Sul Don, come accennato, veniva seguito il criterio opposto di proiettare tutto in avanti, senza minimamente pensare a predisporre una seconda posizione difensiva. In campo logistico, il dispositivo deve essere arretrato, scaglionato in profondità e pronto, se del caso, a ripiegare ulteriormente per non essere coinvolto dalle puntate avversarie. Anche in questo campo, invece, ci si comportò all'opposto ammassando tutto sul davanti, ciò in base a precise disposizioni di Hitler, che le prime linee dovevano disporre, in loco, di scorte di viveri munizioni e materiali pari a due mesi dì autosufficienza per resistere ad oltranza. Un ordine pazzesco, impartito al solo scopo di ancorare, in tutti i modi possibili, le truppe al Don, che tra l'altro, ormai colmato dai ghiacci, facilitava i movimenti anziché rappresentare un ostacolo. Hitler sembrava cioè pensare che se gli italiani non avessero lottato per la sua causa, avrebbero lottato per difendere i loro mezzi di sostentamento.
L'8° Armata, ancorata ad una difesa rigida sul Don, con scarsa mobilità e priva di riserve, con poche artiglierie e senza “ombrello aereo”, non era certo nelle migliori condizioni per realizzare la sorpresa (quinto principio).
Comunque anche in questo campo qualcosa avrebbe potuto essere fatto per disorientare l'avversario.
Ad esempio anziché insistere nella tattica schematica e malaccorta del resistere ad oltranza, che già aveva portalo al disastro di Stalingrado, si sarebbe potuto attuare un improvviso arretramento delle linee difensive per costringere l'avversario a far cadere nel vuoto il suo attacco. Altro modo di disorientare l'avversario avrebbe potuto essere quello di accennare, o quanto meno simulare, un attacco dove lui era più debole e cioè nel settore della 270° Divisione sovietica che fronteggiava pressoché da sola il Corpo d'Armata alpino; in altre parole si trattava di sviluppare un'azione lungo la direttrice Pawlowsk - Werch Mamon per accerchiare tutte le forze sovietiche che si erano addensate in corrispondenza del nostro II Corpo d'Armata (cioè gli effettivi di un'Armata). La contromanovra tedesca, anche solo abbozzata, avrebbe presentato molti lati favorevoli, il più importante sarebbe stato quello, come già detto, di partire dal vuoto cioè dagli 80 chilometri presidiati dalla sola Divisione che fronteggiava gli alpini. Certo l'azione non poteva essere affidata a truppe alpine, appiedate e quindi non idonee ad azioni rapide in pianura, né all'Armata priva com'era di riserve, ma a forze motocorazzate tedesche quali ad esempio le Divisioni inutilmente sottratte al Gruppo Armate e mandate a sacrificarsi a Stalingrado.

(a cura di massimo coltrinari  ricerca.cesvam@istitutonastroazzurro.org)

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