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giovedì 20 febbraio 2020

ARMIR Fronte Russo Operazione Piccolo Saturno 20 novembre 21 dicembre 1942 Considerazioni 3

Le condizioni meteorologiche ed ambientali ebbero inoltre un ruolo importante sulle sorti del conflitto, rendendo decisiva la scarsa mobilità dell’ARMIR.
Un primo elemento da rilevare è la responsabilità politica. I politici sono i responsabili dell’Esercito, loro decidono dove mandarlo e a fare cosa. Questo però - e qui la lezione clausewitziana appare in tutta la sua efficacia - non vuol dire che possono chiedergli cose impossibili. Devono invece essere coscienti di cosa può fare lo strumento che hanno a disposizione. Inviare gli Alpini - truppe da montagna con attrezzatura inadatta a quell’ambiente, in aperta pianura e per di più in un territorio vasto come quello russo - fu una decisione sconsiderata. In un’ottica ancora più ampia fu l’idea stessa di impiegare l’esercito su un fronte enorme e con un clima che non permette errori. Per muovere e combattere, ma soprattutto sopravvivere a – 40 C. servono attrezzature speciali che non sono mai state a disposizione dei soldati e inoltre non sono mai state ordinate o pensate dalle alte sfere (anche se alcune voci critiche all’epoca dei fatti si levarono). L’esercito italiano era carente in tutto e aveva già dimostrato in altri settori di non poter competere con forze armate moderne e il fatto di essere impiegato sia nelle colonie africane sia nel gelo russo di certo non ha aiutato a mettersi al passo con i tempi e un’uniformità di equipaggiamento. Da questo punto di vista restano di grandissima utilità i libri che raccontano quei momenti dalle “Centomila gavette di ghiaccio” di Bedeschi, ai volumi di Nuto Revelli (entrambi reduci di Russia) e di Alfio Caruso. Chiunque abbia letto questi o altri resoconti non può far altro che costatare le similitudini tra i trinceramenti in Russia e quelli della prima guerra mondiale, il problema è che si sa che la guerra successiva non è mai uguale alla precedente.
La maggior parte delle forze aeree russe vennero annientate nella primavera del 1941, ma, allungando le operazioni oltre il periodo invernale, si consentì l’arrivo di nuovi mezzi, provenienti soprattutto dagli Stati Uniti. Con l’assoluta padronanza dei cieli, ed in considerazione delle enormi distanze da ricoprire, fu un grave errore non aver utilizzato l’arma aerea per inseguire le forze russe in ritirata e colpire in profondità le riserve logistiche nemiche.
L’aviazione avrebbe potuto consentire di accorciare il fronte terrestre di alcune Divisioni, che in alcuni casi superò i 300 chilometri.
I Comandanti della componente aerea, tra l’altro, avevano brillantemente pensato di impiegare anche i velivoli caccia (poco utilizzati in virtù del fatto che praticamente tutti i bombardieri russi vennero distrutti subito), in azioni di bombardamento leggero, in picchiata contro obiettivi fissi.
Invece, ad ogni occasione, gli aerei efficienti venivano spostati su altri campi, impiegati in altri teatri vicini, sotto il comando tedesco, od utilizzati con soli compiti di ricognizione.
Le condizioni climatiche furono il principale fattore che condizionò l’impiego dei velivoli. Pur tuttavia, nell’inverno del ’41, si poté constatare quanto le rigide temperature potessero influire sull’attività dei velivoli. Tale esperienza non fu tenuta nella giusta considerazione durante le azioni della primavera ed estate del ’42, allorquando i russi iniziarono le loro azioni offensive. Non sfruttando, l’enorme opportunità dell’assoluta padronanza dei cieli, ci si avviò a dover affrontare un secondo inverno.
Ed in tale contesto la ripresa delle attività aeree russe anche in condizioni meteorologiche marginali colse impreparate le nostre forze, logorate ed esauste da quanto fino a quel momento fatto.
La superiorità aerea conseguita nel ’41 fu data per assodata dal comando tedesco.
Si legge in una lettera di Hitler del 30 giugno 1941 che “l’arma aerea russa è cattiva (…) La padronanza dei cieli è assoluta (…) l’arma aerea tedesca potrà essere distolta per rafforzare l’appoggio delle truppe di terra …”.
Ma, mentre i velivoli italo-tedeschi  non venivano sostituiti, riparati o avvicendati (dato che non vi era opposizione aerea), in campo nemico invece furono fatti arrivare nuovi velivoli, e soprattutto nuovi armamenti.
Tra gli aerei russi si menziona il caccia I18, in grado di utilizzare varie mitragliatrici ed un cannone con proiettili pesanti che “sfasciano i carri armati”, il bombardiere IL2 Shturmovick, fornito del “siluro pazzo”, che penetrava nei carri, il L760, bombardiere con 6 motori e un payload di parecchie tonnellate.
Questa differente capacità fu determinante allorquando i russi ripresero le offensive, già forti di una schiacciante superiorità di mezzi di terra.
Un secondo problema fu quello delle comunicazioni in senso lato. Non solo le nostre radio non erano in grado di coprire le grandi distanze che l’ambiente russo offriva, ma tutto l’apparato logistico, già di per sé fragile, collassò e per tutta la ritirata i nostri non riuscirono ad avere un solo rifornimento. Discorsi simili si possono sostenere anche per i tedeschi e, in effetti, i resoconti dalla sacca di Stalingrado o dalla battaglia per Mosca non si differenziano molto da quelli italiani, ma alla divisione corazzata che si ritirava con i nostri soldati fu inviato del vettovagliamento grazie ad alcuni aerei. Non solo i comandi non comunicarono con le divisioni in ritirata, ma non sapevano nemmeno se erano in movimento e dove oppure se erano già state annientate dai russi. Lo stesso ordine di ritirata fu tardivo perché ormai la situazione era compromessa, specie se si pensa che la fanteria russa avanzava con i carri armati mentre i nostri soldati erano costretti a muoversi a piedi e quindi erano infinitamente più lenti. La mancanza di comunicazione fu fatale a migliaia di uomini che si trovarono a combattere per aprirsi la strada non verso l’agognata linea del fronte amica ma verso la prigionia, che per molti di loro si rivelò letale e per altri durò più di 10 anni. La mancanza di comunicazione provocò anche la totale disunione delle colonne, perciò i reparti dovettero combattere e morire per conquistare un villaggio magari appena abbandonato da un altro reparto e subito rioccupato dai partigiani.
( a cura di massimo coltrinari  ricerca.cesvam@istitutonastroazzurro.org)



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