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venerdì 20 dicembre 2019

ARMIR Fronte Russo Operazione Piccolo Saturno 20 novembre 21 dicembre 1942 La Situazione particolate I




Già nel settembre precedente l’ARMIR, allora in via di completamento, aveva combattuto con successo una prima battaglia difensiva ma da come si svolsero i fatti, che ora non esporremo nella loro interezza, si potevano già cogliere alcuni segni premonitori di ciò che sarebbe successo qualche mese più tardi quando i sovietici lanciarono l’operazione “Urano”[1], ed in particolare l’ampiezza eccessiva dei settori da difendere e la scarsità di rincalzi/riserve. Al termine di questa battaglia rimasero, ad ovest del Don, due teste di ponte sovietiche che costituiranno la base di partenza per l’operazione “Piccolo Saturno, nonostante le richieste continue del comando dell’8^ Armata, nel periodo successivo, di poter effettuare operazioni al fine di eliminarle.
Sempre nel mese di settembre, inoltre, anche il C.A. Alpino, inizialmente orientato ad operare con il Gruppo d’Armate “A” sui monti del Caucaso, assunse lo schieramento inserito nell’8^ Armata, supportando le operazioni della stessa durante la prima predetta battaglia.
Questa battaglia non aveva permesso, fino ad inizio ottobre, di iniziare gli approntamenti per la sistemazione difensiva autunnale, così come era previsto da un ordine del Gruppo d’Armate “B”, peraltro attuazione delle direttive dell’OKW.[2] Oltre a ciò scarseggiavano una serie di equipaggiamenti essenziali per il completamento e l’approntamento delle posizioni difensive, quali filo spinato e mine anticarro.
Le disposizioni generali, impartite al Comando dell’8^ Armata, per la fase invernale delle operazioni erano le seguenti:[3]
-      difesa rigida, proiettata in avanti, coincidente con la sponda destra del Don, salvo poche eccezioni. Si dovevano mantenere le posizioni anche se accerchiate in attesa del contrattacco da parte di unità rese disponibili dal comando del Gruppo di Armate;
-      sicurezza contro i carri arati, sfruttando il terreno e creando l’ostacolo;
-      osservazione ininterrotte della sponda est del fiume;
-      continuità del “reticolato” portandolo sulla sponda del fiume;
-      avvicinamento dei rincalzi per un rapido impiego e rapido spostamento delle unità in secondo scaglione;
-      forte saldatura tra settori contigui;
-      difesa in profondità e protezione dei centri logistici.
Oltre a ciò venivano date disposizioni esecutive, che traevano spunto dalla campagna invernale dell’anno precedente. Tra queste vi erano:
-      la necessità che le riserve divisionali mantenessero le loro posizioni e che dovessero trovare riparo o in villaggi o in ricoveri che dovevano essere allestiti;
-      la disposizione per la quale era necessario scongelare, prima dell’impiego, gli armamenti che non potevano tenuti al riparo o protetti da coperte;
-      la concezione dell’ostacolo anticarro di forma triangolare, ritenuta la migliore.
Il comandante dell’8^ Armata aveva portato a conoscenza di tali ordini tutti i comandi dipendenti ribadendo gli ordini di difesa ad oltranza, assenza di manovra dei reparti in linea, in quanto compito dell’unità superiore.
La rigidità di una difesa così concepita impediva però il ricorso alla piccola manovra, alla cooperazione ed al concorso di altri mezzi dove la situazione del momento l’avrebbe suggerito. In sostanza l’azione dei reparti sarebbe stata estremamente compartimentata. Per questo motivo l’azione del Comando dell’8^ Armata, mediando gli ordini ricevuti, permetteva comunque piccole cessioni di terreno all’interno delle aree di responsabilità delle unità dipendenti favorendo anche la costituzione di gruppi mobili d’intervento.
A tutto ciò si aggiungeva l’eccessiva fronte, circa 300 km, assegnata all’armata italiana.
La scarsità di materiali ed equipaggiamenti per le fortificazioni campali non permisero di estendere a tutto il fronte la continuità degli ostacoli anticarro e dei reticolati.
Non fu possibile allestire una seconda posizione difensiva discostata dal corso del Don perché non vi erano ulteriori disponibilità di materiali, di uomini, di mezzi e di tempo, anche a causa della particolarità dell’ambiente operativo.
La pianura ucraina era vasta, uniforme e senza rilievi montuosi. Era attraversata da numerosi corsi d’acqua caratterizzate da brevi piene primaverili e lunghi periodi di gelo durante il quale l’acqua gelava e l’elevato spessore del ghiaccio consentiva il transito agevole ai mezzi pesanti a motore annullando così l’ostacolo naturale. L’escursione termica era elevatissima: d’estate la temperatura raggiungeva i 40°C e durante l’inverno sempre -2°C -4°C. Famoso era il “gelo siderale russo” che provocava gravissimi inconvenienti a uomini e mezzi.
Il settore nel quale era schierata l’8^ Armata italiana sulla riva destra del Don si estendeva dal kolkoz Bugilovka (località della sponda destra, circa 8 chilometri a sud di Pavlovsk), fino all’altezza della confluenza del Choper (affluente di sinistra).
L’ampiezza del settore misurava in linea d’aria 180 chilometri, che, seguendo il corso sinuoso del fiume,diventavano circa 270. L’elemento naturale di maggiore importanza in quel vasto territorio era il corso del Don.
La larghezza dello specchio d’acqua, nel tratto considerato, variava dai 100 ai 400 metri ed in taluni punti poteva essere guadato nella stagione estiva.
La sponda destra del Don, costituita prevalentemente da terreno calcareo-gessoso, si prestava bene alle opere di fortificazione campale e, in generale, aveva dominio della sponda sinistra. Dove confluivano nel Don corsi d’acqua più o meno importanti, la sponda si abbassava al livello del fiume, perdendo la caratteristica di ostacolo anticarro, posseduta per un tratto di circa 140 km più a valle; sarebbero occorsi lavori di sterro per accentuarne la ripidezza ; nell’ultima 50 di km a monte della confluenza del Choper, la riva non aveva caratteristiche di ostacolo.
(a cura di massimo coltrinari ricerca.cesvam@istitutonastroazzurro.org

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