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lunedì 16 maggio 2016

21 maggio 2016. Rimini. Conferenza Monte Piana Monte Piano Luoghi, Fatti e Personaggi


MONTE PIANA MONTE PIANO 
 LUOGHI FATTI E PERSONAGGI
1915 -1917

Dopo una rapidissima introduzione in cui si farà cenno ai protagonisti della Grande Guerra, ai Comandanti ed al Piano Cadorna erede della pianificazione operativa offensiva del confine orientale, si indicheranno le fonti e le refrenze

Si passerà alla analisi delle forze contrapposte con la esplicazione dello schieramento italiano e austriaco attraverso l’ausilio di cartine illustrative

Descritti i mesi di preparazione e il mese di giugno 1915 in forma sintetica, si passerà alla espisione degli attacchi italiani dal 15  al 20 luglio in forma analitica. Questo attraverso le operazioni della Brigata “Marche” i cui reparti furono protagonisti sul Monte Piana.

Lasciata le sedi stanziali, il 55° Reggimento fanteria di Treviso ed il 56° reggimento fanteria di Belluno ed allo scoppio della guerra è in Cadore nelle Valli del Boite dell’Ansiei e del Padola.
Il primo sbalzo in avanti Porta la Brigata alla occupazione non ostacolata dal nemico, della fronte Forca-Tre Croci lembo orientale del Piano della Bigontina. Qui riceve l’ordine di assestarsi e per tutto giugno alterna l’impegno operativo con lavori di rafforzamento e con l’inviare pattuglie e ricognizioni in Val Rimbianco, Valle Popena Bassa e Val Grande.  Il vero impegno operativo inizia a metà di luglio contro le difese austriache del confine militare.

La Brigata Marche” con i suoi reparti fu protagonista delle azioni principali per la conquista di Monte Piana.  Mario Spada così ha ricostruito le azioni principali per la conquista di questo Monte, che vanno dal 15 luglio ai primi di agosto 1915.

Azione del 15 Luglio 1915
Alle ore 05.00 iniziò il tiro di distruzione dell’artiglieria italiana sulle posizioni austriache, fuoco che durò fino quasi alle 09.00. Alle 09.00 precise, come disposto dal Col. Parigi, un razzo sparato nel cielo da Villa Loero, situata su una altura fra il Lago di Misurina e il Paludetto, dette il via all’azione. I fanti del I Battaglione raggiunsero d’impeto la linea della Piramide Carducci che trovarono sgomberata dagli austriaci che, senza essere notati dagli osservatori italiani, si erano ritirati su Monte Piano, più adatto per la difesa. Contemporaneamente vennero investiti dal fuoco delle artiglierie austriache che sparavano da Prato Piazza, Monte Specie, Landro e Monte Rudo. Non potevano né avanzare né ripiegare: furono costretti a cercare riparo su un terreno esposto, scavando con le vanghette la poca terra, tra le rocce, ricoveri di fortuna. Anche il III battaglione non potè progredire nell’avanzata, conseguentemente non supportò l’azione della 96ma compagnia alpini che dovette, pertanto, ripiegare anch’essa dal Fosso Alpino alle postazioni di partenza. Passò così l’intera giornata del 15 luglio”[1]

 La valutazione tra gli Ufficiali italiani della azione era negativa. Via telefono il col. Parisi sollecitava la ripresa dell’azione per una progressione reale. Nella baracca Comando, situata ove sorge oggi il Rifugio Bosi si discusse i termini dell’azione ed alla fine il Magg. Bosi avallò la soluzione che per conquistare il Monte Piana si doveva procedere dalla Piramide Carducci verso la Forcella dei Castrati.

All’azione avrebbero partecipato la 9a la 10a, la 11a, la 12a compagnia. Senza copertura dell’artiglieria, la 9a e la 10a uscirono dalla trincea sul Pianoro di Monte Piana ed iniziarono a procedere velocemente verso la Forcella dei Castrati, fortemente ostacolate dal tiro delle artiglierie austriache provenienti dalle quote circostanti. Quando raggiunsero la Forcella avevano subito sensibili perdite. Ma successe l’imprevedibile, progressivamente, forse per esaurimento dei proiettili, le artigliere austriache cessarono il fuoco, tanto che la 10a e la 12a compagnia riuscirono a raggiungere sulla Forcella dei castrati le prime due senza subire perdite. Il cap. Gregori, che si delega del magg. Bosi dirigeva l’azione, non ebbe però la prontezza operativa di approfittare della situazione inaspettativamente favorevole e procedere all’assalto risolutivo dell’ormai vicine linee nemiche, anzi dette l’ordine di rafforzarsi sulle posizioni raggiunte, per trascorrervi ivi la notte, in attesa dell’alba.”[2]

 L’azione non aveva dato i frutti sperati e nuovamente il magg. Bosi convocò al suo Comando gli ufficiali responsabili, compreso il cap. Rossi, comandante la 96a compagni alpini. Fu deciso un nuovo attacco per l’indomani, alle prime luci dell’alba, condotto da cap. Gregori.
All’ora convenuta, la 9a e la 10a compagnia superarono la Forcella dei Castrati addossandosi in posizione defilata al tiro nemico sul saliente di Monte Piano, La 10a e la 11a compagnia, con il Comando di battaglione, rimasero pronte all’intervenire schierate sul versante opposto, sul ciglione di Monte Piana dominante la Forcella. Questo fu un grave errore tattico commesso da un ufficiale d’esperienza quale era il cap. Gregori: infatti questi fanti, con il chiarore del giorno, rimasero esposti ed immobilizzati dal tiro austriaco.

In questo frangente cadeva ucciso da tiro di un cecchino il magg. Bosi[3] che fu sostituito nel comando dell’azione dal magg. Gavagnin.

 …(l’’azione della 9a compagnia) fallì per il mancato concorso sulla sua destra, della 96a compagnia alpini che dal Fossato Alpini doveva sorprendere sul fianco la posizione austriaca, eliminandone la resistenza. A quel punto, erano le ore 07.00 il magg. Gavagnin ordinò al cap. Gregori di far attraversare all’11a compagnia la Forcella, cosa che le sarebbe risultata impossibile se non fosse sopraggiunta improvvisa una insolita e fitta nebbia. Così riuscì nel movimento senza subire perdite, andando a rinforzare la 12a ed i resti della 9a compagnia. Ritornato il sereno il cap. Rossi, comandante della 96a compagnia, temendo di essere preso tra due fuochi qualora degli austriaci fossero risaliti per le Forcellette, chiese che quella posizione, dominante sia Val Rimbianco che la Rienza Bassa, venisse prontamente occupata da una compagnia tenuta in riserva. Il magg. Gavagnin, alle ore 11 ordinò al cap. Gregori di procedere in tal concorso con la 10a compagnia. Bisognava però attraversare la Forcella, su terreno esposto dal tiro austriaco: era impresa quasi impossibile tanto che il cap. Gregori ed altri suoi fanti furono fulminati dal fuoco nemico. Sopraggiunta la sera e con essa anche la pioggia. Tre delle cinque compagnie duramente provate furono sostituite da altre due del I Battaglione del 55° Fanteria e dalla 7a compagnia del 56° reggimento”[4]

Una riflessione attenta sugli insuccessi degli attacchi portati nei giorni precedente fecero concludere che la causa di questi insuccessi si doveva ricercare nel fatto che gli attacchi erano portati di giorno. Pertanto si decise di attaccare di notte

Fra le 24.00 e le 3.00 (del 20 luglio, n.d.a) dei genieri della 20a compagnia minatorie della 14a compagnia zappatori collocarono dei tubi di gelatina esplosiva per praticare dei varchi nei reticolati. Nel settore della 96a compagnia alpini, fu lo stesso cap. Rossi, accompagnato da alcuni alpini, a collocare i tubi di gelatina. Dopo il brillamento dei tubi e praticati i varchi nel reticolato nemico, il più ampio di circa 8 metri, due plotoni della 96a compagnia e il plotone Allievi Ufficiali del  55° Reggimento, sostenuti sulla sinistra dalla 6a compagna del 56° Reggimento e da un plotone esploratori del I Battaglione del 55° Reggimento e sulla destra dalla 12a compagnia, riuscirono a penetrare nella prima linea austriaca facendo prigionieri gli occupanti. Si tentò allora di conquistare tutte le posizioni austriache di Monte Piano. Attaccarono sulla sinistra dello schieramento la 1a compagnia, sulla destra la 10a compagnia che provvedeva con un plotone anche alla copertura difensiva in concorso alla 2a compagnia tutte e tre del 55° reggimento. Con le prime luci dell’alba entrarono in azione le batterie austriache di Prato Piazza, di Monte Specie, di Landro, di Monte Rudo e dell’Alpe Mattina. A questo si aggiunse il tiro della “pettegola” che sparava con alzo zero da una distanza inferiore a 300 metri, rendendo impossibile agli Italiani mantenere la posizione conquista con tanto sacrificio. Alle ore 06,30 iniziò il disimpegno ordinato da Monte Piano con ripiegamento sulle posizione di partenza.”.[5]

 Dopo il 20 luglio le azioni ebbero una pausa. Si constato che, nonostante le perdite ed sacrifici, anche coronati da successo, le posizioni di Monte Piano una volte conquistate non si potevano mantenere per via del fatto che erano sotto il tiro delle fortificazioni poste nelle montagne circostanti. 
 Ai primi di agosto i fanti della Brigata “Marche” furono affiancati da quelli della Brigata “Umbria, che svolsero azioni  con il 54° Reggimento dal 3 al 4 agosto in concorso alle azioni di attacco a Monte Rosso ed al Pinedo, ad oriente del Monte Croce di Comelico ove era impiegata la Brigata “Ancona”.

Si palesa ai Comandi italiani che ormai si stava asodando il cosidetto Stallo Tattico, ovvero l’impossibilita dell’attaccante di variarela situazione e la decisione dela difesa di non prendere iniziative. Questa situaizone si manterrà per tuti i mesi successvi fino all’ottobre 1917 quando le truppe italiane si ritireranno per effetto della azone su Caporetto.

IL 23 ottobre arriva l’ordine, per tutta la 10a Divisione di trasferirsi sulla fronte isontina. La permanenza della Brigata “Marche” sul fronte cadorino merita qualche considerazione

La Brigata “Marche” fu protagonista delle azioni del luglio-agosto 1915, o sul Monte Piana. L’analisi della sue azioni rileva i gravi errori commessi dai Comandi superiori italiani sul fronte dolomitico. In primo luogo si manifesta l’errore strategico, ovvero la impreparazione materiale, soprattutto la carenza di artiglierie. Di seguito l’errore concettuale, ovvero la non  risolutezza nello spingersi avanti, frutto questo non di imperizia o di mancanza di coraggio, ma di totale assenza di un piano offensivo necessario ed utile, dato che era l’Italia che aveva l’iniziativa tattica. Le azioni della Brigata “Marche” entrano nel vivo solo a due mesi dalla dichiarazione di guerra, ovvero a metà luglio 1915. I risultati sono quindi discendenti da questo. Il Comando Brigata ha avuto in sei mesi quattro comandanti, in cui si alterna l’eroismo e la destituzione; i comandanti di reggimento e di Battaglione sono sulla stessa Linea, con una successione veramente impressionate, anche qui alternanza di destituzioni ed eroismo. Negli anni successivi questo si stabilizzarà e si avranno periodi di comando normali, sull’ordine dei dodici-quindici mesi.
In realtà sia la Brigata Marche che la Brigata Ancona, che agiva a fianco, sul fronte del Comelico superiore sono vittime di erroi strategici e tattici di vaste dimensioni e, nonostante il loro eroismo, la cui figura del Magg. Bosi è emblematica, non conseguono alcun risultato.

Le conclusioni saranno tratta sulla base della esposizione

Massimo Coltrinari
contatti: coltrinari2011@libero.it




[1] Spada M., Monte Piana 1915-1917. Guida storica ed escursionistica, Bassano del Grappa, Itinerari Progetti, 2010, pag. 52.
[2] Ibidem, pag. 55
[3] Varie sono le versioni della morte del magg. Bosi. Con un approccio tutto ottocentesco, il magg. Bosi, al chiarore dell’alba, e quindi ben visibile al tiro nemico, consapevole del pericolo a cui si esponeva, ma per dare un esempio ai suoi fanti che si stavano impegnando in una ardua azione, poche decine di metri a valle della Piramide Carducci, si era messo, di fronte alle posizioni austriache, in posizione eretta, con il binocolo in mano, per meglio osservare l’andamento dell’azione e dirigere l’azione. Un colpo preciso sparato da un cecchino lo colpi al cuore e subito risultò vano ogni soccorso portato dal suo attendente e dal portaordini che le erano a fianco. Una descrizione più dettagliata si trova in Fornari A., Piccolo frutto rosso, frammento di pace. Nelle trincee del Monte Piana, la storia di un uomo, magg. Bosi Cav. Angelo, S. Vito di Cadore, Edizioni Grafica Sanvitese, 2008
[4] Ibidem, pag. 57
[5] Ibidem, pag, 58

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