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mercoledì 31 agosto 2022

La Storia che si ripete.

 

LA DECADENZA ITALIANA

( XVI – XVIII secolo)

                                                L’attualità di una possibile storia        

Ten. Cpl. Art. Pe.   Sergio  Benedetto  Sabetta

 

 

Indice

Introduzione

 

L’egemonia spagnola in Italia ( 1560 – 1713)

·        L’ Italia a metà del secolo XVI;

·        Gli strumenti del dominio spagnolo;

·        Le fasi del dominio spagnolo;

·        La decadenza economica.

 

Introduzione

 

            Vi è una difficoltà nell’identificarsi dello Stato nella Nazione, una polverizzazione successiva del primo in una serie di municipalità e aree geo-storiche pre-unitarie.

            Una stratificazione anche amministrativa e giuridica che lentamente conduce al possibile dissolvimento del tessuto statale, per fare emergere costose e talvolta doppie realtà locali, le quali non rispondono più ai precedenti storici.

            Il sentimento nazionale è d’altronde compromesso dalla colonizzazione di ritorno della burocrazia che vi è stata nel dopoguerra, nonché da un intervento pubblico che si è risolto in molte aree non in spinte produttive ma in puro assistenzialismo, più consono ad un ceto politico di “notabili”, distributori di prebende e benefici vari.

            La geo-strategia ha scoperto i limiti e le debolezze del sistema, venendo meno le coperture della Guerra Fredda e i limiti delle “cortine”, in un mondo interconnesso in cui vi è la difficoltà di creare stabili istituzioni europee, l’Italia come nella prima globalizzazione tra ‘400 e ‘500 si è scoperta istituzionalmente debole, litigiosa, con una élite insufficiente ed esposta apertamente agli appetiti stranieri, vista anche la sua ricchezza mal custodita.

(AA.VV. – Una strategia per l’Italia – LIMES 2/2019).

 

L’Italia a metà del secolo XVI

 

            Dal 1559 al 1713 lo stato territoriale dell’Italia resta invariato, la dominazione spagnola blocca l’evoluzione verso lo stato unitario; assicura, in cambio, un periodo di stabilità politica mai prima conosciuto dopo la caduta dell’Impero romano.

            In quest’epoca l’Italia assume una fisionomia materiale e morale che persisterà per lunghissimo tempo e tratti che, per certi aspetti, caratterizzano ancora ai nostri giorni la nostra nazione, sia nei paesaggi rurali che nella mentalità.

            Politicamente, bisogna dividere la penisola in due grossi complessi:

a)     Gli stati spagnoli, o l’Italia spagnola, che comprende il Ducato di Milano, tutto il Meridione continentale, le Isole (Regno di Napoli, Regno di Sicilia, Regno di Sardegna), sono governati da Viceré spagnoli da cui dipendono anche i presidi toscani. Nei primi anni del ‘600 la Spagna si assicura un piccolo ma vitale dominio anche in Liguria.

b)     Gli stati regionali italiani, di cui i più importanti:

Lo Stato Savoiardo

Durante il rinascimento e per lungo tempo ancora, è questo lo Stato meno italiano, ma è anche lo Stato, come Venezia, che di più è ostile alla Spagna.

Gli inizi sono modesti. Costituito intorno al Mille sul versante occidentale delle Alpi da un conte di Borgogna, Humbert  aux Blanches Mains, ha feudi sparsi tra il Rodano, il Vallese e il lago di Ginevra e arriva nella Maurienne fino al Moncenisio.

I suoi successori prendono piede nel Piemonte: Susa, Ivrea, Pinerolo, successivamente estendono il loro dominio alla Savoia (Chambéry) e ad Aosta.

Nel ‘300 nuove terre si aggiungono a Nord (oltre-Rodano) e nel Sud (Cuneo, Nizza e Ventimiglia). L’espansione in Piemonte è difficile ed è contrastata da Genova, solo nel ‘400 il Duca di Savoia occupa Torino. E’ uno Stato montanaro e feudale, inutilmente il Duca di Savoia tenta di fare di Ginevra la capitale dei suoi stati.

 Nel ‘400 lo Stato Savoiardo è in crisi, minacciato a Ovest dal potente Regno di Francia. La crisi dovuta alla Riforma protestante toglierà per sempre Ginevra al Duca, mentre Milano e Genova gli rendono impossibile l’espansione ad Oriente e Sud. L’invasione e l’occupazione francese del ducato durante le guerre d’Italia sembrano segnarne la fine.

Emanuele Filiberto riesce tuttavia con energia a rimettere in piedi il Ducato, conservando tuttavia le innovazioni apportate da Francesco I, che aveva annesso il Ducato alla Francia e ne aveva ammodernato  l’amministrazione: il Senato di giustizia di Chambéry, la creazione delle province, un sistema di riscossione di gabelle e  imposte mediante “tailles” .

La capitale viene trasferita da Chambéry a Torino nel 1563. Di qui, con molte incertezze e grosse difficoltà, il Ducato savoiardo abbozzerà una politica di espansione verso la Lombardia, il Monferrato e la Liguria, rinunciando definitivamente al settore occidentale, dove la Francia lo sorveglia e per lungo tempo lo terrà sotto tutela.

 

Venezia

Nel 1557 conta 175.000 abitanti e resta il più ricco e potente di tutti gli Stati italiani. E’ il solo a tenere testa ai grandi della politica internazionale e che dispone di una forte potenza militare e navale.

La prima metà del ‘500 è per Venezia ancora un’epoca di grandezza e splendore, nonostante la recessione economica nel Mediterraneo e la fortissima pressione turca, che riesce lentamente a strapparle parti importanti del suo potere in Egeo e nel Levante.

Il patriziato veneto è omogeneo, non conosce le lotte intestine degli altri stati, ha un forte senso dello stato. Le masse rurali sono fedeli a San Marco i suoi numerosi artigiani godono di un buon tenore di vita.

Genova

A differenza di Venezia, ha subito puntato tutte le sue fortune sulla carta spagnola, da questa alleanza essa trae grossi vantaggi materiali. Andrea Doria instaura un governo autoritario e con lui la casta oligarchica dei finanzieri, raggruppati sin dal ‘400 nel Banco di San Giorgio, sono tesi a relazioni e ad affari con l’estero.

C’è uno stridente contrasto tra la potenza economica di questa oligarchia finanziaria e la modestia notevole dei possedimenti territoriali. Genova infeudata alla Spagna segue la sua sorte, legata come è alla monarchia spagnola. Non a caso, nel ‘700 la Repubblica genovese entrerà in decadenza e sarà travolta dalla Rivoluzione Francese.

Firenze

Pur continuando a restare uno dei poli maggiori della ricchezza italiana, non è più l’ardente e florida città del Medio Evo, dove l’inquietudine politica e spirituale fa tutt’uno col dinamismo economico.

La famiglia Medici  è  riuscita a stroncare le velleità di riforme e di repubblica, Cosimo de’ Medici (1537 – 1574) organizza uno stato assolutistico dove i grandi funzionari del principe sostituiscono le autorità dei Consigli e delle Assemblee cittadine, che esistevano sin dall’età comunale.

Gli elementi più attivi, al seguito di Caterina de’ Medici, moglie di Enrico II di Francia, si installano a Parigi, i Concini finanzieri di Firenze sono attivi sia a Parigi che a Lione e anche in diversi altri stati europei (Fiandre).

Ma la finanza fiorentina perde slancio in seguito alla crisi economica e si orienta verso gli investimenti in terre e immobili. Si attenua la preponderanza della città sulla campagna e fatto significativo, lo stato territoriale fiorentino assume il nome di Granducato di Toscana.

Lo Stato Pontificio

Sino all’inizio del ‘400, il Papa deve ammettere l’autonomia delle svariate Signorie che si formano un po’ ovunque (Bologna, Rimini, Urbino, Perugia ecc.). I Papi del Rinascimento sviluppano un’azione che tende a ristabilire la loro autorità assoluta sull’insieme delle Regioni che dal Po alla Ciociaria formano il loro stato.

Nel ‘500 i Papi più attivi in questo senso sono Giulio II della Rovere (1503-1513) e Paolo III Farnese (1534-1549). Anche se i costumi vaticani sono molto corrotti, i Papi del Rinascimento sono generosi mecenati e ridanno a Roma uno splendore e un prestigio da secoli scomparsi.

La città conta ora 115.000 abitanti ed è pina di edifici religiosi e di grandiosi palazzi, si pensi a Palazzo Farnese (attuale sede dell’Ambasciata francese), tuttavia le basi di questo stato sono fragili e artificiali.

Il monopolio del clero nelle alte cariche di governo e dell’amministrazione fa sì che questa sia corrotta e impotente, lo squilibrio sociale ed economico rende l’unità dello stato precaria. La Corte pontificia è un mercato nepotistico che assorbe ingenti ricchezze in spese del tutto antieconomiche. Non esiste una borghesia lavoratrice o di  affari, che è in erbo e la fortuna di altre più avanzate regioni italiane.

Il commercio langue, l’industria è quasi inesistente e i nobili non si interessano dei loro feudi, abbandonati a pascolo. La facciata opulente e grandiosa della Roma barocca, nasconde sorde rivalità di famiglie, rivolte di contadini esasperati da una feroce e vessatoria politica fiscale, la fame e un vasto endemico brigantaggio.

 

L’Italia spagnola

Milano

La regione lombarda, favorita dalla felice posizione geografica, nodo di tutte le più importanti strade alpine, conosce una solida prosperità sin dai tempi dei Visconti.

Il popolo tuttavia è mantenuto al di fuori da qualsiasi partecipazione alla vita pubblica e politica, questo spiega l’estrema facilità della conquista francese e la facile sottomissione al nuovo padrone spagnolo.

I Regni Meridionali

Sia il Napoletano che la Sicilia conservano un’antica struttura feudale: vaste masse contadine arretrate e miserabili sono sottoposte immediatamente al dominio del clero e dei baroni.

Napoli conosce tuttavia una lieve ripresa economica agli inizi del ‘500, ma lentamente la situazione economica si degrada. Madrid è lontana e cerca di mantenere i suoi possedimenti italiani, per legarli e sfruttarli nella sua politica di grande potenza internazionale.

La Spagna porta a Napoli anche l’intolleranza religiosa, che sarà aggravata dalla Controriforma; dai Regni meridionali vengono così cacciati gli Ebrei che da secoli erano una positiva presenza imprenditoriale nel mezzogiorno.

La feudalità che poggia sul latifondo si rafforza e la vita del Regno è tutta intorno alla grande proprietà, che a sua volta è asservita al Vicerè spagnolo.

Alla sonnolenza di una società pietrificata rispondono le violenze di frequenti e sporadiche ribellioni contadine con il loro funesto seguito: il banditismo cronico e l’esodo di masse rurali verso le aree urbane che si ingrandiscono artificiosamente di folle miserabili, di mendicanti, disoccupati, mentre la criminalità si diffonde sempre più aggressiva.

Gli strumenti del dominio spagnolo

Essi sono due: a) il controllo politico e militare della Penisola; b) la Chiesa cattolica.

a)     Il controllo politico e militare si esercita direttamente o indirettamente attraverso le dinastie asservite. La Spagna occupa i punti strategici che sono i nodi stradali interni, le isole, i grandi porti mediterranei.

b)     La Controriforma asseconda e rafforza il potere della Spagna. Al soldato del re di Spagna si affianca il monaco e il prete cattolico che, soffocando ogni forma di libero pensiero e i tentativi di Riforma, unificano la Penisola nell’ideologia che è un tutt’uno con la Corona di Spagna e col suo “Consejo de Italia”.

Non a caso l’Inquisizione è un potente mezzo di controllo e di repressione della monarchia spagnola, ora anche il Papato italiano è attivo per consolidare il dominio di Madrid sugli Stati della Penisola.

E’ vero che la Controriforma ha ance un aspetto di Riforma cattolica, nel senso di rinnovamento delle istituzioni ecclesiastiche: ma i tentativi in questo senso, si pensi all’Arcivescovo di Milano Carlo Borromeo, citato dal Manzoni, restano isolati.

L’Inquisizione del Santo Uffizio Romano nei papati di Paolo III, Paolo IV, Pio VI, proprio con l’appoggio della Spagna, se per un verso soffoca l’eresia, per l’altro consolida la dominazione spagnola.

I deliberati del Concilio di Trento e la Inquisizione cattolica segnano l’Italia profondamente e questa impronta seicentesca durerà a lungo nella nostra storia nazionale: la religione cede il posto alla devozione, spesso alla religiosità esteriore o folcloristica, alla potenza materiale di un clero intransigente e potente per la presa e la pressione che esercita sulla società.

 

Le fasi del domino spagnolo

            Oggetto e strumento, e insieme posta e asse dello scacchiere politico europeo, l ‘Italia sopporta nei suoi rapporti con la Spagna, le fluttuazioni del destino della potenza iberica:

-         L’apogeo (1559-1598).

-         Il periodo del principio dell’indebolimento spagnolo (1598-1618).

-         Il gran conflitto europeo  o Guerra dei Trentanni ( 1618-1648) e il fallimento del disegno di dominio europeo della Spagna.

-         La distruzione della supremazia spagnola ad opera della Francia ( 1648-1650-1713).

 

Apogeo

1559-1598

E’ il periodo che corrisponde all’egemonia della Spagna su la Francia paralizzata dalle guerre di religione e ai primi effetti benefici del rovesciamento della congiuntura, che segue le grandi scoperte coloniali.

Mentre si organizza la Controriforma, i sovrani spagnoli instaurarono un potere autoritario e burocratico. Che comprime vigorosamente le manifestazioni di malcontento popolare. Lo stesso dicasi degli altri potentati italiani.

L’Italia è la base di partenza per la lotta contro i Turchi, alla quale coopera Venezia. La “lega cristiana” di PIO V riprende i temi della crociata contro gli infedeli, essa si conclude con la grossa vittoria di Lepanto nel 1571.

Ma il successo non è per nulla decisivo.

Deciso a distruggere l’Inghilterra, Filippo II di Spagna impiega qui le sue energie ed è costretto a lasciare un’Italia ancora aperta alla minaccia turca, che non tarda a farsi sentire con innumerevoli e continue aggressioni. Nel 1570, del resto, Venezia perde Cipro. A poco a poco, la vita marittima intristisce e le coste italiane si impaludano e diventano luoghi di pericolo.

Il periodo dal 1598 al 1618

E’ il periodo in cui si va profilando, sia pure con lentezza, il declino della Spagna, di fronte alla vitalità e all’aggressività delle giovani nazioni marittime e coloniali, come la Gran Bretagna e l’Olanda e anche di fronte al risollevarsi della Francia, sotto il re Enrico IV che termina le guerre di religione.

Per assicurarsi i legami continentali con le Fiandre e l’Austria, la Spagna, che ha perduto la signoria dell’Atlantico, infestato dalla terribile marina inglese e olandese, deve consolidare la via del Mediterraneo e infine anche le lunghe e difficili comunicazioni terrestri. La posizione geografica dell’Italia la destina a questo compito.

Dalla base di Genova, due grandi assi di circolazione attraversano:l’uno il Monferrato e la Savoia verso la Francia Contea e i Paesi Bassi, l’altro, la Lombardia con la Valtellina, verso il Tirolo e la Germania. Madrid si sforza allora di controllare meglio l’Alta Italia, ma trova non poche resistenze (specie Venezia e la Savoia).

Nel 1620 i cattolici della Valtellina  compiono “i sacri macelli” dei protestanti di quella regione svizzera e aprono le frontiere alle truppe spagnole di Lombardia. La Valtellina è così posta sotto la sovranità del Canton dei Grigioni, cattolico, ma la Francia è intervenuta, anche se questo intervento non ha esito, esso però anticipa l’azione antispagnola della Francia in Italia.

 

La decadenza economica

 

All’epoca d’oro del Rinascimento succede, a partire dalla seconda metà del ‘500, una fase di stagnazione e infine di decadenza. Le cause generali vanno poste nello spostamento del centro di gravità economico europeo dal Mediterraneo all’Atlantico, in seguito alle grandi scoperte geografiche. Tuttavia, il rovesciamento della congiuntura non è immediatamente catastrofico per l’Italia e bisogna distinguere due momenti:

1°) L’età di S. Martino dell’economia italiana.

Questa felice espressione di Carlo Cipolla si applica agli ultimi decenni del’500 e i primi del’600, corrisponde allo stabilimento e all’apogeo dell’egemonia spagnola sulla Penisola. Al riparo della potenza iberica, l’Italia, dove il transito delle merci venute dall’Oriente continua attraverso il Mediterraneo in modo massiccio, subisce gli effetti benefici dell’afflusso dei metalli preziosi nel Nuovo Mondo, così il Banco Genovese  di S. Giorgio tocca il culmine della prosperità.

Anche il forte aumento dei prezzi, se per un verso dà corso ad una intensa pauperizzazione, per un altro permette il formarsi, sia pure nelle mani di pochi, di ingenti fortune. L’Italia conosce una febbre edilizia e speculativa molte forte,  essa conserva i ricchi clienti stranieri cui vende sete, armi, vetrerie. Venezia ha un traffico intenso e Livorno, legata ai lontani speculatori olandesi, è il nuovo porto che Firenze allestisce in concorrenza con Genova e Napoli. La pace assicurata, sia pure relativa, si traduce in quest’epoca in un aumento demografico.

2°) Recessione e decadenza.

La situazione si degrada con l’asservimento dall’Italia ai disegni di politica estera di Filippo II, fanatici e non realistici in quanto sproporzionati alla reale consistenza delle forze iberiche, la terribile lunga guerra dei Trenta anni  aggraverà questa condizione.

Una pesante e rapace fiscalità pesa sugli Stati della Penisola, la rivoluzione dei prezzi, dopo l’euforia momentanea che permette grossi successi a pochi finanzieri, non vede, come nei Paesi del Nord – Ovest europeo il sorgere di una borghesia dinamica di capitalisti innovatori.

L’Italia sembra sclerotizzata nel suo passato, divisa più che mai tra i pochi fortunati possidenti, più forti e potenti che mai, e grandi  masse in preda alla miseria progressiva. I finanzieri consolidano i loro soldi in terre e tendono a ricostruire il tessuto delle medievali servitù feudali, il commercio mediterraneo a poco a poco viene abbandonato a francesi, olandesi e inglesi. Questi organizzano nei loro Stati manifatture capaci di soddisfare un mercato di massa, mettendo così a terra le costose fabbricazioni italiane prodotte per pochi e difficili clienti.

Il mercantilismo e il protezionismo in Francia aggravano lo stato dell’economia italiana, anzi, agenti francesi invitano artigiani in Francia e comprano segreti tecnici di fabbricazione, che poi impiegano nelle manifatture transalpine, questo spiega perché il Seicento    è il secolo della più grave depressione economica in Italia. Anche Venezia entra in grave crisi e sul finire del secolo perde Creta, sua ultima colonia in Egeo.

Più che mai i capitali si congelano negli acquisti fondiari o si sprecano nelle ingenti spese delle realizzazioni architettoniche del barocco. Questa fioritura dell’edilizia pubblica e privata è il rovescio negativo di una società che spreca nel lusso e nell’ostentazione le sue ultime risorse.

Per mancanza di sbocchi professionali remuneratorie, una grossa parte della popolazione si abbandona intorno alle poche potenti famiglie, alla ricerca di un particolare clientelismo del tutto parassitario, si creano così i tipi popolarizzati dalla Commedia dell’Arte, del lacchè mascalzone, del servo ladro, del prete corrotto senza vocazione. Il pauperismo, il vagabondaggio la prostituzione sono fenomeni di massa nel Seicento italiano.

L’Italia si contrae anche demograficamente, malnutrizione, malattie, epidemie e malaria mietono la popolazione. Le epidemie nel Regno napoletano in un secolo solo fanno morire ben 400.000 persone, tutta l’Italia non superava gli 11 milioni di abitanti. Napoli scende da 275.000 abitanti all’inizio del secolo a 186.000 verso la fine, Milano dai 160.000 del Cinquecento agli 80.000 nel Seicento.

L’unica risorsa dell’Italia intera è ora l’agricoltura, le caratteristiche regionali dell’agricoltura italiana di oggi sono le stesse di quelle formatosi in questo secolo. Il contrasto più marcato è quello tra le grandi coltivazioni irrigate e fertili dell’Alta Italia e i latifondi e i pascoli in mano al clero e ai feudatari del Centro e del Sud della Penisola.

Le tecniche agricole sono nel Seicento ancora rudimentali, se in certe zone la villa signorile, in seguito al ripiego sulla campagna del capitalismo urbano, introduce una certa vivacità economica, per altro le paludi invadono vaste estensioni della Toscana del Lazio e del Sud, mentre pascoli disordinati arbitrari compromettono per secoli la vegetazione delle colline e delle montagne.

Solo nei primi anni del Settecento si delinea una certa ripresa economica nell’Italia del Nord.  

 

 

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