Il Comando supremo era
pervaso da vari dissidi, primo fra tutti quello tra La Marmora e Cialdini, su
un punto tutti erano d’accordo: quello di minimizzare il più possibile il ruolo
e l’azione di Giuseppe Garibaldi. Si concordava nel concedergli un ruolo attivo
nella prossima guerra, ma non tale da farlo assurgere a protagonista per
evitare di dare l’impressione che il Regno non avesse abbastanza forze per
operare da solo. Per ottenere ciò la soluzione che fu adottata fu quella di
ricalcare gli schemi delle campagne 1848 e 1849, durante le quali Giuseppe
Garibaldi era stato inviato in settori secondari con il compito di guardare i
fianchi dell’Armata Regia contro improbabili azione nemiche. Vittori Emanuele
II, inoltre, aveva disposto sotto forma di “desiderio espresso” che le unità
volontarie non avessero un ordinamento simile a quello del Esercito regolare;
inoltre precisò che non si doveva dare una numerazione ordinativa che facesse
risalire le predette unità all’Esercito regio, come era accaduto del 1859 (
Divisione “Cacciatori delle Alpi”). In pratica si voleva tenere ben distinte le
due entità: una cosa era l’Esercito regolare un’altra cosa erano le forze
volontarie. Di fronte a tutto questo
Garibaldi espresse il suo fermo dissenso. Era sì convinto che entrare in guerra
avrebbe significato vittoria; ma occorreva stre bene attenti che questa
vittoria avesse contenuti sostanziali; ovvero che ad una eventuale pace si
sarebbe ottenuto solo quello che si era conquistato con le armi, sul terreno,
combattendo il nemico; non si avrebbe avuto nulla di più.
Pertanto aveva concepito un
piano veramente ardito. Sbarcare in prossimità di Trieste, sbarco che sarebbe
riuscito dopo aver eluso la crociera e la vigilanza della flotta austriaca,
occupazione della città, come base per poi manovrare verso il nord sul rovescio
delle Alpi Giulie. Con l’obiettivo tattico di prendere possesso dei passi che
dal veneto adducono alle valli della Sava e della Drava. Inoltre, una massa di
oltre 10.000 volontari si sarebbe radunata nelle marche e da qui la flotta
italiana li doveva traghettare sulla sponda opposta, ove avrebbero iniziato la
l’azione verso nord, portando la guerriglia. Nel contempo la Flotta italiana
avrebbe dovuto bloccare a Pola quella austriaca
Questo piano avrebbe
utilmente concorso alle operazioni condotte dall’Esercito regolare nella
pianura veneta e sicuramente avrebbe consentito di guadagnare, al termine della
guerra, una linea armistiziale coincidente con i nostri confini naturali.
Un piano veramente ardito,
che si sarebbe potuto realizzare solo con il concorso reale del Governo
centrale e dell’Esercito regolare. Garibaldi non proponeva soluzioni a vanvera:
aveva fatto studiare nei minimi particolari ogni dettaglio ed aveva preso
contatto con i patrioti giuliani e disponeva di una messe di dati informativi
degni di nota.
Proprio questa organizzazione
spinta al dettaglio allarmava e preoccupava il Governo centrale ed il Comando
Supremo, che ritenevano inopportuno ed assolutamente da evitare, qualunque
fossero i risultati, un altro grande successo militare di Garibaldi.
La precisa organizzazione del
piano e la determinazione di Garibaldi allarmarono ulteriormente il Governo ed
il Comando Supremo che paventava una prospettiva che assolutamente non doveva
attuarsi, ritendo inopportuno, a prescindere da qualunque risultato la guerra
avesse dato, un altro grande successo di Garibaldi.
La risposta, ovviamente
politica, più che militare, e questo fu un altro grande errore della guerra del
1866 (ovvero anteporre i successi militari possibili alle esigenze politiche),
fu di blandire Garibaldi con una soluzione di compromesso. Gli si proponeva di
agire nel Trentino al fine di dare copertura al fianco nord dell’Esercito
regolare; poi, una volta che l’Esercito austriaco fosse stato sconfitto in
pianura, si sarebbero date le forze necessarie per uno sbarco in Croazia di
garibaldini per portare poi aiuto all’Ungheria e renderla indipendente.
La reazione di Garibaldi fu
in linea con la proposta: era inutile portare azioni in Trentino; una volta
sconfitto l’Esercito austriaco sarebbe bastato una azione in Val Sugana e poi puntare su Trento. Le obiezioni erano
più che appropriate ma il Governo ed il Comando supremo insistettero. Comunicò
che il Re Vittorio Emanuele II “desiderava” che il piano proposto dal Comando
supremo fosse adottato da Garibaldi, e Garibaldi lealmente dichiarò di accettarlo.
Ma fu un errore. Bismarck
comunicò all’Italia che doveva assumere un atteggiamento risolutamente
offensivo ed attivo verso l’Austria; non fece mistero che la Prussia non
avrebbe tollerato un alleato a rimorchio,
adottante un atteggiamento prudente. Questa comunicazione è in gran
parte la giustificazione adotta successivamente per l’abbandono a se stessa
dell’Italia a Nikolsburg, ove fu negoziato l’armistizio con l’Austria. Nelle
more di questi avvertimenti Bismarck
consigliò di assegnare un importate ruolo militare a Giuseppe Garibaldi,
di appoggiare il suo piano strategico, mettendolo a capo di un Corpo di
Volontari che conquista Trieste avanzasse verso nord, mettendo scompiglio nelle
comunicazioni dell’Austria con il fronte sud. Contemporaneamente le armate
prussiane avrebbero avanzato verso l’Ungheria con l’obiettivo di renderla
indipendente. L’azione di Bismarck e di Garibaldi erano in perfetta armonia e
avrebbe dato enormi vantaggi territoriali: l’Italia avrebbe avuto oltre il Veneto la Venezia Giulia, mentre la
Prussia avrebbe avuto modo, aiutando l’Ungheria a diventare indipendente, ad
esautorare l’Impero Austriaco come grande potenza europea.
La Prima Guerra Mondiale
sicuramente avrebbe avuto un andamento totalmente diverso se il Piano Strategico di Garibaldi fosse stato accettato
e non rifiutato perché un altro successo dello stesso Garibaldi avrebbe dato ombra
al Governo ed alle forze moderate. La soluzione fu mediocre: non adottato il
piano strategico di Garibaldi, fu ordinato che il Corpo dei Volontari doveva
operare nel Trentino.
massimo coltrinari
(centrostudicesvam@istitutonastroazzurro.it)
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