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giovedì 26 marzo 2015

Fano. Confrenza Il Piave Mormorò 27 marzo 2015 ore 17,30 . Carte preparatorie


La prima guerra mondiale fu dichiarata anche per completare il processo unitario della nostra Nazione; per questo è stata anche definita, per l’Italia, la IV guerra d’indipendenza. Indipendenza ed affermazione contro quel nemico ereditario, l’Austria-Ungheria, che considerava l’Italia “una semplice espressione geografica. Per i primi due anni l’Esercito aveva cercato di risolvere il conflitto con battaglie che, però si rilevarono non decisive. L’11a Battaglia dell’Isonzo, agosto 1917, , con i suoi risultati, però, permetteva agli Italiani di poter giungere, con un ulteriore avanzata,Lubiana e far cadere Trieste per manovra, facendo crollare il fronte meridionale degli Imperi Centrali.
(Cartina:Massima Penetrazione Italiana ott.1917)
A seguito di ciò i Germanici decidono di concentrare gli sforzi contro l'Italia: a Caporetto, la 14 armata guidata dal gen. tedesco von Below, preceduta dal lancio di gas asfissianti rompe il fronte e dilaga nella valle; le posizioni elevate degli italiani restano isolate mentre prima l'ala sinistra della 2 armata italiana e poi l'intera armata sono costrette a ritirarsi. Il gen. Cadorna ordina la ritirata su una nuova linea difensiva: Pasubio-Asiago-Grappa-Piave



Di fronte alla gravissima minaccia di perdere non solo il Veneto, ma anche la Lombardia o addirittura di uscire dalla guerra sconfitti, il Re, il 12 Novembre 1917, emana un proclama alla truppe, in cui, oltre a incitarle al combattimento, in un passaggio fondamentale, chiede che esse devono combattere e resistere per difendere la propriaTerra”.Non usa il termine Patria, Nazione, Paese, Sacro Suolo o altro, ma usa il nome “Terra”.
Questo stava a significare che, a vittoria conseguita, si sarebbe affrontato il problema della riforma agraria, che aveva tormentato la vita sociale italiana dall’unità alla Grande Guerra ed i combattenti sarebbero stati tenuti in gran conto. Il messaggio che passò nelle trincee fu questo.

Per un Esercito composto di contadini  significò la speranza per il futuro e la più efficace motivazione al combattimento ed alla resistenza sul posto. Come in effetti accadde, l’Esercito Italiano resistette sul Piave e nelle due successive battaglie di arresto, ponendo le premesse di Vittorio Veneto. 

Fano Conferenza. Il Piave Mormorò 27 Marzo 2015 ore 17,30. Carte introduttive

LA SPIEGAZIONE TATTICA DELLA SCONFITTA DI CAPORETTO: UNA SORPRESA STRATEGICA

Precedenti Caporetto: Punti Salienti:
Dalla Triplice Alleanza alla Neutralità; dalla neutralità all’intervento. La preparazione e la mobilitazione. I caratteri salienti della Grande Guerra: dalla guerra di movimento alla guerra di logoramento. Le prime 11 battaglie dell’Isonzo:lo stallo tattico.. Il superamento dello stallo tattico e Caporetto; l’ultimo anno di guerra: le due battaglie difensive (d’arresto e del Solstizio) e il conseguimento del fine: la battaglia di Vittorio Veneto e la vittoria finale.


Sintesi della politica Italiana fino al 1915. Intervento
Dopo un rapido cenno alla politica estera italiana dallo “schiaffo di Tunisi” al 1914 e un cenno alle convenzioni militari nell’ambito della Triplice Alleanza, i motivi che determinarono di proclamare la neutralità al momento dello scoppio della guerra europea (agosto 1914). Nel confronto tra interventisti e neutralisti ( con l’esempio dei garibaldini che andarono a combattere in Francia nell’inverno 1914-1915) l’Italia, sottoscrivendo il Patto di Londra (aprile 1915) si impegnava ad entrare in guerra entro maggio a fianco dell’Intesa. Era il maggio radioso, in cui tutti erano convinti che la guerra sarebbe stata breve e vittoriosa. In realtà grossi errori tattici ( radunata, mobilitazione lenta, tattiche obsolete) subito fecero capire a tutti che la guerra sarebbe stata lunga e difficile e tragica.

I primi tre anni di guerra. Caporetto. Applicazione dei dettami di Canne (216 a.C.) 
Quattro battaglie nel 1915 dimostrarono che il Piano Cadorna era di difficile attuazione; Nel 1916 e fino all’ottobre 1917 si combatterono altre sette battaglie che non conseguirono l’obiettivo strategico: la conquista e di Trieste e di Lubiana. Era lo stallo tattico, ove sia la difesa che l’attacco si annullavano a vicenda; era la guerra di logoramento che si logorava l’avversario ma logorava anche chi la praticava.

Con Caporetto, che si inquadra nella nuova concezione tattica tedesca già sperimentata a Riga /1 settembre 1917) e poi sarà applicata su larga scala ad Arras nel 1918, basata sui procedimenti tattici estrapolati dalla battaglia di Canne del 216 a.c. si supera lo stallo tattico e gli Imperi centrali erano convinti di conseguire la vittoria.
 Ciò non accadde per vari motivi, ma sopratutto per le nuove idee del gen. Diaz che riuscì a motivare i soldati italiani che in due battaglie difensive arginarono l’attacco austroungarico (Novembre 17 e giugno 1918) che stremarono l’esercito della duplice monarchia. Riordinate le forze, quando ormai  in tutta Europa si pensava che la guerra sarebbe finita nella primavera del 1919, con la battaglia di Vittorio Veneto l’Esercito Italiano riusciva a disarticolare le difese nemiche prima e poi ad agire in profondità determinando il crollo dell’Austria, che era costretta a chiedere un armistizio, che fu firmato il 4 novembre 1918
Massimo Coltrinari – (massimo.coltrinari@libero.it)


venerdì 20 marzo 2015

Esercito Pontificio. Gendarmeria

Si riceve questa nota da Ulrich Nersinger

Si trova sulla pagina dell'Internet di Radio Vaticana (sezione tedesca) un interessante progetto: un articolo (+ audio) sul Corpo della Gendarmeria Vaticana,
 scritto da me 
e tradutto in un latino moderno dal latinista della sezione tedesca di Radio Vaticana, il Rev. Gero Weishaupt. È un piccolo tributo al lavoro della Gendarmeria Vaticana.

lunedì 16 marzo 2015

La Guerra e la sua evoluzione del novecento

NOTE SU 
Evoluzione della guerra di 6^ Generazione

Generazioni della guerra: essa è in realtà un continuum, non è mai consequenziale, diacronica cioè un ciclo continuo, oggi si usa dire che si utilizza un approccio olistico. Non è schematizzabile ma è però possibile cercare di articolarla per poterla studiare meglio.

Innanzitutto la lingua della guerra è cambiata: dal greco al latino al tedesco siamo ora nella fase dell’americano.

·       Le major wars sembra che ora siano scomparse e la guerra si è trasformata. Vi è un declino della fungibilità della forza militare ma una sua strumentalità al servizio della politica.  La guerra si è dunque trasformata anche se non si sa bene in cosa; esitono numerose definizioni: unconventional war, irregular war, asymmetric war, wicked war, criminal war, war of the third kind, non-trinitarian war, new war, counterwar, war amongst the people, three-block war, fourth-generation war, compound war, netwar, insurgency, global guerrilla, econo-jihad, not to mention information warfare, financial warfare, resource warfare, lawfare, cyberwarfare and chaoplexic warfare. Hybrid War (fisica e psicologica).
Si parla anche delle “Three Warfares.” Psychological Warfare (propaganda, deception, and coercion), Media Warfare (manipulation of public opinion domestically and internationally), and Legal Warfare (use of ‘legal regimes’ to handicap the opponent in fields favorable to him).
·       Prima di Westfalia (1648): guerre dinastiche, confessionali, eserciti privati (di nobili, di casate di sovrani) e mercenari, Eroi e capitani.
·       Dopo Westfalia: nasce lo stato-nazione e il concetto di interessi nazionali e pubblici; chi ha il potere, il primo ad affermarlo è Napoleone, afferma che il potere non viene più da Dio ma dalla gente.
·       “contratto sociale”: J.J. Rousseau (1762): sovranità pubblica, lo Stato diviene l’unico attore che ha il diritto di fare la guerra, guerra solo fra stati e siccome gli stati sono i detentori delle risorse non avrebbero interesse a sprecarle in guerre e quindi Stati responsabili=guerra vincolata da fini e risorse (Sunzi)= Pace; in realtà questa uguaglianza non si è mai verificata perché gli stati si sono armati sempre di più mettendo lo strumento militare al servizio della politica, sistema largamente utilizzato ai nostri giorni.
·       Si arriva alla rivoluzione francese: nascono gli eserciti nazionali, gli stati diventano “macchine da guerra”.
·       Ogni generazione di guerra si distingue per nuovi Scopi e strumenti (strategie, leadership, uomini, procedure, mezzi).
·       La guerra d’eroi rimane invece una costante in tutte le società

1^ GENERAZIONE (VI SEC AC – 1916)
·       Obiettivo: acquisire il territorio e sovranità distruggendo gli eserciti avversari.
·       Gli eserciti dapprima erano dinastici e privati per poi passare a eserciti nazionali.
·       Era una guerra di formazione: falange, linee e colonne, tiro diretto, guerra fra eserciti.
·       Si metteve in contrapposizione la forza e la resistenza.
·         Ruolo Intelligence: spionaggio, giochi di corte per anticipazione piani e individuazione forze.

La falange si è evoluta nel tempo in molti modi. Una delle prime fu quella di Alessandro Magno. Aveva cambiato la concezione della falange. Prima era una sorte di martello contro martello e aveva il compito di “spingere”. Per evitare questo contatto e guadagnare spazio in avanti si inventarono le picche (fino a 9 metri). Alessandro trasforma la falange in incudine e il martello era la sua cavalleria con cui schiacciava i nemici. Una figura importante è quella del serragente (sergente) che aveva il compito di serrare i ranghi. Inoltre la cavalleria di Alessandro aveva l’obiettivo di colpire i generali nemici e soprattutto il loro comandante che fu costretto a scappare per salvarsi più di una volta. Sottrarsi per salvaguardare le forze può essere una strategia ma non se ne deve abusare per non abbassare il livello di resistenza alla battaglia (ultimo dei 36 stratagemmi di Sun Tzu).

2^ GENERAZIONE (I GM)
·       Obiettivo: sempre territorio e risorse e distruzione degli eserciti.
·       Sempre forza contro resistenza.
·       Guerra di trincea: vi è sempre lo scontro diretto ma nasce anche il fuoco indiretto (artiglierie).
·       Intelligence: spionaggio, inizio fonti aperte (media) anticipazione piani, individuazione forze e obiettivi bellici, generare false informazioni (Threat Deception Plan).
3^ GENERAZIONE (II GM E GUERRA FREDDA)
·       Obiettivi: cambiano, sempre distruggere gli eserciti ma anche le risorse e con loro la popolazione e le strutture produttive che diventano un nuovo centro di gravità.
·       Manovra e fuoco: infiltrazione e difesa in profondità, aggiramento e iniziativa, fuoco diretto e indiretto, areale e di precisione, convenzionale e nucleare (Generale Douhet – air land battle e precision strike, concetto di stand off attack ossia effettuare l’attacco da posizioni dalle quali non si può essere colpiti).
·       Forza vs Resistenza in senso allargato. Resistenza diventa anche capacità economica e di sostegno che una nazione e la sua popolazione può dare alla guerra
·       Intelligence: ricerca piani e strategie, individuazione obiettivi e manipolazione (propaganda)
·       Eserciti: sono professionisti e tornano anche i mercenari

4^ GENERAZIONE: ASIMMETRICA
·       1989 William S.Lind, Hammes e altri riprendono concetti di guerra rivoluzionaria.
·       Obiettivo: diventa colpire la forza morale
·       Scopo: Vittoria morale, ideologica e politica.0
·       Guerra decentralizzata. Complessa e lunga di bassa intensità (Idee e Risorse), obiettivi militari e civili.
·       Attori statali (Westfalia) ma anche non statali o privati in network ideologici violenti, Stati-falliti, stati canaglia che usano il loro status per violare il diritto degli altri stati e quello internazionale.
·       Comprende: terrorismo, basi transnazionali, attacco alla cultura, guerra psicologica, manipolazione dei media, impiego di ogni risorsa politica, economica sociale e militare.
·       Conflitti a bassa intensità, insurrezionali. Dilemma tattico per i non combattenti: il problema dei criteri per la loro definizione e legittimità non è ancora completamente risolto.
·       Contrappone strutture formali e gerarchiche ad attori informali, reticolari, senza gerarchia.
·       Richiede pazienza, flessibilità, profilo basso, piccole unità, operazioni diverse dalla guerra. Si estende su tutti i fronti: economia, politica, media, militari e civili (SUPC: small unit precision combat (forze flessibili).
·       Oppone Forza e Resistenza Morale  
·       Richiede Guerrieri “ad Hoc” e leaders ideologici (Mao, Ho Chi Min, Castro, Che Guevara, Neocons, Osama bin Laden)
·       20% Agraria, 70% Industriale, 10% tribale
·       Cacciatori-raccoglitori INTELLIGENCE e informatici
·       La mobilitazione politica è parte di quella ideologica ed è essenziale
·       Preparazione strategica e intervento operativo di lungo periodo
·       Eserciti Professionali - Mercenari e Contractors si affermano poichè non c’è volontà sociale di schierare la leva in prima linea.
·       "is not just that the military's structure and equipment are ill-suited to the 4GW problem, but so is its psyche” (Thornton 2007). Thornton nota che l’organizzazione degli eserciti statali non è strutturata a combattere questo tipo di guerre sia dal punto di vista organizzativo ma soprattutto di mentalità. Per quest’ultimo motivo le strutture e gli strumenti convenzionali usati fino a questo momento perdono di efficacia.

5^ GENERAZIONE: GUERRA SENZA LIMITI
·       “Guerra senza limiti: 1996-1999”: libro di due generali cinesi (Qiao Liang- Wang Xiangsui) avevano già teorizzato la possibile presenza di una minaccia non statuale in grado di colpire una grande potenza (Bin Laden e secondo attacco alle torri gemelle).
·       Vortice della violenza (2005): senza piani, senza scopi, da disperati (Uff dei Marines Beebe). Si vince non perdendo mentre ora si perde non vincendo (Uff Canadese Coerr).: non è più una guerra equilibrata, non c’è un uso della forza ragionata, non si conservano le risorse ma si usa la violenza solo per lo scopo di fare violenza.
·       Obiettivo è quello di demolire la forza intellettuale e capacità di pensare.
·       Lo scopo è di costringere l’avversario a chiedere compromessi e compromettersi. La compromissione rischia così di portare di per sé ad una sconfitta.
·       Usa qualsiasi mezzo, armi e non-armi, potenza militare e non militare, prevede perdite e non perdite (2006).
·       Privilegia l’arma dello stallo politico, finanziario ed economico.
·       C’è asimmetria anche negli scopi, nei mezzi nei parametri ma soprattutto nei valori.
·       Contrappone: Capacità Intellettuali  Diverse
·       Permette di scaricare il rischio su altri
·       Si avvale di nuove forme di sostegno economico
·       La 5^ Generazione NON si deve percepire come Guerra (La rapina perfetta).
·       Tende a rendere indifferenti nei confronti della guerra (elusione, mistificazione).
·       La guerra di 5^ generazione viene negata come guerra (si tende a parlare di conflitto)ma viene “mascherata” come missione umanitaria. Per vincere è necessario guadagnarsi la fiducia delle popolazioni locali: “to win hearts and minds”; il prolungarsi di questi conflitti, pur a bassa intensità, porta al rischio di insuccesso.
·       Tende alla distruzione e autodistruzione e alla paralisi attraverso l’insicurezza
·       Non è vincolata da ideologia, religione, tecnologia, etica o interessi da difendere.
·       Strappa concessioni politiche (vittoria),
·       Sfrutta lo scambio di conoscenza libero.
·       Tende a rendere indifferenti nei confronti della guerra (elusione, mistificazione)
·       Richiede l’abilità di estraniarsi dal proprio sistema di pensiero e valutare gli eventi da una prospettiva multipla.
·       Visione strategica lunga e intervento operativo rapido
·       Il Ciclo di Boyd (OODA – Observe, Orient, Decide, Act) risulta lento per questo tipo di guerra. Si passa ad un ciclo più compresso eliminando le fasi Orient e Decide: passando dall’Informazione all'Azione. Acquista, quindi, sempre maggiore importanza la figura del comandante che deve agire in prima persona prendendo decisioni rapide.
·       Problema della Actionable Intelligence: le notizie intelligence ad esempio non possono essere utilizzate a scopi giuridici.
·       La mobilitazione politica è dannosa o quanto meno inutile.

In questa generazione della guerra i militari professionisti, che già con la quarta generazione avevano dei problemi (possedevano gli strumenti efficaci ma non avevano una mentalità adeguata), non riescono a raggiungere i risultati che si sono prefissi nei tempi previsti.
A tal proposito Mc Cristal, nelle sue memorie, sta cercando di ricostruire gli eventi per comprendere i fattori di insuccesso. È infatti difficile fissare un paradigma in quanto è già obsoleto nel momento in cui viene esplicitato. Ad esempio attribuire tutte le responsabilità dei problemi di instabilità odierni ad Al Qaida e all’integralismo islamico è un’eccessiva semplificazione.

In questo contesto le capacità di previsione delle possibili minacce future hanno perso di efficacia o addirittura forniscono dati ingannevoli (tutte le previsioni dei potenziali failing states prodotte negli ultimi anni si sono rilevate inattendibili). Contemporaneamente la dinamicità portata dalla globalizzazione ha introdotto nuovi elementi di indeterminatezza che rendono ancora più complessa la situazione mondiale. Gli stati più evoluti che hanno basato il proprio sviluppo e benessere sullo sfruttamento delle risorse dei paesi più poveri si trovano oggi a dover sopportare uno squilibrio demografico che sarà negli anni a venire sempre più forte. Questa tendenza non potrà continuare a lungo e i paesi in via di sviluppo, in particolare la Cina, sembrano averlo capito meglio delle potenze occidentali. La Cina, infatti, sta effettuando forti investimenti economici in Africa, continente a rischio depauperamento,  senza porre alcun vincolo sociale. Al contrario i paesi occidentali impostano un tipo di collaborazione militare e di gestione politico sociale (esempio è la recente istituzione di Africom che ingloba una componente civile a fianco di quella militare). 

Le nuove criticità del mondo globale (megalopoli caotiche, campi profughi oramai diventati permanenti tipo Laore, Gaza, Mumbai, il traffico di esseri umani, la pirateria alimentata dalla connivenza di attori istituzionali, il traffico di rifiuti speciali, il traffico di droga) hanno fatto emergere dei nuovi attori, vere e proprie bande.  

6^ GENERAZIONE: GUERRA PER BANDE
·       Obiettivo: distruggere INTEGRITA’ ISTITUZIONALE
·       Abbattere o Asservire il sistema di Westfalia
·       Scopo: Interesse privato e nuovo sistema di potere
·       Metodo: Delegittimare le istituzioni. Degradare il sistema pubblico con l’inefficienza, la paura, la corruzione, la manipolazione del consenso.
·       Personalizzare lo scontro e delegittimare l’avversario: avere un interlocutore fisico e diretto e delegittimarlo.
·       Guerra permanente ed evidente, queste bande hanno sempre un nemico
·       Sfruttamento delle informazioni private e classificate.
·       Accentuare le sperequazioni.
·       Fine dell’uso della forza come monopolio degli stati.
·       Fine del Bene Pubblico: appropriazione e spoliazione del patrimonio.
·       Bande slegate da vincoli ISTITUZIONALI (strutture statali, organizzazioni internazionali, alleanze formali).
·       Bande unite da vincoli di famiglia, clan, tribù, etnia, ideologia, religione o soltanto da interesse personale da conseguire con un progetto associativo anche transitorio. 
·       Prevalenza della Banda più grossa o di quella al potere.
·       Struttura gerarchica attorno ad un leader in grado di accedere al potere e di proteggere l’associazione.
·       Assalto al POTERE con infiltrazione, corruzione, intrusione, mercenari, sicari, proxies e milizie.
·       Gli strumenti istituzionali (Organi Intelligence, eserciti, polizie), consapevoli o ignari, servono le bande al potere e sono sfruttati per interessi particolari fino alla loro consunzione.
·       Richiede INTELLIGENCE rivolta a sostenere.
·       Costruzione di un NEMICO  ideologico e politico,
·       Cospirazione, pianificazione segreta, accesso ai sistemi di controllo, eliminazione degli avversari (virtuale o fisica), collusione dei vertici istituzionali internazionali e nazionali, indifferenza e ignoranza dell’opinione pubblica.
·       Non si contrasta con Forza Fisica o Resistenza ma con Legalità e Condivisione Conoscenza.
·       Genera RESILIENZA e nel lungo termine favorisce la RIBELLIONE.

Resilienza
Capacità di sopportare le sollecitazioni assorbendo energia senza deformarsi per poi restituire energia positiva al cessare della sollecitazione.
E’ il contrario della Fragilità.
Non è la flessibilità che comunque permette la deformazione, la perdita d’iniziativa, d’autonomia, d’autostima, di motivazione.
Non è l’accettazione fatalistica delle avversità,
Non implica forza fisica,ma Fortezza.
Non ricorre alle vecchie soluzioni ma richiede la capacità di  capire il nuovo e sviluppare nuove potenzialità.
La gente che è sottoposta a questi ambienti si abitua a sopportare questa energia ma prima o poi si ribella e restituisce tutta l’energia, anche in maniera esplosiva.

Der Waldgang (Ernst Junger)
·       Prima fase dell’eroe militare: suo fallimento poiché trasformato in vittima dello scannatoio.
·       Passaggio all’’Eroe Operaio strumentalizzato e trasformato dal Nazismo in un «cupo» esercito di schiavi.
·       Dall’eroe operaio, dopo la II GM nel 1951, fa nascere l’eroe Ribelle (lo paragona al lupo), l’eroe che si riappropria del valore umano. Egli vive nella massa ma conserva la capacità di decidere da solo e di opporsi.
I tiranni controllano un mondo fatto di pecore con quattro cani. Se i lupi fossero soltanto all’esterno del gregge e vedessero solo le pecore come prede, basterebbero i cani a rassicurare i tiranni. Ma se i lupi si confondessero con la massa grigia delle greggi e fossero pronti a colpire i pastori piuttosto che le pecore i tiranni dovrebbero cominciare a preoccuparsi non tanto del singolo lupo ma anche del gregge che i lupi possono trasformare in branco.

I cani diventerebbero impotenti a meno di non unirsi ai lupi. 

(sintesi di una lezione di Fabio Mini)

venerdì 6 marzo 2015

Accademia di MIlitaria e Oplologia: una nuova ricerca: i giornalisti Caduti nella Prima Guerra Mndiale

 Egregio Professore,

come da accordi telefonici Le invio il materiale da me raccolto in anni di ricerche su Lamberto Duranti di Ancona, il primo giornalista italiano Caduto eroicamente nella Grande Guerra. Fu uno dei garibaldini della Legione Garibaldina a morire nelle Argonne (Francia) combattendo assieme ai francesi e contro i tedeschi. 

Come Lei sa, lunedì 5 gennaio prossimo ricorre il 1° Centenario della sua morte in combattimento con la Legione Garibaldina nelle Argonne contro i tedeschi e sarà commemorato nel cimitero delle Tavernelle dove fu sepolto con gli onori militari (nell'occasione la città di Ancona proclamò il lutto cittadino): "Lamberto Duranti - Un anconetano nella Rossa avanguardia delle Argonne" 1914-1915, cliccare su:
Ma il suo nome per errore e/o dimenticanza non figura sulla lapide con i nomi di 83 giornalisti Caduti in guerra nel 1915-1918, inaugurata da Mussolini il 24 maggio 1934 al Circolo della Stampa di Roma (vedere allegato 1 in calce) e casualmente ritrovata a Roma nel maggio 2011 in una cantina dell'INPGI (Istituto Nazionale di Previdenza dei Giornalisti Italiani "Giovanni Amendola"). Le ricerche hanno comunque dato i loro frutti perché il numero dei giornalisti Caduti nella Grande Guerra è quasi raddoppiato rispetto a quelli riportati sulla lapide. Per ora siamo arrivati a 150. 

Attualmente a seguito di una Convenzione stipulata due anni fa dall'I.N.P.G.I. con un'équipe di storici del Dipartimento di Scienze Sociali ed Economiche dell'Università "La Sapienza" di Roma, guidata dal professor Luciano Zani, si sta completando il lavoro di ricostruzione biografica dei giornalisti Eroi della 1^ guerra mondiale in vista di un'imminente ed importante pubblicazione da presentare in occasione della ricollocazione della storica lapide (o meglio, di una nuova iscrizione marmorea aggiornata e corretta con i nomi dei 150 giornalisti  (67 in più rispetto alla lapide, compreso Duranti) con accanto i nomi delle testate con cui collaboravano e le onorificenze ricevute) nel corso di una pubblica cerimonia alla presenza delle più alte cariche dello Stato.

Sarebbe questo, credo, il giusto riconoscimento del sacrificio di questi giovani giornalisti, non come semplice blasone di categoria o come esaltazione del momento bellico, ma come espressione di coesione nazionale e di passione professionale. Verrebbe così finalmente anche riabilitata la memoria di quei colleghi che hanno immolato la loro vita per la Patria e sono stati poi ingiustamente dimenticati da tutti, Gazzetta Ufficiale compresa.

Come ha, infatti, tenuto giustamente a sottolineare il professor Zani "le loro storie sono state, tranne eccezioni, trascurate dalla storiografia, mentre meritano un approfondimento scientifico e critico: la lapide, questo piccolo “sacrario” che ne consacra la memoria, andrebbe necessariamente affiancata a una ricostruzione storica che ridia scrittura alla loro penna e voce ai loro ideali e alle loro illusioni, togliendo la loro morte dal cono d’ombra dell’oblio e dalla luce fuorviante della retorica patriottica, restituendola alla dimensione della serena e obiettiva ricostruzione storica".

Le segnalo inoltre che sono 5 i giornalisti nati nelle Marche Caduti nella Grande Guerra (oltre a Duranti, Augusto Agabiti di Pesaro, Filippo Corridoni di Pausula poi Corridonia - proprio in suo onore, Amilcare Mazzini di Mondolfo e Gaetano Serrani di Tolentino) ed altri 3 vissuti nelle Marche, pur essendo nati invece in altre Regioni. Hanno lavorato in giornali marchigiani Gaspare Bianconi di Norcia e Arturo Caruso di Acerra, mentre Giuliano Bonacci di Firenze, inviato di guerra del Corriere della Sera e figlio di Teodorico, ex Ministro della Giustizia e Vice Presidente della Camera, apparteneva ad una famiglia di Jesi. 

Di tutti Le invierò con e mail a seguire il materiale da me raccolto.

A mio parere sarebbe opportuno onorare la loro memoria e il loro sacrificio.

Con i miei più cordiali saluti

Pierluigi Roesler Franz
Consigliere nazionale dell'Ordine dei Giornalisti e Presidente del Gruppo Romano Giornalisti Pensionati presso l'Associazione Stampa Romana 
Via Alessandro Serpieri 7
00197 ROMA
06-321.45.74
335-820.12.40
   

Allegato 1

                    I 150 Giornalisti Eroi della Grande Guerra e la storia della lapide che li ricorda.

Una grande lapide in marmo con impressi i nomi di 83 giornalisti Eroi di ogni parte d’Italia morti per la Patria nella 1^ Guerra Mondiale 1915-1918 è stata casualmente ritrovata a Roma nel maggio 2011 nello scantinato di un complesso di proprietà dell'INPGI (Istituto Nazionale di Previdenza dei Giornalisti Italiani "Giovanni Amendola").

Si tratta di una scoperta di grande valore, soprattutto perché é un'epigrafe unica (misura cm. 170 di altezza, cm. 101 di larghezza e cm. 3 di spessore e pesa circa un quintale e mezzo) di cui si erano del tutto perse le tracce.

Sulla targa marmorea, priva di data, vengono riportati, oltre ai nomi dei colleghi, le onorificenze al valor militare concesse loro in vita o alla memoria e le testate giornalistiche per le quali collaboravano. In particolare 5 giornalisti risultano insigniti di medaglia d'oro, 21 di medaglia d'argento e 2 di medaglia di bronzo (vederehttp://www.televideo.rai.it/televideo/pub/articolo.jsp?id=9700http://www.pietredellamemoria.it/pietre/lapide-giornalisti-caduti-grande-guerra/, http://www.lagrandeguerra.net/ggidentificatigiornalistigrandeguerra.html).

Ma a quando risale questa lapide? Di essa se ne iniziò a parlare già durante il primo conflitto mondiale. Infatti, come si legge sulla Gazzetta Ufficiale del Regno d'Italia del 5 ottobre 1916 n. 234 a pag. 4998, il Consiglio Direttivo dell'A.S.P.I. - Associazione della Stampa Periodica Italiana (che fu fondata a Roma nel 1877 dopo il duello a colpi di sciabola avvenuto nella capitale la sera del 18 maggio per lavare l’onta di un articolo ritenuto sarcastico e diffamatorio; la sfida fu vinta dall’onorevole Augusto Pierantoni - avvocato, deputato radicale per molte legislature e genero del ministro della Giustizia Pasquale Stanislao Mancini - che, alto come un corazziere, dopo tre attacchi ferì in allungo all'avanbraccio il giornalista parlamentare del “Fanfulla” Fedele Albanese e che successivamente confluì nell'Associazione Stampa Romana - sindacato unitario dei giornalisti del Lazio che ne continuò l'opera), decise che "i nomi dei Soci Caduti al fronte per la grandezza dell'Italia siano esposti in un quadro nel salone sociale con delle brevi note biografiche. A guerra finita verrà indetta una solenne commemorazione dei Caduti e verrà in tale occasione scoperta nel grande salone dell'Associazione una targa marmorea che recherà i nomi dei valorosi con la data del loro sacrificio".

All'epoca l’A.S.P.I. aveva sede a Palazzo Marignoli, imponente edificio quadrilatero costruito nel cuore di Roma alla fine dell'Ottocento tra via del Corso/via delle Convertite/piazza San Silvestro/Via di San Claudio (siamo a due passi da Palazzo Chigi e da Palazzo Montecitorio).
Un'ulteriore conferma della collocazione di una lapide si ricava dalla lettera del 15 gennaio 1923 (ritrovata dal giornalista Salvatore Maffei, Presidente dell'Emeroteca Tucci di Napoli, che ringrazio) che Edoardo Giordano dell'Unione Giornalisti Napoletani (l'attuale Associazione Napoletana della Stampa nata con l'altra denominazione sociale nel 1912) scrisse al carducciano Floriano Del Secolo, condirettore del quotidiano "Il Mezzogiorno" e professore di lettere al Convitto della Nunziatella: "Caro Floriano, attendo sempre dalla tua cortesia le poche parole d'iscrizione occorrenti alla lapide per i giornalisti caduti in guerra. Grazie e cordiali saluti, tuo E. Giordano".

Successivamente anche Alberto Bergamini e Salvatore Barzilai proposero di "incidere nella pietra perenne i nomi di tutti i giornalisti immolatisi per la più grande Italia" (vedere notizia in 1^ pagina sul "Bollettino della Federazione della Stampa" del 25 gennaio 1924 intitolata "In memoria dei giornalisti italiani caduti per la Patria").

Sempre nel 1924, nel volume di 264 pagine "Giornalismo eroico" di Arturo Lancellotti, Edizioni Fiamma, Roma, con prefazione di Giovanni Biadene, Segretario Generale della Federazione Giornalistica Italiana, si riporta un elenco dei 46 giornalisti che si conoscevano fino ad allora (sulla lapide ne sono, invece, indicati ben 37 in più).

La collocazione nell'atrio del Circolo della Stampa di Roma della lapide in memoria dei giornalisti Caduti nella Grande Guerra, casualmente ritrovata nel maggio 2011 in una cantina, risale, però, alla sera del 24 maggio 1934 in occasione della ricorrenza annuale dell'entrata in guerra dell'Italia quando fu ufficialmente inaugurata "da Benito Mussolini nel corso di una solenne cerimonia alla presenza del Segretario del Sindacato nazionale Fascista dei Giornalisti, del Capo Ufficio Stampa del Duce e di molti giornalisti, tutti in camicia nera". In tal modo il Regime riusciva ad utilizzare la memoria dei caduti nel rafforzamento del consenso ai valori, alle norme e ai miti del fascismo.

Ne dette notizia "La Stampa della Sera" di Torino del 24-25 maggio 1934 in prima e seconda pagina. A confermare che fosse proprio quella la targa marmorea è l'articolo "I giornalisti Caduti in Guerra", pubblicato alle pagg. 765-766 dell'Annuario della Stampa Italiana a cura del Sindacato nazionale Fascista dei Giornalisti edizione 1933-1934, Nicola Zanichelli Editore - Bologna che indica i nomi di 82 giornalisti morti durante il 1° conflitto mondiale con accanto la testata giornalistica su cui scrivevano. Nell'elenco riportato nell'Annuario della Stampa Italiana del 1933-1934 figurano, tuttavia, numerosi errori sia nei cognomi che nei nomi e nelle testate e manca solo il nome di Carlo Ridella, ex Direttore de "La Provincia Pavese", 83esimo giornalista Caduto in guerra e pluridecorato il cui nome è stato, infatti, scolpito proprio in fondo al centro sulla lapide (probabilmente vi fu quindi aggiunto in un secondo tempo).

Da allora la lapide rimase esposta per circa 35 anni a Palazzo Marignoli. Poi l'Associazione Stampa Romana si trasferì, prima in piazza San Lorenzo in Lucina (stesso stabile dove aveva il suo ufficio privato l'ex Premier Giulio Andreotti) e da qui - intorno al 1979 (durante la presidenza di Ettore Della Riccia, già Presidente dell'INPGI) - negli attuali locali di proprietà INPGI nell'adiacente piazza della Torretta 36.
Evidentemente durante il trasloco di sede da palazzo Marignoli non si trovò posto per ricollocare la lapide che finì così in un grande scantinato che si era appena liberato in un complesso INPGI a sud di Roma in via dei Lincei 123 (nei pressi della via Cristoforo Colombo) insieme a molti arredi, mobili, libri, enciclopedie ed incartamenti vari. Ed é qui che é stata ritrovata dall'allora Presidente della Commissione Assegnazione Alloggi e Affitto Immobili INPGI Massimo Signoretti e dal Dirigente del Servizio Immobiliare INPGI - settore tecnico - ing. Francesco Imbimbo.

In 3 anni e mezzo di appassionanti e faticose ricerche, grazie anche alla collaborazione con l'Emeroteca Tucci di Napoli, la Biblioteca Nazionale Centrale di Roma, l'Istituto del Nastro Azzurro per decorati al valor militare, l'Archivio di Stato di Bologna - Ufficio per le notizie alle famiglie dei militari di terra e di mare, la Direzione Generale della Previdenza Militare, della Leva e del Collocamento del Lavoro dei Volontari Congedati, il Commissariato Generale per le Onoranze ai Caduti in Guerra del Ministero della Difesa, e le Associazioni storico-culturali "Fronte del Piave" e "Cime e trincee", nonché di storici e soprattutto di tanti appassionati, che ringrazio di cuore, sono riuscito non solo a ricostruire la biografia essenziale di 81 degli 83 giornalisti Eroi, ma ho potuto persino individuarne altri 67 che erano rimasti finora nel dimenticatoio  (tra i quali Giulio Bechi, Umberto Boccioni, Filippo Corridoni, Vittorio Locchi, Carlo Stuparich, Eugenio Vajna de Pava e Giacomo Venezian). Pertanto il totale dei colleghi Caduti nella Grande Guerra é diventato oggi di 150.

Tranne di Vittor. (forse Vittorio o Vittorugo) Caggiano de "Il Commercio" (é l'unico giornalista di cui non si sa ancora praticamente nulla) e di Ettore Cantagalli Del Rosso del "Corriere di Livorno" (il suo nome è scolpito anche sulla lapide esposta nella città labronica in piazza Manin 1; già sottotenente dei bersaglieri di origini toscane che il 22 ottobre 1918 attraversò a nuoto 4 volte il Piave per salvare sull'isola Vittoria un ufficiale pilota britannico caduto con il suo aereo e che per questo gesto eroico fu decorato con la medaglia di bronzo e la Croce inglese. Morì però 9 anni dopo, nel 1927, nella disastrosa battaglia di Er-Raheiba in Cirenaica combattendo con il 7° Battaglione Libico) ho potuto riscoprire i dati anagrafici salienti (luogo e data di nascita, paternità - e in molti casi anche la maternità - distretto militare, ruolo svolto in guerra, data e luogo dell’eroica morte, motivazione delle decorazioni ottenute per il valore dimostrato sul campo, testate giornalistiche per le quali lavoravano in redazione o erano collaboratori, eventuali iscrizioni al sindacato dei giornalisti, nonché loro opere letterarie, testamenti, commoventi lettere inviate ai familiari pochi giorni prima di morire al fronte, scritti, foto, busti, lapidi ed ogni altro interessante riferimento alla loro pur breve vita).

Scorrendo la lista dei giornalisti caduti al fronte ci si può rendere conto della varietà e qualità dei profili biografici, che consentono uno sguardo profondo sul clima generazionale di rinnovamento e sulla trasformazione stessa del giornalismo italiano. Solo per fare alcuni nomi, tra i più noti e influenti: Cesare Battisti, Luigi Berta, Giuliano Bonacci, Gaspare Bianconi, Giosuè Borsi, Alberto Caroncini, Gualtiero Castellini, Annunzio Cervi, Gianni Cipolla, Attilio Deffenu, Luigi De Prosperi, Felice Figliolia, Mario Fiorini, Federico Grifeo di Partanna, Nino Oxilia, Enzo Petraccone, Vincenzo Picardi, Carlo Ridella, Franco Scarioni, Renato Serra, Scipio Slataper, Roberto Taverniti, Ruggero Timeus Fauro, Carlo Vizzotto, Spiro Xydias.

Per avere un'idea della sua importanza storico-culturale e non solo per la nostra categoria basti pensare che i 150 giornalisti (direttori, vicedirettori, capiredattori, inviati speciali, inviati di guerra, redattori, corrispondenti dall'Italia e dall'estero, collaboratori e stenografi) rappresentano praticamente tutte le Regioni italiane (tranne per ora solo l'Abruzzo) e numerose testate giornalistiche, sedici delle quali ancora in edicola.

La maggior parte di essi sono morti al fronte attaccando il nemico, altri in trincea, in aereo, in ambulanze, in ospedaletti da campo o in ospedali militari. Due di essi sono annegati in mare a bordo della stessa nave trasporto truppe affondata nel Mar Egeo silurata da un sommergibile tedesco. Altri due colleghi della stessa testata sono morti incredibilmente a pochi metri e a poche ore di distanza tra loro! Solo pochissimi Eroi hanno avuto il privilegio di morire in casa o in un ospedale della propria città per malattia o ferite riportate al fronte.

I 150 colleghi, molti dei quali erano partiti volontari per il fronte, hanno affrontato il nemico da soldati, sottufficiali ed ufficiali, rappresentando tutte le varie armi, Aeronautica e Marina conprese: alpini, fanti, cavalleggeri, bersaglieri, artiglieri (di campagna, di montagna e di fortezza), bombardieri, mitraglieri, granatieri, genieri, ufficiali medici e postali, esploratori, arditi e persino 4 piloti e 1 furiere del C.R.E. (Corpo Reali Equipaggi di Marina) al servizio del comando dell'incrociatore corazzato "Amalfi", che fu la prima nave italiana affondata dal nemico nella Grande Guerra il 7 luglio 1915 a 30 km. dalla costa al largo di Rovigo (fu colpita a un siluro lanciato da un sommergibile tedesco UB 14 camuffato da austroungarico U 26 (la Germania all'epoca non era ancora ufficialmente in guerra con l'Italia).

Che si tratti poi di Eroi lo provano le decorazioni ottenute: ben 9 medaglie d'oro, 63 medaglie d'argento, 29 di bronzo, 4 Croci di Guerra, 5 Promozioni per merito di guerra, una Menzione dell'Ordine Militare francese e una Croce inglese. In pratica, in media ben 2 su 3 giornalisti Caduti hanno ottenuto un riconoscimento militare o un'onorificenza per le loro gesta eroiche al fronte.

Rispetto ai dati riportati sulla lapide si può dire che in essa manchino oltre la metà delle medaglie realmente conferite. Come risultano inoltre sbagliati o mancanti sulla targa marmorea anche numerosi nomi e cognomi.

Il 1° giornalista martire della Grande Guerra é il marchigiano Lamberto Duranti che cadde contro i tedeschi nelle Argonne (Francia) il 5 gennaio 1915 assieme a Costante Garibaldi (nipote dell'Eroe dei Due Mondi), combattendo contro i tedeschi nella Legione Garibaldina quattro mesi prima che l'Italia scendesse ufficialmente in guerra contro l'Austria. 

Il 1° giornalista Caduto, invece, nel nostro Paese é il napoletano Manlio Pintaura del "Roma" di Napoli che morì a Lucinico il 10 giugno 1915.

Il nome più conosciuto é certamente quello del martire Cesare Battisti (giornalista e politico, Direttore de "Il Popolo", che fu impiccato dagli austriaci nel castello del Buon Consiglio a Trento il 12 luglio 1916). Tra i Caduti figurano ben 23 altri Direttori, Vice Direttori ed ex Direttori di giornali e riviste: Agabiti, Alquati, Arculeo, Bacchi, Berta, Bianconi, Borsi, Caravaglios, Caroncini, Cipolla, don Daelli, Deffenu, Dogliotti, Ferro, Fiorini, Franquinet de Saint Remy, Marchini, Natale, Picardi, Ridella, Talice, Vacca e Venezian. E sono morti in guerra anche un deputato in carica (il tarantino Federico Di Palma), il figlio del Fondatore e primo Direttore del "Gazzettino" di Venezia (Talamini) e i figli di 2 ex ministri (Bonacci e Picardi). E' questo un dato che dovrebbe far riflettere, soprattutto le giovani generazioni, perché fa ben capire come un secolo fa questi giornalisti si siano eroicamente sacrificati per la Patria, mantenendo fede ai loro ideali in cui credevano fermamente.

Tra i Caduti non mancano personaggi di primo piano: patrioti, politici, sindacalisti, nazionalisti, interventisti, neutralisti, massoni, socialisti, radicali, democratici, liberali, repubblicani, mazziniani, irredenti (giuliani, dalmati e istriani), garibaldini e nipoti di garibaldini della spedizione dei Mille, un consigliere comunale di Torino, il segretario del partito radicale a Torino, nonché scrittori, letterati, critici letterari, poeti, poeti-soldato, poeti dialettali, umoristi, vignettisti, disegnatori satirici, caricaturisti, teosofi, musicisti, registi del cinema muto e pittori anche futuristi.

Ed ancora: il pupillo di Benedetto Croce (Petraccone), il fratello dell'inventore del fotogiornalismo in Italia (Porry Pastorel), l'ex segretario della Federcalcio (Scarioni), l'autore di "Addio giovinezza" (Oxilia), il fratello del Kipling italiano (Cipolla), il figlio dell'autore dell'inno della FNSI - Federazione nazionale della Stampa Italiana (Caravaglios), un vicebibliotecario della Camera dei Deputati (il pesarese Agabiti) e persino l’ideatore della soubrette italiana (Vizzotto) , nonché un colonnello dell'Ufficio Stampa del ministero della Guerra (Giulio Bechi, bisnonno di Giovanni Alberto Agnelli, scomparso prematuramente nel 1997 a soli 33 anni mentre stava per assumere il comando del gruppo Fiat).

L’elenco dei giornalisti Caduti comprende cattolici, terziari francescani, non credenti convertiti al fronte, ebrei e persino un cappellano militare del Sovrano Ordine di Malta, nonché colleghi che vantavano nobili origini, come conti, marchesi e baroni.

Erano, infine, nati all'estero quattro dei 150 giornalisti che figurano nella lunga lista: Amerigo Rotellini (a San Paolo del Brasile da famiglia mantovana emigrata in Sud America dove aveva fatto fortuna. Suo padre era il ricchissimo editore del "Fanfulla" di San Paolo del Brasile), Alfredo Casoli (in Argentina, ma residente a Milano dove lavorava per il "Corriere della Sera"), Felice Suigo (anch’egli in Argentina, ma residente sin da bambino a Cislago, in provincia di Varese, e lavorava per il "Corriere della Sera") e Vezio Lucchesi (a Il Cairo, corrispondente dall'Egitto del "Corriere della Sera" e pilota in guerra). 

In sintesi, la lapide rappresenta uno spaccato di storia italiana d'inizio Novecento pressoché sconosciuto. E se non fosse mai stata rinvenuta, dunque, sarebbe stato impossibile ricostruire la storia dei giornalisti morti nella Grande guerra, molti dei quali per errore non figurano, paradossalmente, sull'Albo d'Oro dei Caduti della Grande Guerra (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale suddiviso per Regioni), nonostante parecchi di essi abbiano addirittura ricevuto onorificenze militari.

Roma, 27 dicembre 2014


Pierluigi Roesler Franz



La documetazione inviata a seguito è pubblicata su
www.ancona.lastoria.blogspot.com
post in data 6 marzo 2015

Il materiale così raccolto servirà per la stesura di un paragrafo del volume, in PREPARAZIONE, 
 dal titolo
 Le Marche e la Prima Guerra Mondiale: il 1915
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