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venerdì 16 giugno 2017

La Battaglia di Custoza VI -VII

(a)     Le forze terrestri: unità in genere, di pronto impiego, di riserva
Senza contare i volontari di Garibaldi, circa 38000 uomini, le truppe di presidio e di completamento, l’Esercito Italiano aveva una forza effettiva di 22000 uomini, 37000 cavalli e 456 cannoni. Fu disposto il richiamo delle classi 1834 – 1840 (prima categoria) e 1840 – 1841 (seconda categoria). Le operazioni di mobilitazione furono complicatissime a causa della configurazione della penisola italiana e per lo scarso sviluppo delle ferrovie. L’organizzazione di quel contingente fu opera del Gen. Petitti.

Per resistere al contingente italiano, gli austriaci avevano organizzato un esercito che poteva contare di fortissimi appoggi e fortificazioni inespugnabili. Ma erano comunque necessarie numerose guarnigioni ed era inevitabile un certo disseminamento di forze. Dei dieci corpi costituenti l’Esercito Imperiale, ben sette furono destinati all’Armata del Nord, insieme a cinque Divisioni di Cavalleria, e una riserva generale di artiglieria per un totale di circa 185000 uomini. Soltanto tre Corpi di Armata vennero destinati all’Armata del Sud, con una Brigata di Cavalleria di riserva, per un totale di circa 145000 uomini, 15000 cavalli e 192 pezzi di artiglieria. Escludendo le forze di presidio e di guarnigione e delle forze destinate nel Tirolo, dove fu inviato un contingente autonomo sotto il Comando del Gen. Von Kuhn, per le operazioni nel Veneto erano disponibili 94500 uomini, 12500 cavalli e 168 pezzi. 

giovedì 1 giugno 2017

La Battaglia di Custoza VIII

(a)     Le dottrine operative: la loro definizione in base agli intendimenti politici, di ordine strategico, tattico e potenziale
In Italia, come del resto anche nell’Impero, gli insegnamenti delle guerre napoleoniche erano stati lasciati volutamente nel dimenticatoio, a differenza di alcuni generali prussiani della scuola di Clausewitz. Le campagne napoleoniche avevano insegnato, ad esempio, che un corpo d’armata non poteva avere più di quattro divisioni, se non compromettendo la mobilità e la manovrabilità. Ma i principi dell’arte della guerra non erano conosciuti, se non superficialmente. Per dirlo in altre parole, gli studi militari in Italia non erano presi in seria considerazione. Certamente la dottrina tattica presentava segni di invecchiamento e necessitava di rinnovamento, ma quando applicata correttamente era ancora motivo di successo.
Anche per quanto riguarda l’Impero, all’epoca dei fatti pochi generali “sapevano” fare la guerra e uno di questi era il Comandante dell’Armata del Sud,  l’Arciduca Alberto, figlio primogenito del grande Arciduca Carlo d’Asburgo che aveva battuto Napoleone nel 1809. Egli si era formato studiando le campagne, specialmente quelle del padre. Da questi insegnamenti aveva appreso soprattutto la fermezza d’animo, il carattere serioso, ma soprattutto l’idea secondo la quale non bisognava lanciarsi alla carica fino ad un punto di non ritorno. Al contrario, bisognava avere l’accortezza di tenere sempre un atteggiamento guardingo e difensivo. E questo concetto volle applicarlo integralmente nella campagna contro gli italiani, definiti da lui stesso rapaci. Quindi come l’Armata del Nord, comandata dal Gen. Benedek, in Italia l’Arciduca Alberto si proponeva di fare una guerra difensiva, favorita dal terreno e dalle fortificazioni presenti nel Veneto.