.
La
situazione del Corpo dei Volontari, la sera del 16 luglio, era la seguente:
.
lungo l'alto corso del Chiese le forze volontarie erano saldamente attestate a
Cimego, pronte a compiere un altro balzo in avanti verso Lardaro; a tale scopo
il parco d'assedio destinato a batterne il forte venne fatto serrare sotto per
eliminare indugi all'azione;
. in
Val d'Ampola, le medesime occupavano saldamente la testata della Valle, mentre
forti contingenti erano in marcia su entrambi le dorsali che la delimitano, con
l'obiettivo di convergere nell'area di Pieve di Ledro-Bezzecca;
.
gli Austriaci inibivano con forze mobili e con il fuoco del forte Gligenti
l'uso dell'unica e malagevole strada che percorre la Val d'Ampola e da Storo
adduce a Bezzecca.
Il
Comando delle Forze Volontarie, tenuto conto che il grosso delle forze
austriache si trovava nelle Giudicarie e che il previsto concentramento delle
proprie forze in Val d'Ampola si stava attuando regolarmente ed all'insaputa
del nemico, decise di agire in quest'ultimo settore, certo di aver a sua
disposizione almeno quattro giorni prima che la riserva tattica austriaca
riuscisse a trasferirvisi per dare battaglia.
Di
conseguenza si dispose che:
. le
forze agenti sui rovesci della displuviale est della Val d'Ampola accelerassero
il proprio movimento, occupando il Monte Notta ed affacciandosi in Val di Ledro;
.
non appena le forze mobili austriache si fossero precipitate dall'alta Val
d'Ampola verso la conca di Ledro per fronteggiare l'inopinata minaccia, si
stringesse d'assedio e si espugnasse il forte Gligenti per acquisire la
disponibilità della carrozzabile di fondovalle;
. le
forze agenti sulla barra che separa la Val Giudicaria dalla Val d'Ampola
completassero il loro concentramento e rinunciassero a qualsiasi azione che
potesse rilevare la loro presenza.
Come
si vede, Garibaldi non si discosta dai tre fondamentali canoni, che hanno
sempre inspirato la sua azione: manovra, celerità, sorpresa:
.
manovra per far cadere le difese dell'alta Val d'Ampola e del forte Gligenti,
che, perso l'appoggio delle forze mobili, non avrebbe potuto resistere a lungo;
.
celerità nell'affrettare il movimento sulla destra e nell'adottare i
provvedimenti necessari per eliminare rapidamente tutti gli inciampi, come il
forte Gligenti, che potevano attardare la sua azione;
.
sorpresa poiché l'azione sarà del tutto imprevista dall'avversario, ma anche
perché egli ha già preparato (si consenta il bisticcio di parole) una sorpresa
nella sorpresa, infatti le forze dislocate sulla spalla sinistra, non
parteciperanno all'azione che si svilupperà in fondovalle e sul contrafforte di
destra, pronte ad intervenire sul tergo di un nemico totalmente ignaro della
loro presenza.
La
notte sul 18 luglio, il Monte Notta veniva occupato senza colpo ferire, non
avendo opposto resistenza il drappello di tiratori provinciali tirolesi che ne
presidiava il pianoro di vetta.
Subito
il col. Spinazzi[1],
comandante del 2° Reggimento impegnato nell'azione si slanciò verso il
fondovalle. In condizioni di disparità numerica, le forze garibaldine
attaccarono da più punti Pieve di Ledro, occupandolo sul far sera.
Nel
frattempo, però, un distaccamento austriaco di due compagnie, in perlustrazione
lungo la dorsale, rioccupò il Monte Notta ed il col. Spinazzi fu costretto a
distogliere forze per ricacciarlo da quella posizione. Su di essa, infine, si
ritirò tutto il Reggimento, prostrato dalla lunga marcia e dal combattimento e
ormai privo di viveri e di munizioni.
Come
previsto da Garibaldi gli Austriaci si concentrarono e discesero in forze
l'Ampola, paventando che i Volontari riuscissero a sbarrare l'imbocco della Val
di Ledro. Ma non era questa l'intenzione del Generale che, come si è detto,
voleva allontanare l'avversario dal forte Gligenti per poterlo rapidamente
espugnare ed aprirsi la via per rifornire urgentemente le proprie unità,
inerpicate sui contrafforti dell'Ampola ed ormai allo stremo delle riserve,
dopo aver agito per più giorni in condizioni di assoluto isolamento.
Per
questo, appunto, Garibaldi aveva trattenuto in attesa le forze dislocate sulla
barra sinistra dell'Ampola, modificando il suo iniziale concetto di manovra
formulato alla vigilia del combattimento di Cimego.
I
preparativi per l'investimento del forte Gligenti, erano, intanto, già iniziati
schierando 3 batterie(2 cannoni da campagna e 6 da montagna, non essendo
possibile trasportare pesantissimi pezzi d'assedio) sulle balze strapiombanti
che lo dominavano, portando a braccia i pezzi scomposti lungo ripidi ed aspri
sentieri. Il forte Gligenti era reso temibile più dalla posizione sulla quale
sorgeva che dall'opera dell'uomo. Esso, infatti, consisteva in un corpo
principale, armato di 2 cannoni di grosso calibro e di una robusta caserma a
prova di artiglieria, separati da un cortile murato attraverso cui passava la
strada. Il complesso fortificatorio era situato in una piccola conca circondata
da pareti pressoché a picco e dalle quali non poteva essere condotto alcun
attacco, di fronte allo sbocco di una profonda e stretta forra, da cui usciva,
con una strettissima curva, la carrozzabile della Val d'Ampola. Il forte fu
sottoposto ad un furioso bombardamento e, con ardita manovra nel corso della
quale cadde il tenente comandante di sezione, un pezzo da campagna fu messo in
batteria nella forra. Caricatolo in posizione defilata, oltre la curva della
strada, esso veniva spinto a braccia avanti allo scoperto per battere con tiri
d'imbocco le cannoniere del forte.
A
sera, esaurite le munizioni e non soccorso dalle forze mobili, il forte
Gligenti capitolava, ed il Corpo dei Volontari si era così impadronito della
Val d'Ampola.”[2]
[1] Sulla azione di comando e
partecipazione alla campagna del 1866, in particolare sulla sua condotta nella
battaglia di Bezzecca, si innestarono varie polemiche che ebbero all’epoca
molta eco sulla stampa. Per questo aspetto vds. Il post “1866.
La figura del Col. Pietro Spinazzi alla battaglia di Bezzecca” in data 24
settembre 2016, su: “www.valoremilitare
cesvam.blogspot.com”.
[2] Vds. Nota 33
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