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domenica 20 febbraio 2022

Roma Augustea. Uno Stato di Polizia

di Mirko Molteni


 UNO STATO DI POLIZIA

L'esaurimento delle guerre di conquista, man mano che l'Impero Romano stabilizzava i confini, fece assumere allo spionaggio caratteristiche da polizia segreta per sventare complotti interni, Nel I secolo a.C. è documentato l'uso di delatores, spie private e remunerate. Seneca ricorda che il senatore Rufo, ubriacatosi durante una cena, disse in pubblico di sperare che Augusto non tornasse da un viaggio. Un suo schiavo gli ricordò l'errore suggerendogli  di andare dell'imperatore a confessargli la verità prima che lo facessero i delatores. Così fece e Augusto ne apprezzo la lealtà.

Nel I secolo d.C. assunse funzioni di spionaggio un corpo che in origine era deputato all'approvvigionamento delle legioni: i frumentarii.  Si ritiene che costoro siano divenuti agenti segreti sotto l'imperatore Domiziano, fra l'81 e il 96. Ma un passo degli Atti degli Apostoli, relativo all'arrivo di Paolo a Roma nel 61 d.C.,  fa intuire che già con Nerone essi si occupassero di sorveglianza: “Fu concesso a Paolo di rimanere da solo con un frumentario di guardia”. Loro quartier generale erano i Castra Peregrina, nel cuore di Roma: campi del Celio che accoglievano militari di passaggio con incarichi da messaggeri, spie o sicari. Nel 1972 gli archeologi ne hanno scoperto i ruderi sotto l'attuale chiesa di S. Stefano Rotondo. Nei Castra Peregrina alloggiavano 400 uomini, ma altrettanti frumentarii erano sparpagliati in tutto l'impero. Da ogni legione ne provenivano 12, che quando erano distaccati a Roma prendevano ordini da un ufficiale chiamato princeps peregrinorum.

Un nuovo assetto fu stabilito dall'imperatore Diocleziano fra il 284 e il 305. Egli sostituì  frumentarii con nuovi agenti segreti, gli agentes in rebus, che non erano di estrazione legionaria, ma provenivano dalla burocrazia civile. Non erano subordinati al prefetto del Pretorio, bensì a un magister officium, una sorta di ministero dell'informazione. In tutto l'impero arrivarono a operare nello stesso momento 1.200 agenti. Fra le loro mansioni figuravano l'ispezione delle comunicazioni postali e la vigilanza sulla concessione indebita di privilegi. Nel 357 una legge dell'imperatore Costanzo II stabilì che ogni anno due ispettori degli agentes visitassero le province, ma nel 395 Teodosio li limitò a un solo e nel  412 la legge fu abolita, Con la qualifica di curiosi,  alcuni agentes  in rebus furono dislocati nei porti per raccogliere le notizie portate da marinai e navigatori, e segnalare i movimenti di navi sospette.

  

IL REGNO DEL TERRORE

Costanzo II (317-361), grazie agli agentes in rebus, instaurò un regno del terrore. Lo storico Ammiano Marcellino, fu testimone di quel clima di paura: “In Spagna un agente segreto invitato a un pranzo, udendo che gli schiavi nel recare i lumi lanciavano l'usuale grido “vinciamo!”, interpretò  sinistramente quelle parole e causò la rovina di una nobile casa. Questi e simili episodi avvenivano sempre più frequentemente perché Costanzo, in preda all'ansia  e allo spavento temeva sempre che si volesse attentare alla sua vita. Nel 355 l'agente  Gaudenzio spifferò al prefetto Rufino che Africano, governatore  della Pannonia Inferiore, aveva esternato la propria infedeltà nei confronti dell'imperatore durante una festa nel palazzo di Sirmio, in Illiria. Anche Rufino in precedenza era stato agens in rebus e andò di persona dal sovrano a riferire: “Infiammò a tal punto Costanzo, già incline ad accogliere qualsiasi sospetto, che l'imperatore ordinò senza esitazione di gettare in carcere Africano e tutti i partecipanti a quel funesto banchetto”. Gli arrestati vennero portati a Milano e, dopo essere stai torturati, confessarono di aver parlato con avventatezza.

Oltre a Gaudenzio, tra le spie più famigerate di Costanzo II c'erano tali Paolo detto Catena, e Mercurio. Il primo “abilissimo nell'intrecciare indissolubili nodi di calunnie, dispiegava una mirabile varietà di menzogne”. L'altro “chiamato magistrato dei sogni, s'introduceva nei banchetti e nelle riunioni e, se udiva qualcuno, raccontare a un amico quanto aveva visto in sogno, quando la mente è più libera di vagabondare, riferiva tutto alle orecchie  sempre aperte dell'imperatore, alterando i fatti con arti velenose”. A un certo punto i sudditi avevano perfino paura di dormire: conclude Ammiano che “si aveva timore di raccontare i propri sogni. Molti dichiaravano di non aver chiuso occhio, e alcuni si lamentavano di non essere nati presso l'Atlante, dove si dice che gli uomini di notte non sognino mai”.

La degenerazione dell'intelligence in strumento di repressione politica, alimentata da gelosie, continuò nel V secolo d.C., portando a disastri come la congiura del 408 contro Stilicone: l'ultimo dei grandi generali romani, pur di origine germanica, fu infangato da false voci diffuse ad arte e infine decapitato dall'imperatore Onorio.

 


Testo Tratto da Civilta Romana.Numero Speciale  info www.conoscere la storia.it

giovedì 10 febbraio 2022

Roma e L'Intelligence: Il Codice di Cesare

 

Di Mirko Molteni




IL CODICE DI CESARE

L'intelligence romana raggiunse livelli di maestria con Giulio Cesare, che fin dall'inizio della campagna in Gallia, nel 58 a,C., diversificò le sue fonti d'informazione. Impiegava exploratores a cavallo per tenere sott'occhio quanto accadeva in un raggio di 40 Km dai suoi avamposti e integrava l'osservazione con interrogatori di prigionieri e disertori. Da alcuni Germani apprese che gli indovini dell'armata di Ariovisto proibivano il combattimento prima della luna nuova, così assalì gli avversari al momento giusto e li sbaragliò. Impiegava anche gli speculatores, che potevano essere sia messaggeri sia spie. Da questi, nel 57 a.C., seppe in anticipo che i Belgi stavano levando l'accampamento e ne sventò l'imboscata.

Il ruolo di Cesare nella storia dei servizi segreti è degno di nota anche per l'impulso dato alla crittografia, usata per spedire messaggi non interpretabili dal nemico in caso di cattura dei corrieri.

Secondo Svetonio, egli scriveva i dispacci in alfabeto greco, commutando le lettere mediante una chiave crittografica in sé semplice, ma efficace per quell'epoca; sostituiva ogni lettera con quella che, nell'ordine alfabetico greco, veniva tre posizioni dopo: se sul messaggio cifrato era scritta una “D”, in realtà Cesare intendeva una “A”. Che usasse un codice è confermato da Plutarco: “Si dice che sia stato il primo a comunicare con gli amici manipolando le lettere dell'alfabeto”. Nelle sue memorie, Cesare non parlò mai di codici, limitandosi a dire che certe comunicazioni venivano redatte in greco. Una volta affidò a un messaggero una lettera da scagliare con uno speciale giavellotto, detto tragula, all'interno del fortino di Quinto Cicerone per avvisarlo di un pericolo. Nel 56 a.C. un suo subalterno, il legato Quinto Titurio Sabino, distaccato in quella che oggi è la Normandia, inviò una spia gallica nel campo avversario a seminare disinformazioni per spingere il nemico a mosse avventate.

 

Narra Cesare nel De bello Gallico: “Giunto fra i Galli come disertore, dipinge loro la paura dei Romani [....] Informa che è probabilissimo che nella notte seguente Sabino, di nascosto, conduca l'esercito fuori dal campo e parta per recare soccorso a Cesare”. Credendo erroneamente indeboliti in soldati di Sabino, i Celti li attaccarono e vennero sconfitti.

In seguito, Augusto stabilì che ogni legione avesse un nucleo di 10 speculatores. Sulle frontiere, la raccolta di informazioni era in gran parte delegata agli alleati stanziati lungo i confini. La rete d'intelligence faceva capo al governatore di ogni provincia. Costui disponeva di un suo stato maggiore, denominato officium, che comprendeva anche speculatores. Da iscrizioni scoperte a Lambaesis, antica capitale della provincia della Numidia, risulta che il governatore locale aveva a disposizione una squadra di 45 ufficiali, quattro dei quali erano appunto, speculatores.