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lunedì 23 dicembre 2013

Auguri

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mercoledì 18 dicembre 2013

Nota Indroduttiva karl von Clausevitz e l'origine del suo pensiero.

La nascita dello Stato Maggiore

La grande rivoluzione nella condotta strategica della guerra si verificò in Prussia a partire dal periodo successivo all’umiliante disfatta di Jena-Auerstadt ed al Trattato di  Tilsit del 27 luglio 1807 quando Federico Guglielmo III creò la “Commissione di Riorganizzazione Militare”, a capo della quale fu nominato il generale Gerardo Giovanni Davide von Scharnhorst che, dopo un primo momento di incertezze, riuscì a circondarsi di valenti collaboratori: il colonnello Augusto Guglielmo Antonio conte Neinhardt von Gneisenau e tre giovani distintisi nella guerra contro i francesi, Karl von Grolman, Hermann von Boyen e Carl von Clausewitz.
Scharnhorst, Gneisenau, Grilman, Boyen e Clausewitz furono i cinque uomini che passarono alla storia come i “Riformatori” Essi, fra i quali predominò il brillante genio di Scharnhorst fino alla morte prematura  nel 1813, furono i responsabili della creazione di  quella supremazia militare che caratterizzò gli eserciti prussiano e germanico per più di un secolo.
Il loro obiettivo finale fu la fondamentale “revisione del sistema di comando dell’esercito”. Il principale concetto innovatore di Scharnhorst può essere cosi riassunto dai suoi scritti

Una mente singolare e decisa, un intelligente talento organizzativo possono probabilmente creare un esercito efficiente da qualsiasi gruppo di uomini. Lo fecero i greci ed i macedoni, lo fecero i romani, lo fecero pure parecchi monarchi francesi, Gustavo Adolfo, i predecessori di Federico il Grande e recentemente lo ha fatto Napoleone per i francesi. Ma un magnifico esercito di una generazione non può essere congelato in uno stampo e rimanere ugualmente formidabile nelle successive generazioni anche se rimane al suo modello in ogni dettaglio. Le cose umane sono dinamiche, la tecnologia cambia le armi e gli equipaggiamenti, gli eserciti devono cambiare con i tempi. Quando ad un talento organizzativo ne segue un altro, come si verificò con i primi re Hohenzollern di Prussia, in tal caso l’esercito rimarrà dinamico e cambierà anche se il modello originale rimarrà il medesimo. Ma quando la mediocrità segue il talento ed il modello rimane lo stesso, il declino è inevevitabile.
Così anche nella guida operativa di un esercito, come Annibale, Federico e Napoleone hanno dimostrato nomali generali e normali eserciti non possono facilmente sconfiggere un genio anche quando il suo esercito non è così buono come il loro
Ma un genio operativo al comando di un esercito creato da un genio organizzativo è virtualmente invincibile, così come dimostrano Alessandro, Giulio Cesare, Gustavo Adolfo e più recentemente Federico il Grande e Napoleone”[1]
Scharnhorst ed i suoi colleghi decisero quindi che alla Prussia serviva un sistema con il quale, per quanto umanamente possibile, l’esercito prussiano avrebbe dovuto essere creato da un genio organizzativo e guidato in battaglia da un genio operativo.
Scharnhorst infatti espresse una volta il suo pensiero molto esplicitamente:
“Normalmente non è possibile per un esercito disfarsi dei generali incompetenti: La grande autorità che il loro grado conferisce ai generali ne è la prima ragione. Inoltre, i generali costituiscono una cricca sostenendosi tenacemente uno con l’altro, tutti convinti di essere i migliori rappresentanti dell’esercito. Ma noi possiamo dar loro dei capaci assistenti. In tal modo, gli ufficiali di Stato Maggiore sono quelli che devono affiancare i generali incompetenti, fornendo quei talenti che altrimenti dovrebbero essere ricercati fra i comandanti”[2]
I concetti base e la terminologia non erano una cosa nuova nell’ambiente militare internazionale. Organismi più o meno denominati “Stati Maggiori” erano sempre esistiti nella Storia ed erano sempre stati l’anello di congiunzione fra i Comandanti e le unità combattenti. Ma questi consistevano di un gruppo di ufficiali destinati a portare messaggi e a tenere informato il comandante di ciò che si verificava oltre il raggio della sua visione diretta (In pratica, quello che oggi intendiamo per “Segreteria” o “Fureria” Nota della Cattedra). A questi si aggiunsero col tempo altri aiutanti incaricati di tenere documenti, scrivere o copiare ordini, fare e portare mappe.
“Lo “Stato Maggiore Generale” dei Riformatori fu un organo completamente diverso: divenne una collezione dei migliori e più esperti menti dell’esercito, addestrate ed organizzate in modo da funzionare come un unico cervello,sempre pronto ad essere responsabile dei comandi e dei desideri del comandante in capo in modo da garantire il conseguimento di sagge decisioni anche da parte del meno abile dei capi e se questo avesse commesso un errore, si fosse potuto riparare. Lo stesso compito,  sebbene in misura più limitata, lo ebbero  gli Stati Maggiori delle brigate, delle divisioni e dei Corpi d’Armata.
Allo scopo di creare queste “menti”, oltre alle tre Scuole militari di Berlino, Konisberg e Breslavia, venne ristrutturata l’Accademia per Giovani Ufficiali, che assunse il nome di Scuola Militare Germanica e che, nel 1859 fu riconosciuta come “Kriegsakademie” (Accademia di Guerra): questa fu per lungo tempo la più famosa scuola di preparazione.

Dal pensiero all’azione
Nel 1816 lo Stato Maggiore Generale fu organizzato in tre principali divisioni, una per ogni potenziale teatro di guerra: ad est relativo alla guerra contro la Russia;a sud con l’Austria, il più probabile nemico; ad ovest per essere preparati a combattere di nuovo contro la Francia. Ognuna di queste divisioni era responsabile dello studio e degli sviluppi interni delle nazioni potenzialmente nemiche nella loro area di appartenenza. Alcuni ufficiali esaminavano il terreno dove probabilmente si sarebbero svolte le operazioni e preparavano appropriati piani strategici, altri redigevano piani per la mobilitazione e lo schieramento di ogni eventualità. L’anno seguente fu costituita una quarta divisione con il compito di studiare la storia militare e che sarebbe rimasta uno dei maggior elementi dello Stato Maggiore Generale, nonostante i numerosi cambiamenti organizzativi.
Durante gli anni che seguirono,infatti, avvenne una radicale riorganizzazione che assegnò le responsabilità su  di una base più attuale per mantenendo le suddivisioni su quattro divisioni. La prima fu destinata ad occuparsi di tutto il personale dell’esercito; la seconda ebbe la responsabilità dell’organizzazione delle manovre e dei piani di mobilitazione, schieramento e operativi; la terza fu responsabile del materiale tecnico e d’artiglieria; la quarta i occupò di storia militare. Allo Stato Maggiore Generale venne anche aggregato l’Ufficio Topografico e Trigonometrico.



[1] Hohn R., Scharnhorst Vermachtnis”, Bon, 1952, pag. 312-313
[2] Ibidem

venerdì 13 dicembre 2013

La rinascita di Forte Bramafam

Pierivo Facchini
Passeggiando per i sentieri nei dintorni di Bardonecchia (TO) è impossibile non essere attratti dalla fortificazione, tipica del periodo fine ottocento ed inizi del novecento, eretta sull’altura del Bramafam e che domina tutta la vallata circostante. Incuriositi, si scoprirà che quella struttura è Forte Bramafam, la più importante fortificazione delle Alpi Cozie.

Le origini del forte
Allo scopo di controllare la fondamentale conca di Bardonecchia, ove confluiscono il traforo ferroviario del Frejus e gli sbocchi delle valli di Rochemolles e della Rhò, intorno al 1880 furono inizialmente posizionate sul Bramafam due batterie di artiglieria armate con cannoni da 9 ARC Ret[1] aventi calibro da 87 millimetri e gittata di circa 6.900 metri (successivamente denominati da 87 A).
L’idea di realizzare una fortificazione sul Bramafam, scaturì dalla necessità di poter proteggere tali batterie da un eventuale attacco dalle sovrastanti alture. Alla fine degli anni ottanta iniziarono, quindi, i lavori per la realizzazione del forte che avrebbe occupato la sommità dell’altura espandendosi su un’area di circa 64.000 metri quadrati. Nella messa in opera della fortezza furono adottate per la prima volta tecniche innovative abbinando ad una tradizionale struttura in pietra una copertura in calcestruzzo. Anche l’armamento era di nuova concezione e comprendeva installazioni d’artiglieria in cupola Gruson e torrette a scomparsa. Considerato completamente operativo già a metà degli anni novanta[2], il forte poteva contare su una dotazione di:
-          2 cannoni da 120/21 in installazioni a pozzo Gruson;
-          4 cannoni a tiro rapido da 57 in torrette a scomparsa;
-          6 cannoni da 9 BR Ret [3] nella batteria bassa;
-          2 cannoni da 15 GRC Ret [4] nella batteria occidentale;
-          4 mortai da 9 BR Ret disponibili presso il magazzino artiglieria.
Presso il forte, gestito da un distaccamento del 6° Reggimento d’Artiglieria da Fortezza, stazionavano circa 200 uomini che, in caso di necessità, potevano essere aumentati di ulteriori 280 uomini in sistemazioni “di fortuna”.
Durante la Prima Guerra Mondiale, a similitudine di quanto avvenne per le altre fortificazioni ubicate nel settore occidentale italiano, i pezzi di artiglieria di Forte Bramafam furono inviati sul fronte austriaco ed il forte fu trasformato in campo di prigionia per gli austriaci che lavoravano in zona alla manutenzione delle strade militari e della Galleria del Fréjus.
Al termine del conflitto il forte, ritenuto operativamente obsoleto, fu sede della 516^ batteria dell’VIII Settore della Guardia alla Frontiera[5] che disponeva di 8 obici da 100/17 Skoda e dei 2 cannoni da 120/21 nelle installazioni a pozzo. Con il deterioramento dei rapporti con la Francia nel corso degli anni Trenta, il forte tornò ad assumere una rilevante importanza difensiva. Furono quindi potenziate le difese esterne con opere in caverna per mitragliatrici e cannoni anticarro tra cui, la più importante, era il Centro di Resistenza 14, che si affaccia sui versanti nord e ovest dell'altura. Tale postazione era armata con sei mitragliatrici, un osservatorio corazzato attivo sotto cupola e presidiata da 42 uomini. A seguito dell’entrata in guerra dell’Italia nel secondo conflitto mondiale, a causa della lontananza degli obiettivi militari, il forte rimase praticamente “inattivo”[6] fino alla dichiarazione dell’Armistizio dell’8 settembre 1943 allorquando tutto il settore occidentale fu messo in stato d’allarme e furono attuati interventi di sbarramento del tunnel del Frejus che si concretizzarono con il brillamento delle cave da mina del traforo e la conseguente ostruzione della galleria. Dopo l’abbandono da parte delle truppe italiane, il forte fu occupato da un distaccamento tedesco ed adibito a deposito di esplosivi e dal 19 aprile 1945 fu sede del Comando del 100° reggimento tedesco Gebirrgsjager fino all’alba del 27 dello stesso mese quando il Comando di Reggimento iniziò la ritirata dal settore occidentale italiano.
Nel successivo Trattato di Pace di Parigi del 1947, si stabilì che il forte, già oggetto di saccheggio, sarebbe dovuto essere completamente abbandonato e smantellato avviando così un lungo periodo di atti vandalici ed asportazioni di buona parte dei manufatti e delle parti metalliche.

La struttura
Le murature perimetrali, realizzate successivamente alla struttura principale del forte vero e proprio, prevedono, presso il cancello di ingresso, due inferriate laterali munite di feritoie a cui segue un muro, anch’esso dotato di feritoie, per battere tutta la zona antistante l’entrata mediante un fuoco incrociato. Dietro a tale muro si sviluppava una trincea sino al raggiungimento del costone roccioso. Verso nord, invece, la piazza d’armi è contornata da un muraglione di circa 6 metri posto a strapiombo sul costone che degrada verso Bardonecchia lungo il quale si trova una trincea con una banchina per i fucilieri.
Sulla piazza d’armi, davanti alla struttura principale delle caserme si trova la costruzione del Magazzino d’artiglieria realizzato per stipare i magazzinaggi della fortezza in tempo di pace.
Il blocco principale del forte è costituito dalla “Caserma Ufficiali” (prima opera ad essere stata realizzata) e dalla caponiera[7] di ingresso, entrambe separate dalla piazza d’armi da un fossato, a cui si aggiunse la “Caserma Truppa”. L’ingresso al forte avviene tramite un raro esempio di ponte scorrevole azionato mediante due volantini posizionati su due supporti a colonna posti ai lati del ponte.

La caponiera d’ingresso, contenente il corpo di guardia ed una prigione, grazie ad un’infilata di feritoie, consentiva il controllo dell’ingresso al forte e di tutta la piazza d’armi.
Il blocco Ufficiali, caratterizzato dalle finestre riquadrate in pietra che danno verso la piazza d’armi, si presenta come una struttura elevata in pietra con copertura a prova di bomba costituita da voltini in mattoni e putrelle in ferro con spessa colata di calcestruzzo e comprendeva sei camerette (tra cui il centralino e la mensa), la cucina e le latrine. All’estremità degli alloggi Ufficiali si scende al blocco delle caponiere ed alla prima delle quattro torrette girevole a scomparsa Gruson per il cannone a tiro rapido da 57 millimetri (gittata di 5.500 metri)[8].
Casella di testo: Sezione di una torretta girevole a scomparsa Gruson per il cannone a tiro rapido da 57 millimetri. (Immagine tratta dal sito www.fortificazioni.net)Il blocco destinato alla truppa, caratterizzato dalle finestre riquadrate in pietra del primo e del secondo piano a cui si alternano le feritoie, comprendeva al piano terra il magazzino viveri, la cucina truppa, sei camerate per i Sottufficiali (la 1^ camerata) e la truppa e le latrine, mentre al primo piano si trovavano 5 camerate per la truppa, le latrine ed un magazzino. L’estremità del blocco termina in prossimità del cancello d’ingresso alla piazza d’armi ed è dotato di feritoie per battere l’area di ingresso.
L’intera struttura era superiormente ricoperta in calcestruzzo a sezione curva, che successivamente al 1908 fu livellata per impermeabilizzarla con i cartoni bitumati.
Casella di testo: Sezione di una torretta girevole Gruson per il cannone da 120 millimetri. (Immagine tratta dal sito www.fortificazioni.net)Dall’androne, inoltre, si accede alla via di comunicazione coperta che, risalendo sino alla parte superiore della fortificazione, porta alla seconda torretta girevole a scomparsa Gruson. Da qui si accedeva alla caponiera della Galleria di gola[9] dotata di posizioni di fucileria e delle latrine o alla Galleria di gola formata da vari locali con feritoie che potevano anche essere destinati a dormitorio per la truppa[10]. Di fronte a tale galleria si trova il Cortile della Galleria di gola ove, in caso di necessità, potevano essere piazzati i mortai da 9 BR Ret (gittata di 2.850 metri) per battere gli angoli morti alle pendici del monte. Nel relativo parapetto, inoltre, vi erano le posizioni di fucileria. Al termine della galleria vi è un locale adibito a dormitorio da cui si raggiunge il camminamento scoperto interno, l’ulteriore corridoio dove vi era il locale di caricamento dei proietti e due riservette e la “Torre B” (una delle due installazioni Gruson girevoli ed a scomparsa, ospitanti i cannoni da 120/21 aventi gittata di 7.700 metri)[11]. Continuando lungo la galleria si perveniva presso la citata Torre di Comando, struttura corazzata da dove venivano dirette tutte le operazioni di tiro. Al termine della galleria si trovava l’imbocco di un’altra galleria che portava alla “Torre A” del tutto identica alla “Torre B”. Prima di giungere a tale torre, un cunicolo portava alla caponiera occidentale (denominata “K”) strutturata su due piani al di sotto dei quali vi era la polveriera con i relativi idonei ambienti per lo stoccaggio degli esplosivi ed i laboratori. Dalla polveriera mediante una scala interna si raggiungevano due riservette e quindi la strada interna del Bassoforte (area più occidentale e meno elevata della fortezza) che portava alla Batteria occidentale costituita da due postazioni in barbetta[12] ospitanti i due cannoni da 15 GRC Ret. Dalla piazzola di sinistra si dipartiva una galleria che portava ad un’altra torretta a scomparsa Gruson per il cannone da 57 millimetri.
Tornando verso il blocco Ufficiali, accessibile direttamente dall’androne, si trova la Batteria bassa suddivisa in tre sezioni ognuna delle quali alloggiava 6 cannoni da 9 BR Ret (dalla gittata di 6.900 metri poi sostituiti da cannoni da 75/27 nei primi anni del novecento) con cannoniere a cielo aperto per meglio battere l’area di Bardonecchia. Ogni sezione era separata dalle altre mediante traverse[13] entro le quali erano ricavate le riservette; mentre tra la prima e la seconda sezione si apriva una breve galleria che portava all’ultima torretta a scomparsa Gruson per il cannone da 57 millimetri. Sempre alle spalle del blocco Ufficiali, infine, si trovava il deposito munizionamento della batteria da 87 millimetri ed il deposito cartucce.
Il forte oggi
Forte Bramafam, raggiungibile in auto mediante la stessa vecchia strada utilizzata dai traini di artiglieria che diparte dalla Statale Oulx – Bardonecchia poco prima di Rocca Tagliata, fino al 1995 compariva desolatamente in rovina sia esternamente ma, soprattutto, internamente. Oggi, grazie all’assiduo e volontario impegno dei soci dell’Associazione per gli Studi di Storia e Architettura Militare, il forte è divenuto uno delle poche fortezze italiane visitabile quasi nella sua completezza e costituisce, quindi, una rara occasione per poter contemplare l’architettura dei forti italiani. Inoltre, all’interno del blocco principale del forte è stata realizzata un’area museale di circa 2.000 metri quadrati contenente varie ambientazioni storiche. In particolare sono state ricostruite alcune stanze del forte risalenti agli ultimi anni dell’ottocento con manichini in uniforme ed impianti d’epoca originali tra cui l’ufficio del comandante del forte, la stanza di un ufficiale del presidio ed una camerata truppa di inizio secolo (includenti gli arredi originali ed il corredo individuale), la cucina e la mensa per gli ufficiali. L’esposizione comprende anche una collezione di uniformi del Regio Esercito da fine ‘800 al 1945 con oltre 150 soldati in divisa[14], tutti completi di armamento individuale e vari spaccati e scenari del periodo bellico. Degni di nota la postazione di artiglieria in barbetta, la riproduzione di una trincea della Grande Guerra e la ricostruzione di un’opera in caverna riproducente l’interno di una batteria in caverna realizzato con armi ed equipaggiamenti originali tra i quali il gruppo elettrogeno funzionante ed il gruppo di ventilazione, filtrazione e rigenerazione aria, per il ricambio dell’aria all’interno dei vasti ambienti sotterranei. Non ultimo, l’unico esempio di artiglieria di fine ottocento ancora esistente che si conosca da 120 GRC, montato su una ricostruzione storica di affusto e sottoaffusto da casamatta modello 1888.
Al secondo piano si trovano le sale espositive del Novecento dall’avvento del Fascismo fino al 1945, in cui sono conservate le prime pagine dei quotidiani dell’epoca riportanti i principali resoconti e bollettini delle operazioni militari del periodo in questione.
Nella piazza d’armi, infine, è stata allestita una mostra statica contenente alcuni mezzi del Regio Esercito come un autocarro Lancia 3 Ro ed un Trattore Pesante Campale 30/A di costruzione FIAT.
Casella di testo: Esposizione delle divise ed equipaggiamenti relativi alla “Campagna d’Africa”. (Immagine tratta dal sito www.bardonecchiafortificata.it)


Bibliografia:
Forte Bramafam” di P. G. Corino
Guida ai forti italiani ed austriaci degli Altipiani” di E. Acerbi, A. Povolo, C. Galtera, M.


[1]     Arma realizzata in acciaio con canna rigata e cerchiata a retrocarica.
[2]     Nel 1892 una relazione del Deuxième Bureau - il servizio di spionaggio francese - segnalava come il forte poteva definirsi ormai completo e che presto sarebbe stato dotato di artiglieria in cupola.
[3]    Arma realizzata in bronzo con canna rigata a retrocarica.
[4]    Arma realizzata in ghisa con canna rigata e cerchiata a retrocarica.
[5]    Corpo avente il compito di presidiare le frontiere e le fortificazioni alpine.
[6]    unica eccezione fu un attacco aereo francese che provocò solo lievi danni alla struttura esterna
[7]        Detta anche “capannato” è una costruzione introdotta nel fossato con lo scopo di fiancheggiarlo con fuoco di mitragliatrici e fucileria.
[8]     Per lo svolgimento delle operazioni di sollevamento della torretta, fuoriuscita del cannone, caricamento e tiro erano necessari almeno due uomini, mentre per il munizionamento era stato creato un magazzino per 600 proiettili nell’avancorazza lungo le pareti del pozzo.
[9]     Per gola si intende il lato del bastione rivolto verso l’interno della difesa opposto al fronte di attacco. Indicava genericamente il retro forte e serviva per far affluire i rifornimenti ed i rinforzi al riparo. Ove presente il suo fossato era propriamente la via di questo afflusso.
[10]    A tal proposito i locali erano forniti di canne fumarie per l’eventuale installazione di stufette.
[11]    La struttura era divisa in due piani collegati da una scala interna ed in collegamento con la Torre Comando mediante dei tubi portavoce. Il piano superiore era destinato alla manovra del pezzo ed al tiro, mentre in quello sottostante sono stati realizzati entro l’incastellatura metallica di sostegno all’avancorazza 66 scomparti chiusi, ciascuno capace di contenere 22 proietti che mediante un elevatore venivano inviati al piano superiore e qui custoditi in vani realizzati lungo la parete. Nel piano inferiore era anche piazzato un grosso ventilatore a motore che immetteva aria nella camera di tiro, permettendo quindi l’evacuazione dei fumi prodotti durante lo sparo attraverso bocchette circolari praticate nella cupola. Per le complesse operazioni di tiro erano necessari 4 servienti che garantivano una rotazione di 360° della torretta in circa 30 secondi.
[12]    Piattaforma, posta sulla parte più elevata del terrapieno, che permetteva il tiro sopra il parapetto di un’opera fortificata.
[13]    Costruzione posta al di sopra dei terrapieni, come protezione dai tiri nemici.
[14]    Tra cui le prime uniformi degli Alpini realizzate in panno turchino.

domenica 8 dicembre 2013

I Guerra Mondiale. Verso il Centenario

LE OPERAZIONI TERRESTRI.  LE OPERAZIONI MARITTIME

MASSIMO COLTRINARI
(ricerca23@libero.it)

La guerra iniziatasi nell'agosto del 1914 e conclusasi nel no­vembre del 1918 fu il primo grande conflitto armato dell'epoca industriale. Fu una lotta in grande per il potere economico; chiamò in causa le maggiori potenze e ne impegnò a fondo non solo le forze militari, ma tutte le energie morali e materiali. La posta in giuoco non fu la conquista di territori, ma il predominio politi­co-economico. Le armi psicologiche ed economiche vi svolsero un ruolo non meno determinante delle mitragliatrici, del filo spinato, delle navi di superficie e subacquee. Obiettivo della guerra fu l'annientamento del potenziale economico, oltreché di quello militare del nemico.
Sul piano tecnico-militare rivoluzionò i concetti di spazio, di tempo e di massa e le nuove e diverse dimensioni non furono né previste, né subito percepite, né esattamente comprese. I grandi eserciti nazionali, creati per la salvaguardia dei diritti e degli interessi dei singoli Stati, trasci­narono con il loro semplice peso le nazioni in una lotta senza limiti. I piani di guerra, una volta messi in moto, elusero il controllo dei capi politici e militari e non si lasciarono più gover­nare. Le forze militari cessarono di essere una macchina quasi a sé stante, capace, se bene oliata, di lavoro autonomo, ma diven­nero un congegno di un meccanismo assai complicato del quale condizionarono il funzionamento e dal quale furono a loro volta condizionate in misura mai vista fino ad allora.
La visione che la guerra dette ben presto di sé fu tragica. Alla  fine del 1914, dopo appena sei mesi, il conflitto non aveva più nulla in comune con quello franco-prussiano del 1870, con quello russo-nipponico del 1904-1905 e neppure con quelli più recenti localizzati nei Balcani.
Da guerra di movimento e di rapido corso, com'era stata impostata secondo le dottrine del tempo ispirate al prevalere dell'azione offensiva, si era trasformata, contro ogni aspettativa, in guerra di posizione e di logoramento.
Fallito, per una serie di motivi sui quali si è tanto discusso, il piano dello Schlieffen la guerra giunse ad un punto morto per uscire dal quale nessuna delle due parti possedeva la chiave di volta.
Dopo gli scontri iniziali conclusisi senza decisione, la guerra ristagnò nelle trincee; mancò il mezzo per rendere tatticamente attuabile ciò che era strategicamente desiderabile. A quel punto l'alternativa fu tra la soluzione diplomatica e la lotta di logoramento

Ad un accordo onorevole non avrebbe dovuto essere d'impe­dimento l'avvenuta occupazione di qualche provincia, mentre alla lotta di logoramento avrebbero dovuto opporsi il senso politico e la consapevolezza del reale. Prevalsero l'irragionevolezza e l'incom­prensione dell'avventura alla quale si sarebbe andati incontro.
Il fallimento del piano Schlieffen ebbe una conseguenza deci­siva: impedi alla Germania di vincere la guerra. Quali ne siano stati i motivi - l'incapacità professionale del Moltke iunior  non fu l'ultimo - era troppo tardi quando il Falkenhayn, succeduto al Moltke nella carica di capo di stato maggiore il 14 settembre, volle ritentare l'impresa non riuscita al predecessore.

Quando la Dottrina non da risposte sufficienti per gestire gli avvenimenti, occorre interrompere subito questi avvenimenti e ripensare. Se si continua senza indicazioni di sorta, si va incontro a disastri, come è successo,APPUNTO, nella prima guerra mondiale

I numerosi tentativi del Moltke e del ]offre miranti ad aggirare il fianco occidentale dell'avversario erano andati a monte; ad ottobre la battaglia intrapresa attorno a Ypres non dimostrò altro che si era determinata la superiorità della difesa sull’attacco. La battaglia di Ypres permise ai franco-britannici di realizzare la continuità del fronte tra la Svizzera ed il mare determinando così quella situazione di stallo della guerra sul fronte occidentale dalla quale nessuna delle due parti , nonostante i tentativi per aggirarla o batterla, riuscì nell’intento nei successivi quattro anni di guerra.
 Elencare le battaglie che si sono succedute rappresenta un mero esercizio scolastico di elencazioni di fatti: la realtà che tutte le operazioni fino allì11 novembre 1918 sono una dimostrazione chiara della superiorità della difesa sulla offensiva, in cui non furono trovati rimedi sostanziali.
 Nel corso della guerra i tedeschi provarono a sfondare o aggirare il fronte avversario 2 volte
-                    la prima il 21 febbraio 1916 a Verdun[1]
-                    la seconda il 21 maggio del 1918 sul fronte della Somme
I Franco britannici nel 1915 lanciarono quattro offensive, due nell’Artois[2] e due nello Champagne[3]; nel 1916 la grande offensiva della Somme, che protrattasi da maggio a settembre, non ottenne che 30 km quadri di territorio strategicamente insignificanti e la perdita di 500.000 uomini contro 268.000 tedeschi
     Nel 1917, dopo quella del gen. Neville, che impegnò la 1, la 3 e la 5 armata francese e cinque Armate Britanniche conseguì vantaggi territoriali insignificanti nell’Artois e nello Champagne. Poi l’offensiva di Haig nelle Fiandre dall’ 11 luglio al 10 novembre costò 240 mila uomini  per la conquista di due alture.
 L’unica offensiva del 1917 che avrebbe potuto avere effetti strategici rilevanti fu quella tentata a Cambrai ove, senza preparazione di artiglieria, furono lanciati 300 carri armati contro la linea Sigfrido, riuscendo ad aprire una breccia di 6 km e profonda 8  catturando 10 mila prigionieri tedeschi e 200 pezzi di artigliaria contro la perdita di 1500 uomini. Ma il successo andò in fumo perché l’unica riserva disponibile per sfruttarlo era la cavalleria,quella montata, la cui mobilità era stata da tempo neutralizzata dalle armi moderne.
La scarsa attenzione dei tedeschi al carro armato fu pagata amaramente ed ebbero modo di pentirsi amaramente. L’'8 agosto 1918 il generale inglese Rawlin­son, nel quadro della controffensiva alleata, lanciò all'attacco 456 carri armati, evento che indusse successivamente il generale tedesco Zwhel a dire: «non fu il genio del maresciallo Foch a batterci, ma il generale Tank» ed il generale Ludendorff a scri­vere: «gli attacchi in massa dei carri armati... rimasero da allora in poi il nostro più pericoloso nemico» . Un poi che ebbe bre­ve durata, perché le enormi perdite subite nell'offensiva del mar­zo-luglio 1918 ma soprattutto lo scoramento che invase i Capi tedeschi in seguito all'insucces­so, ovvero alla incapacità culturale e dottrinale di fare fronte alla nuova arma, indussero i tedeschi in uno stato di prostrazione,soprattutto motivazionale, tale da confes­sarsi battuti, quando ancora vi era ampio margine di possibilità operative sole se si fosse adottata una dottrina e procedimenti d’impiego totalmente diversi ed innovativi.
(chi non desidera questo post lo comunichi a ricerca23@libero.it)




[1] La battaglia di Verdun, impegna per cingerla prima che l’impero britannico fosse in grado di intervenire con l’esercito professionale che Lord Kichcner stava preparando, ancorché condotta su un piano di battaglia estremamente intelligente e secondo la tattica appropriata all’attacco di fortezze, preponderanza della artiglieria ed economia di fanteria, ebbe termine con la vittoria della difesa. I francesi vi persero 419 uomini , mentre i tedeschi ne persero 350.000 mila. Al termine i tedeschi, che avevano inizialmente guadagnato posizioni e terreno, si ritrovarono sulle basi di partenza.
[2] La prima  20 dicembre 1914- 15 gennaio 196 e 16 febbraio-20 maggio 1915; la seconda  9 maggio- 27 maggio .
[3] Spiegatesi nell’autunno non ebbero altro risultato che la perdita di 190 mila.uomini fra gli Alleati e 50 mila fra i tedeschi.