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domenica 26 novembre 2017

La situazione alla sera del 20 luglio 1866.



La situazione tattica alla sera del 20 luglio 1866 era tutta favorevole alla forze volontarie. Garibaldi era riuscito a costringere il gen. Khun in un vicolo cieco, non fornendogli altra via di uscita che quella d'affidarsi alle sorti d'una battaglia risolutiva. Al comando austriaco si presentavano solo due  alternative: o uno spostamento della sua riserva strategica in Val di Ledro, per contrastare il passo al Corpo dei Volontari e coprire Riva e Rovereto; oppure  concentrare tutte le proprie forze sotto Trento, per provocare la battaglia risolutiva.

La seconda opzione era la più accreditata, in quanto avrebbe permesso agli Austriaci di agire a forze riunite appoggiandosi alle fortificazioni di Trento, dopo aver allontanato notevolmente Garibaldi dalla propria base d'operazione. Ma occorreva considerare che era preclusa dall'avanzata delle forze regolari del regio esercito al comando del gen. Medici, che stavano risalendo la Val Sugana e che si sarebbero congiunte con il Corpo dei Volontari a Trento. Era evidente che gli Austriaci stavano per essere rinserrati n una morsa da cui era quasi difficile uscire.

Rimaneva la prima opzione, ovvero di manovrare per le linee interne contro le due masse nemiche prima che si riunissero e batterle separatamente. In pratica la soluzione che si prospettava era quella di affrontare Garibaldi in Val di Ledro e successivamente volgersi contro le forze regolari del gen. Medici.

Anche questa soluzione, però, presentava degli aspetti preoccupanti; infatti  si doveva operare celermente e l'aspra barra montana, interposta fra Lardaro e Pieve di Ledro-Bezzecca, attraversata solo da due sentieri rupestri, non gli avrebbe consentito il trasferimento di tutta la riserva strategica in tempo utile per intercettare Garibaldi. In più, il gen. Kuhn si era formato la convinzione, errata,  che il contingente dei Volontari, operante in corrispondenza delle Giudicarie, fosse stato nettamente battuto, per cui il Generale austriaco, pressato dall'urgenza del momento e partendo da un falso presupposto, decise di adottare il seguente piano:  dividere le proprie forze in due aliquote di pari consistenza; l'una avrebbe affrontato ed eliminato quelle che egli riteneva delle deboli forze residue poste a sbarramento del Chiese, quando l'altra avesse battuto i volontari a Bezzecca e ne avesse iniziato l'inseguimento lungo la Val d'Ampola. L’obiettivo che si perseguiva era di costringere Garibaldi a trovarsi rinchiuso senza alcuna via d'uscita, all'altezza di Storo. Realizzato ciò, riunire le proprie forze, non appena battuto Garibaldi, per agire a massa contro le forze regolari del gen. Medici, sotto le mura di Trento.

Il Comando austriaco aveva giustamente valutato che i Regolari italiani sarebbero stati trattenuti, sino al 26 o 27 luglio, dalle forze austriache che manovravano in ritirata in Val Sugana. Per alleggerire le proprie unità e rendere più spedito il movimento, il gen. Kuhn fu anche costretto a privarle delle artiglierie da campagna, sostituendole con batterie di racchette, sorta di lanciarazzi multipli dell'epoca, più leggeri da trasportarsi, ma molto più imprecisi e di minor potenza delle comuni bocche da fuoco dell’artiglieria campale.
A Bezzecca, comunque, erano presenti 8 pezzi da campagna ( quelli delle forze precedentemente operanti in Val d'Ampola), 4 pezzi da montagna e 8 racchette, provenienti dal settore delle Giudicarie, e circa 4.500 uomini.

Garibaldi oppose loro forze pressoché pari, sia perché dovette scaglionare in profondità un buon numero di reparti per fronteggiare eventuali azioni nemiche che si delineassero contemporaneamente in più punti dalla displuviale, sia perché l'angustia della Val di Ledro non consentiva un maggior concentramento di forze.
Inoltre il Generale intendeva, una volta battuti gli Austriaci, avviare subito forze fresche attraverso la Sella di Lesumo e Campi per Riva, aggirando le difese del forte di Ponale, posto a sbarramento della via più diretta per il Garda.

In agguato, per controllare la situazione, restavano le forze dislocate sulla spalla sinistra dell'Ampola.

La sera del 20 luglio, gli Austriaci avevano già raggiunto la displuviale in corrispondenza della testata della Val di Conzei (a nord di Bezzecca) e la mattina successiva, 21 luglio, si spiegarono su tre colonne di cui le due principali scesero lungo le pendici opposte delle Val di Conzei, convergendo sugli sbocchi della stessa valle;  la terza, molto meno robusta, puntò su Molina per integrare le difese del forte di Ponale ed impedire ai volontari la ritirata sul M. Notta. In secondo scaglione, seguendo la colonna principale di destra, marciava la riserva con anche il compito di proteggere il fianco esposto del dispositivo d'attacco.

Al comando della riserva tattica vi era il gen. Montluisant[1], a cui il gen. Kuhn affidò l’azione per la distruzione delle forze volontarie, ovvero dare battaglia a Bezzecca. Il gen. Montluisant elaborò il suo piano che prevedeva, in un primo tempo, di assicurarsi gli sbocchi della Val Conzei; successivamente, investire sulla fronte l'abitato di Bezzecca con la propria ala sinistra, mentre l'ala destra avrebbe operato un rapido movimento avvolgente della posizione. Determinato il crollo della difesa delle forze volontarie, Montluisant era più che convinto che le unità dei Volontari, anche se non direttamente impegnate nell'azione, non avrebbero retto ad una poderosa avanzata di tutte le sue forze e sarebbero rimaste travolte, ripiegando disordinatamente su Storo, per cozzare contro le truppe del gen. Kuhn. Inoltre preoccupandosi forse eccessivamente di lasciarsi aperta una via di ritirata, fermò la propria riserva a mezza via, ordinandole di assicurare a tutti i costi il controllo della displuviale in corrispondenza della Val di Conzei.



[1]                Bruno von  Montluisant è noto in Austria per la sua vittoria a Bezzecca, per la quale ebbe un alta onorificenza. Per la sua biografia ed un approfondimento della sua figura, vds.: Quaderni On Line, post “1866 Protagonisti. Gen. Bruno von Montluisant (1815-1896)” in data 6 settembre 2016  www.valremilitare cesvam,blogspot.com

sabato 25 novembre 2017

Bezzecca 21 luglio 1866 I Prodomi


      a. il campo di battaglia di Bezzecca

 Il campo di battaglia di Bezzecca si presentava secondo queste caratteristiche. Il villaggio di Bezzecca è ubicato in Val di Ledro, di fronte allo sbocco della Val Conzei, ed è profondamente incassato fra alti e poderosi contrafforti. Come tutte le posizioni all'ingresso di valli anguste, presenta lo svantaggio di essere dominata a tiro di fucile da balze strapiombanti, a loro volta sovrastate da altre quote sicché, per poterle tenere con sicurezza, è necessario, disperdere molte forze, spingendo in alto e verso l'avanti  con robusti distaccamenti a protezione della stretta.

Non era certo questa l'intenzione del Comando delle forze volontarie, il quale ignorava da quale e da quante direzioni sarebbe venuto l'attacco austriaco.

Garibaldi aveva intenzione, come di consueto, di battere l'avversario in un combattimento manovrato. Distaccamenti fiancheggianti erano stati posti a protezione delle diverse unità e quella di esse che fosse stata investita dall'attacco nemico avrebbe dovuto sostenere l'urto il più lungo possibile, per creare le migliori premesse per l'intervento delle altre, le quali avrebbero affrontato gli Austriaci in campo aperto.
Nella zona di Bezzecca, erano state presidiate due posizioni che apparivano assolutamente indispensabili alla sua difesa, cioè le alture di Naè, a ovest, ed il Poggio di S. Bartolomeo, a est dell'abitato, mentre si era provveduto a sbarrare la valle di Conzei in corrispondenza dei rilievi sovrastanti i villaggi di Enguiso e di Locca.

Nel caso di un attacco, Garibaldi aveva concordato con il gen. Haug[1], comandante della Brigata che teneva il settore, un'azione su Lesumo attraverso la dorsale della Val Conzei, per colpire sul tergo l'avversario fermato a Bezzecca. Un campo di battaglia alquanto particolare schiacciato dai rilievi e praticamente ridotto al solo fondovalle e alcuni declivi di mezzacosta.




[1]              Ernesto Haug, nato in Prussia, eclettica figura del risorgimento italiano. Dopo la conclusione della campagna entrò in polemica con lo Stato Maggiore dell’Esercito e con Garibaldi in quanto si riteneva non sufficientemente ripagato per il suo valore durante la giornata di Bezzecca. Per la sua biografia ed un approfondimento della sua figura, Vds.: Quaderni On Line, post “1866 Protagonisti. Il gen. Ernesto Haug (1817-1896)” in data 3 settembre 2016  www.valremilitare cesvam,blogspot.com

Bezzecca. 21 luglio 1866

b. la battaglia

Nella ricostruzione  di Paolo Langella[1] “all'alba del 21 luglio, le avanguardie austriache urtavano contro le difese di Enguiso e Locca, ma i grossi trovavano qualche difficoltà a spiegarsi, trattenuti dall'asprezza del terreno. Il gen. Haug rinforzando i presidi, riuscì ad arrestare gli Austriaci ed, illudendosi di poter resistere agevolmente su tali linee, sollecitò Garibaldi a compiere la mossa su Lesumo. Ma il Generale conosceva la debolezza intrinseca della due posizioni e, prevedendone la caduta non appena fossero state seriamente investite, rinforzò invece le difese di Bezzecca, inviandovi un battaglione al comando del figlio Menotti Garibaldi e facendo schierare tre batterie, due dietro l'abitato e una davanti a Bezzecca, per appoggiare l'azione in Val Conzei e successivamente coprire il ripiegamento dei presidi di Enguiso e Locca verso la linea di difesa principale, quando la situazione si fosse fatta insostenibile.

Ben presto l'ostinazione di Haug nel voler difendere gli accessi alla Val Conzei determinò una pericolosa crisi della difesa e le forze volontarie si trovarono in difficoltà. Sopravanzate sul fianco le posizioni, gli Austriaci scesero verso Bezzecca e inutili furono due furiosi contrattacchi all'arma bianca delle forza poste a suo presidio, come inutili risultarono i rinforzi inviati nel settore minacciato perché non vennero impiegati per prolungare l'ala della difesa ed intercettare gli attaccanti che trafilavano sul fianco, ma per rinforzare i presidi e ripianarne le perdite.

Le posizioni di Locca ed Enguiso, come logico, caddero e la batteria schierata davanti a Bezzecca riuscì a coprire il ripiegamento dei superstiti sparando a mitraglia, sotto una grandine di colpi.

Frattanto Garibaldi, che sino allora era rimasto in posizione arretrata, dubitando che l'attacco dalla Val Conzei non fosse l'azione principale, ma una diversione per distrarre forze dal settore prescelto per lo sforzo decisivo, si portò a Bezzecca preoccupato perla condotta del combattimento da parte del gen. Haug, il quale consumava le sue forze gettandole a spizzico nella battaglia.

Immediatamente individuò una pericolosissima situazione: le alture di Naè erano state abbandonate, su ordine del gen. Haug, per farne accorrere i difensori a Locca. Garibaldi ordinò che la posizione fosse subito rioccupata (e ciò fu fatto precedendo d'un soffio gli Austriaci) ed ordinò anche che venisse rinforzato il settore di Poggio S. Bartolomeo, la cui guarnigione, asserragliata nel recinto murato del cimitero che vi sorge, era duramente provata e sopportava il peso dell'attacco condotto dall'intera ala sinistra austriaca.

Intanto le unità che si ritiravano dalla Val Conzei, ripiegavano precipitosamente, incalzate da presso dall'avversario, travolgendo anche i reparti inviati a loro rinforzo e ancora in cammino verso le posizioni ormai perdute. Il precipitarsi in Bezzecca di un così gran numero di Volontari provocò una enorme confusione ed una calca indescrivibile, non perché fra le file garibaldine si fosse diffuso il panico, quanto per la strettezza del luogo ed il gran numero di difensori che già vi si trovavano.

Ogni comandante voleva schierare la propria unità per riprendere l'azione contro l'attaccante, anche a costo d'ingombrare il campo di tiro dei reparti già schierati a difesa; ogni Volontario che avesse perso contatto con la propria compagnia si intrufolava dove capitava per aprire il fuoco. Fu necessario far sgomberare rapidamente e con modi molto energici gli intrusi, lontano dalla linea del fuoco ed essi defluirono alla rinfusa nella zona di Tiarno, ove si ricomposero per rendersi utili nel prosieguo dell'azione. Fortunatamente gli Austriaci non avevano insistito nell'investimento di Bezzecca, accanendosi contro il Poggio di S. Bartolomeo e soprattutto contro le alture di Naè, in esecuzione del piano  del Mountluisant, ed un deciso contrattacco, ordinato da Garibaldi, riuscì a disimpegnare la batteria schierata davanti a Bezzecca, permettendole di retrocedere a riparo dell'abitato.

Intanto cadde la posizione di S. Bartolomeo, mentre le alture di Naè erano teatro di furiosi combattimenti, posizioni talvolta perdute, ma sempre rioccupate con sanguinosi contrassalti dei Volontari. Garibaldi, temendo uno sfondamento sulle ali e l'accerchiamento di Bezzecca e ritenendo ormai esauriti i compiti di fissaggio frontale del nemico, ordinò il ripiegamento, facendo concentrare tutto il fuoco di artiglieria disponibile davanti al villaggio a copertura del movimento retrogrado. Diede, inoltre, ordine al figlio Menotti di rinforzare la difesa sui rilievi di Naè e di mantenervisi a tutti i costi. Le alture di Naè, infatti, continuavano ad essere la posizione chiave della battaglia: prima avevano permesso di tenere Bezzecca, ora saranno il perno attorno a cui ruoterà lo schieramento delle forze volontarie per ripiegare ordinatamente in Val di Ledro, successivamente copriranno il fianco per le azioni controffensive sviluppate, in basso, verso Bezzecca e, per l'alto, contro Lesumo.

Garibaldi, individuandone immediatamente l'importanza, riuscì a conseguire la vittoria utilizzandole come elemento determinate della sua manovra. Nella ritirata di Bezzecca, si distinse particolarmente il figlio minore del Generale, Ricciotti Garibaldi, che riuscì a recuperare, guidando pochi animosi, un pezzo d'artiglieria ribaltato nel fango dai cavalli di traino e che stava per essere catturato dai cacciatori austriaci.

Ne frattempo, Garibaldi aveva fatto serrare sotto tutte le unità dislocate nell'Ampola, ordinata a quelle in attesa sulla sua dorsale sinistra di portarsi a Lesumo e ad un contingente minore di raggiungere la displuviale per proteggere loro il fianco da eventuali provenienze dalle Giudicarie.
Appena  questi movimenti furono a buon punto, concentrò un intensissimo fuoco d'artiglieria su Bezzecca e ben presto il paese fu in preda alle fiamme e gli Austriaci furono costretti ad uscirne. Colto il momento favorevole, il Generale sferrò un risoluto attacco per trattenere l'avversario in fondovalle ed impedire un suo disimpegno quando si fosse accorto che la sua linea di ritirata stava per essere recisa in corrispondenza di Lesumo.

Bezzecca venne riconquistata e gli Austriaci ricacciati verso la Val Conzei, ma un altro deciso contrattacco partiva dalle alture di Naè  costringeva l'avversario a ripiegare su Locca e poi su Enguiso. Peraltro, il distaccamento, inviato da Garibaldi a vegliare sulla displuviale, era venuto a contatto con la riserva del Montluisant e questi, quando ne ricevettero l'annunzio, stimò pericolosa ed insostenibile la propria posizione, ritenendo che si trattasse di avanguardie di forze ben più consistenti.

Ordinò allora la ritirata generale sul Monte Pichea, da dove poteva porsi in salvo su Riva, sottraendosi così, più per un caso fortunato che per decisione di comando, all'aggiramento predisposto con tanta cura da Garibaldi.

A sera, infine, a Garibaldi giunse la notizia che anche nelle Giudicarie l'attacco austriaco era stato respinto, non avendo voluto il gen. Kuhn spingere a fondo il proprio sforzo, quando si era accorto dell'entità delle forze che lo fronteggiava. Si concludeva così quella che poi passò alla Storia come la battaglia di Bezzecca, celebrata, non a ragione, come l’unica vittoria italiana del 1866. Fu una delle quattro battaglie che costrinsero l’Austria a cedere il Veneto, regione che fu annessa all’Italia con la forza delle armi e non per mera decisione austriaca.


massimo coltrinari
centrostudicesva@istitutonastroazzurro.org


[1]              Ibidem

martedì 7 novembre 2017

L'avanzata su Trento ed il celebre "obbedisco"



Il Comando Supremo, dopo l’occupazione del Veneto, era più interessato ad evitare che una Grande Unità dell’Esercito regolare fosse sconfitta che ad interrompere la linea di comunicazione Verona- Innsbruck, lungo la valle dell’Adige; si preoccupava, quindi, che l’investimento di Trento fosse condotto nelle migliori condizioni.

Pertanto il 22 luglio Garibaldi ricevette l’ordine da parte del Comando Supremo di agire con la massima velocità attraverso le Alpi Giudicarie e convergere su Trento e congiungersi con la colonna Medici, che oramai era in vista della città. Nella notte sul 23 lugL’avanzata su Trento ed il celebre “Obbedisco”.lio 1866 le unità volontarie si trasferirono a Cimego e nella stessa giornata iniziarono il movimento verso Lardaro. Gli Austriaci, a mezzanotte del 22 luglio, avevano anch’essi iniziato la riunione di tutte le forze dislocate sulla destra dell’Adige per farle poi confluire poi su Trento e organizzare una difesa organica prima che le unita italiane del Medici e volontarie si congiungessero.  Queste operazioni erano in corso e la marcia veloce su Trento in pieno svolgimento quanto giunse al Quartier Generale del Corpo dei Volontari, sera del 23 luglio, la notizia che a Nikolsburg era stata concordata una tregua d’armi tra Austriaci e Prussiani.
Questa tregua d’armi proseguì fino all’11 d’agosto. Due giorni prima, il 9 agosto 1866,  il Governo Italiano aveva preso la decisione di aderire all’armistizio e di non continuare la guerra. La Marmora manda a Garibaldi il famoso dispaccio telegrafico n. 1073:

Considerazioni politiche esigono imperiosamente la conclusione dell’armistizio per il quale si richiede che tutte le nostre forze si ritirino dal Tirolo, d’ordine del Re. Ella disporrà quindi in modo che per le ore 4 antimeridiane di posdomani 11 agosto le truppe da Lei dipendenti abbiano a lasciare le frontiere del Tirolo. Il generale Medici ha dalla parte sua cominciato i movimenti”[1].
Su questo telegramma e la relativa risposta sono state scritte molte pagine che sono entrate nella epopea garibaldina. La conclusione di tutte le considerazioni fu l’adesione di Garibaldi all’ordine di 

La Marmora.
Quale scossa abbia provato in quel momento il cuore dell’Eroe, scrive il Guerzoni, lo storico può indovinarlo, ma affermarlo con certezza non può…Garibaldi non tradì nemmeno ai più intimi la sua interna tempesta. Tranquillo prese la penna e rispose egli stesso al La marmora col famoso telegramma il cui testo è letteralmente: “Ho ricevuto il dispaccio n. 1073. Obbedisco. G. Garibaldi”.[2]

Garibaldi vedeva confermate le sue più pessimistiche previsioni e distrutte le speranze di liberare Trento ed il Trentino; vedeva resi vani tanto valore, tanti sacrifici, tanto sangue sparso che, alla luce delle decisioni prese, era stato, quindi, vano.
Terminava così la campagna del Corpo dei Volontari che rientravano nei confini del Regno.


[1]              Schiarini P., La campagna del 1866, in Il Generale Giuseppe Garibaldi, Roma, Ministero della Difesa, Stato Maggiore dell’Esercito, Ufficio Storico, 1982, pag. 294
[2]              Ibidem

mercoledì 1 novembre 2017

Bezzecca Indice

Bezzecca
4.1 La situazione generale militare: la costituzione del Corpo
dei Volontari.
4.2 Gli avvenimenti politico-diplomatici precedenti Bezzecca: come impiegare il Corpo dei Volontari.
4.3 L’ambiente operativo.
4.4 I piani operativi.
4.5 Le forze in campo.
4.6 Le operazioni del Corpo dei Volontari prima di Bezzecca: a. Le operazioni iniziali. b. Il rovesciamento della fronte 25 giugno 1866. c. La ripresa delle operazioni nel settore montano. d. Il combattimento di Monte Suello. 3 luglio 1866.  e. Il riordino del Corpo dei Volontari 4-6 luglio 1866.
f. I combattimenti di Lodrone e Darzo. g. Il combattimento di Cimego. h. L’occupazione della Val d’Ampola.
 4.7  La situazione alla sera del 20 luglio 1866.
4.8 21 luglio 1866.  a. il campo di battaglia di Bezzecca. b. la battaglia.
4.9 L’avanzata su Trento ed il celebre “Obbedisco”.

4.10 Considerazioni ed valutazioni di una vittoria.