Nelle primissime ore del 25
giugno, Garibaldi ebbe comunicazione dal Comando Supremo della situazione in
pianura. L’Armata del Mincio era in ritirata e necessità che le forze volontarie
operassero in maniera da garantire il fianco nord dell’Armata stessa. Con vari
dispacci e telegrammi lo stesso La Marmora aveva aggiornato Garibaldi. Vi era il sostanziale pericolo che Brescia fosse
occupata dagli Austriaci; onde evitare questo, Garibaldi decise di concentrare
le forze volontarie nella piana a sud-ovest del Garda, sulle alture moreniche
di Lonato, con il grosso sistemato a difesa. Dopo una attenta pianificazione, soprattutto
per riguardo gli itinerari, disposto che piccolissimi contingenti sarebbero
stati lasciati a contatto con il nemico, ordinò che dalla sera del 25 giugno
iniziassero i movimenti verso il nuovo schieramento e che tutto dovesse
terminare nella mattinata del 26. Tutto questo si svolse celermente e
velocemente, agevolato anche dal fatto che le unità volontari erano “leggere”;
Garibaldi non aveva nessuna notizia delle intenzioni del nemico, e quindi operò
al buio, con le unità volontarie che uscivano dalle valli alpine e sboccare in
pianura senza sapere chi avrebbero incontrato. Le disposizioni furono chiarissime:
si doveva aspettare una battaglia di incontro e quindi ci si doveva preparare
adeguatamente. Si trattava cioè di assicurare una articolazione alle unità ed un
coordinamento interno che permettesse di assorbire l’urto iniziale del nemico e
successivamente di far massa sul lato minacciato.
Il dispositivo tattico assunto dal Corpo dei Volontari fu a
losanga che si trasformò ben presto in un triangolo schiacciato quando, senza
aver incontrato forze austriache, il suo vertice raggiunse Lonato, su cui, come
detto, si era imperniato lo schieramento difensivo. Il Corpo dei Volontari
tenne le posizioni in difesa e a copertura di Brescia fino al 30 giugno, giorno
in cui, vista l’inerzia austriaca, decise di riprendere l’iniziativa. Ordinando
alle sue forze di spostarsi in Val Sabbia, per riprendere le operazioni in
Trentino. Questa decisione fu suffragata anche dalla notizie avute dal Comando
Supremo, che ipotizzava una azione dell’arciduca Alberto, verso l’Armata del Po
per aprirsi la strada verso Firenze, capitale del Regno.
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