(1)
Le
Dottrine operative: la loro definizione in base agli intendimenti tattici e
potenziali.
Le dottrine operative navali si basavano sulla
cosiddetta “linea di fila”, per utilizzare al meglio la potenza di fuoco collocata sui fianchi, mentre l’utilizzo
dello sperone collocato a prora (introdotto sulle navi corazzate della seconda
metà dell’ottocento), era utilizzato per sferrare il colpo definitivo contro le
navi avversarie. Non era ancora stata introdotta una dottrina innovativa per
l’utilizzo delle unità munite di cannoni a torri mobili. Inoltre, era opinione
comune che la superiorità navale andasse ricercata sul mare, prima di tentare
attacchi verso terra in vista di sbarchi. Il confronto diretto tra flotte era
quindi considerato fondamentale nelle battaglie navali; la supremazia marittima
doveva, quindi, essere conseguente alla vittoria in uno “scontro risolutivo”.
Le direttive impartite all’Ammiraglio Persano dal
Governo erano aggressive ma piuttosto generiche, orinandogli di “spazzare via
le forze nemiche dall’Adriatico, attaccandole e bloccandole ovunque fossero”.
Il 21 giugno, all’indomani della dichiarazione di guerra all’Austria, la flotta
al Comando di Persano si sposta da Taranto ad Ancona, dove arriva il 25 giugno.
Tegetthoff il 27 dello stesso mese, compie una ricognizione al largo di Ancona,
ma la flotta italiana decide, in un apposito Consiglio di Guerra, di non
ingaggiare battaglia, limitandosi ad effettuare lunghe “crociere del giusto
mezzo” lontano sia dalle coste italiane che austriache, rivendicando uno
sterile controllo marittimo dell’Adriatico. Tali crociere, conclusesi il 13 di
luglio con l’obiettivo dichiarato di provocare una reazione austriaca, non
ebbero nessun effetto se non quello di rafforzare le ipotesi di inconcludenza
della flotta e del suo comandante in capo.
L’uso strategico della flotta sembrava essere completamente non
coordinato con la condotta delle operazioni terrestri. Da ambo le parti.
Nessun commento:
Posta un commento