Nell'ambito delle celebrazioni pr il centenario della Grande Guerra, Il Magnifico rettore della Università Politecnica delle Marche ed il Comandante del Comando Militare Esercito Marche, d'intesa con il Prefetto di Ancona,
hanno organizzato una conferenza
dal titolo:
24 maggio 1915: l'Italia Entra in Guerra
ordinata su due relazioni
Una del Magg Gen Massimo Coltrinari, il cui testo è riportato sotto, l'altra dal prof. Roberto GUglianelli
il cui testo sarà pubblicato appena avuta l'autorizzazione.
Università Politecnica delle Marche
26 maggio 2015
Magg. Gen. (aus) Massimo
Coltrinari
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24 maggio 1915: l’Italia entra
in guerra
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(Testo Esteso. Riportato anche il riferimento al Power Point disponibile)
La dichiarazione di neutralità
proclamata dall’Italia il 2 agosto 1914 faceva terminare in modo irreversibile
gli effetti diplomatico-militari della Triplice Alleanza, alleanza con
l’Austria e con l’Ungheria che durava da oltre trent’anni, dal 1882. Cadevano
anche gli accordi delle convenzioni militari con Germania ed Austria, di cui la
più recente convenzione era ancora fresca di inchiostro essendo stata stipulata
nel marzo 1914.
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La dichiarazione di neutralità
apre la grande stagione dell’interventismo che durerà in modo sempre più
intenso per circa 10 mesi. Una stagione che vide attivi anche i neutralisti,
ancora propugnatori della Triplice Alleanza, e fautori di richieste
dell’Austria. In cambio della nostra neutralità o meglio della nostra non
entrata in guerra chiedevano “compensi” che, via via erano sempre più
consistenti, andando ad alimentare quell’accezione che l’Italia avrebbe
ottenuto moltissimo senza la guerra, senza i sacrifici immani del primo
conflitto mondiale. E’ il “parecchio” di giolittiana memoria, che in realtà era
più che altro un tergiversare interessato dell’Austria, convintissima di poter
vincere la guerra, insieme alla Germania, e covava la riserva mentale che al
momento opportuno l’Italia avrebbe pagato ogni cosa.
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L’interventismo non faceva
calcoli. Per primo si mossero i repubblicani e quanti si rifacevano al
risorgimento nazionale; il volontariato garibaldino si mobilitò ed organizzò
prima formazioni minori di volontari accorsi in Francia a combattere per la Francia,
e poi formò la
Legione Garibaldina che con la divisa della legione straniera
combattè nelle Argonne dal dicembre 1914
al febbraio 1915. Il valore e l’eco delle gesta garibaldine in Francia (caddero
tra gli altri Bruno e Costante Garibaldi, nipoti dell’Eroe dei due Mondi, e
Lamberto Duranti, anconetano, il primo giornalista caduto nella Guerra
Mondiale) rinforzò le fila interventiste.
Accanto ai futuristi, la corrente
letteraria che vedeva tra gli altri Filippo Maria Marinetti
e tanti altri esponenti di spicco del mondo dell’arte e della pittura e
scultura italiana del tempo, agirono come interventisti uomini che incisero
anche negli anni futuri nelle vicende italiane. Qui ad Ancona basti ricordare
Filippo Corridoni, che poi cadde il 25 ottobre 1915 alla Trincea delle frasche,
Medaglia d’Oro al Valor Militare e a cui è intitolata la sua città natale,
Corridonia, Pietro Nenni, direttore di quel giornale che ancora oggi si stampa
in Ancona, “Il Lucifero”, e Benito Mussolini, socialista, direttore dell”Avanti”
che nel novembre 1914, proprio per aver aderito alle idee interventiste, fondò
il “Popolo d’Italia”, a cui collaboro in modo fattivo e costante anche Cesare
Battisti.
Sul piano strettamente militare,
non si può comprendere a pieno le decisioni prese nel maggio 1915 se non si fa
un brevissimo cenno a quelli che erano i due principali argomenti in
discussione: la soluzione del problema strategico, dopo la dichiarazione di
neutralità, ed un ancor più breve cenno
al problema tattico.
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Il problema strategico era da anni allo studio
dello Stato Maggiore Italiano.
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Qui non vi è lo spazio per
approfondirlo.
Cadorna lo risolse con il famoso
“sbalzo in avanti”
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Il problema tattico Cadorna lo risolse con la
emanazione del famoso Libretto Rosso che è all’origine di polemiche e
discussioni da oltre cent’anni
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L’interventismo, quindi, preparò l’opinione pubblica italiana alla
guerra. Quindi l’azione politica e quella diplomatica si poterono esplicare in
modo positivo e propositivo, in modo tale che fu superata la crisi governativa
gravissima del 12-15 maggio 1915,
in cui il Governo Salandra, firmatario del patto di
Londra, rassegnò le dimissioni. Un patto di Londra che ha una genesi veramente
sorprendente
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Dopo accordi preliminari ed in un
contesto che merita un più approfondito studio per le conseguenze che puoi ebbe
negli anni a venire, per comprendere come mai i nostri responsabili politici e
diplomatici del tempo siano stati così superficiali, l’Italia firma con la Gran Bretagna e con
la Francia ed i loro alleati, il noto “Patto di Londra”, il 24 aprile 1915. Tra
le clausole, alcune accettate dai nostri rappresentanti con troppa leggerezza,
vi era quella che l’Italia si impegnava ad entrare in guerra entro un mese
dalla firma del Patto. Altre clausole furono in seguito oggetto di
controversie, tanto che quello che poi passò sotto il nome di “Vittoria
Mutilata” ha l’origine in questi accordi poco chiari e poco meditati.
Sul piano militare il Patto di
Londra prevedeva la stipula immediata di una convenzione militare.[1]
Tale convenzione fu firmata a
Parigi il 2 maggio 1915; una convenzione, come fa rilevare Antonello Biagini, che
poneva le basi non solo per la futura collaborazione fra gli alleati, ma dava
anche una indicazione precisa circa lo sforzo russo contro l’Austria-Ungheria.[2]
In modo appropriato Giorgio Rochat sottolinea come non avesse senso fissare, in
termini militari in questa sede le cifre, mentre era importante indicare con
chiarezza la necessità di uno sforzo comune italo-russo contro l’esercito
austro-ungarico.[3]
Con questa convenzione si
delineava chiaramente che era necessario legare strettamente gli alleati tra
loro e quindi ogni sforzo doveva essere armonizzato con quello degli altri;
inoltre, si mettevano condizioni e
paletti ben precisi all’operato degli Stati firmatari, come ad esempio quello
di impedire la firma di armistizi separati, di calibrare lo sforzo bellico, di
creare le condizioni per la costituzione di un Comando Unico delle operazioni
su tutte le fronti, cercare di armonizzare le aspirazioni, spesso contrastanti
tra loro, dei francesi, inglesi, russi e degli italiani.
Questa convenzione non ebbe tanto
fortuna. Il problema del Comando Unico, che vide accesi dibattiti in svariate
sedi, non fu mai risolto; il coordinamento delle varie operazioni fu scarso, e
quando si riuscì a realizzarlo ci fu solo attraverso le conferenze
interalleate, che erano organi occasionali e temporanei.
Si avviò anche gli accordi per
una convenzione militare con la Russia. Il 5 maggio 1915 il colonnello Edoardo
Ropolo si presenta al Granduca Nicola, comandante in capo ed ebbe subito un
colloquio con il Capo di Stato Maggiore Nicolay Januskevic. Entrambi convennero
che occorreva coordinare gli sforzi: i Russi si trovavano sulla linea dei
Carpazi ed avevano come obbiettivo di raggiungere la pianura ungherese battere
l’esercito Austro-Ungarico con l’aiuto dell’Esercito italiano e serbo. Fu
preparata la convenzione italo-russa che fu firmata il 21 maggio 2015 a Pietrogrado. Ma
nonostante questo nello sbalzo iniziale l’influenza delle operazioni russe non
ebbe alcun esito.
Il Comando Supremo aveva provveduto, con lo
scorrere dei mesi alla mobilitazione,
Lastrina 15
che fu autorizzata dal governo solo nella
primavera del 1915, con colpevole ritardo.
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Il 4 maggio 1915 fu denunciato il
Patto della Triplice Alleanza che convinse l’Austria che l’Italia ormai aveva
deciso di intervenire; da qui si perse il vantaggio della sorpresa perchè
l’Austria iniziò a predisporre le difese nel suo settore meridionale. Ebbe
venti giorni di tempo per preparare la propria difesa contro cui si infransero
gli attacchi italiani delle prime battaglie dell’Isonzo.
Il Comando Supremo, una volta
messo al corrente degli impegni che si erano presi, coscio della realtà,
comunicò al Governo che prima del 20 maggio non sarebbe stato possibile dichiarare
la guerra.
Iniziarono quelle due settimane,
le più difficili per l’Italia, che sono la testimonianza di come l’Italia giungesse
impreparata al conflitto. Un maggio che fu definito radioso, ma che radioso non
lo fu per niente.
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Lo scontro tra interventisti e
nazionalisti divenne sempre più duro. Il 5 maggio, a Quarto, Gabriele d’Annunzio
pronuncia il suo discorso in occasione del 50° anniversario della partenza dei
Mille avendo una eco veramente notevole.
I Neutralisti, con Giolitti in
testa, accanto al Vaticano, ai cattolici ed a una parte dei socialisti concentrano i loro sforzi
appoggiandosi alle iniziative dei rappresentanti tedeschi in Italia, sia
della Germania sia dell’Austria. In questo
contesto arrivano le ultime offerte dell’Austria in cambio della neutralità
italiana. E’ il “famoso “parecchio” ma nella sostanza non soddisfa le esigenze
italiane, ovvero non ci viene concessa Trieste, punto focale delle trattative.
Inizia una settima veramente
terribile per l’Italia e per i suoi destini
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Il parlamento è dominato dai
neutralisti. Giolitti sa che un
passaggio parlamentare farebbe cadere il Governo. In questa situazione Francia
e Gran Bretagna temono che gli accordi presi con l’Italia possano cadere e
quindi sono sempre più diffidenti. La situazione raggiunge il punto culminante
quando Salandra, capo del Governo, constata che non ha l’appoggio di tutti i
partiti politici e rimette
il mandato al Re. Le dimissioni
del Governo e le susseguenti trattative, tra il 14 ed il 19 maggio, sono i
giorni più difficili.
Il Re ha in quel momento in mano il destino
del Paese.
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Si hanno imponenti manifestazioni
interventiste in tutta Italia; il Corriere della Sera di Luigi Alberini,
Anconetano (un suo monumento è a Piazza Cavour, a testimonianza del suo amore
per Ancona) è capofila della campagna
interventista, che sommata alla debolezza ed alla passività delle forze
neutraliste, che non osano rischiare una crisi politica in questi frangenti,
orientarono sempre più il Re verso la guerra.
Dopo consultazioni con tutti i
maggiori esponenti politici decide di respingere le dimissioni del Governo; che
significava la dichiarazione di guerra.
Le Camere sono convocate
regolarmente per il 20 maggio, e in due tornate, il Governo ha i pieni poteri.
Viene predisposta la dichiarazione di guerra all’Austria che viene inviata il
22 maggio al nostro Ambasciatore a Vienna che la consegna il 23 maggio: dal 24
maggio 1915 l’Italia si considera in guerra con l’Austria.
Lastrina 20
Solo i socialisti continuarono a
proclamarsi contrari alla guerra , senza però promuovere una reale
opposizione secondo al formula nota del
“ne aderire ne sabotare”. I cattolici ed i giolittiani finirono invece per
sodalizzare con il Governo Calandra. Questi, chiuso in una concezione angusta
della guerra, rifiutò ogni collaborazione
sia dei cattolici, sia dei giolittiani sia degli interventisti
democratici in quanto non vedeva i
vantaggi di una “Unione Sacra” per il superiore interesse della Patria, ma
continuava a ragionare in termini di rivincita politica della destra
tradizionale. E questa scelta, per l’Italia, fu foriera in futuro di guai a non
finire.
Questo difficile passaggio
parlamentare e politico ha riflessi molto gravi sul piano militare. La
diffidenza di Francia e Gran Bretagna, rallentano l’invio di materiale e
equipaggiamenti promessi; l’Austria si è preparata e quindi l’effetto sorpresa
svanisce; lasciamo all’Austria stessa l’iniziativa operativa.
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Questa si esplica con l’azione
navale di bombardamento contro le coste marchigiane e romagnole nelle prime ore
del 24 maggio 1915: è un obiettivo strategico: quello di creare le condizioni
per una rivolta delle popolazioni sulla scia della Settimana Rossa che in
queste regioni si era svolta l’anno prima.
I danni materiali nelle varie
località attaccate (Porto Corsini, Rimini, Pesaro, Senigallia, Ancona) sono
notevoli dal punto di vista materiale.
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Ancona viene duramente colpita
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L’attacco austriaco fece delle
vittime, anche tra i militari. Alla
Caserma Stamura, che oggi non esiste più, fu colpito e smantellato il
fabbricato adibito a prigione militare, come fu colpito il fabbricato adibito
ad alloggiamento dei soldati. Vi furono tra loro 11 morti e parecchi feriti.
Qui a Villarey, ove i soldati dormivano anche nei cortili, si ebbero tre morti .
Parecchi colpi caddero nei
dintorni della caserma, in Via Villarey provocando danni alle cose e qualche
ferito.
Il comportamento delle
popolazione e quello dei soldati fu esemplare: subito ci si mise a soccorrere i feriti e aiutare coloro che
avevano bisogno. Dalle prime ore subito emerse quel concorde sostegno tra
popolazione civile e militari che è alla base del consenso che si ebbe nei
successivi anni di guerra e che rappresentò il fallimento dell’attacco
austriaco.
Lastrina 24
L’azione di uomini politici come
Nenni, che qui in Ancona dirigeva “Il Lucifero”, Filippo Corridoni, Benito
Mussolini, che fu un protagonista della Settimana Rossa, Cesare Battisti, ed
esempi dei garibaldini, primo fra tutti l’anconetano Lamberto Duranti, tutti
interventisti, determinò una adesione alla guerra, nel solco risorgimentale,
insospettabile solamente l’anno prima.
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La tradizione risorgimentale si
affermo e si impone
Ecco perchè si può dire che la
Prima Guerra Mondiale è la IV guerra d’indipendenza, in cui si esplicò quanto
detto prima, ovvero fatta l’Italia nel risorgimento, occorreva fare gli Italiani. Le Marche ed Ancona in particolare, il primo giorno di
guerra, dimostrarono che questo assunto era reale.
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Dalle Marche partì la prima azione di guerra
contro l’Austria-Ungheria della Regia Marina. Al dirigibile, “Città di Ferrara” , il cui aeroscalo
era a Jesi, fu affidata la prima operazione offensiva della guerra: il bombardamento
della piazza di Pola, mentre al dirigibile “Città di Jesi” che aveva come
aeroscalo Ferrara, fu affidata identica missione, che per avverse condizioni
meteorologiche non si sviluppò appieno. Mentre sorvolava la costa nemica
sopravvennero anche alcune avarie ed il dirigbile fu costretto a rientrare,
dopo quasi dieci ore di volo.
Così è descritta l’operazione del “Città di Ferrara” nella Relazione
Ufficiale della Marina:
“Lasciato l’aeroscalo di Jesi
alle ore 23,30 del 23 maggio con cielo
coperto e piovaschi, l’aeronave prese quota e diresse verso il mare. Per
assicurare quanto era possibile l’esito di questa prima missione, quattro
barche erano ancorate di 10 miglia in 10 miglia sulla congiungente Ancona-Pola
perché servissero di controllo nella rotta. A mezzanotte il dirigbile aveva
raggiunto la seconda barca: la velocità che risultava di 75 km ora faceva
prevedere che la meta sarebbe stata raggiunta introno alle 1,45 se il vento non
avesse mutato di direzione e di forza. Però, poco dopo un nutrito fuoco di
cannoni antiaerei diretto contro
l’aeronave , che navigava a 600 metri di quota, rilevò la presenza di navi
nemiche”
Il fuoco proveniva
dell’incrociatore leggero “Saida”, al comando del C.V. Buchmayer e del’altro
incrociatore Szigetevar, al comando del C.V.Schmidt, che precedevano il Gruppo
“, composto dal grosso della flotta austriaca (I, III; IV Divisione), che
faceva rotta verso Ancona. Apri il fuoco contro il “Città di Ferrara” anche il
cacciatorpediniere “Velebit, comandante il C.C. Mauer, che seguiva gli
esploratori.
Il “Città di Ferrara” , per
sfuggire al fuoco nemico, diresse verso
--“ Nord ovest, aumentando contemporaneamente la quota a 900 metri. Compiuto un
largo giro fu ripresa la rotta, ma non fu scoperto alcun segno di terra prima
dell’alba. Forse il vento di levate, più fresco e più alto, aveva spinto il
dirigibile verso il centro dell’Adriatico: qualunque ne fosse la causa, ormai
era troppo tardi per raggiungere Pola. Invertita la rotta, l’aeronave ritornò
sulla costa italiana atterrando sopra Riccione; scendendo poco a Su Est lungo
la spiaggia, scoprì successivamente le navi austro-ungariche che avevano
bombardato Rimini e quelle che ancora facevano fuco su Senigallia, e diresse
per attaccarle.
Riferiamo colle stesse parole del
Comandante del Città di Ferrara ( ten. di vascello Castruccio. Castracane)
l’ultima parte della sua crociera: “ Si
da la caccia mentre le navi si allontanano verso levante a grande velocità;
causa il forte vento contrario s’impegna molto tempo a raggiungerle, ciò che
avviene molto tempo prima che essi si uniscano al resto della squadra che,
proveniente da Ancona, dirige a Nord Nord Est
La nave, che è del tipo Radestsky al momento in cui le si lanciano 3
bombe da 262 mm compie una rapida accostata a sinistra e le evita; si accosta
seguendola e poco dopo altre 3 bombe da 262mm e 2 da 179 mm, ed una da 262 mm,
sono state lanciate ed evitate ugualmente. Il resto della squadra, essendo
ormai vicino, dirigo per l’hangar. Da notarsi il fatto che la nave sopra
accennata non abbia fatto fuoco contro l’aeronave, ciò che fa supporre essa sia
sprovvista di cannoni antiaerei. Entrando in hangar si procede ad una accurata
visita ed alla rimessa a punto dei motori. Dalla visita all’involucro, ancora
in corso, appaiono fori causati da colpi di fucile che vengono tappati- Non si
è ancora riusciti a trovare i fori sul cielo del ballonet dannosi molto per
l’inquinamento.”
Mentre il “Città di Ferrara” era
in missione su Pola, tre aeroplani austriaci raggiunsero l’aeroscalo di Jesi e
lasciarono cadere varie bombe, senza provocare danni di rilievo. Era però
chiaro che il nemico aveva ben chiaro il concetto di contraviazione, andando
bombardare le basi dei dirigibili nelle Marche. Ancor più chiaro aveva il
concetto di bombardamento dei punti militari delle città nemiche, come dimostra
il bombardamento di Venezia, in cui impiegò 2 velivoli che sganciarono 19
bombe.
Come appare evidente, non vi era
stata alcuna preparazione a difesa di questa minaccia sia aere che navale.
Ancona era praticamente una piattaforme smantellata ed indifesa, mentre non
esisteva alcuna forma di organizzazione antiaerea. Questo argomento sarà oggetto
della conferenza autunnale del CME Marche in programma ad ottobre, ovvero la
difesa costiera e antiaerea. La difesa attiva era affidata al sommergibile
“Argonauta”. Gli ordini erano chiare: all’imbrunire doveva prendere il pare,
adagiarsi sul fondo, e prepararsi ad eventuali attacchi contro navi nemiche che
si fossero presentate davanti al porto di Ancona. Proprio il 23 maggio, la
barca-rimorchiatore che doveva avvertire “Argonauta” della presenza delle navi
nemiche, fu impiegata per l’assistenza alle barche predisposte per la missione
del dirigibile “Città di Ferrara” contro Pola. A fronte di questa circostanza,
nella impossibilità di essere avvertito, il Comandante dell’”Argonauta” ritenne
inopportuno lasciare il porto ed immergersi, quindi rimase in banchina. Quando
si palesò la presenza nemica con l’inizio del bombardamento della città,
l’”Argonauta” immediatamente usci dal porto; una manovra maldestra (una gomena
nella concitazione, si impigliò nelle eliche)
lo bloccò all’uscita del porto; quindi la sua azione fu nulla e la
flotta austriaca potè agire indisturbata.
Lastrina 27
Siamo qui in questa caserma,
intitolata al Cap. Villarey, medaglia d’Oro al Valor MIlitare nella guerra del
1866 e che era sede nel 1915, del Comando Brigata “Messina” e sede del 93°
Reggimento di Fanteria “Messina”; un reggimento legato ad Ancona ed alle Marche
da lunga data, ancorchè portante il nome della città di “Messina” e lo sarà
anche nei decenni a venire, fino ai giorni delle operazioni in Grecia e a
quelli tragici della crisi armistiziale del settembre 1943.
Il 93° Reggimento Fanteria aveva
avuto come comandante in Libia l’allora colonnello Armando Diaz, che succederà
al Gen. Cadorna nel novembre 1917 e che sarà l’artefice ed il protagonista
dell’ultimo anno di guerra.
La storia del reggimento è intessuta, come
quelle degli altri reggimenti della fanteria italiana, di risvolti, iniziative
ed episodi tutti volti a creare
amalgama, consenso, fratellanza fra gli uomini. Ovvero era in pieno svolgimento
il portato risorgimentale ”Fatta l’Italia, occorre fare gli Italiani”.
Il 93° Reggimento fanteria
proprio qui alla Caserma Villarey stava accogliendo nelle sue fila, i
complementi in attesa di partire per il fronte, complementi che venivano da
tutta Italia. La Mobilitazione “rossa”, così chiamata per il colore della carte
su cui era stampata era in pieno svolgimento, ancorchè in gran parte occulta e
stava predisponendo l’Esercito che avrebbe condotto le operazioni contro
l’Austria.
Lastrina 28
Sul piano più generale, la dichiarazione
di Guerra fu prematura. L’Italia non era preparata ad una azione offensiva in
profondità. Sarebbero occorsi altri mesi per preparare uomini e mezzi.
L’Esercito, che fino al 1914 era incardinato su una Alleanza difensiva, in
breve dovette passare ad una azione offensiva per cui non era preparato. Ne fa
fede, tra i tanti esempi, l’atteggiamento del Comandante della 4a Armata
schierata nelle Dolomiti, Gen. Nava, che ritardò di oltre un mese l’attacco a
fondo alle posizioni austriache in Val di Landro e sul Falzarego; Cito questo
perché erano in prima linea le Brigate “Marche” e “Ancona” nell’area della Tre
Cime di Lavaredo-Monte Piana.
Oltre alle titubanze ed alla mentalità
non aggressiva di Nava, gravissime erano le carenze in termini di artiglieria,
di munizionamenti e materiali.
Si può dire che, anche se le
truppe avessero conquistato di slancio le posizioni austriache sia sul fronte
isontino che in Carnia che sul fronte dolomitico, o in uno solo di questi
fronti, e si fossero spinte in avanti, l’azione si sarebbe certamente fermata
per mancanza di alimentazione logistica per carenza di ogni sorta di materiale
e mezzi.
La guerra riporta tutti alla
realtà
Lastrina 29
Lo constata con un po’ di
amarezza anche Salandra ed il Governo, che, sull’onda del maggio radioso, aveva
creduto che in breve si sarebbe giunti a Trieste e a Lubiana. La realtà si
dimostrò in tutta la sua cruda verità: eravamo entrati in guerra troppo presto
e impreparati.
Gli austriaci ci fermano: sono le prime
battaglie dell’Isonzo che fanno calare tutti i veli
Lastrina 30
L’economia italiana non era stata
preparata a questa esigenza: tutto si dovette inventare sul momento ed
occorsero mesi prima che le nostre industrie riuscissero a fornire all’Esercito
i mezzi per sostenere le offensive che Cadorna progettava.
Lastrina 31
Era necessario prevedere e predisporre tutti
quegli atti volti a passare da una economia di pace ad una economia di guerra
Lastrina 32
Basti solo pensare alla semplice
alimentazione del soldato in linea e nelle retrovie. La Barilla iniziò la
produzione su larga scala di pasta secca solo a guerra iniziata, mentre la produzione
di carne in scatola, (nel corso della guerra ai soldati vennero distribuiti 230
milioni di scatolette) iniziò nella tarda estate del 1915.
Il sistema produttivo militare fu
potenziato guerra durante, non prima, ( a pieno regime si ebbero 28 panifici,
12 molini, 3 galettifici, 2 stabilimenti per la produzione di scatolette di
carne, 27 magazzini viveri). Lo stesso sistema delle requisizioni si mise in
moto in ritardo., mentre le commissioni per gli acquisti all’estero,
soprattutto quella negli Stati Uniti, si insiedarono a guerra iniziata.
Lastrina 34
Sul paino strettamente personale,
vi sono dei risvolti positivi in termini di alimentazione del soldato. Si è
detto che la Prima Guerra Mondiale è
stata la IV Guerra di indipendenza in cui si formò, dopo aver fatta l’Italia,
l’Italiano. Ebbene “nel rancio“ vi sono aspetti che vanno sottolineati.
La pasta, il pomodoro e l’olio
d’oliva scandivano le consuetudini della alimentazione del soldato meridionale;
la polenta, il riso, il latte ed il burro, quelle del soldato settentrionale.
Ora i settentrionali avevano cominciato a consumare la pasta, il pomodoro,
l’olio d’oliva; i soldati meridionali apprezzavano il riso, il burro, il latte,
la polenta. Il mescolamento degli italiani fece si che si avviò uno scambio di ricette locali che
poi, terminata la guerra divennero patrimonio culinario nazionale. Ricette come
le “Tagliatelle alla bolognese”, le “zeppole leccesi”, il baccala alla
vicentina” e il “fricandò friulano”, e per citare le Marche, “ i
svinciscgrassi” e “ lo stoccafisso all’anconetana” superarono le dimensioni locali e divennero
patrimonio nazionale. Anche questo contribuì, dopo fatta l’Italia, a fare gli
Italiani.
Accanto ad aspetti positivi, però,
rimaneva costante la carenza di tutto, frutto della prematura entrata in guerra
Si potrebbe portare altri esempi,
soprattutto nel settore della produzione delle armi, delle munizioni, degli
equipaggiamenti, ma la tendenza è la stessa: si era in ritardo; non si era
adeguatamente preparati alla guerra che si era dichiarata.
Lastrina 35
Questa entrata in guerra nel 1915
fu, quindi, dal punto di vista della preparazione affrettata sotto molti punti
di vista: operativo, tattico, logistico, che determinò la mancanza dello
sfruttamento dell’iniziativa, la mancanza della sorpresa che, in aggiunta al mancato coordinamento con
l’azione dell’Esercito Serbo e con l’Esercito Russo, determinò il non
conseguimento di importanti risultati nei primi mesi di guerra, quei risultati
che tutti gli Italiani ed il Governo per primo, sperava di conseguire.
Lastrina 37
In conclusione:
•
L’intervento è il frutto di un processo decisionale
che sancisce la crisi del regime liberale e le sue difficoltà nella gestione
dei movimenti di massa.
•
Dal punto di vista strategico accentua le difficoltà
dell’Austria-Ungheria ma non avviene in un momento favorevole e non può essere
decisivo, perché il tempo a disposizione per una adeguata preparazione non ci
fu.
•
Il conflitto è ormai una guerra di attrito che non
lascia spazio alle ipotesi di manovra ed esalta la dimensione materiale, mentre
sul piano tattico si cerca una soluzione che sblocchi lo stallo, ovvero è una
guerra di tipo industriale che privilegia il sistema paese che mobilita tutte
le sue forze e risorse per la vittoria.
Lastrina 38
Le Marche furono in prima linea fin dal primo
giorno di guerra ed Ancona, riprese il suo ruolo di piazzaforte
offensiva nel medio ed alto adriatico ed assumendo una importanza fondamentale
nei successivi tre anni di guerra
Lastrina 39
Ancona 22 maggio
2015
Massimo Coltrinari
(massimo.coltrinari@libero.it)
[1] Il
testo dice: “Une convention militare sera
immédiatement conclue entre les états majors généraux de la France, de la Grande Brétagne ,
de L’Italie et de la Russie; cette convention fixera le minimum des forces
militaires que la Russie devra employer contre l’Autriche-Hongrie afin
d’empeécher cette Puissance de concentrer tous ses efforts contre l’Italie,
dans le cas où la Russie se déciderait de porter son principal effort contro
l’Allemagne. La convention militaire réglera la question des armistices, qui
relève essentiellment commandament en chef des armees.”
Toscano M., Il Patto di
Londra. Storia Diplomatica
dell’intervento italiano (1914-1915); Bologna, Zanichelli, 1934. In questo volume si
trova il testo completo del memorandum o patto di Londra.
[2] Biagini F. A., In Russia Tra Guerra e Rivoluzione. La
missione militare italiana 1915-1918, Roma, Edizone Nuova Cultura, 1910
[3][3] Rochat
G., La convenzione militare di Parigi (2
maggio 1915), in “Il Risorgimento”, VIII (1961) n. 3, pagg. 127-156
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