L’Armata
del Sud era formata da tre Corpi d’Armata, il V, il VII e il IX, da una
Divisione di fanteria di “riserva”, dai presidi delle fortezze e dalle milizie
territoriali in Tirolo. A comandare i tre Corpi destinati alla fronte
meridionale furono chiamati, rispettivamente, il principe Federico di
Liechtenstein (V), sostituito poi, per motivi di salute, dal maggior generale
Rodich, il Generale Möring (VII), il tenente maresciallo Hartung (IX). Il
Comandante della Divisione di Riserva, dapprima assegnata al Maggior Generale
Rodich, fu il Maggior Generale Rupprecht.
In
totale l'Armata Imperiale del Sud disponeva di
143000 uomini, 15000 cavalli e 192 pezzi d'artiglieria. Escludendo le
forze impegnate nei servizi di fortezza e nel controllo delle vie di
comunicazioni, per le operazioni vere e proprie rimanevano circa 94500 uomini,
12500 cavali e 168 pezzi di artiglieria, di cui 19000 uomini e 24 cannoni
impegnati nel Tirolo. Il Comandante in capo dell’Armata, Arciduca Alberto,
adattò il piano di battaglia, solo dopo essere venuto a conoscenza della
disposizione delle truppe italiane in due masse distinte. Sfruttando, infatti,
la posizione centrale delle proprie truppe, l’Arciduca Alberto aveva la
possibilità di operare per linee interne ed affrontare separatamente le due
armate italiane.
L'unità
tattica dell'Esercito imperiale era la Brigata. Ogni Corpo d'Armata, infatti,
era composto di tre brigate di fanteria, da quattro squadroni di cavalleria, da
tre batterie d’artiglieria. La brigata austriaca, così come era concepita, era
molto pesante e in quanto tale molto difficile da manovrare, ma allo stesso
tempo troppo piccola per operare con la stessa autonomia di una divisione (7000
unità). Non a caso, dopo la Guerra austro-prussiana del 1866, l’Austria decise
di tornare alle divisioni.
Infine,
l’Armata austriaca del sud, come del resto tutto l’Esercito Imperiale, era
dotato di gavette-marmitta che permetteva di cucinare il rancio senza aspettare
tutto l’apparato logistico di supporto.
L’Esercito
Imperiale era tradizionalmente composto da soldati diversi per etnia,
estrazione sociale, lingua e religione. Pur tuttavia, appariva come una delle
istituzioni più solide e civili dell’epoca soprattutto per l’attenzione che
veniva posta nell’amalgamare “tanti
individui di diversa nazionalità, per il sistema di stanziamento e di
trasferimento delle truppe” [i] che
contribuivano a sedare gli eccessi di persone che, comunque, erano docili e
umili per natura. La forza di questo esercito era nella disciplina, nella
fedeltà alla corona, nella devozione, nello spirito di sacrificio. Pur avendo
conosciuto sonore sconfitte, soprattutto ad opera delle forze napoleoniche,
l’Esercito Austriaco non si era mai sfaldato soprattutto all’orgoglio dei
propri soldati, allo spirito di corpo e al cameratismo[ii].
Da
un punto di vista tattico, la fanteria austriaca era ben equipaggiata (Lorenz,
cal. 13,9 mm) e ben addestrata, soprattutto nell’arte della difesa; la
cavalleria era tradizionalmente buona, ben montata e addestrata. La cavalleria
leggera, costituita da ussari e ulani[iii], era
molto efficiente e tradizionalmente temuta da tutti gli eserciti europei. Tutta
la cavalleria era equipaggiata con fucile Lorenz, cal. 13,9 mm, modificata per
personale a cavallo.
L’artiglieria
non era conosciuta per le sue gesta, pur essendo ben equipaggiata con pezzi da
8 e 4 libbre, nonché dotata di artiglierie di tipo shrapnel, cioè in grado di lanciare granate a frammentazione.
Anche
il genio era ben addestrato e ben equipaggiato. Particolarmente conosciuto
all’epoca dei fatti era il genio pontieri.
Il personale e l’organizzazione dello Stato Maggiore era il fiore all’occhiello
dell’Esercito Imperiale che, comunque, presentava dei grossi difetti
soprattutto per quanto riguardava la qualità dei comandanti e la scarsezza
degli ufficiali, in proporzione alla truppa[iv]
[i] Gioannini M. e Massobrio G., Op.
Cit., p. 144.
[ii] Idem
[iii] I primi, di origine ungherese, e i secondi, di origine tartara e
polacca, vantavano una secolare tradizione nella cavalleria leggera con compiti
di esplorazione e di offensiva.
[iv] Gioannini M. e Massobrio G., Op.
Cit., pp. 145-147.
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