(1) Esercito Imperiale
L’Armata
Austriaca del Sud, abilmente condotta dall’Arciduca Alberto, di fronte ad un
nemico così schierato, aveva ampia libertà di manovrare per linee interne[i].
L’obiettivo era, pertanto, quello di gravitare con il grosso delle forze
laddove veniva percepita la minaccia principale, cioè dal Mincio, battere il
nemico colpendolo sul fianco sinistro e rivolgere l’attenzione al basso Po,
dove gli ostacoli naturali delle Polesine avrebbero rallentato l’avanzata
dell’armata del Generale Cialdini. Tutta la manovra era rivolta a salvaguardare
il possesso della città di Verona, vero centro di gravità del dispositivo
austriaco di stanza nel Veneto, in virtù della posizione strategica, delle
fortificazioni, delle linee di comunicazione che la attraversavano e delle
risorse ivi stoccate.
A
tal fine era necessario innanzitutto attirare il grosso dell’Esercito Italiano
nel Quadrilatero e per fare questo occorreva far credere di essere sulla
difensiva. Per fare ciò, l’Arciduca Alberto, mantenne i tre Corpi d’Armata a
sua disposizione nei pressi di Montorio, Pastrengo, San Martino, San Michele e
San Bonifacio e ordinò di lasciare intatti i ponti sul fiume per facilitare
l'avanzata italiana verso il Quadrilatero. Alla vigilia delle ostilità, tutte
le forze a disposizione dell’Armata austriaca del sud erano concentrate e
disposte in modo da far credere agli italiani di rimanere in posizione
difensiva dietro l’Adige. In realtà, pronte a muovere per essere impiegate
contro le unità italiane provenienti da ovest.
Sul
fronte del basso Po, l’Esercito Imperiale lasciava soltanto una brigata, il
grosso della quale doveva attestarsi a Rovigo.
In
quanto al Tirolo, il piano prevedeva realmente una difesa, ma attiva.[ii]
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