(1) Esercito Italiano
Riuscire
a capire quale fosse il piano di campagna dell’Esercito Italiano è impresa
assai ardua in quanto il piano doveva essere presentato in una conferenza che
si tenne a Bologna il 17 giugno 1866 tra La Marmora e Cialdini. Di quel
colloqui non esistono documenti che attestino le decisioni che furono adottate.
Nessuno era
presente a quell’incontro, ma dall’analisi dei fatti dei giorni successivi si
può arguire che i due generali si siano lasciati con la convinzione che l'uno
avesse aderito alle idee dell'altro. E invece ognuno era rimasto fedele al
proprio piano: il Cialdini, pensava che sul Po si dovesse sviluppare
l'operazione principale, mentre sul Mincio si doveva condurre un’operazione
diversiva. Al contrario, La Marmora credeva che l’operazione principale doveva
essere svolta sul Mincio e di diversione quella del Po. Non a
caso La Marmora poco tempo dopo disse: “la
nostra azione rispettiva era troppo evidente perché fosse d’uopo di prendere
accordi speciali. Ciascuno dalla parte sua avrebbe agito secondo le occorrenze
colla massima energia per modo di battere o paralizzare il nemico attraendolo
ora da una parte, ora dall’altra”[i]. Da
queste parole si evince chiaramente che l’Italia non aveva un piano, ma due
diversi modi di vedere e di intraprendere le operazioni. A queste posizioni
corrispondeva anche una diversa visione strategica a livello politico. Una, che
faceva capo proprio al Generale Enrico Cialdini, che l’aveva elaborata e vedeva
anche i favori degli alleati prussiani, su tutti del Generale von Moltke,
prevedeva Bologna come base delle operazioni, l’invasione del Veneto dal basso
Po, con attraversamento del fiume a monte di Ferrara, e l’avanzata su Rovigo.
Per favorire l’operazione occorrevano alcune azioni diversive e di disturbo sul
Mincio che avrebbero impegnato il grosso dell’Armata imperiale all’interno del
Quadrilatero. Una volta raggiunto Rovigo e passato l’Adige, l’Armata del Po
avrebbe avuto la strada spianata verso Padova, Vicenza e Venezia, puntando
sulle più vitali comunicazioni del Veneto fin dentro il cuore dell’impero. Tale
visione, inoltre, rendeva possibile anche un contributo della flotta italiana
nell’Adriatico e l’infiltrazione di un
corpo di volontari in Dalmazia e in Ungheria con il compito di innescare una
rivolta popolare in grado di minare la solidità dell’Impero. Questa linea di
azione aveva il vantaggio di evitare “di rimanere invischiati in lunghe e
faticose operazioni all’interno del Quadrilatero, con poche possibilità di
successo”[ii] come
era accaduto nel 1848.
L’altra visione, completamente opposta,
elaborata da La Marmora e altri generali dell’ex esercito piemontese,
prevedeva, invece, Piacenza e Cremona come basi di operazione, eseguire delle
operazioni dimostrative sul basso Po, e di colpire direttamente il Quadrilatero
da Ovest: attraversare il fiume Mincio tra Peschiera e Mantova e forzare le
fortezze nel più breve tempo possibile grazie alla superiorità di forze
disponibili o, in alternativa, ingaggiare battaglia all’interno dello stesso.
Alla
vigilia della guerra, l’Italia pensava ad un teatro di operazioni in cui
avrebbero agito due armate: una sul Mincio, Comandata dal Generale La Marmora,
e una sul Po, comandata dal Generale Cialdini. La prima, “più sotto la mano del comando in capo dell’Esercito”[iii],
avrebbe ricevuto ordini e diposizioni direttamente, la seconda, da considerare
più come un distaccamento, avrebbe agito secondo le indicazioni ritenute più
idonee ed opportune da parte del comandante[iv] che
aveva l’unico obbligo di tenere informato il Comando Supremo. L’operazione che l’esercito italiano si
accingeva a condurre era guidata da un piano che rappresentava soltanto il giusto
compromesso fra due soluzioni alternative volte a soddisfare Cialdini e La
Marmora per di più viziato da un’incomprensione di fondo: il Generale La
Marmora si aspettava una dimostrazione sul basso Po e il Generale Cialdini si
aspettava una dimostrazione sul Mincio. Non a caso, allorquando nel mattino del
24 giugno 1866, il Generale Cialdini ricevette dal Re Vittorio Emanuele il
telegramma con cui gli si comunicava l’inizio delle ostilità, rispondeva di “essere desolato notizia che Vostra Maestà mi
dà. Generale La Marmora mi aveva promesso di limitarsi a semplice
dimostrazione. Voglio sperare non infausto esito giornata, ecc.”[v]. L’unica
questione su cui si era fermamente concordi era il ruolo del Corpo di Volontari
comandato da Garibaldi: non sbarcare in Dalmazia, per essere infiltrato in
Ungheria, ma, attraverso azioni dimostrative verso il Tirolo, coprire l’estrema
sinistra del dispositivo sul Mincio e la Lombardia.
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