Il
quarto colpo di audacia e di fortuna.
Bonaparte
fu dunque condannato ad allearsi con Sieyès ed era la sola carta in definitiva
che egli potesse giocare ([1]).
Gli era infatti impossibile tentare un colpo di Stato da solo. Non disponeva di
un consistente numero di partigiani nei due Consigli e non aveva truppe alle
proprie dipendenze.
Incontrò Sieyès dal fratello Luciano
(Presidente dell’Assemblea dei Cinquecento) il 1 novembre ([2]).
Bonaparte fu perentorio e contestò a Sieyès di voler presentare alla Francia
una nuova Costituzione già fatta senza che essa fosse discussa articolo per
articolo. “Noi abbiamo bisogno - aggiunse
Napoleone - di un Governo provvisorio e di una
Commissione legislativa per preparare una Costituzione ragionevole da porre
alla votazione del popolo”.
Avrebbe
approvato un Governo ridotto a tre Consoli e, siccome lo si giudicava
necessario, sarebbe stato d'accordo a essere uno dei tre Consoli provvisori con
Sieyès stesso e con il collega Roger Ducos.
Quanto
al governo definitivo sarebbe stata un'altra cosa e si sarebbe riservato di far
parte del potere esecutivo o di preferire il comando d'una Armata sulla base di
ciò che Sieyès avrebbe deciso. Se non si fosse fatto come suggeriva, precisò
che non si sarebbe potuto contare su di lui. Non mancavano infatti generali in
grado di dar man forte militare ai congiurati.
In
realtà egli giocava d’azzardo, ben sapendo che, dei Generali più influenti,
Moreau al momento gli era favorevole, come pure Jourdan, che Augerau era
screditato e che Bernadotte era troppo prudente per impegnarsi in un colpo di
Stato. A malincuore Sieyès accettò e in quella data fu decretato che il colpo
di Stato sarebbe avvenuto il 16 brumaio (7 novembre). Era il quarto gioco
d’azzardo favorito dalla fortuna. non aveva concorrenti per costituire il
braccio militare del colpo di Stato.
Il
quinto colpo di fortuna
Fu
scelta la data del giorno dopo (16 brumaio - 7 novembre) per il colpo di Stato
ma i deputati collusi avevano paura e all'ultimo momento si rimandò. A tardare
troppo si rischiava però una reazione giacobina perché le ultime elezioni erano
state a loro favorevoli. Fouché sollecitava di muoversi e finalmente fu
stabilita la data del 18 brumaio (9 novembre). Si era pensato al 17 ma era
venerdì e Bonaparte, superstizioso, fece ritardare l’operazione di un giorno il
colpo di Stato ([3]).
Per scongiurare il pericolo (diffuso ad arte)
di un attacco aile Assemblee parlamentari fu trasferito il Corpo legislativo
fuori Parigi e conferito il comando delle truppe della capitale al generale
Bonaparte, incaricato di vegliare sulla sicurezza del Consiglio stesso.
Vuoi
perché preoccupati vuoi perché complici, gli Anziani approvarono il
trasferimento del Corpo legislativo e conferirono a Bonaparte l'autorità sulle
forze militari della capitale ([4]).
Era,
a quel momento, necessario ottenere le dimissioni dei Direttori. Moulin e
Gohier rifiutavano e furono consegnati al palazzo del Lussemburgo sotto la
guardia di Moreau. Talleyrand si preoccupò di Barras, portando con sé 2 milioni
di franchi che non furono però necessari perché Barras capì al volo e firmò la
sua lettera di dimissioni.
L'esecutivo
non esisteva più. Alla sera del 18
brumaio il piano dei congiurati aveva funzionato perfettamente. “Oggi non è andata troppo male” confidò Bonaparte a Bourrienne
([5]).
Alle 13.30 Luciano, che presiedeva il
Consiglio dei Cinquecento, aprì la seduta e si scontrò subito con l'ostilità
dei deputati che chiedevano le prove del pericolo che avrebbe minacciato il
Corpo legislativo ([6]).
Alle
15.15 fu decisa una sospensione di un quarto d’ora della seduta e Bonaparte,
impaziente, apparve improvvisamente nella galleria. Non avrebbe avuto il
diritto di entrare senza l'autorizzazione del Presidente ma approfittò della
sospensione. Nell’aula regnava il disordine e non tutti erano al loro posto.
Bonaparte prese la parola con voce poco sicura e, subito contestato, perse il
sangue freddo e pronunciò frasi irritate e inopportune ([7]).
Aveva perso il controllo del suo stesso pensiero e Bourrienne affermò nelle sue
memorie di avergli a questo punto detto nell'orecchio: “uscite
Generale, voi non sapete più che cosa state dicendo”.
Bonaparte
lasciò allora il Consiglio degli Anziani senza averli convinti, si recò
all’Orangerie (dove erano riuniti I Cinquecento) ed entrò anche qui senza
autorizzazione. Volarono minacce ([8])
e Bonaparte dovette ritirarsi scortato da quattro granatieri, il viso pallido e
insanguinato, probabilmente per essersi grattato nella concitazione con qualche
bottone dell’uniforme ([9]).
Sembrava
aver perso la partita, la fortuna sembrava essersi rivoltata bruscamente contro
di lui e i deputati giacobini sembravano padroni della situazione.
Fu
salvato, invece, da una intelligente decisione del Presidente Luciano Bonaparte
che, dopo un momento di perplessità, lasciò la poltrona della Presidenza per
recarsi alla tribuna e dichiarare: “non c'è più
libertà. Non avendo più la possibilità di farmi intendere, vedrete almeno il
vostro Presidente depositare, in segno di doglianza pubblica, le insegne della
magistratura popolare” ed uscì lasciando i deputati disorientati.
Fu
poi dato ordine a Murat di intervenire nella sala delle sedute. Murat e Leclerc
entrarono e ne cacciarono i deputati. “Cittadini
rappresentanti - dichiarò Leclerc - non si
può più rispondere della sicurezza del Consiglio. Vi invito a ritirarvi”.
Di fronte al rifiuto e alla proteste dei deputati un ufficiale ordinò allora: “Granatieri avanti! Tamburi, la carica! Più
brutalmente Murat avrebbe urlato: fottetemi tutto
quel mondo là dentro”.([10])
La sera del 19 brumaio Cabanis, membro
dell'Istituto nazionale, arringò un certo numero di membri dei Consigli dei
Cinquecento e degli Anziani: “Per salvare la Repubblica non c'è che un mezzo,
riformare le leggi organiche affidando questo incarico a un governo
provvisorio”.
Il Governo che in effetti si sostituì al
Direttorio fu formato da tre membri che presero il titolo di Consoli. Furono
Bonaparte, Sieyès e Ducos. Due commissioni
furono incaricate di preparare il cambio costituzionale reso necessario
dalla situazione e Bonaparte diventò “Primo Console”.
Nonostante
le malaccorte parole di Bonaparte di fronte ai Consigli, paradossalmente
divenne indispensabile un intervento armato che relegò Sieyés in secondo piano. L'operazione parlamentare di Sieyés si era
trasformata in un colpo di Stato militare di Bonaparte ([11])
che fu nominato Primo Console. Ancora una volta la fortuna fu dalla sua
parte ma il suo potere non era affatto sicuro, sia per l’ostilità dei giacobini
sia per l’opposizione, anche armata, dei realisti in Vandea. Era necessario un
successo militare personale di Bonaparte.
[1] Bonaparte non aveva simpatia per Sieyès e propose a Gohier il proprio
ingresso nel Direttorio. La risposta di Gohier fu molto chiara: la Costituzione
francese esigeva che si potesse far parte del Direttorio solo a quarant'anni.
Anche Moulin, vecchio generale, fu dello stesso parere.
Un'alleanza
di Bonaparte con i giacobini non era possible. vi si opponeva Bernadotte che
aveva sposato la vecchia fidanzata di Bonaparte, Desirée Clary e non nascondeva
i suoi sentimenti di gelosia nei confronti di Bonaparte, con il quale si
rifiutò anche di far colazione, perché “un uomo che
aveva violato la quarantena avrebbe potuto portare la peste”. Barras fu
escluso fin dall'inizio. Benché regicida, Barras pensava probabilmente a una
restaurazione monarchica.
[2] Il 25 ottobre il piano in
quattro punti di Sieyès gli fu spiegato dal fratello Luciano, divenuto
Presidente del Consiglio dei Cinquecento: inventare un pericolo per far uscire
i Consigli da Parigi, perché si ignorava come avrebbero reagito i sobborghi
operai; dare il comando di tutte le forze militari a un generale, che avrebbe
dunque potuto essere Bonaparte; costringere almeno tre membri del Direttorio a
dare le dimissioni; convincere i Consigli
a votare i pieni poteri a una Commissione incaricata di redigere una nuova
Costituzione, in pratica quella che Sieyès aveva elaborato da lungo tempo.
La
revisione della Costituzione era peraltro impossibile perché il titolo 13º
imponeva infatti un lasso di tempo di nove anni tra la domanda di revisione e
la revisione medesima.
Intanto,
con la guerra della seconda coalizione alle frontiere, ci si meravigliava che
Bonaparte non prendesse un comando di truppe.
Il
Direttorio convocò il generale il 28 ottobre per invitarlo riprendere servizio.
Gohier affermò nelle sue memorie di aver detto a Bonaparte che gli amici della
Repubblica desideravano che egli fosse alla testa dei suoi difensori e il
Direttorio lasciava a Bonaparte la scelta dell'Armata di cui assumere il
comando. Bonaparte rifiutò affermando di avere ancora bisogno di riposo.
[3] La sera precedente Bonaparte
aveva pranzato da Cambacérés, si era mostrato molto allegro ed era andato a
letto alle due. Nella notte stessa partirono le convocazioni degli Anziani per
un Consiglio straordinario, nel momento stesso in cui agli ufficiali congiurati
furono trasmessi gli inviti a recarsi in via della Vittoria al domicilio di
Bonaparte.
Si
dal primo mattino del 18 brumaio (9 novembre) una folla in uniforme raggiunse
via della Vittoria. C'era Lefebvre che comandava la divisione militare di
Parigi, McDonald, Moreau e lo stesso Bernadotte in borghese ma che non rimase.
C'era anche, con il pretesto di una rivista militare, Sebastiani con il 9°
reggimento dei dragoni così come Murat
con il 21º reggimento di cacciatori.
il
Consiglio degli Anziani si riunì alle sette e i deputati si interrogavano sul
perché di un'ora così mattutina. Il Presidente Lemercier li avvertì che una
grave minaccia pesava sulla Rappresentanza nazionale e fu anche affermato che
era avvenuto un massacro di deputati da parte di briganti.
[4] Prontamente avvertito Bonaparte nominò come aiutante il Generale
Lefebvre e come Capo di stato maggiore Andréossy. Marmont ebbe l'incarico di
sorvegliare le Tuileries e Murat il
palazzo del Consiglio dei Cinquecento. Poi a cavallo, contornato da ufficiali
tra i quali Berthier e Moreau, egli raggiunse il Consiglio dei Cinquecento per
ringraziare i deputati.
Lungo
la strada incontrò il segretario di Barras e colse l’occasione davanti ai
soldati che lo circondavano di indirizzare tramite lui all’Eminenza grigia del
Direttorio queste parole: "in quale stato ho
lasciato la Francia e in quale stato l'ho ritrovata? Avevo lasciato la pace e
ritrovo la guerra! Vi avevo lasciato delle conquiste e il nemico ha superato le
vostre frontiere! Ho lasciato i nostri arsenali pieni e non ho ritrovato
nemmeno un'arma! Ho lasciato milioni recuperati in Italia e ritrovo dappertutto
solo tassazione e miseria! I nostri cannoni sono stati venduti e il furto è
stato eretto a sistema! Le risorse dello Stato sono sparite! Si è ricorso a
mezzi vessatori contrari alla giustizia e al buon senso! Si sono lasciati i
soldati senza difesa! Dove sono i bravi, i 100.000 camerati che io ho lasciato
coperti di allori? Che cosa sono diventati? Questo stato di cose non può durare
perché entro tre mesi ci porterebbe al dispotismo. Ma noi vogliamo la
Repubblica la Repubblica sulle basi dell’uguaglianza, della morale, della
libertà civile e della tolleranza politica. Con una buona amministrazione tutti
gli individui dimenticheranno le fazioni per diventare solo francesi. È tempo
infine che si renda merito ai difensori della Patria che ne hanno diritto.
Secondo qualche fazioso saremmo tutti nemici della Repubblica, noi che
l'abbiamo affermata con il nostro lavoro e il nostro coraggio. Noi non vediamo
persone più patriottiche che i bravi che sono mutilati al servizio della
Repubblica”.
i
soldati applaudirono l’allocuzione di Bonaparte che aveva lo scopo di
giustificare il colpo di Stato e catturare la simpatia di un esercito restato
profondamente repubblicano. Parigi non si mosse. La città era sorvegliata dagli
agenti di Fouché. Réal era pronto a paralizzare eventuali iniziative
dell'amministrazione parigina.
[5] Il
19 Bonaparte si svegliò alle quattro del mattino mentre le truppe stavano già
muovendo verso Saint Cloud dove Bonaparte e i suoi aiutanti di campo arrivarono
verso mezzogiorno, attraversando in vettura la piazza della Concordia, dove
Bourrienne avrebbe confidato a Lavallette:
“domani dormiremo al Lussemburgo o finiremo qui”. Piazza della
Concordia era, infatti, la sede tradizionale della ghigliottina.
C'era già molta gente: deputati, curiosi,
soldati. Gli operai erano ancora al lavoro: qualcuno preparava la galleria del
primo piano per il Consiglio degli Anziani, gli altri stavano adattando
l’Orangerie per ospitare i Cinquecento e Bonaparte si installò con Sieyès in un
appartamento vicino alla galleria.
[6] Si chiese che all'istante
tutti i membri del Consiglio rinnovassero il giuramento di fedeltà alla
Costituzione. Il Presidente approvò disponendo che il giuramento fosse
individuale. Ciò per guadagnare tempo, perché intendeva aspettare le proposte
del Consiglio degli anziani. La seduta del Consiglio degli Anziani era
presieduta da Lemercier e furono subito poste domande di spiegazioni da parte
di alcuni deputati che si meravigliavano di non essere stati convocati il
giorno precedente per deliberare sul decreto del trasferimento a Saint Cloud.
[7] “Rappresentanti
del popolo, voi non siete affatto in circostanze ordinarie, siete sopra un vulcano”, comincia Bonaparte senza dare però alcuna
spiegazione sui pericoli in corso. Al contrario, si attardò a giustificare se
stesso dall'accusa di dittatura lanciata contro di lui: “se avessi voluto opprimere la libertà del mio Paese, se avessi voluto usurpare
l'autorità suprema non mi sarei rimesso agli ordini che voi m'avete dato. Ve lo
giuro, la Patria non ha nessun difensore più zelante di me. Io mi dedico tutto
intero per far eseguire i vostri ordini”. La situazione fu dipinta nei colori più cupi:
risveglio della Vandea, mancanza dell'Esecutivo ma nessuna allusione ai
giacobini.
“E la costituzione?” si
gridò da più parti. Bonaparte perse a questo punto il sangue freddo: “Voi invocate la Costituzione? Può essere ancora una
garanzia per il popolo francese? Voi l'avete violata il 18 fruttidoro, il 22
floreale, il 30 pratile! La Costituzione è stata invocata da tutte le fazioni
ed è stata violata da tutti! Essa non può essere per noi un mezzo di salute
perché non ottiene il rispetto di nessuno”. Bonaparte promise poi di
rinunciare ai suoi poteri non appena fossero stati superati i pericoli.
“Ma quali pericoli?”
domandavano molti deputati “i nomi, fate i nomi!”. Bonaparte
tirò allora in ballo Barras e Moulin che l'avrebbero invitato ad abbattere
tutti gli uomini che hanno idee liberali e, approfittando della sorpresa, si
lanciò in nuove affermazioni: “le differenti
fazioni sono venute a bussare alla mia porta ma io non le ho affatto ascoltate,
perché non sono di nessuna parte, sono soltanto dalla parte del popolo
francese”.
L’arringa
non convinse però l’Assemblea e Bonaparte si innervosì vieppiù: "se qualche oratore pagato dallo straniero ha
suggerito di mettermi fuori dalla legge, che la folgore della guerra lo
distrugga all'istante! Io mi appellerò a voi, miei bravi compagni d'arme, a voi
che tante volte ho portato alla vittoria”.
[8] Un deputato lo interpellò: “che fate voi
temerario? Ritiratevi, voi violate il santuario delle leggi”. Da tutte
le parti si alzarono le proteste: “fuori legge il
dittatore! Moriamo al nostro posto! Viva la Repubblica viva la Costituzione!”
[9] Da questo dettaglio è stata
accreditata la leggenda di un'aggressione contro un Bonaparte disarmato, con la
conseguente accusa ad un certo deputato Aréna
d'aver voluto pugnalare il generale.
[10] Nei suoi dettati da
Sant'Elena Napoleone racconta: “Bonaparte discese
nel cortile del castello, chiamò le truppe a sé, montò a cavallo e le arringò:
sono andato a far loro conoscere i mezzi per salvare la Repubblica e renderci
la nostra gloria e mi hanno risposto a colpi di pugnale. Essi hanno voluto così
realizzare il desiderio dei re coalizzati. Che cosa avrebbe potuto fare di più
l'Inghilterra? Soldati, posso contare su di voi?” Acclamazioni unanime
avrebbero risposto a questo discorso e tosto Bonaparte avrebbe ordinato a un
Capitano d'entrare con 10 uomini nella sala dei Cinquecento e liberare il
Presidente.
Il
fratello Luciano ha lasciato invece un diverso resoconto dei fatti. Sarebbe stato lui ad uscire liberamente e
tenere il discorso che si attribuì Napoleone: “il
Presidente del Consiglio dei Cinquecento vi dichiara che dei faziosi,
pugnali alla mano, hanno violato le delibere. Vi richiede di
impiegare la forza contro questi faziosi. Il consiglio dei Cinquecento è
sciolto”.
Un intervento militare così brutale non era
stato previsto nel piano dei cospiratori. Era necessario intimidire, però
rimanendo in un quadro legale per condurre la Rappresentanza nazionale a votare
il principio d'un'altra Costituzione. Le malaccorte parole di Bonaparte davanti
ai due Consigli avevano compromesso la riuscita del colpo di Stato e obbligato
i soldati di Murat e di Leclerc ad intervenire.
[11] È ciò che Napoleone
spiegherà a Sant’Elena a Bertrand: “Doveva essere
una rivoluzione civile e non una rivoluzione militare. In verità erano Sieyès e
i civili che agivano, io non ero che il loro agente. I fatti non si sono svolti
affatto come essi speravano. Io ne ho raccolti i frutti ma non ero allora il
personaggio principale; i civili e Sieyés non mi consideravano che come una
loro macchina”.
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