Caporetto, la battaglia d'arresto e la
promessa del Re
.
La questione agraria. Una
storia italiana
Massimo Coltrinari
socio STAS
La spedizione dei Mille rappresenta la matrice per comprendere oltre
cento anni di storia italiana in chiave politico-economico-sociale: la
spedizione, come noto, fu promossa dai progressisti contro il parere dei
moderati, Cavour era contrario e fece il possibile per farla naufragare, per
una soluzione come quella di Pisacane, finita in tragedia tre anni prima, nel
1857. Garibaldi, con la protezione dell’Inghilterra, approfittando anche delle
difficoltà e del malgoverno del Regno delle due Sicilie riuscì a far crollare
lo Stato Borbonico promettendo la terra ai contadini, ponendo quindi in essere
la questione agraria. Qualcuno andò più in là nel credere alle promesse
garibaldine, ed alcuni contadini già si impossessarono della terra uccidendo i
loro padroni. E’ l’episodio di Bronte, che vide protagonista Nino Bixio.
Mazzini a Napoli voleva la Repubblica, uno stato meridionale distinto dalla Monarchia
Sabauda. Per non alterare l’equilibrio europeo e il predominio francese che si
andava sostituendo con quello austriaco in Italia, Cavour fu “consigliato” a
scendere a sud ed incanalare le conquiste garibaldine nel solco moderato. E
questo avvenne, aprendo così la predetta questione agraria, ovvero i padroni,
come sotto i Borboni, rimanevano padroni ed i contadini, come sotto i Borboni,
dovevano continuare a lavorare la terra peri i loro padroni. Cambiava solo il
regime che da assoluto diveniva costituzionale in un contesto di liberalismo
più o meno accentuato.
Nel meridione per i primi dieci anni dall’unificazione si sviluppò una
sorta di guerriglia contro lo stato nazionale, definita “brigantaggio”,
sostenuta dai santuari nello Stato Pontificio volta a ripristinare un potere
borbonico sostenuto solo dai nostalgici. Contemporaneamente di apriva la
questione meridionale per il giovane Stato nazionale, che con la occupazione di
Roma, vedeva aprirsi anche la questione romana, con la Chiesa Cattolica. L’unità
dello stato era minata, oltre che da fattori esterni anche dalle rivolte
interne, e dalle problematiche sociali tutte aventi origine nella inaccettabile
condizione sociale delle classi più povere. In Romagna rende piede l’attività
di Andrea Costa, e si sviluppa quel confronto con il padronato che renderà la
vita sociale tesa e ribollente fino ad arrivare al 1896 quando le rivolte
devono essere represse con i cannoni dell’Esercito, il cui generale incaricato,
Bava Beccaris, riceverà la Medaglia d’Oro per il suo operato, a seguito del
fallimento delle soluzioni coloniali. In colonia si voleva andare per trovare
terra da coltivare ed andammo in Eritrea ed Etiopia ed in Somalia, ma non
riuscimmo in nessuno degli scopi previsti. L’inizio del secolo trova aggravata
la questione agraria, a cui si aggiunge, per quel poco di industrializzazione
che si è realizzato anche la agitazione operaia nelle città. Non vi è pane per
tutti, e quel poco di ricchezza che si riesce a produrre è a disposizione di
pochi.
Nel 1914 la settimana rossa, condotta da uomini che saranno poi
protagonisti della Storia d’Italia, Pietro Nenni, Benito Mussolini, nelle
Marche e nelle Romagne, cercano di attuare un socialismo che faccia saltare i
vincoli padrone-contadina. Nelle città sindacalisti rivoluzionari come Filippo
Corridini o scialisti come Cesare Battisti nei loro discorsi insistono per una
riforma agraria che risolva il problema della fame. Nel 1913 oltre 4,5 milioni
di italiani emigrano nelle americhe, in quanto se rimasti in Italia sarebbero
morti di inedia. E’ una delle conseguenze della mancata riforma agraria
proposta a fine secolo e soppressa dai cannoni di Bava Beccaris.
La situazione, con la guerra europea che divampa ovunque, e
prerivoluzionaria. Scoppia il dissidio tra interventisti e neutralisti, se
entrare in guerra oppure no. Tra gli interventisti vi sono quelle frange di sinistra che vedono nella
guerra la soluzione per scardinare, dopo la vittoria, il rapporto
Esercito-Monarchia e quindi proporre riforme socialiste in senso stretto. Sono
gli interventisti alla Filippo Corridoni, alla Benito Mussolini, che si
affiancano agli interventisti di tradizione repubblicana e ad una destra, che
si riconosce lelle parole di D’Annunzio intrisa di nazionalismo e sciovinismo, contro
il nemico ereditario. Dal 1915 al 1917 si combattono battaglie in cui tutti
sono convinti che l’unica soluzione è la vittoria, poi si potrà parlare di temi
socio-economico. Vengono chiamati a combattere per i padroni le masse di
contadini (oltre il 53% dell’esercito combattente) e gli operai, mentre le
donne che rimangono a casa li devono sostituire nelle fabbriche e nei campi. Lo
sforzo è continuo e sempre più oneroso, ma ognuno compie il suo dovere, anche
per la ferrea disciplina che Cadorna impone all’Esercito combattente.
Arriva il 24 ottobre 1917, con il nemico, che sperimenta contro di noi,
dopo averlo fatto Riga il 1 settembre 1917, una nuova tattica, derivata dallo
studio della battaglia di Canne del 216 a.C. Lineamenti e principi che sono già
stati enunciati nel piano tedesco del 1906, elaborato dal von Schlieffen, ed
attuato, in modo incompleto dal von Moltke il giovane nel 1914 durante i primi
mesi di guerra. Tattica che ribaltava tutti i principi napoleonici elaborati
dal von Clausevitz, con l’attacco in un sol punto e non su tutta la linea. La
XII Battaglia dell’Isonzo è una sorpresa strategica che fa crollare tutto il
fronte. E’ la ritirata dall’Isonzo al Piave.
Si profila un disastro nazionale. In molti in Europa credono che
l’Italia esca dalla guerra, sconfitta e menomata; altri pensano che sia
arrivato il momento in cui occorre, come in Russia, innescare processi
rivoluzionari volti a spazzare via la monarchia, ormai senza più il puntello
dell’Esercito. La Chiesa di Benedetto XV intravede, a questione romana ancora
aperta, la possibilità di chiudere questa questione da posizioni di forza.
Tutte quelle forze neutraliste che non volevano la guerra, ora premono per
realizzare i loro obiettivi.
In questo clima di tragenda, il Re compie quel passo che ne Vittorio
Emanuele II ne Umberto I, ucciso questo Re si da un anarchico, ma anche perché
aveva permesso l’impiego dell’Esercito contro gli Italiani, affrontare la
riforma agraria. Dopo il convegno di Peschiera, in cui tiene testa agli
Alleati, si rivolge a tutti gli Italiani, al popolo italiano e li chiama a
difendere la propria “terra”.
Un messaggio tanto chiaro quanto incisivo: si affronta alla fine la
riforma agraria che ha travagliato i primi cinquant’anni di esistenza unitaria.
A guerra finita, a vittoria conseguita si affronterà la questione agraria. In
pratica, il messaggio è chiaro: difendente la vostra “terra” che, se si
sconfigge il nemico, domani sarà vostra. La promessa è chiara. Il ragionamento
del soldato è ancora più semplice: se sopravvivo avrò la terra e non dovrò
emigrare per me e per la mia famiglia; se muoio, la terra passera ai miei
figli, che avranno in ogni caso un futuro assicurato. La guerra diviene di
interesse di tutti, una consa concreta, non un obiettivo astratto.
Proclama di SM il Re alla Nazione dopo il convegno
di Peschiera dell’8 novembre 1917
Italiani !
Il nemico, favorito da uno straordinario concorso di circostanze, ha potuto concentrare contro di noi tutto il suo sforzo. All'esercito austriaco, che in 30 mesi di lotta eroica il nostro Esercito aveva tante volte affrontato e tante volte battuto, è giunto adesso l'aiuto, lungamente invocato ed atteso, di truppe tedesche numerose ed agguerrite. La nostra difesa ha dovuto piegare; ed oggi il nemico invade e calpesta quella fiera e gloriosa terra veneta da cui lo avevano ricacciato la indomita virtù dei nostri padri e l'incoercibile diritto dell'Italia.
Italiani !
Da quando proclamò la sua unità e la sua indipendenza, la Nazione non ebbe mai ad affrontare più difficile prova. Ma come non mai né la mia Casa né il mio Popolo, fusi in uno spirito solo, hanno vacillato dinanzi al pericolo, così anche ora noi guardiamo in faccia all'avversità con virile animo impavido.
Dalla stessa necessità trarremo noi la virtù di eguagliare gli spiriti alla grandezza degli eventi. I cittadini, cui la Patria aveva già tanto chiesto di rinunzie, di privazioni, di dolori risponderanno al nuovo e decisivo appello con un impeto ancora più fervido di fede e di sacrificio. I soldati, che già in tante battaglie si misurarono con l'odierno invasore e ne espugnarono i baluardi e lo fugarono dalle città col loro sangue redente, riporteranno di nuovo avanti le lacere bandiere gloriose, al fianco dei nostri alleati fraternamente solidali.
Italiani, cittadini e soldati !
Siate un Esercito solo. Ogni viltà è tradimento, ogni discordia è tradimento, ogni recriminazione è tradimento. Questo mio grido di fede incrollabile nei destini d'Italia suoni così nelle trincee come in ogni più remoto lembo della Patria; e sia il grido del popolo che combatte e del popolo che lavora. Al nemico, che ancor più che sulla vittoria militare conta sul dissolvimento dei nostri spiriti e della nostra compagine, si risponda con una sola coscienza, con una voce sola: tutti siamo pronti a dar tutto, per la vittoria e per l'onore d'Italia!
Dato dal Quartier Generale il 10 Novembre 1917.
Vittorio Emanuele
Il nemico, favorito da uno straordinario concorso di circostanze, ha potuto concentrare contro di noi tutto il suo sforzo. All'esercito austriaco, che in 30 mesi di lotta eroica il nostro Esercito aveva tante volte affrontato e tante volte battuto, è giunto adesso l'aiuto, lungamente invocato ed atteso, di truppe tedesche numerose ed agguerrite. La nostra difesa ha dovuto piegare; ed oggi il nemico invade e calpesta quella fiera e gloriosa terra veneta da cui lo avevano ricacciato la indomita virtù dei nostri padri e l'incoercibile diritto dell'Italia.
Italiani !
Da quando proclamò la sua unità e la sua indipendenza, la Nazione non ebbe mai ad affrontare più difficile prova. Ma come non mai né la mia Casa né il mio Popolo, fusi in uno spirito solo, hanno vacillato dinanzi al pericolo, così anche ora noi guardiamo in faccia all'avversità con virile animo impavido.
Dalla stessa necessità trarremo noi la virtù di eguagliare gli spiriti alla grandezza degli eventi. I cittadini, cui la Patria aveva già tanto chiesto di rinunzie, di privazioni, di dolori risponderanno al nuovo e decisivo appello con un impeto ancora più fervido di fede e di sacrificio. I soldati, che già in tante battaglie si misurarono con l'odierno invasore e ne espugnarono i baluardi e lo fugarono dalle città col loro sangue redente, riporteranno di nuovo avanti le lacere bandiere gloriose, al fianco dei nostri alleati fraternamente solidali.
Italiani, cittadini e soldati !
Siate un Esercito solo. Ogni viltà è tradimento, ogni discordia è tradimento, ogni recriminazione è tradimento. Questo mio grido di fede incrollabile nei destini d'Italia suoni così nelle trincee come in ogni più remoto lembo della Patria; e sia il grido del popolo che combatte e del popolo che lavora. Al nemico, che ancor più che sulla vittoria militare conta sul dissolvimento dei nostri spiriti e della nostra compagine, si risponda con una sola coscienza, con una voce sola: tutti siamo pronti a dar tutto, per la vittoria e per l'onore d'Italia!
Dato dal Quartier Generale il 10 Novembre 1917.
Vittorio Emanuele
Il cambio al vertice
dell’Esercito tra Cadorna e Diaz, è una continuità nell’azione del Comando
Supremo, non una contrapposizione. Diaz è stato per anni alle Capo delle Operazioni del Comando Supremo,
ovvero traduceva in ordini quello che Cadorna decideva. Apprende immediatamente
la lezione di Caporetto, cambia sul tamburo i lineamenti ed i procedimenti di
impiego, e vince il 27 novembre 1917 la Battaglia di Arresto, tra la sorpresa
generale, sia Italiana che Europea.
Il messaggio fatto giungere alle
truppe è chiaro: soldati difendete la vostra “terra”, è domani sarà vostra. Non
è una semplice enunciazione. Viene ribadito in chiare lettere ad ogni
occasione, ma soprattutto attraverso la proliferazione dei cosiddetti “giornali
di trincea” che sono ampiamente pieni di disegni per far comprendere il
messaggio anche a chi non sa leggere, a condizioni di vita nelle trincee più
accettabili, turni di licenza certi, ripartizioni dei sacrifici più equa
interpretati come segni che si sta cambiando mentalità da parte delle classi
dirigenti. La promessa del Re, in quei dodici mesi di guerra viene suffragata
da reali prove concrete. Ed i risultati non possono non venire. La disciplina
si rinsalda, l’Esercito serra e file, il fronte interno si stringe attorno alle
autorità, i contrari alla guerra attenuano la loro azione, per tema di essere
definiti “traditori”. Il 1918 è sotto
gli occhi di tutti per comprendere che la promessa del Re, è il collante che
unisce la Nazione, con le classi superiori che, con Caporetto, hanno intravisto
il pericolo di perdere ogni cosa e avere prospettive negative, sotto il tallone
austriaco e germanico. Allineate dietro al Re ed alla sua promessa, le classi
superiori speravano che quelle inferiori accettassero questa promessa e non
scegliessero la soluzione bolscevica che stava spazzando via lo Zar e le classi
superiori russe.
Il 1918 è l’anno della unione che
non è sacra come in Francia, ma che trova le classi italiane unite nel
perseguire la vittoria. Con l’intelligente strategia di Diaz, cresciuto alla
scuola di Cadorna, ma con la capacità di migliorarne alcuni aspetti cadorniani
invisi a molti, prima ci si difende e con la battaglia del Solstizio si annulla
ogni azione austriaca adottando le contromisure che se fossero state messe in
atto a Caporetto, il fronte non sarebbe crollato e poi, passata l’state a
preparare la battaglia finale, attuarla attuando il piano elaborato dal
generale Caviglia che annienta le forze austro-ungariche sul campo. L’Austria è
sconfitta in campo aperto, non ha più esercito, come stato è stato “debellato”
e crolla scomparendo dalla carta geografica europea al contrario della Germania, che riporta
nelle sue frontiere l’Esercito e non ritenendosi assolutamente vinta e chiede
un armistizio ed una pace che tantissimi pensano sia un vero e propri
tradimento. Inizia il travagliato dopo guerra tedesco con le conseguenze che
tutti conosciamo.
In Italia arriva il momento
consequenziale di dare corso al conseguimento della vittoria. Chi innesca il
processo è Giulio Douhet, il grande pensatore strategico che ha inventato la
dottrina aeronautica famoso in tutto il mondi. Nel proporre la celebrazione della
vittoria, elabora un modo che si inserisce nella Promessa fatta dal Re durante
i giorni di Caporetto.
Secondo la tradizione,
soprattutto quella romana, il Capo, il Dux che aveva conseguito vittorie sui
nemici di Roma, rientrava nell’Urbe per celebrare il suo Trionfo. Fra folla
applaudente arriva al foro, con il corteo dei suoi soldati vincitori, del
bottino e trascinando i prigionieri nemici in catene e saliva la Via Sacra per
recarsi in Capidoglio, al tempio di Giove, e rendere omaggio ed onore al Re
degli Idei. Roma riconosceva in lui il Condottiero, il Vincitore e gli serbava
onri ricchezze e gloria.
Secondo questa tradizione,
Vittorio Emanuele III, che era partito per il “campo, il 27 maggio 1915 ed
aveva passato tutta la guerra al fronte tanto da essere definito il Re Soldato
con accanto Armando Diaz doveva ritornare a Roma con relativa sfilata delle
truppe vittoriose. Nulla di tutto questo
Giulio Douhet propone ed è
accettato, nel solco appunto della promessa fatta dal Re, che si adotti un
altro modo di festeggiare la vittoria. Propone, nella considerazione che
l’Esercito italiano ha combattuto in 11 campi di battaglia, di scegliere la
salma di un soldato ignoto morto in questi 11 campi di battaglia. Le salme
degli 11 soldati sono radunati e raccolte ad Aquileja, prima capitale d’Italia,
ed allineate nella Navata centrale della Basilica. Qui viene chiamata una Madre
che ha perso il figlio in guerra, e viene scelta una Triestina, significando
questo che si è combattuto per liberare Trento e Trieste. La Madre vien
condotta, in gramaglie, ad Aquileja e, durante una solenne cerimonia, si svolge
il rito della scelta della bara, del soldato ignoto che dovrà essere portata a
Roma. La Madre sceglie la Bara, che viene caricata su un treno, composto da
poche carrozze, adorno di fiori. Il giorno dopo il Treno parte da Aquileja a
Roma, e si ferma, per pochi minuti, in tutte le stazioni che si trovano lungo
il percorso. In ogni stazione riceve, in silenzio, l’omaggio di tutti gli
italiani, di tutte le classi sociali, di tutte le associazioni, i partiti e le
tendenze possibili. Le bandire rosse comuniste, nere anarchiche, bianche
cattoliche, tricolori nazionaliste si
abbassano e sono tutte abbrunate. Un momento di concordia nazionale che fa da
sugello alla Grande Guerra come IV Guerra di indipendenza, conclusione del
nostro risorgimento nazionale iniziato nel 1849.
E’ il figlio che ritorna: I Padri
e le Madri accompagnavano all’inizio e durante la guerra i figli alla stazione
per raggiungere le Caserme per arrivare al fronte, a fare il loro dovere e
combattere per l’Italia. Chi Cadde trova in questo viaggio il simbolo del
ritorno del figlio a casa, a dovere compiuto e a vittoria conseguita. Un
momento di partecipazione nazionale intenso e significativo.
L’arrivo a Roma è un tripudio di
folla. Accolto dal Re e da tutti gli Italiani il 3 novembre 1921, è deposto a
Santa Maria degli Angeli, e la bara con il Soldato Ignoto è vegliata per tutta
la notte. La mattina del 4 novembre 1921, secondo anniversario della Vittoria,
con un corteo immenso, come quello che i romani organizzavano per il Dux
vittorioso, su un affusto di cannone che oggi è conservato al Museo Centrale
del Risorgimento, la bara con il Soldato Ignoto è portata all’Altare della
Patria, altra simbologia voluta da Douhet, per essere sepolta ai piedi del
Padre della Patria, Vittorio Emanuele II. Il sacello del Milite Ignoto
rappresenta la saldatura tra chi ha avviato e voluto il risorgimento nazionale
e chi, con il sacrificio lo ha concluso. Nella simbologia nazionale il Padre ed
il figlio sono onorati da tutti gli Italiani, che appunto dal 1921 il monumento
a Roma non è chiamato più Vittoriano, ovvero monumento a Vittorio Emanuele II,
ma Altare della Patria, a significare la avvenuta costruzione definitiva della
nazione e dello Stato Italiano.
Che cosa ha voluto significare
tutto questo. Nel solco della promessa fatta dal Re nei giorni di Caporetto, e
tenuta a base come collante tra tutte le componenti della società italiana (
non sarà cosi venti anni dopo quando Gentile il 23 giugno 1943 chiama a
raccolta il popolo italiano per resistere e rimanere unito rievocando i giorni
di Caporetto per conseguire la vittoria durante la guerra in corso: il popolo
non ha dimenticato ed abbandona al loro destino le classi dirigenti, monarchia
e fascismo) la traslazione di un Ignoto Soldato da Acquileja a Roma significa
una cosa sola: durante la guerra i sacrifici sono stati ripartiti tra tutti,
ora i frutti della vittoria dovevano essere ripartiti tra tutti.
In parole più concrete il Re e il
Governo doveva procedere a mantenere la sua promessa: avviare la riforma
agraria e dare la terra ai contadini, oltre alla riforma sociale per gli operai
e il piccolo ceto borghese. La cerimonia del Milite Ignoto è stata l’arrivo di
un percorso iniziato nei giorni bui e tristi di Caporetto.
Le classi superiori, gli
industriali, gli agrari e ogni altro componente del capitalismo italiano,
spaventato da quanto era successo in Russia, con una Chiesa cattolica ancora
più spaventata, sempre più su posizioni retrograde e conservative, ripresisi
dallo spavento di Caporetto, al riparo ormai da ogni pericolo, non ha il
coraggio di fare il grande salto. Via via si attesta su posizioni sempre più
Conservatrici, sempre più egoiste, sempre più
orientate a conservare le proprie
ricchezze. Tra di lor la componente più conservatrice viene definita
“Approfittatori di Guerra”, i famosi “pescicani” che si sono arricchiti con la
guerra stessa e che adesso non vogliono assolutamente sentire di spartire i
loro profitti con chichessia.
Dal 4 novembre 1921 al 22 ottobre
1922 si susseguono mesi in cui va in frantumi la concordia nazionale; gli
agrari assoldano squadre di azione che impongo i loro punti vi vista con la
violenza, chi era uscito dalla trincee, sia a destra che a sinistra non conosce
altro linguaggio che la violenza. L’Italia ritorna ad essere un paese diviso
politicamente e socialmente. Il Re non prende posizione, rimane in attesa, ma
questa sua neutralità favorisce l’estremismo di destra e di sinistra. Il grande
scontro si risolve con la Marcia su Roma, nota a tutti, che porta il fascismo,
la destra conservatrice, al potere.
Non si parlerà più di riforma
agraria né di altro, altri due anni ed arriveranno le leggi fascistissime del 3
gennaio 1925, a termine dei sei mesi “quartarellisti”, iniziati con l’uccisione
di Giacomo Matteotti, che porranno fine al regime liberale–parlamentare. Il
fascismo si pone come garante delle classi superiori, mantiene tutti i
privilegi. Il Re avalla tutto questo, dimentico dei giorni di Caporetto.
Il 23 giugno 1943, sul
Campidoglio, come detto, Gentile lancia un accorato appello agli Italiani.
Monarchia e Fascismo stanno vivendo giorni difficili e se né aspettano
altrettanti ancora più difficili, ma cade nel vuoto. Poi viene l’estate del 43,
la calda estate del 1943, ove la Monarchia liquida il Fascismo incapace di
gestire la situazione, abbandonato dal popolo, e cerca di uscire dalla guerra
con meno danni possibili. E’ la crisi armistiziale del 1943, l’Italia divisa in
due, il popolo italiano è lasciato solo. Ognuno è solo e deve scegliere da che
parte sta, mentre l’Italia è trasformata in un campo di battaglia di eserciti
stranieri. Iniziano due anni difficilissimi, che si concludono con la fine
della guerra sul territorio nazionale nel maggio del 1945 e politicamente il 10
febbraio 1947 con la firma del Trattato di Pace, dopo la scelta istituzionale
tra Monarchia e Repubblica. E’ la resa dei conti, di tutte le scelte del 195,
del 1917, del 1922, del 1940. L’Italia è di nuovo Sovrana. I Governi usciti da
questa esperienza avviano subito la riforma agraria che è attuata in poco
tempo. Con la ricostruzione, l’Italia risolve il suo problema secolare e in
dieci anni realizza quel boom economico che la traghetta da stato pre industriale
a stato industriale e moderno, con la lira che nel 1962 è una delle monete più
forti del mondo.
Un percorso quello descritto
sopra che offre lo spazio per tanti apprfondimenti per comprendere situazioni e
scelte della nostra Storia recente.
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