Il Comando Supremo, dopo
l’occupazione del Veneto, era più interessato ad evitare che una Grande Unità
dell’Esercito regolare fosse sconfitta che ad interrompere la linea di
comunicazione Verona- Innsbruck, lungo la valle dell’Adige; si preoccupava,
quindi, che l’investimento di Trento fosse condotto nelle migliori condizioni.
Pertanto il 22 luglio Garibaldi ricevette l’ordine da parte del Comando Supremo
di agire con la massima velocità attraverso le Alpi Giudicarie e convergere su
Trento e congiungersi con la colonna Medici, che oramai era in vista della
città. Nella notte sul 23 lugL’avanzata su Trento ed il celebre “Obbedisco”.lio 1866 le unità volontarie si trasferirono a
Cimego e nella stessa giornata iniziarono il movimento verso Lardaro. Gli
Austriaci, a mezzanotte del 22 luglio, avevano anch’essi iniziato la riunione
di tutte le forze dislocate sulla destra dell’Adige per farle poi confluire poi
su Trento e organizzare una difesa organica prima che le unita italiane del
Medici e volontarie si congiungessero.
Queste operazioni erano in corso e la marcia veloce su Trento in pieno
svolgimento quanto giunse al Quartier Generale del Corpo dei Volontari, sera
del 23 luglio, la notizia che a Nikolsburg era stata concordata una tregua
d’armi tra Austriaci e Prussiani.
Questa tregua d’armi proseguì fino all’11 d’agosto. Due
giorni prima, il 9 agosto 1866, il
Governo Italiano aveva preso la decisione di aderire all’armistizio e di non
continuare la guerra. La Marmora manda a Garibaldi il famoso dispaccio
telegrafico n. 1073:
“Considerazioni
politiche esigono imperiosamente la conclusione dell’armistizio per il quale si
richiede che tutte le nostre forze si ritirino dal Tirolo, d’ordine del Re.
Ella disporrà quindi in modo che per le ore 4 antimeridiane di posdomani 11
agosto le truppe da Lei dipendenti abbiano a lasciare le frontiere del Tirolo.
Il generale Medici ha dalla parte sua cominciato i movimenti”[1].
Su questo telegramma e la relativa risposta sono state
scritte molte pagine che sono entrate nella epopea garibaldina. La conclusione
di tutte le considerazioni fu l’adesione di Garibaldi all’ordine di
La Marmora.
“Quale scossa abbia
provato in quel momento il cuore dell’Eroe, scrive il Guerzoni, lo storico può
indovinarlo, ma affermarlo con certezza non può…Garibaldi non tradì nemmeno ai
più intimi la sua interna tempesta. Tranquillo prese la penna e rispose egli
stesso al La marmora col famoso telegramma il cui testo è letteralmente: “Ho
ricevuto il dispaccio n. 1073. Obbedisco. G. Garibaldi”.[2]
Garibaldi vedeva confermate le sue più pessimistiche
previsioni e distrutte le speranze di liberare Trento ed il Trentino; vedeva
resi vani tanto valore, tanti sacrifici, tanto sangue sparso che, alla luce
delle decisioni prese, era stato, quindi, vano.
Terminava così la campagna del Corpo dei Volontari che
rientravano nei confini del Regno.
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