Nella ricerca basata sul concetto che la guerra di liberazione è una guerra combattuta su cinque fronti, l'ipotesi correlata è la definizione del "Nemico". Si riporta uno studio propedeutico per una definizione di questa ipotesi
Il Nemico.
Ogni Paese invaso ed occupato
dalla Germania nazista ha dato vita alla sua Guerra di Liberazione. In pratica
in tutti i territori occupati si sviluppa un movimento di resistenza e di
opposizione alla Germania, alla sua ideologia ai suoi metodi che permette
parlare di coalizione antihitleriana Sulla base del
collaborazionismo, la
Germania aveva instaurato una serie di rapporti ed
istituzioni negli Stati invasi che si possono raggruppare nella coalizione
hitleriana. Le formazioni sorte non erano riconosciute dagli Stati nemici
dell’Asse ed erano combattute dai movimenti di resistenza locali. Una sintesi
di queste formazioni è la seguente:
Belgio, Alleanza Nazionale Fiamminga di Staff de Clerq;
Associazione d’Amicizia germano-fiamminga; “rexismo” di Leon Degrelle;
Birmania, Partito Wunthann, di ispirazione buddista
Cina, governo filogiapponese di Nachino diretto da Wang Tsing Wei, che tra
l’altro dichiara la guerra agli anglo-americani.
Croazia, Ustascia con a capo Ante Pavelic, capo del governo
del regno di Croazia la cui corono fu offerta ad un Principe di casa Savoia;
Volkdeutsche, minoranza etnica tedesca con a capo Branimir Altgayer.
Danimarca, Partito Nazionalsocialista dei lavoratori Danesi,
che riesce a formare anche una Legione SS volontarie di soli danesi.
Estonia, Consiglio territoriale estone, con a capo Hjalmar
Maesa e sostenuto e composto dalla Associazione dei Combattenti dei Corpi
Franchi (WABSE)
Filippine, Il governo presieduto da Josè P.Laurel, appoggiato
dai giapponesi, proclama l’indipendenza e dichiara guerra agli anglo-americani.
Francia, Il Regime di Vichy fu certamente collaborazionista
sotto la presidenza di Pierre Laval e la successiva occupazione tedesca di
tutto il paese. Le forze apertamente collaborazioniste furono il Parti
Populaire Français di Jacques Dorit, il parti Franciste di Bucare, il
rassemblement National Populaire di Marcel Deat. Per il periodo giugno 1940
aprile 1942 lo Stato Francese fu sotto la presidenza del Maresciallo Petain e
si discute ancora oggi se questo Stato debba essere considerato indipendente
oppure collaborazionista.
Grecia, Il governo filotedeschi del generale Tsalakoglou.
India, Si costituisce a Singapore il 21 ottobre 1943 un
“Governo dell’India Libera” con a capo Subas Chandra Bose, leader nazionalista.
Questo governo dichiara guerra alla Gran Bretagna e USA. Riesce a costituire un
esercito indiano di 30.000 denominato 2Esercito nazionale Indiano”, che viene
impiegato accanto ai Giapponesi. Il territorio indiano non verrà mai occupato
dalle forze dell’Asse.
Italia, Mussolini proclama la Repubblica Sociale
Italiana il 23 settembre 1943 (vds)
Indonesia, Ahmed Sukarno è a capo di un Consiglio Consultivo
Centrale che collabora con i Giapponesi e proclama l’indipendenza dall’Olanda.
Lettonia, Il generale Dankers è a capo del Direttorio Generale
Lettone; E’ attivo il Movimento delle Croci di Tuono (Perkonkruts) che arruola
volontari per le SS.
Lituania, Vengono formati battaglioni di SS Polizie al comando
del generale Kubilionunas.
Malesia, Unione Malese e Movimento della Gioventù Malese
Nordafrica francese, Al comando di El Moadi si forma una legione Nord
Africa di circa 550 giovani algerini che si affianca ai tedeschi. Nella
Deutsche-Arabische Truppen, nella Falange Africana e nella divisione SS
Handschar si arruolano alcune migliaia di tunisini.
Norvegia, Si insedia il governo presieduto da Vidkun
Quisling. Il nome di Quisling diviene nel linguaggio comune sinonimo di
Collaborazionista.
Olanda, Anton Mussert è a capo di un Movimento
Nazionalsocialista Olandese che spera di costruire una "Grande Olanda”. I
volontari olandesi nelle SS tedesche sono il gruppo più consistente.
Palestina, Hadj Amin el Hussein, Gran Mufti di Gerusalemme da
Berlino lancia un appello alla guerra santa dei mussulmani contro i giudei ed i
bolscevici. La Palestina
non viene occupata dalle Forze dell’Asse.
Romania, A. Schmidt capeggia i Voldeutsche romeni
Russia, Il generale Andrei Vlasov, già prigionieri dei
tedeschi, costituisce un Comitato Russo Anticomunista. Forma un esercito che
combatte a fianco dei tedeschi. Il generale Pietr Krasnov, costituisce una
Armata Cosacca che viene nel 1944-45 inviata nella Carnia e nel Friuli
orientale in funzione antipartigiana.
Serbia, opera il partito Fascista serbo con a capo Liotic
che sostiene il governo Nedic filotedesco.
Slovacchia, F. Karmasin, agente della Germania, guida i
Volkdeutsche slovacchi
Slovenia, Opera il governo del generale Rupnik
Ucraina, Operano i Consigli Nazionali Ucraini e la Organizzazione di
Liberazione Ucraina. Attivo è il reclutamento per le SS e per le unità
ausiliarie dell’esercito Tedesco
Ungheria, Agisce il movimento delle Croci frecciate di Ferenc
Szalasi, che nell’ottobre 1944 divine capo del Governo. Franz Basch è a capo
della Lega Nazionale dei tedeschi. Può sembrare un arido elenco, ma tutte queste
formazioni collaborazioniste furono
combattute da movimenti di liberazione nazionali.
L’approccio della Germania nei
confronti della guerriglia ed alla guerra per bande
Prima di analizzare gli aspetti riaurdanti il
secondo fronte, ovvero la guerra partigiana condotta nel Nord Italia, occorre
fare una riflessione su come la
Germania , e di conseguenza, i Nazisti, affrontarono e
considerarono, soprattutto da un punto di vista dottrinale e concettuale,
quello che nell’anteguerra si chiamaba “guerra per bande” o “guerriglia”, e che
poi nel secondo dopoguerra assurse al nome di “movimenti di Resistenza”.[1]
E’ fondamentale questo passaggio per capire come mai
i tedeschi in generale, ed i nazisti in particolare, si crearono così tanti
nemici non in divisa, in tutti i paesi che occuparono e comprender eperchè non
riuscirono, nonostante i vari governi collaborazionisti, a neutralizzare o
ridurre al minimo i fenomeni di ribellione, fenomeni che sempre is manifestano
quando di attua un regime di occupazione militare di territori di Stati
militarmente sconfitti in battaglia o in guerra. E’ un aspetto che riserva
molte sorprese ed è poco studiato.[2]
Qui si può fare solo un accenno ai rapporti tra gli occupanti tedeschi, le
popolazioni occupate, i movimenti di resistenza ed i collaborazionisti. Mentre,
ad oltre 60 anni dalla fine della seconda guerra mondiale, vi è una vasta
podruzione scientifico-letteraria sugli eventi della guerra di liberazione, che
hanno sudiato a fondo gli aspetti della lotta partigiana, lo sfruttamento, le
atrocità, le violenze, i sopprusi che hanno punteggiato la occupazione sia
nazista che giapponese, e le vicende connesse con l’attività parallela dei
collaborazionisti, poco o nulla è stato approfondito 3 studiato su come era
organizzata l’attività repressiva germanica, quale evoluzione ha avuto nel
corso della guerra, anche frutto delle esperienze acquisite sul campo, quale
funzione avessero al suo interno le violenze, le rappresaglie, le atrocità, che
necessariamente non erano fine a se stesse, almeno in linea di principio.
E’ evidente che non può essere accettato il semplice
fatto che i Tedeschi adottassero questi sistemi di violenza, ricorrendo ad ogni
sorta di crudeltà verso le popolazioni occupate e sostanzialmente inermi, non
solo in Italia ma in tutta Europa compresa la Russia perche “cattivi” o ubbedienti ciecamente
ad un “pazzo”. Troppo semplicisticoe superficiale. I Tedeschi così
rappresentati non possono essere “veri” ed il loro regime di occupazione
sostanzialmente un brutto periodo da dimenticar ein fretta.
Questa
percezione è da respingere perché non è ipotizzabile pensare all’apparato
poliziesco- repressivo germanico-nazista come semplicemente una formidabile
macchina di violenza ed atrocità, a cui si contrappone in modo statico e,
spesso nelle rievocazioni degli ultimi decenni, apologetico apparato
partigiano, tutto virtù ed idealità, teso alla vittoria del bene sul male.
Questo approccio sottovaluta e sottostima la capacità reattiva, di elaborazione
dottrinale, di evoluzione dell’impiego delle forze, e, in sintesi, della
capacità innovativa della lotta antipartigiana nazista. Perché se si accetta
questo ne discende , in definitiva, che tutti i movimenti partigiani siano
sottostimati e, in pratica, li si denigri nella sostanza, non riconoscendone i
meriti.
E’ necessario, quindi, riproporre un quadro dinamico
e e dialettico della azione condotta dai protagonisti della Guerra di
Liberazione, soprattutto quelli che hanno dato vita al movimento partigiano,
che noi consideriamo come Secondo Fronte. Questo anche al fine di sottolineare,
ancora una volta, che il movimento partigiano non è stato condotto da una sola
parte ma da tutte quelle componenti, politiche e non politiche della nostra
società che non accettavano imposizioni, violenze e quant’altro i Tedeschi
imponevano.
Ed ancor più per sottolineare con maggiore energia
le varie categorie di lacerazioni che l’occupazione tedesca ha prodotto, e
quale portata politico-sociale, economica, religiosa abbiano avuto i successi
del movimento partigiano.
Questo approccio, di studiare l’azione tedesca in
regime di occupazione, può aiutare ancor di più a comprendere come nella
mentalità, nelle scelte, nella essenza della ideologia nazista, si può trovare
la impossibilità di avere un qualsivoglia rapporto positivo ed ottimale con le
popolazioni occupate. E, conseguentemente, trarre le conseguenze del caso in
termini di adesione, di consenso e di aiuto da parte delle popolazioni al
movimento di partigiano, al distacco e all’allantonamento dalle proposte
germaniche e collaborazionistiche e, in termini più ampi, per alcuni di
apologia, di rimpianto, e di negazionismo più o meno esteso.
Non vi è lo spazio per uno studio approfondito, ma
alcuni cenni alla soluzione delle dottrine che hanno guidato l’attività
germanica in tema di attività di controguerriglia exstraurbana può aiutare a
comprendere alcuni capisaldi di quello che poi in sostanza è il comportamento
del “nemico” quando si parla di Guerra di Liberazione.
Una rapidia presentazione dei principali documenti,
così come sono stati presentati ed elaborati dauna ricerca edita dall’Ufficio
Storico dello Stato Maggiore dell’Esercito,[3]
può dimostrare che la
Germania affrontò il problema della Guerriglia già in fase di
preparazione ad una guerra futura negli anni trenta. Si tratta di una
esercitazione di polizia del maggio 1936[4],
presentata sotto forma di un ordine di operazioni, in cui lo scenario
ipotizzato è di guerra totale, in cui occorre contrastare un ipotetico nemico
che opera nelle retrovie, in coordinazione con l’esercito regolare e
l’aviazione strategica, tramite bande irregolari. Lo scopo della esercitazione
è di eserciatre tutti i componenti la polizia ad affrontare queste bande
irregolari superando, anche d’iniziativa, conflitti di competenza e situazioni
di emergenza. Si deduce dal documento che l’azione is svolge su territori
nazionale e che i possibili nemici erano la Polonia e la Cecoslovacchia e
che le forze armate tedesche fossero sulla difensiva.[5]
L’importanza di questa esercitazione sta nel fatto che già nel 1936 si voleva
preparare i quadri di polizia a fronteggiare attacchi di irregolari nelle
retrovie, in un quadro di guerra totale. Cardine fondamentale adottato
l’impiego brutale e spietato della forza laddove le necessità lo richiedevano.
Da questi elementi, ed altri che si possono scorgere nella esercitazione,
emerge il fatto che non è accettabile la tesi che la spirale di violenze
reciproche abbia portato la controguerriglia tedesca a livelli di crudeltà ed
efferatezza che sono noti in tutta Europa. Secondo Politi “è stato un fattore che ha soltanto facilitato l’esprimersi di una
attitudine mentale ricevuta in addestramento” [6]da cui è facile
dedurre che è nella dottrina tedesca insito il fatto che la controguerriglia,
in quanto tale, deve avere i caratteri della efferetazza, della crudeltà e
della spietatezza, che trova ampio margine di accoglienza nella ideologia
nazista.
Il primo documento tedesco che tratti di
controguerriglia sulla scorta di esperienza belliche è del 22 settembre 1941 ed
è intitolato “Manuale per l’addestramento delle unità di polizia riunite al
combattimento di polizia”.[7],
in cui si può cogliere le direttive per il comportamento delle unità tedesche
nella fase iniziale della controguerriglia, con prevalenza per la difesa da
imboscate e la relativa reazione, più
che ad azioni per annientare il nemico partigiano.
I vertici tedeschi, dopo due anni di guerra ormai
avevano ampiamente affrontato il tema della lotta antipartigiana, tanto che si
arrivò ad un accordo tra la componete militare e quella di polizia della
Germania, ovvero l’accordo tra la
Wehrmacht , rappresentata dal gen. Wagner e il RSHA (Reich
Sicherheitshauptamt – Ufficio Centrale per la sicurezza del Reich)[8],
rappresentato da Heydrich. L’accordo Wagner-Heydrich, sigliato il 26 marzo
1941, divideva le competenze nella lotta antipartigiana. La Wehrmacht era competente
per la lotto contro i partigiani a ridosso e sulla linea del fronte a contatto
con il nemico, l’SD[9]
nel territorio retrostante con il compito primario di reperire, appena
conquistato il territorio, archivi e documentazione utile a individuare le
organizzazioni ostili al reich ed arrestandone i quadri, decapitando sul
nascere ogni forma di guerriglia già sul nascere. Le unita SD erano aggregate
ai grippi di Armate, da cui ne dipendevano logisticamente, ma erano ai diretti
ordini di Himmler per l’impiego. Unico punto di contatto operativo con la Wehrmacht era quello
informativo. L’accordo era sostanzialmente di natura politica, volto a dare
equilibrio di potere tra la
Wehrmacht e gli apparati di sicurezza del Partito Nazista;
sul terreno operativo, sommato alla scarsa consistenza degli organi dello SD, e
delle forze di retrovia della Wehrmacht, si rilevò pineo di lacune, lacune che
permesiero le azioni inziali delle forze partigiane sovietiche. Infatti questo
accordo era stato voluto proprio in funzone della invasione della Unione
Sovietica, che iniziò il 22 giugno 1941, in cui nella occupazione del territorio
operavano le due organizzazioni tedesche, però in modo parallelo.
Dopo quattro mesi di guerra, l’esperienze acquisite
furono raccolte in un documento del 25 ottobre 1941 “Direttive per la lotta
antipartigiana” edito dall’OKH[10]-Gen.St.d.H./Ausb.Abt
(Ia) n. 1900/41 e fu diffuso come testo
di istruzione ed addestramento tra le unità di polizia apartire dal 17 novembre
1941.[11]
Il documento riprende i principi della esercitazione di polizia del
1936 è sottolinea che la lotta antipartigiana deve essere condotta dalle sole
forze di polizia, e si sottolinea che l’azione deve essere, dura, energica e
spietata, mentre persiste il fatto che i rapporti con la popolazione sono
sempre di scarsa importanza e posti sullo sfondo di ogni concetto espresso.
Con l’opuscolo
“Waldkampf” (combattimento nei boschi)[12],
dato 31 marzo 1942, edito dall’Oberkommando des Heres, in cui la lotta
antipartigiana è focalizzata
sull’ambiente operativo e sulle implicazioni che esso ha sulla azioni di
contorguerriglia. Questo documento è una ulteriore affinamento di quelli
precenti ed è estremamente preciso. Nei
documenti precedenti vari concetti erano espressi in modo generalizzato, qui si
chiarisce con precisione e chiarezza Ad esempio “gli uomini colpevoli di fiancheggiamento partigiano nella famiglia e a
volte dell’intera stirpe vanno giustiziati. Le donne condotte in campi di
concentramento, i bambini nel reich e li esaminato il loro valore razziale. I
beni vengono confiscati” . Concetto che prima era confuso, ora chiarito in
modo definitivo.
I tedeschi impiegarono anche unita controguerriglia,
nella convizione che agendo con le stesse tecniche e formazioni partigiane
avrebbero avuto facilmente partita vinta. Si tratta delle unità Jadgkommando[13],
letteralmente “distaccamento di caccia. Queste unità specializzate erano
composte, nella loro struttura organica,
di 39 uomini con una dotazione di
armi particolare[14]
ed operavano in n ciclo di operazioni di 8-14 giorni di azione, 8 di riposo 3
di esercitazione per un toale di 10-25 giorni tra due inizi di operazione. Gli
obbiettivi erano chiari: l’annientamento del maggior numero di partigiani, la
scoperta dei reparti più consistenti, lo sconvolgimento della reta logistica e
organizzativa dei partigiani, la diffusione della insirucrezza tra le
formazioni nemiche, la creazioni di condizioni operative sempre più difficili.
La tattica era semplice: lo Jadgkcommando, di notte, occultato, si stabiliva in
una determinata zona, a piedi, percorrendo strade alternative. Acquisiva
informazioni , e per circa 72 al massimo aspettava che unità partigiana
cadessero nel tranello ed attacca, sfruttando l’elemento sorpresa usando le
stesse tattiche partigiane; poi si ritirava e lasciava la zona; se si imbatteva
in un reparto più consistente, non si impegna in combattimento, ma chiamava le
unità di polizia territoriali e si sganciava. Ma l’impiego dello Jadgkcommando
non diede i risultati sperati, anzi essi furono uno strumento che rese più
sanguinosa l’azione e la vittoria partigiana in quanto senza l’appoggio di una
azione politica tesa ad isolare il movimento partigiano dalla popolazione sotto
occupazione e di una propaganda tale ad acquisire il consenso, cose tutte
godute dal movimento aprtigiano, non si può sperare di eliminare qualsiasi
movimento partigiano. I tedeschi capirono, con l’impiego di queste unità, che i
sistemi di presidio, i grandi rastrellamenti ed i colpi di mano lasciano in
piedi il movimento partigiano e solo mettendosi sullo stesso piano dei
partigiani si può contrastare questa forma di lotta. Cosa che invece non riusci
ad esser capita dai quadri e dai dirigenti militari della Repubblica Sociale
Italiana nel loro contrasto al movimento partigiano.
Da notare, infine, che ai Jagdkommando furono
affiancati, nel sistema repressivo tedesco, unità collaboratrici, ordinate
organizzamene per meglio contrastare la guerriglia ed avere unità aguli per la
controguerriglia.
Interessante un altro documento, “Der Kampf gegen
die Partisanen”[15]
in cui tra le tante cose affermate[16],
si riafferma il principio che la totta antipartigiana e spietata. Una volta
enunciato all’inizio “non si parlerà più
nel resto dello scritto del carattere selvaggio di questa lotta, ma non bisogna
trascurare che prima ancora delle qualità del combattente e dei suoi
comandanti, conta la sua durezza. E’ facile, guardando questi documenti
precdeneti, osservare la continuità di questo principio variamente espresso e
accentuato , ma ben presente. Finchè per spiegare la crudeltà dei tedeschi nei
paesi occupati si farà ricorso all’analisi delle sequenze di azioni partigianie
e rappresaglie tedesche, ci sarà sempre spazio per spiegazioni
irrazionalistiche le quali si appellano a oscure elucubrazioni sul fondo
barbarico del popolo tedesco, o altre con intenti giustificazionismi che
citeranno analoghe crudeltà partigiane oppure sosterranno che non era possibile
agire diversamente.”[17]
Nella lotta
antipartigiana i tedeschi arrivarono ad impegare su larga scala anche la
componente aerea[18],
la cui importanza è notevole in quando i suoi contenuti[19],
che qui non v è lo spazio di riportare, rappresentato i capostipiti delle
successive teorizzazioni post-belliche, compreso l’impiego degli elicotteri.
Da questi documenti si evince un dato essenziale. La Germania , nella seconda
metà degli anni ‘30 dedicò studi e riflessioni su come affrontare il fenomeno
della guerriglia, in un quadro di guerra totale. Coloro che erano proposti allo
studio della guerra e come condurla, cioè coloro che elaborarono la dottrina,
non sfuggì questo aspetto, e non ne sottovalutarono assolutamente il peso che
una qualsiasi forma di guerra non “convenzionale” avrebbe potuto avere in un
grande conflitto come si andava delinenando e come si sperava che andasse. Le
riflessioni dei pensatori tedeschi in quell’epocapartivano dal concetto che la
componente partigiana non fosse che una versione aggiornata dei Freikorps (o
corpi franchi) che tanto spazio ebbero all’indomani della Prima Guerra
mondiale. Ma con questa elaborazione vennero poste le basi dottrinali, come ad esempio l’azione
coordinata di tutte le forze disponibili, ricorrendo anche alla terza
dimenzione, per il contrasto e l’annimetimento degli elementi componenti la
guerriglia, o dir si voglia il movimento partigiano. Emerge con sopresa, ma
fino ad un certo punto, che la elaborazione tedesca del contrasto al movimento
partigiano come la formulazione delle principali tecniche di rastrellamento, il
corretto impiego della aviazione, a quell’epoca l’elicottero non era così
sviluppato da essere impiegato a massa, la formazione di unita specializzate di
controguerriglia, sono la risultante delle esperienza maturate sul campo,
specialmente nei Balcani e in Russia. Nulla toglie alla validità di questa
elaborazione, ancorché inserita in un quadro politico-strategico da non
accettare, alla validità intrinseca dei criteri operativi e tattici adottati,
tanto che si può dire che essi riemergono con altre etichette, ma
sostanzialmente immuati, negli anni del primo dopoguerra in Algeria da parte
delle truppe speciali francesi, nella guerra di indipendenza alegerina e
soprattutto in seno all’Esercito degli Stati Uniti in Vietnam.
E’ importante sottolinearre che questa documentazione permette di
affermare che l’uso del terroe quale mezzom intimiditario nella lotta
antipartigiana vien previsto in funzione antibande già prima che la guerra
iniziasse; questo sgombra il campo da tutte quelle asserzioni che è la guerra
partigiana che alimenta la crudeltà eche i tedeschi ne furono coinvolti e
costretti. Il successivamente inasprimento della guerra non farà che accentuare
questa premessa di fondo. Questo si inserisce nel tradizionale pugno di ferro
che gli eserciti tradizionali europeo trattano i combattenti irregolari ed i
loro fiancheggiatori, specie nelle cosiddette operazioni di pacificazione dopo
la conclusione delle ostilità. E’ difficile, nel comportamento dei tedeschi
scindere quanto vi è nelle concezioni terroristiche da essi applicate in funzione
antipartigiana, appartengono al patrimonio europeo della prassi
politico-militare di repressione e quali sono invece gli elementi
specificamente nazisti. Il fronte orientale fu la fonte di esperienze ed il
terreno della elaborazione delle dottrine tedesche di controguerriglia, con
tutti il quadro di crudeltà e violenza che in quel fronte si andava applicando.
La elaborazione dottrinale si affina sempre più e raggiunge il culmine nel
1944-1945.[20]I
tedeschi apprendono che la controguerriglia si basa sulla parcellizzazione
delle forze e delle azioni, piuttosto che sulla concentrazione di esse nel
tempo e nello spazio. Queste devono essere decise e spietate e da qui la
puntule sequenza di atrocità in tutti i territori occupati dai tedeschi
Un particolare cenno occorre fare alle rappresaglie. Queste nella
coscienza collettiva nazionale rappresentato ferite ancora non rimarginate. Ad
ogni ricorrenza, nelle commemorazioni, spesso ci si chiede perché tanta
crudeltà. E’ un problema inquietante che la rappresaglia solleva, ponendo
grossi interrogativi alla coscienza umana, che totalemtne la respinge, anche
con accenti permeati di parole di ripugnanza, dall’altro, se ci si mette nelle
parti di chi subisce l’attacco partigiano e guerrigliero, è una continua
tentazione ricorre ad essa, per le possibilità che essa offre per tentare di
porre un freno al continuo stillicidio di perdite, spesso innocenti ed
apparentemente non coinvolte nella lotta, causate da nemici inafferrabili e
senza volto. E’ un aspetto che occorre tenere presente.
Ma nel affrontare la descrizione del fronte nemico, la componente
italiana della coalizione hitleriana, ovvero la Repubblica Sociale
Italiana, non si può non tenere presente come i tedeschi affrontavano gli
oppositori loro e dei loro collaboratori, ovvero i fascisti repubblichini,
ovvero il movimento partigiano che noi
abbiamo definto secondo fronte.
Ma un elemento ulteriore occorre sottolineare, forse il più importante,
quale suggerito dalla presentazione delle dottrine antiguerriglie tedesche. I
successi in questo campo hanno sempre una efficacia temporanea, non definitiva.
I Nazisti, i tedeschi in genere ed i loro collaboratori e sostenitori si
accorgono che l “Ordine Nuovo” attira qualche singolo, ma non dice nulla alle
grandi masse, che rimangono lontane. Più che azioni di antiguerriglia,
necessita un grande piano politico che attiri le masse, e su questo successo,
si inerirebbe il movimento aprtigiano; allora le azioni antiguerriglia, rivolte
verso pochi, isolati dalla popolazione, avrebbe successo definitivo. Ma questo
piano politico non c’è, le masse
rimangono lontano , ed il solo antibolscevismo non basta, essendo solo un
elemento negativo e non propositivo. I Nazisti sembrano impotenti di fronte a
questo dilemma. Allora lo sterminio degli oppositori politici e la rappresaglia
non diventano più una inspiegabile aberrazione, ma una possibile soluzione.
Sostiene Politi “quanto essa sia logica e vantaggiosa dipende dal regime
politico che la attua, dai costi politici che comporta in una data congiuntura
e dia metodi adottati. Le tesi che sostengono si tratti di uan follia
collettiva verificatosi sotto il regime nazista o sono giustificazioni o
tendono a ignorare che in tempi e
situazioni diverse si sono usati i medesimi sistemi. Per il nazismo fu una
scelta logica e perdente.”[21]
Ma per chi si alleò con i Tedeschi e agì come collaborazionista nel
loro regime di occupazione, non può non essere importante chiedersi perchè le
dottrine tedesche di controguerriglia non abbiamo schiacciato in tutta Europa,
e in Italia, i movimenti di liberazione, pur essendo valide, significative ed
efficaci, in quanto tuttora ancora valide. Il fatto che non abbiamo raggiunto
lo scopo ultimo, eliminare i movimenti partigiani, lo devono non alla loro
validià intrinseca, ma perché non sorrette da un piano politico tale da
coinvolgere le masse, ovvero non si può imporre con la forza il proprio
dominio, ovvero non si può ignorare il principio fondamentale che senza
l’aggregazione dei consensi i successi e le misure di ritorsione sono sterili e
controproducenti.[22]
Per l’Italia l’opposizione alla azione germanica inizia l’8 settembre
1943 perché da quella data inizia l’occupazione tedesca Dall’8 settembre 1943 la Germania non riconosceva
il Regno d’Italia con a capo il Re Vittorio Emanuele. Riconosceva la Repubblica Sociale
Italiana , che aveva favorito, e sostenuto fin dalla liberazione di Benito
Mussolini il 12 settembre 1943. Al momento della proclamazione dell’Armistizio la Germania riunisce i
dirigenti fascisti, quali farinacei, Tavolini, Ricci, il figlio di Mussolini
Vittorio,Preziosi per dar vita ad un governo provvisorio. La liberazione di
Mussolini da al governo provvisorio il suo capo carismatico. Il 23 settembre
1943 informalmente nasce la Repubblica Sociale Italia ( formalmente solo il 1
dicembre 1943), ed è riconosciuta solo da Giappone e dalla Germania. E’ una
repubblica totalmente asservita alla Germania: a riprova di ciò valga il fatto
che tutte le industrie vengono inserite nel meccanismo della produzione bellica
tedesca sotto il diretto controllo di commissari tedeschi (OZAV e OKAK). Il
tentativo di porre la
Capitale a Roma o nell’Alpenvoreland falliscono, in quanto
contrari agli interessi tedeschi.
Gli organi
della repubblica sono disseminati in varie località del Veneto e della
Lombardia 8 Desenzano, Lago di Garda, Bogliaco, Gargano, Milano, Brescia e
Venezia ed è un altro fattore di debolezza. Del potere stauale. Compito
principale della repubblica è quello di mantenere l’ordine pubblico e svolgere
un ruolo di collegamento subordinato tra l’amministrazione tedesca e la
popolazione italiana.
Sul piano strettamente militare tutte le operazioni
sono pianificate e condotte dalla Wehrmacht, e gli organi della Repubblica ne
sono esclusi e quindi delegittimati, soprattutto non sono in grado di impedire
o porre un freno alle violenze dell’alleato contro la popolazione civile.
Una delle principali iniziative della repubblica,
varata con provvedimento di legge nel febbraio 1944, peraltro avversato dagli
stessi tedeschi, fu la socializzazione delle imprese, ovvero la gestione delle
industrie attraverso una struttura d’impresa con la partecipazione di operai ed
altri soggetti produttivi. Si voleva, attraverso la socializzazione, da una
parte colpire l’alta borghesia che aveva “tradito” il fascismo” dall’altra
avvicinare le masse operaie al fascismo della repubblica e creando attorno ad
essa consenso ed adesioni. Il tentativo fallì sia per il già citato opposizione
dell’occupante, ma anche per il rifiuto pressoché totale delle masse operai.
Sono proprio del marzo 1944 i grandi scioperi nei maggiori impianti industriali
del nord. Scioperi che, oltre a far tramontare l’esperimento della
“socializzazione” sottolineano la grande distanza tra ampi strati della
popolazione e la dirigenza fascista repubblicana.
Chi doveva
dare una base politica e sociale di adesione doveva essere il partito
fascista repubblicano, alla cui guida
assurse Alessandro Tavolini. Il partito tenne una sola assise, a Verona nel
novembre 1943 ove furono definiti, nel Manifesto di Verona, i punti
programmatici del Partito, riassunti
nello slogan “Italia, Repubblica,
Socializzazione”. Il partito fu diviso inizialmente da una tendenza moderata,
volta a cucire lo strappo con gli Italiani e una linea oltranzista, di cui
Tavolini era uno degli esponenti, che favoriva la alleanza pedissequa con al
Germania nazista, l’assorbimento integrale dei suoi valori e l’estremismo
repressivo e violento tipico del primo fascismo. Il Direttorio del partito si
riunisce una sola volta , nel marzo 1944 e ribadisce la linea dura ed
estremista. Si calcola che si siano isciritti
oltre 487.000 persone, che per lo più aderiscono anche alle formazioni militari
della repubblica. Nell’estate del 1944 il partito si militarizza e da vita alle
cosiddette Brigate Nere, in cui sono arruolati tutti gli iscritti da 18 a 60 anni. Le Brigate Nere
sono intitolate a caduti e non hanno
gerarchia, un comandante e tutti soldati, con gravissime ripercussioni sulla
operatività e sulla disciplina. L’impiego è sostanzialmente antipartigiano. Ma
anche in questo campo vi è la non adesione sperata se si calcola che nel
complesso le Brigate nere non superarono il totale di 20.000 uomini arruolati.
La struttura delle Forze Armate della repubblica è
complessa. La Repubblica
visse sempre il dissidio tra la concezione di Renato Ricci, che sostiene che la
repubblica debba dotarsi di una milizia fascista, politicizzata e ben allineata
sulle questioni ideologico-politiche, e quella del maresciallo Graziani,
Ministro della Difesa dal 23 settembre 1943, che vuole un esercito nazionale
apolitico. La soluzione di questo dissidio fu un altro fattore di debolezza
della repubblica: Graziani realizzerà un apparato militare tradizionale
sull’impronta del regio esercito, Ricci una nova articolazione chiamata Guardia
nazionale repubblicana, in cui confluiranno elementi della disciolta Milizia
Volontaria per la Sicurezza
nazionale, i Reali carabinieri ed elementi della Polizia Africa Italiana (PAI).
Graziani riesce a stipulare un accordo con i tedeschi, che si impegnano ad
addestrare in Germania quattro divisioni (Monterosa, Italia, San Marco, Littorio) e a dar vita a formazioni
tradizionali alimentate dalla leva obbligatoria. I Bandi Graziani per la leva
saranno uno dei fattori di non consenso della Repubblica: si presentaranno
circa la metà dei coscritti, l’altra per sottraesi andrà in montagna ad
alimentare le fila partigiane. Si arriverà a decretare la “pena di morte” per
chi non si presenta e, alternando minacce e blandizie ( il cosiddetto “Bando
del perdono”) si riesce ad arruolare oltre 44.000 giovani di leva che sommati a
13.000 uomini provenienti dai campi di intermanento in Germania saranno
l’ossatura dell’esercito voluto da Graziani, un Esercito prevalentemente
impiegato in funzione antipartigiana.
Nell’estate 1944, con la destituzione di Renato
Ricci, la Guardia
Nazionale Repubblicana viene incorporata nell’Esercito e ne
divine la prima arma combattente. Con i suoi 94 comandi provinciali ed un
comando Generale la GNR
ricalca la struttura dell’Arma dei Carabinieri.
Nella repubblica Sociale Italiana sorgono formazioni
che non sono inquadrate nell’esercito e nella GNR, ma sono autonome e riconoscono solo l’autorità del Duce. La Banda Carità ,
composta da 200 uomini circa, ricostituisce a Firenze, per poi trasferirsi in
Veneto a Padova. Fuori di ogni controllo svolge con metodi crudeli e violenze inaudite attività antifascista ed
antipartigiana. Altra Banda è quella di Koch, ex ufficiale, che opera a Roma
composta da circa 70 elementi ed agisce con gli stessi metodi della banda
Carità. Trasferita a Milano (Villa Triste) compie tali oscenità ed illegalità che
sono gli stessi fascisti il 24 settembre 1944 ne decretano lo scioglimento con
arresti e condanne. Con attività più
prettamente militari ma sempre con aspetti violenti e creduli e sempre in
funzione antipartigiana operano le Legioni.
La decina
Flottiglia Mas al comando del principe Junio Valerio Borghese, che più che una
formazione della RSI è una formazione militare che decide, per opera del suo
comandante, di staccarsi dalla regia Marina e continuare la guerra accanto ai
tedeschi sulla base di un reciproco accordo. La decima Mas raggiungerà la con
esistenza di circa 25.000 uomini organizzati in sei battaglioni. Uno di questi,
il Barbarigo, tra marzo e maggio del 1944 sarà impiegato nella testa di ponte
di Anzio, unica formazione fascista che entrerà in linea contro gli Alleati.
Nella sostanza, come le Legioni, la
Decima sarà impiegata in azioni di controguerriglia, macchiandosi
anche lei di eccidi, torture e rappresaglie.
Altre formazioni sono l’Ispettorato Speciale polizia
antipartigiana, circa 150 uomini organizzato dal Questore di Brescia, Il
reggimento Volontari friulani Tagliamento al comando del Colonnello Zuliani, tutte formazioni che si dedicano alla lotta
antipartigiana con metodi brutali ed efferate violenze.
[1] Molti esempi possono
essere fatti in questa materia, riandando indietro nel tempo. Basti ricordare
la guerriglia condotta dagli Spagnoli contor le truppe Napoleoniche, che
praticamente furono messe in condizione di non poter controllare appieno il
territorio per lumghi periodi. Questa esperienza diede vita poi a teorizzazioni
anche di alto livello. Si può citare il celebre volume di Giuseppe Mazzini “La Guerra per bande” ecc.
[3]
Politi A., Le dottrine tedesche di
controguerriglia 1936-1944, Roma, Ministero della Difesa, Stato Maggiore
dell’Esercito, Ufficio Storico, 1991
[4] Il
testo della esercitazione “Besprechung
der prufungsarbeit fue Major-Anwarte. (Mai 1936) in Polizeiverwendung.(Von
Polzeioffizierschule aufgestellt.) Aufgabe: Postdam-Groben
(Luftschtz-Polzeikampf) è riportato in Politi A., Le dottrine tedesche di controguerriglia 1936-1944, cit, pag. 196-225.
[5] Per
la consistenza e la specifica di questa esercitazione ed i suoi contenuti si
rimand ala citato volume di Politi, dalla pag. 3 a pag. 10.
[6]
Politi A., Le dottrine tedesche di
controguerriglia 1936-1944, cit., pag.10
[7]
“Merkblatt fur die Ausbildung der geschlossenen Polizeienheiten im Polizeikampf
herausgegeben vom Chef der Ordungspolizei 1941.” , riportato in
italiano in Politi A., Le dottrine
tedesche di controguerriglia 1936-1944, cit, pag. 224-230.
[8] Nato
il 27 settembre 1936 era l’organo cui faceva capo tutto il ramificato ed esteso
apparato di polizia della Germania Nazista, posto sotto l’autorità del
Reichfuhrer-SS H. Himmler
[9] SD
Sicherheits Dienst. Servizio di Sicurezza. Era diviso in servizio interno, con compiti di scoperta e
soppressione delle opposizioni politiche, e servizio esterno, spionaggio e
controspionaggio. Era in concorrenza con l’Abwehr, diretto dall’ammiraglio
Canaris, che era il servisio di spionaggio e controspionaggio della Wehrmacht.
[10] Oberkommando des Herees,
Comando Supremo dell’Esercito
[11] Riportato in italiano in
Politi A., Le dottrine tedesche di
controguerriglia 1936-1944, cit, pag. 233-252. L’esegesi del documento è da
pag. 16 a
pag. 45
[12]
Questo documento è conservato ad Udine, presso l’Istituto Friulano per la Storia del Movimento di
Liberazione (Misc. 2-14 numero di
ingresso 898)
[13] Reichfuhrer-SS Kommandostab RF-SS
Tgb. Nr. Ia 607/42 geh. St. Qu.dem 25. August
1942 Geheim “ Begehl zur Aufstellung von Jagdkommandos zur Bandenbekampfung”. Riportato
in italiano in Politi A., Le dottrine
tedesche di controguerriglia 1936-1944, cit, pag. 4 e see. L’esegesi del
documento è da pag. 283 a
pag. 289
[14] 4 mitragliatori leggeri, 11
pistole mitragliatrici, 24 fucili, di cui 8/4 per il tiro di precisione.
[15] “La
lotta contro i Partigiani”, di datazione controversa ma presumibilmente nella
primavera del 1943, riportato in
italiano in Politi A., Le dottrine
tedesche di controguerriglia 1936-1944, cit, pag. 82 e segg. L’esegesi del
documento è da pag. 294 a
pag. 313
[16] Ad
esempio, dopo aver dato alla fiamme un villaggio intero, tutti coloro che hanno
opposto resistenza armata vanno fucilati durante o alla fine del combattimento.
La popolazione va portata via, a meno che non vi sia l’ordine di fare
“trattamento speciale” (Sonderbehanglung) che indica “l’esecuzione, anche in
massa. Se gli abitanti sfuggono alla cattura, dopo la distruzione del loro
centro abitato, diventano nuovi mebri delle bande partigiane, ottenendo
risultati opposti a quelli che si volevano conseguire.
[17] Politi A., Le dottrine tedesche di controguerriglia
1936-1944, cit, pag. 84
[18] Merkblatt Eissatz von
Flugzeugen bei der Deutschen Polizei” (Impiego di aerei presso la polizia
tedesca)
[19] Vds.Politi A., Le dottrine tedesche di controguerriglia
1936-1944, cit, pag. 102 e segg. L’esegesi del documento è da pag. 343 a pag. 369
[20]
Scrive Politi “ I procedimenti tattici
furono ulteriormente affinati e codificati sia nel campo delle grandi
operazioni che in quelle delle piccole.L’aerocoperazione riceve una organica
sistemazione e viene portata ad un grande livello di efficacia, impostando e in
parte risolvendo problemi largamente studiati solo con l’avveno
dell’elicottero. Gli Jagdkommando assumono la fisionomia che manterranno, con
qualche cambiamento nel nome e nell’equipaggiamento, in tutto il dopoguerra”
Riportato in italiano in Politi A., Le
dottrine tedesche di controguerriglia 1936-1944, cit, pag.187
[21] Politi A., Le dottrine tedesche di controguerriglia
1936-1944, cit, pag. 188
[22] Si inia il più volte
citato Politi A., Le dottrine tedesche di
controguerriglia 1936-1944, per una più ampia trattazione dei principi
sopra riprotati, acui si rimanda.
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