Gli Inglesi iniziarono con il saggiare le difese italiane attraverso
bombardamenti, mitragliamenti aerei e cannoneggiamenti. Avevano il controllo dei cieli le loro artiglierie possedevano una gittata
maggiore rispetto a quelle italiane, che evitavano di rispondere al fuoco per
non facilitare la loro individuazione. Ai bombardamenti seguì qualche attacco
poco convinto, nonché scaramucce tra pattuglie.
Cheren: carta inglese della prima fase della battaglia
All’alba del 3 febbraio i
Britannici avevano ammassato le loro forze in direzione di quota 1616, di Cima
Forcuta e del monte Sanchil. Erano
questi i principali obiettivi che contavano di conquistare . A fronteggiarli si
trovavano principalmente i granatieri , in numero almeno nove volte inferiore
rispetto a quello degli avversari.
Anche il forte del Sanchil era tenuto dai granatieri della compagnia comando di reggimento, quasi
tutti veterani.
Cheren: forte del Sanchil
Iniziò il cannoneggiamento dell’artiglieria pesante inglese, mentre
l’aviazione riprendeva a bombardare e mitragliare. I genieri italiani cercavano
intanto di stendere linee telefoniche supplementari dato che i bombardamenti
avevano distrutto in parte le comunicazioni.
Nel frattempo, nella valle, i britannici continuavano ad ammassare carri armati, autoblindo,camionette d’assalto e camion
carichi di truppe.
Carnimeo richiese vanamente ulteriori rinforzi al comando dello scacchiere di Asmara, ma comprese che doveva
arrangiarsi con i granatieri e con le truppe
in quel momento a sua disposizione.
Probabilmente il comando non aveva compreso che Cheren era difendibile e
pensava che le forze italiane non avrebbero potuto reggere a lungo. Già si
pensava ad una resistenza sull’Amba Alagi.
Per tutta la mattina quota 1616 fu bombardata.
Poi, per qualche minuto, tutto tacque.
Alcuni aerei inglesi, dopo una sventagliata di mitraglia, lanciarono
centinaia di volantini che invitavano i soldati italiani a disertare( il lancio
di volantini fu ripetuto varie volte nel corso della battaglia. Gli
inglesi,infatti, utilizzarono anche la guerra psicologica, specie con le truppe
coloniali che furono ripetutamente invitate a liberarsi dal giogo italiano).
I bombardamenti ripresero, continuando sino al pomeriggio.
Verso le cinque, dopo nove ore di bombardamenti, scattò il vero attacco.
Il 2° battaglione dei Camerons Highlanders iniziò a scalare la montagna. Al
tramonto i Britannici riuscivano a conquistare quota 1616 travolgendo la 6^ compagnia Granatieri. La notte
seguente reparti indiani di Punjabs occupavano
Cima Forcuta.
Cheren: bersaglieri italiani
Gli Inglesi,però, che certo non nascondevano il loro disprezzo per le
capacità militari italiane, si resero subito conto che, questa volta, le cose
sarebbero andate diversamente. Le truppe italiane non sembravano assolutamente
intenzionate a cedere, al contrario si battevano con determinazione in una
battaglia che si sarebbe caratterizzata per la violenza degli scontri corpo a
corpo.
La lotta per la conquista di quota 1616, infatti, era
stata un massacro: i soldati scozzesi tentavano di superare la cresta di accesso
alla quota, i granatieri si scagliavano contro sparando, lanciando bombe a
mano, lottando corpo a corpo con le baionette. In rinforzo agli scozzesi furono
inviati i Punjab , mentre i granatieri continuavano ad essere inferiori di
numero.
Al tramonto, dopo tre ore di combattimenti violentissimi, i granatieri
superstiti, incalzati dagli scozzesi, ripiegarono nella gola, riuscendo a
trattenere l’ulteriore avanzata del nemico. Nel frattempo i reparti indiani
avevano stretto in una morsa anche il Sanchil.
Nelle ore che seguirono gli scozzesi e
gli altri reparti di rinforzo consolidarono le posizioni su quota 1616,
che non sarebbe più ritornata in mani italiane. Da lì iniziarono a tirare sugli
altri settori italiani, con i mortai, con le mitragliatrici, con i cecchini.
Cheren: monte Dologorodoc
Cheren:artiglieria britannica
La mattina del 6 febbraio i soldati italiani contrattaccarono , liberando
il Sanchil, il costone di Cima Forcuta e ricacciando le truppe anglo-indiane
nella valle, ma quota 1616 restò in mani
avversarie.
L’ordine di attacco fu dato ai granatieri dell’11° reggimento dal
comandante Col. Corsi. Gli uomini si scagliarono contro quota 1616 urlando
furiosamente, seguiti dai reparti ascari. I fucili furono usati come clave,lo
scontro avvenne alla baionetta tra i soldati italiani e gli ascari che
attaccavano e gli scozzesi e gli indiani che difendevano la posizione
conquistata. Gli indiani ripiegarono confusamente, mentre le artiglierie inglesi
avevano indirizzato il fuoco alle spalle dei soldati italiani attaccanti per
impedir loro di ritirarsi e chiuderli in
una morsa. La linea dello scontro oscillava di continuo. I soldati rotolavano
tra le rocce sferrandosi colpi di baionetta. I granatieri lanciavano bombe a
mano come fossero sassi.
Gli scontri, in ogni caso pur violentissimi, erano caratterizzati da una
certa reciproca cavalleria. Quegli uomini che si massacravano senza pietà durante
il combattimento,cessavano poi di sparare per consentire alle rispettive pattuglie
di raccogliere i feriti.
Poi l’artiglieria inglese riprendeva a battere le posizioni italiane.
Intanto continuavano ad affluire, da parte britannica, truppe fresche,
soprattutto indiani. I granatieri erano sempre gli stessi. Carnimeo aveva richiesto al comando di
scacchiere atre truppe, soprattutto il 10° reggimento granatieri, ma
inutilmente.
Obiettivo principale degli inglesi era ora il monte Sanchil, intorno al
quale si riaccese violentissima la battaglia. Il numero dei granatieri posti a
difesa si assottigliava, incalzato dai reparti indiani e colpito dai tiri che
provenivano dagli scozzesi di quota 1616.
Fu decisivo l’arrivo dei bersaglieri, inviati di rinforzo, che si gettarono
subito nella mischia determinando un
mutamento della situazione.
Gli indiani ripiegarono cercando di riorganizzarsi per riprendere
l’attacco.
Non riuscirono nel loro intento: pur bersagliati dalle artiglierie
britanniche e dagli scozzesi di quota 1616, gli italiani riuscirono infine a
respingere l’attacco ed a conservare le posizioni.
Sino all’8 febbraio non si registrarono combattimenti rilevanti , ad eccezione di scontri tra pattuglie,
mentre le artiglierie inglesi bersagliavano continuamente le posizioni italiane
sparando migliaia di colpi ogni ora. A questo si aggiungano i bombardamenti
aerei. L’effetto delle granate era devastante, in quanto moltiplicato dalle
rocce, che sbriciolandosi in centinaia
di schegge di pietra, colpivano e ferivano
gli uomini.
Alle ore 0,30 dell’8 febbraio i primi reparti indiani, avendo praticato
una breccia tra le difese italiane ( si consideri che il fronte era lungo circa
60 Km e
che, considerato il numero dei difensori di Cheren, si poteva contare su un
soldato ogni 5 metri ed un pezzo di artiglieria ogni 500) avevano
intanto raggiunto l’abitato di Cheren.
Cheren:abitato
Sembrava l’inizio della fine, ma Carnimeo lanciò contro gli indiani la cavalleria coloniale e gli uomini del 4°
battaglione Toselli. Dopo sette attacchi consecutivi le truppe italiane decimavano
e respingevano gli avversari., che si
ritiravano al di là del Falestoh.
Cheren:carro inglese “Matilda”
Cheren:cavalleria coloniale italiana (penne di falco)
all’attacco
Gli scontri riprendevano nel pomeriggio del 10 febbraio dopo ore di
bersagliamento da parte dell’artiglieria inglese, che giunse a sparare sino a
7.000 colpi ogni ora. Le truppe indiane erano decise a rioccupare Cima Forcuta.
Per ben due giorni gli scontri proseguirono
furiosi e la posizione passò da mano italiana in mano inglese e viceversa. A
decidere le sorti dello scontro giunsero gli alpini del battaglione Uork Amba,
inquadrati nel 10° reggimento Granatieri di Savoia, i quali, appena giunti da
Addis Abeba, nella notte del 12 febbraio furono gettati nella battaglia.
Riconquistarono la posizione dopo
furiosi scontri, restituendola saldamente in mani italiane, ma lasciando sul
campo metà dei loro effettivi.
Battaglione Alpini
Nella giornata del 12 febbraio gli inglesi cercarono ancora di
infiltrarsi nella linea del fronte, ma gli uomini del 4° Toselli respinsero gli
indiani sul Falestoh e le truppe di Lorenzini, appena nominato generale, ressero
su tutta la linea.
I britannici furono costretti ancora una volta a ritirarsi.
Le perdite, intanto, erano altissime: si consideri che solo il 4°
Toselli, in poco più di mezz’ora, perse 12 ufficiali,e circa 500 fra graduati ed
ascari.
Con il ripiegamento degli inglesi sulle posizioni di partenza aveva
sostanzialmente termine la prima fase della battaglia.
Tra il 14 e il 15 febbraio si registrarono solo scontri di pattuglie,
mentre l’artiglieria inglese continuò a martellare incessantemente le linee italiane.
Il 16,17,18 e 19 febbraio non si segnalarono scontri di rilievo.
Gli inglesi avevano intanto arretrato truppe ed artiglierie. Intendevano
consentire il riposo delle prime,mentre continuavano ad affluire ulteriori
forze britanniche di rincalzo.
Iniziò,sostanzialmente, una fase di stasi operativa. Gli italiani
cercarono di rinforzare le posizioni,
costruendo ripari e muretti. Intanto confluirono alcuni reparti coloniali e di
camicie nere di rinforzo alle nostre truppe, mentre gli inglesi furono
raggiunti da reparti della Francia Libera
e dai commandos palestinesi della
comunità israelitica, giunti dal Cairo.
Cheren:truppe britanniche
Nei bollettini ufficiali nazionali di guerra, veniva riportato
giornalmente “ Sul fronte di Cheren
attività di pattuglie e scambi di artiglierie”.
Gli uomini, però, morivano. Le granate inglesi non mancavano di colpire i
ripari italiani e le perdite erano quotidiane.
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