La terza e conclusiva fase della battaglia di Cheren ebbe inizio alle ore
7 del 15 marzo 1941.
I britannici diedero il via ad un bombardamento terrestre ed aereo sulle
posizioni italiane terrificante. In poche ore sulle nostre truppe piovvero
circa 30.000 granate con un effetto devastante sulle difese e sulle linee di
collegamento. Protette dal fuoco dell’artiglieria le fanterie
inglesi-scozzesi-indiane-francesi avanzarono su tutto il fronte.
Le nostre artiglierie, al comando del colonnello Lamborghini, fecero
prodigi , ma erano notevolmente inferiori rispetto alla potenza di fuoco avversaria.
Gli indiani investirono le posizioni italiane fra il Sanchil e il
Samanna, mentre battaglioni della 5^ divisione tentavano la conquista del monte
Dologorodoc e la Brig ’s
Force cercava di aggirare le posizioni difese dal Gen. Lorenzini.
Nonostante la copertura aerea, l’artiglieria, l’impiego di ingenti masse
di fanteria e le perdite gravissime l’attacco venne fermato dagli italiani che partirono
subito al contrattacco: granatieri, bersaglieri, alpini, carabinieri ed anche
finanzieri si scontrarono in una mischia terribile e sanguinosa.
Nella notte tra il 15 e il 16, però, alcuni reparti anglo-indiani
ripresero l’avanzata e riuscirono a
conquistare le due posizioni chiave del Pinnacle e del Pimple sul massiccio del
Dologorodoc.
Dall’alba del 16 marzo la riconquista della posizione del Dologorodoc divenne
prioritaria per Carnimeo, che lanciò numerosi attacchi con i suoi migliori
reparti.
Il 19 lanciò nel contrattacco gli alpini superstiti del Uork Amba, che fu
sostanzialmente annientato,il 21 gli
uomini del battaglione Toselli,il 23 gli ascari dell’85° battaglione.
Tra il 16 e 26 marzo 1941 Carnimeo lanciò ben otto violenti
contrattacchi, che videro cadere la gran parte degli ufficiali e dei
sottufficiali, compresi i tenenti
colonnelli Barzon e Giordano e i maggiori
Minasi e Agostini.
Ma la perdita più grave, specie per le ripercussioni sul piano psicologico,
si verificò il 17 marzo. Colpito da una granata mentre tentava di riorganizzare
reparti ascari che si erano sbandati sul
rovescio dello Zeban per riportarli al
combattimento, cadde il Gen. Lorenzini. Si concretizzava così una leggenda che
voleva la fine dell’Impero coincidere con la morte del leggendario generale.
Da quel momento iniziò il fenomeno
della diserzione delle truppe indigene.
Cheren: ascari in
ritirata
Ad onore di queste va detto che gli ascari erano indubbiamente razza
guerriera, ottimi combattenti se si trattava di attaccare, ma la guerra di
posizione, sotto i bombardamenti, causava in loro una strana reazione. Si
estraniavano, divenivano quasi degli automi, intontiti e incapaci di battersi,
salvo, poco dopo, rilanciarsi quasi automaticamente nel combattimento.
Un fenomeno analogo, anche se di minor portata, si verificava, in campo britannico, con le truppe indiane, valorose e
ardite,anche se lente, negli attacchi, ma fisicamente meno portate a resistere
alla tensione dei bombardamenti.
Gli italiani erano ormai a corto
di ufficiali e di sottufficiali, in gran parte caduti in combattimento, gli
uomini erano esausti, malnutriti, a corto di munizioni e di acqua. I mitraglieri
raffreddavano le canne delle vecchie mitragliatrici pesanti, molte risalenti
alla Grande Guerra, orinandovi sopra. I più fortunati erano riusciti a
sottrarre ai nemici moderne mitragliatrici leggere e munizionamento che ora
utilizzavano contro i britannici, in aggiunta alle mitragliatrici leggere Breda
già in uso alle nostre truppe.
Il 18 marzo radio Lisbona trasmise un commento “Radio Londra continua a mettere in rilievo l’accanita resistenza
italiana a Cheren, la più tenace resistenza che le truppe imperiali britanniche
abbiano incontrato fino ad ora in Africa. La radio britannica dichiara che la
lotta è asperrima. Gli inglesi si giustificano con le difficoltà naturali del terreno
e con la lontananza delle loro comunicazioni logistiche, ma essi dimenticano
che, in compenso, posseggono una schiacciante superiorità i mezzi e la
supremazia aerea. Si cita l’episodio di un reparto dello Yorkshire che è stato
sottoposto all’assalto delle truppe italiane,ininterrottamente,per oltre cento
ore. Un altro reggimento inglese del Midland,sostenuto da reparti indiani, che
si è dovuto difendere disperatamente all’arma bianca. Il comportamento delle
truppe italiane è oggetto d ammirazione negli stessi ambienti inglesi dove si
rileva che esse sono state insistentemente bersagliate dalla Royal Air Force
nel corso di tutte le azioni che non sono state sufficienti, del resto, a
snidarle dalle loro posizioni”
Alle 4,15 del 25 marzo 1941 nove
battaglioni della 5^ divisione indiana, protetti dal fuoco di oltre 100 cannoni
investirono la stretta di Dongolass.
Alle 8,30, nonostante la rabbiosa, disperata reazione degli italiani gli
anglo –indiani raggiunsero gli obiettivi previsti.
All’alba del 26 marzo Carnimeo lanciò l’ultimo contrattacco nel disperato tentativo di riprendere il Dologorodoc,
ma inutilmente.
La sera del 26 marzo il comando di scacchiere ordinava alle truppe di
ripiegare su Ad Teclesan.
Cheren cadeva la mattina del 27 marzo, ma la lotta proseguiva sulle
posizioni di Ad Teclesan per altri 4 giorni, con l’intervento del 10 reggimento
granatieri che perse nel primo contrattacco il proprio comandante Col.
Borghese.
L’esperienza di Cheren , però, era ormai irripetibile.
truppe anglo-indiane a Cheren
Il 1° di aprile i britannici entravano all’Asmara.
Sul fronte di Cheren gli Italiani avevano perduto oltre 12.000 uomini ed
avuto circa 21.700 feriti ( non vi è conformità sulle perdite da parte delle
diverse fonti).
CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE
Ci si è chiesto come mai gli Italiani dimostrarono nella battaglia di
Cheren una determinazione, un valore e attitudini militari raramente
riscontrate nel corso della seconda guerra mondiale.
Probabilmente una risposta sta nel fatto che le nostre truppe, in quella
circostanza, erano comandate da ufficiali coraggiosi, capaci ed efficienti, che
si scontrarono continuamente con l’inconcludenza e la limitata visione
strategica dei comandi superiori. Comandanti come Carnimeo, Lorenzini
riscuotevano il rispetto dei loro sottoposti ed anche la loro ammirazione.
Comandanti di reparto come Corsi non esitarono a porsi a capo dei loro uomini
nei contrattacchi. Gli ufficiali subalterni, comandanti di battaglione, di
compagnia e di plotone combatterono e morirono a fianco dei soldati da loro
comandati. Vi furono rarissimi episodi
di vigliaccheria, del tutto marginali. Gli Italiani, dimostrarono,in quella
circostanza, che pur peggio armati ed
equipaggiati, se ben comandati potevano stupire con il loro valore un avversario certamente severo nelle
valutazioni, come quello britannico.
A tutto questo si aggiunga il fatto che gli Italiani erano certamente
consapevoli che quella fosse l’ultima spiaggia dell’Impero e la storia ci ha
insegnato che nei momenti più disperati le nostre truppe hanno offerto il
meglio.
Ancora non mancava la consapevolezza che nessun aiuto sarebbe mai giunto
dalla madre patria e che in quei giorni gli occhi del mondo in guerra erano
puntati su quello scontro immane.
La violenza degli scontri, la durata della battaglia, la consapevolezza
condivisa di una funzione superiore della quale i nostri soldati si sentirono
investiti, cementarono un forte senso di appartenenza e di corpo, al punto di portare uomini laceri, affamati,
stracciati, ridotti a larve a battersi con coraggio smisurato e valore contro truppe
eccellenti e costantemente rinforzate da reparti freschi.
Raramente agli Italiani fu tributato
l’onore che ad essi fu riconosciuto dal nemico britannico durante e dopo quella
battaglia. Forse solo ad El Alamein agli Italiani fu riconosciuto il valore che
dimostrarono sul campo di battaglia.
Il sacrifico ed il coraggio degli uomini che si batterono sul fronte di
Cheren riscattò le sconfitte, non di rado dovute a incapacità dei comandi, e le
umiliazioni subite dalle nostre truppe nel corso dei tre anni della seconda
guerra mondiale.
Altrettanto deve dirsi dei nostri nemici in quella occasione. Gli
anglo-indiani si batterono con valore e lasciarono sul campo migliaia i uomini.
Il 7 aprile 1941 W. Churchill scriveva al viceré dell’India “ Tutto l’impero è commosso per l’impresa
delle truppe indiane in Eritrea. In me, il racconto dell’entusiasmo e della
tenacia con cui esse hanno scalato e alla fine conquistato le ripide alture di
Cheren risuscita il ricordo della frontiera Nord-occidentale di molti anni or
sono. Come soldato che ha avuto l’onore di servire sul campo con soldati
indiani provenienti da ogni parte dell’Indostan, come pure in nome del Governo
di Sua Maestà ,chiedo a Vs. Eccellenza di comunicare ad esse e all’intero
esercito indiano l’orgoglio e l’ammirazione con cui abbiamo seguito le loro
eroiche gesta”.
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