Nel quadro degli studi per la Guerra di Liberazione, intesa come una guerra su cinque fronti, si è dato mano ad una bozza di ricerca riguardante il tema in titolo. Questa ricerca è essenziale per comprendere quello che consideriamo il II Fronte della guerra di Liberazione, cioè il movimento ribellistico, o "partigiano" che si è sviluppato nel Nord Italia. Sono quattro note, naturalmente da rivedere ed integrare. ( Per contatti: ricerca23@libero.it)
I
Prima di analizzare gli aspetti rigaurdanti il
secondo fronte, ovvero la guerra partigiana condotta nel Nord Italia, occorre
fare una riflessione su come la
Germania , e di conseguenza, i Nazisti, affrontarono e
considerarono, soprattutto da un punto di vista dottrinale e concettuale, quello
che nell’anteguerra si chiamata “guerra per bande” o “guerriglia”, e che poi
nel secondo dopoguerra assurse al nome di “movimenti di Resistenza”.[1]
E’ fondamentale questo passaggio per capire come mai
i tedeschi in generale, ed i nazisti in particolare, si crearono così tanti
nemici non in divisa, in tutti i paesi che occuparono e comprender eperchè non
riuscirono, nonostante i vari governi collaborazionisti, a neutralizzare o
ridurre al minimo i fenomeni di ribellione, fenomeni che sempre is manifestano
quando di attua un regime di occupazione militare di territori di Stati
militarmente sconfitti in battaglia o in guerra. E’ un aspetto che riserva
molte sorprese ed è poco studiato.[2]
Qui si può fare solo un accenno ai rapporti tra gli occupanti tedeschi, le
popolazioni occupate, i movimenti di resistenza ed i collaborazionisti. Mentre,
ad oltre 60 anni dalla fine della seconda guerra mondiale, vi è una vasta
prodruzione scientifico-letteraria sugli eventi della guerra di liberazione, che
hanno studiato a fondo gli aspetti della lotta partigiana, lo sfruttamento, le
atrocità, le violenze, i soprusi che hanno punteggiato la occupazione sia
nazista che giapponese, e le vicende connesse con l’attività parallela dei
collaborazionisti, poco o nulla è stato approfondito 3 studiato su come era
organizzata l’attività repressiva germanica, quale evoluzione ha avuto nel
corso della guerra, anche frutto delle esperienze acquisite sul campo, quale
funzione avessero al suo interno le violenze, le rappresaglie, le atrocità, che
necessariamente non erano fine a se stesse, almeno in linea di principio.
E’ evidente che non può essere accettato il semplice
fatto che i Tedeschi adottassero questi sistemi di violenza, ricorrendo ad ogni
sorta di crudeltà verso le popolazioni occupate e sostanzialmente inermi, non
solo in Italia ma in tutta Europa compresa la Russia perche “cattivi” o ubbidienti ciecamente
ad un “pazzo”. Troppo semplicistico e superficiale. I Tedeschi così
rappresentati non possono essere “veri” ed il loro regime di occupazione
sostanzialmente un brutto periodo da dimenticar ein fretta.
Questa
percezione è da respingere perché non è ipotizzabile pensare all’apparato
poliziesco- repressivo germanico-nazista come semplicemente una formidabile
macchina di violenza ed atrocità, a cui si contrappone in modo statico e,
spesso nelle rievocazioni degli ultimi decenni, apologetico apparato
partigiano, tutto virtù ed idealità, teso alla vittoria del bene sul male.
Questo approccio sottovaluta e sottostima la capacità reattiva, di elaborazione
dottrinale, di evoluzione dell’impiego delle forze, e, in sintesi, della
capacità innovativa della lotta antipartigiana nazista. Perché se si accetta
questo ne discende , in definitiva, che tutti i movimenti partigiani siano
sottostimati e, in pratica, li si denigri nella sostanza, non riconoscendone i
meriti.
E’ necessario, quindi, riproporre un quadro dinamico
e e dialettico della azione condotta dai protagonisti della Guerra di
Liberazione, soprattutto quelli che hanno dato vita al movimento partigiano,
che noi consideriamo come Secondo Fronte. Questo anche al fine di sottolineare,
ancora una volta, che il movimento partigiano non è stato condotto da una sola
parte ma da tutte quelle componenti, politiche e non politiche della nostra società
che non accettavano imposizioni, violenze e quant’altro i Tedeschi imponevano.
Ed ancor più per sottolineare con maggiore energia
le varie categorie di lacerazioni che l’occupazione tedesca ha prodotto, e
quale portata politico-sociale, economica, religiosa abbiano avuto i successi
del movimento partigiano.
Questo approccio, di studiare l’azione tedesca in
regime di occupazione, può aiutare ancor di più a comprendere come nella
mentalità, nelle scelte, nella essenza della ideologia nazista, si può trovare
la impossibilità di avere un qualsivoglia rapporto positivo ed ottimale con le
popolazioni occupate. E, conseguentemente, trarre le conseguenze del caso in
termini di adesione, di consenso e di aiuto da parte delle popolazioni al
movimento di partigiano, al distacco e all’allantonamento dalle proposte
germaniche e collaborazionistiche e, in termini più ampi, per alcuni di
apologia, di rimpianto, e di negazionismo più o meno esteso.
[1] Molti esempi possono
essere fatti in questa materia, riandando indietro nel tempo. Basti ricordare
la guerriglia condotta dagli Spagnoli contor le truppe Napoleoniche, che
praticamente furono messe in condizione di non poter controllare appieno il
territorio per lumghi periodi. Questa esperienza diede vita poi a teorizzazioni
anche di alto livello. Si può citare il celebre volume di Giuseppe Mazzini “La Guerra per bande” ecc.
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