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giovedì 9 maggio 2013

I L’approccio della Germania nei confronti della guerriglia ed alla guerra per bande



Nel quadro degli studi per la Guerra di Liberazione, intesa come una guerra su cinque fronti, si è dato mano ad una bozza di ricerca riguardante il tema in titolo. Questa ricerca è essenziale per comprendere  quello che consideriamo il II Fronte della guerra di Liberazione, cioè il movimento ribellistico, o "partigiano" che si è sviluppato nel Nord Italia. Sono quattro note, naturalmente da rivedere ed integrare. ( Per contatti: ricerca23@libero.it)

I

Prima di analizzare gli aspetti rigaurdanti il secondo fronte, ovvero la guerra partigiana condotta nel Nord Italia, occorre fare una riflessione su come la Germania, e di conseguenza, i Nazisti, affrontarono e considerarono, soprattutto da un punto di vista dottrinale e concettuale, quello che nell’anteguerra si chiamata “guerra per bande” o “guerriglia”, e che poi nel secondo dopoguerra assurse al nome di “movimenti di Resistenza”.[1]
E’ fondamentale questo passaggio per capire come mai i tedeschi in generale, ed i nazisti in particolare, si crearono così tanti nemici non in divisa, in tutti i paesi che occuparono e comprender eperchè non riuscirono, nonostante i vari governi collaborazionisti, a neutralizzare o ridurre al minimo i fenomeni di ribellione, fenomeni che sempre is manifestano quando di attua un regime di occupazione militare di territori di Stati militarmente sconfitti in battaglia o in guerra. E’ un aspetto che riserva molte sorprese ed è poco studiato.[2] Qui si può fare solo un accenno ai rapporti tra gli occupanti tedeschi, le popolazioni occupate, i movimenti di resistenza ed i collaborazionisti. Mentre, ad oltre 60 anni dalla fine della seconda guerra mondiale, vi è una vasta prodruzione scientifico-letteraria sugli eventi della guerra di liberazione, che hanno studiato a fondo gli aspetti della lotta partigiana, lo sfruttamento, le atrocità, le violenze, i soprusi che hanno punteggiato la occupazione sia nazista che giapponese, e le vicende connesse con l’attività parallela dei collaborazionisti, poco o nulla è stato approfondito 3 studiato su come era organizzata l’attività repressiva germanica, quale evoluzione ha avuto nel corso della guerra, anche frutto delle esperienze acquisite sul campo, quale funzione avessero al suo interno le violenze, le rappresaglie, le atrocità, che necessariamente non erano fine a se stesse, almeno in linea di principio.
E’ evidente che non può essere accettato il semplice fatto che i Tedeschi adottassero questi sistemi di violenza, ricorrendo ad ogni sorta di crudeltà verso le popolazioni occupate e sostanzialmente inermi, non solo in Italia ma in tutta Europa compresa la Russia perche “cattivi” o ubbidienti ciecamente ad un “pazzo”. Troppo semplicistico e superficiale. I Tedeschi così rappresentati non possono essere “veri” ed il loro regime di occupazione sostanzialmente un brutto periodo da dimenticar ein fretta.
 Questa percezione è da respingere perché non è ipotizzabile pensare all’apparato poliziesco- repressivo germanico-nazista come semplicemente una formidabile macchina di violenza ed atrocità, a cui si contrappone in modo statico e, spesso nelle rievocazioni degli ultimi decenni, apologetico apparato partigiano, tutto virtù ed idealità, teso alla vittoria del bene sul male. Questo approccio sottovaluta e sottostima la capacità reattiva, di elaborazione dottrinale, di evoluzione dell’impiego delle forze, e, in sintesi, della capacità innovativa della lotta antipartigiana nazista. Perché se si accetta questo ne discende , in definitiva, che tutti i movimenti partigiani siano sottostimati e, in pratica, li si denigri nella sostanza, non riconoscendone i meriti.
E’ necessario, quindi, riproporre un quadro dinamico e e dialettico della azione condotta dai protagonisti della Guerra di Liberazione, soprattutto quelli che hanno dato vita al movimento partigiano, che noi consideriamo come Secondo Fronte. Questo anche al fine di sottolineare, ancora una volta, che il movimento partigiano non è stato condotto da una sola parte ma da tutte quelle componenti, politiche e non politiche della nostra società che non accettavano imposizioni, violenze e quant’altro i Tedeschi imponevano.
Ed ancor più per sottolineare con maggiore energia le varie categorie di lacerazioni che l’occupazione tedesca ha prodotto, e quale portata politico-sociale, economica, religiosa abbiano avuto i successi del movimento partigiano.
Questo approccio, di studiare l’azione tedesca in regime di occupazione, può aiutare ancor di più a comprendere come nella mentalità, nelle scelte, nella essenza della ideologia nazista, si può trovare la impossibilità di avere un qualsivoglia rapporto positivo ed ottimale con le popolazioni occupate. E, conseguentemente, trarre le conseguenze del caso in termini di adesione, di consenso e di aiuto da parte delle popolazioni al movimento di partigiano, al distacco e all’allantonamento dalle proposte germaniche e collaborazionistiche e, in termini più ampi, per alcuni di apologia, di rimpianto, e di negazionismo più o meno esteso.



[1] Molti esempi possono essere fatti in questa materia, riandando indietro nel tempo. Basti ricordare la guerriglia condotta dagli Spagnoli contor le truppe Napoleoniche, che praticamente furono messe in condizione di non poter controllare appieno il territorio per lumghi periodi. Questa esperienza diede vita poi a teorizzazioni anche di alto livello. Si può citare il celebre volume di Giuseppe Mazzini “La Guerra per bande” ecc.
[2]

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