OCCASIONAL PAPERS N. 3
L’avvenimento scelto. La spedizione nelle Marche Settembre 1860.
L’avvenimento scelto è la spedizione nelle Marche del settembre 1860 da parte delle forze sarde al Comando del Generale Manfredo Fanti. Come appare subito evidente è una parte ridotta di un grande quadro. Il quadro generale è composto dagli avvenimenti del 1859 e 1860, i noti e indimenticabili “anni mirabilis” durante il quale si forma e si attua l’unità dell’Italia sotto Casa Savoia. Dal punto di vista della ricostruzione militare sono veramente interessanti. Tutta la campagna del 1859, la sua fine improvvisa, il momento di stasi seguito alle dimissioni del Cavour, il suo ritorno, la spedizione dei Mille in Sicilia e gli avvenimenti nelle marche e nell’Umbria con la presa di Ancona, la battaglia del Volturno e l’incontro a Taverna Catena tra Vittorio Emanuele II e Giuseppe Garibaldi, vicino Teano con i plebisciti, sono i fatti salienti di questi anni straordinari. Volere applicare in modo approfondito un solo punto,anche in maniera ridotta, del Metodo Storico a questi avvenimenti avrebbe prodotto un volume troppo “pesante” con il rischio di fallire l’intento. E’ stato quindi necessario ridurre ad un segmento particolare questi avvenimenti.
Si è scelto la spedizione nelle marche nel settembre 1860, con accenni necessari diretti ed indiretti alle concomitanti operazioni in Umbria.
La spedizione nelle Marche è la diretta conseguenza dell’iniziativa garibaldina che va sotto il nome di spedizione dei 1000[1]. Il 5 maggio 1860, 1085 Garibaldini salparono da Quarto, vicino Genova, con direzione la Sicilia; sbarcati a Marsala l’11 e sconfitte le truppe borboniche a Calatafimi il 15, con tappe molto ravvicina, coinvolgendo la popolazione conquistarono in breve tutta la Sicilia, e, ai primi di settembre, passato lo stretto di Messina, risalirono la CAlabria giugendo con le avanguardie Napoli, ove Garibaldi il 7 settembre fece il suo ingresso trionfale.
Di fronte a questa situazione, Cavour, da sempre contrario all’impresa, che inizialmente cercò di ostacolare ed impedire, promosse un movimento inserruzionale controllato dai moderati a Napoli in funzione antigaribaldina ed anti mazziniana, che fallì. Di fronte al pericolo di una costituzione di una Repubblica ad impronta democratica a Napoli, Cavour decise[2] di far intervenire l’esercito sardo, col triplice scopo di occupar e le due provincie pontificie ed avere quindi la possibilità di scendere a sud, bloccare ogni possibile sviluppo del’iniziativa democratica che aveva preso slancio dai successi di Garibaldi e consolidare definitivamente le stesse conquista garibaldine inevitabilmente esposte alla reazione e riscossa del re di Napoli.
Si passava alla guerra. Nella stesura del piano operativo, ove subito si accantonò l’idea di inviare truppe al sud via mare, si scelse l’opzione di occupare l’Umbria e le Marche, soprattutto Ancona, che permetteva di avere una base navale in Adriatico. Fanti ricevette il Comando della spedizione. Le truppe destinate all’invasione furono ordinate su due Corpi d’Arma a, il IV, messo la Comando del generale Cialdini,raccolto intorno a Rimini ed il V, messo al comando del generale Morozzo della Rocca, raccolto nell’area Arezzo San Sepolcro.
Le forze d’invasione consistevano in 35.000 ordinati in 5 Divisioni, con 78 cannoni da campagna, di cui 33.000 come Fanteria e 2500 come Cavalleria
Il IV Corpo d’Armata ave a la 4a Divisone ( al comando del generale Pes di Villamarina) la 7a Divisione (al comando del generale Leotardi) e la 13a divisione (al comando del generale Cadorna); Il V Corpo d’Armata aveva la 1a Divisone (al comando del generale de Sonnaz) e la divisione di riserva ( al comando del generale de Savoiroux)
A queste forze si affiancavano le forze volontarie, come la Colonna Masi, composta per la maggior parte da esuli romani, i Cacciatori delle Marche, che operarono nel fermano, ed altre formazioni minori di patrioti che operarono nell’alto Montefeltro.
La flotta sarda, al comando dell’Ammiraglio Carlo Pellion di Persano, doveva cooperare con le forze di terra ed entro in Adriatico il 15 settembre.
La raccomandazione del Cavour a Fanti era chiara “condurre le operazioni militari in guisa da evitare ogni apparenza di collisione colle truppe francesi” e di comportarsi in modo “che la nostra condotta sia tale, da poter essere sempre giustificata se non presso la diplomazia, almeno presso l’opinione pubblica”
Le forze pontificie erano al comando del generale De La Moricière, ed assommavano a circa 16.000 uomini; molto composita la provenienza di questi uomini, solo un quarto provenivano dalla provincie della Chiesa, ovvero erano italiani, denominati “indigeni”, il rimanente erano francese, belgi, svizzeri, austriaci, irlandesi austriaci e tedeschi. Il grosso dell’esercito pontificio del 1860 era composto da Fanteria, principalmente di linea, con specialità bersaglieri, tiragliatori e volteggiatori; carente l’artiglieria da campagna, che assommava a 30 pezzi operativi, e la cavalleria, non più di 500 uomini, compresi i Gendarmi a cavallo. La qualità di queste forze era carente per il fatto che avevano avuto un addestramento mirato al controllo del territorio ed antiribellione più che ad affrontare situazione, come si diceva allora “di campagna”
Erano ordinate su quattro brigate, con Quartier Generale a Spoleto. La 2a Brigata (al comando de generale de Pimodan) era a Terni; al 1a Brigata ( al comando del generale Schmidt) a Foligno; la Brigata di Riserva ( al comando del gen. Cropt) a Spoleto e la 3a brigata ( al comando del generale de Courthen) a Macerata. Inoltre le principali piazzeforti ( Roma e Ancona) e quelle minori (Pesaro, Fano, Orvieto, Viterbo, Spoleto, Paliano, Civitacastellana) erano occupate dalle rispettive guarnigioni.
Anche i pontifici avevano le loro forze volontarie: una colonna nell’ascolano al comando del cap. Chevignè ed una colonna anch’essa irregolare fra Frosinone e Velletri al comando del ten.col. Mortillet.[3]
L’11 settembre 1860 la campagna ebbe inizio. In contemporanea si svilupparono azioni sulle due direttrici, quella umbra e quella marchigiana: Morozzo della Rocca occupò subito Città di castello e Cialdini, passato il confine alla Cattolica, investì subito Pesaro e subito dopo Fano, mentre la 13a Divisione, che operava anche come collegamento tra i due Corpi d’Arma avanzando lungo la dorsale appennica, occupava Fossombrone.
Il 13 settembre sempre la 13a Divisione occupava Gubbio; contemporaneamente la 1a Divisione investiva Perugia, che fu occupata il 14 sera.
Cialdini, superata Fano raggiunse la sera del 14 Senigallia.
Il 15 settembre Morozzo della Rocca raggiunse Foligno e inviò una colonna al comando del generale Brignone verso Spoleto che fu conquistata il 17, e proseguì verso Terni, Narni, Rieti raggiunte nei giorni successivi. Con queste occupazioni il controllo della strada proveniente da Roma era assicurato, consentendo l’accesso al meridione attraverso l’Aquila. Già dalla giornata del 18 settembre il Comando sardo aveva la via aperta verso sud; questo è estremamente importante per comprendere nella loro reale dimensione i fatti che si stavano svolgendo in contemporanea nelle Marche.
Cialdini il 15 settembre, onde evitare di avvicinarsi troppo sotto le mura della piazzaforte di Ancona, da Senigallia prese la strada dell’interno ed attraverso Jesi, Torre di Jesi, e raggiungendo Osimo il 16, dando origine a quella manovra di interposizione volta ad intercettare in campo aperto le forze pontificie in movimento dall’Umbria verso Ancona. Il giorno successivo occupò la dorsale da Osimo verso il Mare con a destra la vallata del fiume Musone, occupando Castelfidardo e le Crocette, ovvero controllando la strada postale Roma Ancona
Il De La Moricière, colto alla sprovvista da questa invasione da nord, l’11 settembre è costretto a rivoluzionar ei suoi piani. Perde due giorni in preparativi, poi tutte le forze operative, circa 8500, vengono indirizzate verso Ancona. L’intento principale e quello di rinchiudersi nella piazzaforte dorica, resistere il tempo necessari per far intervenire le Potenze amiche della Santa sede, soprattutto l’Austria. Alle 24 del 12 settembre le truppe pontificie in Umbria iniziarono il movimento verso Ancona: la Brigata Cropt da Foligno via Colfiorito per Serravalle, la Brigata de Pimodan da Terni a Spoleto. Alla sera del 13 la Brigata Cropt era a Serravalle mentre quella de Pimodan raggiungeva Foligno e si apprestava il girono successivo a passare gli Appennini sempre per il passo di Colfiorito. Nel prosieguo le forze pontificie raggiunsero prima Macerata e poi il 16 settembre Loreto, ove tutte si riunirono nella giornata del 17. [4]
La situazione tattica alla sera del 17 settembre riferita alle marche era la seguente:
Il IV Corpo d’Armata era attestato sulla Dorsale Osimo Castelfidardo – Crocette fino al mare, e sbarrava la strada per Ancona; aveva forze orientate verso Nord, cioè verso Ancona; di fronte aveva sulla dorsale Recanati-Loreto fino al mare le forze Pontificie.
Queste, riunitesi tutte a Loreto avevano come scopo il raggiungimento di Ancona e dovettero per questo dare battaglia.
Il piano del de La Moricière fu brillante nella concezione ma eseguito male.
Il 18 settembre scesero da Loreto e diedero battaglia alle forze contrapposte sarde: è lo scontro detto di Castelfidardo del 18 settembre in cui furono sconfitte. Il giorno dopo, 19 settembre, quelli che si erano ritirati a Loreto, si arresero al Cialdini; ad Ancona arrivarono non più di 100-150 uomini, compreso il comandante in Capo generale de La Moricière.[5]
Tra il 20 ed il 22 settembre Morozzo della Rocca, che già dal 17 aveva iniziato a dirigersi su Ancona dall’Umbria sempre attraverso il passo di Colfiorito, però attivamente tra Macerata ed Ascoli reprimendo su ordine di Fanti alcuni tentativi di rivolta sanfedista nelle campagne.[6]
Pur avendo libera la strada verso il sud, tutte le forze sarde furono radunate e lanciate all’investimento di Ancona. Il piano fu elaborato dal Fanti dopo una ricognizione lungo la costa svolta a bordo di una nave della squadra navale. L’offensiva principale sarebbe stata lanciata sulla destra, in prossimità del mare, dal V Corpo d’Armata, mentre il IV avrebbe operato sulla sinistra e la Squadra Navale avrebbe bombardato energicamente il fronte marittimo della Piazza. Le operazioni contro Ancona dovevano essere brevi in quanto un lungo assedio sarebbe stato “inopportuno per ragioni politiche”[7]
L’investimento della piazzaforte ebbe inizio il 23 settembre con la dichiarazione del blocco navale, il 24 le truppe sarde serrano sotto; in una mattinata furono conquistate Pietralacroce, Monte Polito e Monte Pelago in virtù di una viguorsa azione delle truppe del della Rocca che iniziaroo a scendere lungo la valle degli Orti; il 26 settembre cadde il Borgo Pio ed il giorno successivo il Lazzaretto. Il 28 settembre le forze di terra erano in grado di dare l’assalto finale con la scalata delle mura; l’azione della flotta contro il forte della Lanterna, che saltò in aria, fece crollare tutta la difesa a mare.
A questo punto il De La Moricière, che aveva resisto per oltre dieci giorni in Ancona in attesa dell’arrivo delle forze austriache, avendo tutte le comunicazioni funzionanti comprese che era stato abbandonato a se stesso e decise di arrendersi. La resa fu firmata il 29 settembre.[8]
Il bilancio della campagna era positivo in ogni suo aspetto:in 18 giorni le truppe sarde avevano conquistato 5 città murate, 2 roccaforti ed una piazzaforte come Ancona,oltre ad avere disperso in campo aperto tutte le forze operative pontificie
Questo il segmento del quadro generale che si propone per l’applicazione, ancorché parziale delpunto del Metodo Storico prescelto.
(tratto da Massimo Coltrinari, Cialdini era in Osimo. Riflessioni sul settembre 1860 nelle Marche. Personaggi, Operazioni. Piani, di prossima pubblicazione.)
Per gentile concessione della Società Editrice Nuova Cultura
[1] Nel 1985 si tenne a Castelfidardo un convegno dedicato a questo avvenimento
[2] Già il 3 agosto 1860 Cavour aveva percepito il pericolo che si andava profilando a Napoli, scrivendo all’ammiraglio Persano: “Onde impedire che la rivoluzione si estenda sul nostro Regno, non avvi ormai che un mezzo solo; renderci padroni senza indugio dell’Umbria e delle Marche” Cfr. Barbieri A., 1860. Il generale Manfredo Fanti” in Rivista Militare, 1960, ‘ag. 365-376
[3] Per dettagli sulle forze pontifici vds Coltrinari M., Le forze armate pontificie a Castelfidardo. 18 settembre 1860, Castelfidardo, Associazione Italia Nostra, 1984
[4] Per dettagli su questi movimenti vds Coltrinari M., Le manovre che determinarono la battaglia di Castelfidardo. 11-17 settembre 1860, Castelfidardo, Associazione Italia Nostra, 1990
[5]Cfr., Coltrinari M., Il combattimento di Loreto, detto di Castelfidardo, Roma, Edizioni Nuova Cultura Università La Sapienza , 2009; Bonci G., Il combattimento di Castelfidardo. 18 settembre 1860..in. “Il Secondo Risorgimento d’Italia n. 1 2010
Poggi A., , La Giornata di Castelfidardo. Biblioteca “L.Radoni”, in “Il Secondo Risorgimento d’Italia n. 1 2010
[6]“Ben si scorgeva nella vigorosa mano che reprimeva si tosto i germi di una guerra civile, quel tratto sicuro e quella pronta risolutezza che in cotal genere di cose aveva il fanti potuto procacciarsi nelle lunghe guerre combattute nella Spagna”. Cfr. Carandini F., Manfredo Fanti generale d’armata, Verona, 1872
[7] Candeloro G., Storia dell’Italia Moderna, Milano, Feltrinelli, 1958-1968, Volume IV (1849-1860), pag. 496
[8] Cfr.,Coltrinari,M., L’investimento e la presa di Ancona. La conclusione della campagna di annessione delle Marche 20 settembre – 8 ottobre 1860, Roma, Edizioni Nuova Cultura Università La Sapienza , 2010
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