L’ 8 settembre visto da
un allievo del’Accademia Navale di Livorno
Sergio Benedetto
Sabetta
Quanto
riportato di seguito è tratto dalla lettera spedita nel 1944 dall’allievo di
ruolo del II anno Giuseppe Andreatta al padre Comandante Ernani Antonio,
internato in Tailandia con l’equipaggio della motonave “Sumatra”,
autoaffondatasi nel 1941.
Dal testo
emerge chiaramente la sorpresa, lo smarrimento sia degli allievi che dei loro
ufficiali istruttori alla improvvisa notizia dell’armistizio all’alba dell’8
settembre 1943, con le conseguenti indecisioni, ma nonostante tutto si cerca di
riorganizzarsi con la decisione dell’Alto Comando della Regia Accademia Navale
di continuare i corsi nonostante la perplessità degli allievi:
“… Spuntava l’alba dell’8 settembre e le due
navi (“Vespucci” e “Colombo”) si preparavano ad una delle solite uscite della
durata di 12 ore nel Golfo di Trieste, per dare modo a noi allievi di imparare
qualcosa sull’arte del veleggiare, quando improvvisamente giunse l’ordine di
sospendere ogni movimento. Le domande più disparate si incrociavano alle più
impensate risposte, le opinioni più strambe si alternavano alle discussioni più
assurde. Verso le 14, giunse l’ordine di salpare per destinazione ignota. Alle
16 lentamente e maestosamente le due navi una dietro l’altra lasciavano il
porto e dirigevano su Pola. La velocità non era molto elevata, sei nodi, il
mare e il tempo magnifici: una tonda Luna illuminava le acque e dava a tutto il
paesaggio un aspetto meraviglioso.
Tutte le navi che si trovavano nel porto al più presto
cercarono di salpare e di dirigere verso sud. Ci passarono dinanzi il
“Saturnia” e il “Giulio Cesare” e altri mercantili. Alle 2, il Comandante della
nave diede a tutti la notizia dell’armistizio accolto dai marinai con segni di
giubilo, da noi con un senso di penoso scoramento. Mi trovavo di vedetta sulla
“coffa di trinchetto” e la notizia mi fece una impressione enorme: la guerra
inevitabilmente perduta, tutte le nostre aspirazioni, i nostri sogni, il nostro
futuro distrutto.
La vita cominciava a darmi i primi colpi: fulminea,
istantanea sorse in me l’idea che ormai non c’era più niente da fare, che la
mia carriera era distrutta e impossibile: non mi restava che dare le dimissioni
non appena fossimo giunti a destinazione. Ma le cose non erano così semplici:
il destino ci attendeva al varco per divertirsi. E così fu. Da allora tutta la
mia vita non è stata che una beffa ironica.
Giungemmo a Pola alle 2 di notte del 9 settembre ed ivi
restammo sino alla mattina per far viveri. Verso le 9, un aereo tedesco ci
sorvolò senza dar segno di aggressione, la corazzata “Giulio Cesare” si
preparava a partire. Interrompemmo i rifornimenti e salpammo alla volta di
Lussino. La nostra odissea che doveva durare sei giorni era cominciata: le
condizioni atmosferiche erano sempre ottime e tutti noi presi dalla bellezza
della navigazione tra quelle isole di sogno vivevamo inconsci del pericolo che
da ogni parte ci poteva sovrastare.
Intanto la radio annunciava le prime notizie: i tedeschi
si impadronivano dell’Italia, i soldati italiani si consegnavano spontaneamente
credendo che presto sarebbero andati a casa, altri se ne andavano direttamente,
la disorganizzazione più completa regnava ovunque. Peggio di così un armistizio
non si poteva fare. Gli alleati di ieri sono i nemici di oggi: abbiamo tradito
i tedeschi e non ci restava che consegnarci agli ex
nemici. Così pensavano gli alti comandi e così
tentarono di fare: gran parte di noi allievi non la pensava così: le
discussioni si accendevano, i partiti si formavano, gli equipaggi borbottavano.
A bordo del “Vespucci” sorse qualche disordine, sul “Colombo” la calma era
relativa. Tutta l’Italia era in fiamme.
A Lussino non c’è acqua, non ci si può fermare e dopo
lunghi giri dinanzi all’isola si prende l’alto mare e si dirige per sud. Sono
in plancia, al brogliaccio intercetto per caso una cifratura di un
dispaccio ricevuto in quel momento
“Dirigere su Cattaro alt – rotta d’altura – alt”: così diceva il cifrato si
avvista una motovedetta tedesca che fortunatamente scompare quanto prima
all’orizzonte. La sagoma di un sommergibile ci fa rabbrividire tutti per un
istante ma anche questa scompare. La fortuna ci assiste e ci assisterà in un
modo sfacciato. Credo che le uniche armi a bordo fossero stati i moschetti del
picchetto. La magnifica alberatura della quale le due navi andavano fiere
diventava ora immensamente pericolosa. “Scroccammo” i “controvelacci” e
disalberammo gli alberetti per diminuire un poco la visibilità. Il mare era
sempre calmissimo ed il tempo stupendo.
All’altezza di Cattaro, ricevemmo una comunicazione la
quale diceva che in quella località si trovavano i tedeschi: aggiungeva tra
l’altro di non comunicare più con nessuno e di non fare affidamento su alcuna
trasmissione. Eravamo dunque soli in mezzo all’Adriatico nell’impossibilità di
comunicare: radio Roma aveva cessato di trasmettere. I viveri non erano molto
abbondanti ma più che sufficienti, l’acqua scarsa, il combustibile abbondante,
le macchine erano una incognita. Si inverte la rotta, poi si accosta di 90° e
si dirige per Ovest, indi si decide, o meglio, i Comandanti decidono
inconsciamente di ritornare verso Nord a Venezia, dato che hanno saputo che
quella città è ancora libera e resiste ai tedeschi. Ma di preciso non si sa
niente, soltanto che queste due “antiche caravelle” cariche di allievi si
trovano in completa balia del destino. E questo fu fin troppo benevolo dato che
ne abusammo più di quello che non fosse necessario.
All’altezza del Po, incontrammo un peschereccio che
scappava da Venezia poiché la città stava per essere presa dai tedeschi: “Invertite
la rotta! I tedeschi hanno già preso il porto e l’idroscalo; la motonave
“Saturnia” dopo aver preso a bordo gli allievi (erano questi gli allievi o
meglio i concorrenti del primo corso che si trovavano a Venezia per sostenere
gli esami di concorso) è partita verso il Sud!” così dicevano i pescatori.
E per l’ennesima volta cambiammo rotta: la calma
incomincia a mancare, i nervi si tendono sempre più, la paura che la fortuna ci
abbandoni diventa sempre maggiore; basterebbe un aereo con due bombe per
spacciarci. Decidono allora di puntare su Ancona per vedere s quella zona era
ancora libera ma ben presto si ritorna sopra su quella decisione per invertire
la rotta ancora una volta allo scopo di dirigere alle foci del Po: quivi le
navi sarebbero andate in secca e ognuno sarebbe andato per i fatti suoi:
l’incoscienza del comando era massima.
Poco più sopra di Ancona, il grido di una vedetta ci fa
sussultare: “ Sommergibile a dritta!” Infatti una torretta, coronata da due
poderosi baffi bianchi a prora, veniva verso di noi con rotta di collisione.
Per un momento la sensazione che tutto era finito, che la nostra odissea sarebbe
terminata tragicamente aleggiò su tutti noi; se non che, le precisazioni del
Comandante che assicurò, dopo aver scrutato attraverso il cannocchiale, che la
bandiera risultava nazionale, risollevò d’un colpo gli spiriti. Si trattava
infatti del sommergibile “Ametiste” che
anch’esso come noi girovagava per l’Adriatico in cerca di un asilo sicuro.
Breve intervista tra i comandanti e, per un’ ultima volta, si inverte la rotta: la meta è
rappresentata dalle isole Tremiti, sotto il Gargano, dove sembra che non ci
siano tedeschi. Considerando però che queste isole erano sotto la diretta
minaccia degli aerei di base a Foggia, poco distante per via aria, decidono
alla fine di dirigere su Brindisi. All’altezza di questa località due corvette
italiane ci vengono a prendere; ansimando le due navi si accingono all’ultima
fatica, ma la macchina del “Colombo” non resiste e con un profondo sospiro
seguito da uno schianto metallico si arresta.
Per
fortuna, ci sono i motori ausiliari che permettono di continuare. Dopo sei giorni
di vicissitudini, di cielo e di mare, di timori e di speranze, di notti passate
in coperta, finalmente un poco di riposo e di quiete.
A Brindisi troviamo sia gli allievi della 1° e 3° classe
che erano fuggiti da Venezia sulla motonave “Saturnia” assieme a tutti
professori e al personale dell’Accademia. … “
Da : Memorie
di guerra e di naufragi, 53 -55, in E. Andreatta, C. Gatti, B. Malatesta, B.
Sacella, P. Schiaffino, Le storie nella scia. Tutti hanno il loro mare,
Tipografia Meca, Recco, 2022.
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