Il contributo dato dall’8^ Armata alle Grandi Unità germaniche impegnate nella battaglia sul “Volga” non fu solamente indiretto, con l’allontanamento di 3 divisioni tedesche, ma fu anche diretto, con la partecipazione delle unità italiane anche rinforzando il settore confinante con l’ala sinistra della 3^ Armata rumena. Nella seconda metà di novembre, come detto, lo schieramento sovietico diventava sempre meno difensivo.
Il comando dell’8^ Armata poté rinforzare lo schieramento del II C.A. solo con un paio di gruppi d’artiglieria e una compagnia di genieri. Il comando tedesco che doveva provvedere a rafforzare il Gruppo Armate del Don, appena costituito per ricostituire la continuità della linea tra il Don e Stalingrado, era in gravi difficoltà per carenza di forze, e solo quando fu evidente il pericolo che proveniva dalla direttrice operativa del Bucigar (Area di Responsabilità del II C.A.). Il 9 dicembre veniva inserito, nel fronte della Div. Cosseria, il 318° rgt. Panzergranadier, reparto d’istruzione e di non elevata efficienza operativa.
Tra il 9 ed il 10 dicembre giungeva, nel settore del II C.A. la 27^ Div. corazzata tedesca, un’unità con forti deficienze di dotazioni e carri non di ultima “generazione” ed il cui impiego era subordinato alle disposizioni del Comando Gruppo d’Armate “B”. Questa Div. si dislocava alle spalle delle Div. Cosseria e Ravenna. Inoltre furono inviate la II C.A. tre compagnie c/c tedesche che furono schierate nel settore della Ravenna. In quei giorni avrebbe dovuto giungere anche la 35^ Div. tedesca, proveniente dal settore del Voronez e che sarebbe stata scaricata dai treni alla stazione di Mitrofanovka, nelle retrovie della Cosseria, rimanendo alle dipendenze dell’8^ Armata. La modesta potenzialità di quella stazione avrebbe scaglionato nel tempo l’arrivo di quella unità.
Al momento non si prevedeva l’afflusso di altre consistenti unità tedesche. Alla massa di forze sovietiche che si andava radunando sul Don si sarebbe opposta una difesa rigida, la quale, anche quando “spezzata”, avrebbe dovuto rimanere operante nei tronconi superstiti, per contenere più a lungo possibile la penetrazione nemica. Non esisteva, poi, la possibilità di difesa su posizioni arretrate perché una seconda linea difensiva non era stata approntata né tantomeno erano mai esistite le forze per imbastire su di essa almeno un primo presidio difensivo.
Anche i sovietici stavano preparando la loro sistemazione invernale, approfittando dei boschi e delle abitazioni civili analogamente alle forze dell’Asse. La loro posizione di resistenza aveva un profondità di 3-6 km basata su capisaldi, camminamenti, trincee, posizioni per le artiglierie ed abbondanti campi minati e reticolati in concomitanza con le vie di facilitazione. I lavori difensivi erano particolarmente consistenti sulla testa di ponte di Verhnij Mamon. Le fonti informative (osservazione terrestre ed aerea, informatori, prigionieri, disertori) indicava la preparazione offensiva completata alla fine di novembre. Le frequenti azioni di pattuglia dei russi diventavano sempre più consistenti ed erano appoggiate da azioni di artiglieria. Il ghiaccio iniziava a ricoprire il fiume non permettendo l’uso silenzioso delle imbarcazioni e neppure l’attraversamento a truppe appiedate. I movimenti nelle retrovie delle armate sovietiche erano sempre più intensi, tutto, insomma stava ad indicare l’imminenza di un accumulo di risorse per azioni offensive. Lo schieramento delle artiglierie risultava avanzato e raffittito. La maggior concentrazione di unità ed artiglierie era segnalata nelle zone:
- ad est di Gorohovka (settore Cosseria);
- controansa Krasno Orekovo (limite di settore tra Cosseria e Ravenna);
- ansa di Verhnij Mamon.
Sulla fronte del II C.A., poco più estesa di queste zone, era stata rilevata la presenza di 45 batterie; calcolando che ogni divisione aveva una dotazione organica di 18 batterie e che le divisioni accertate in prima schiera sul fronte di quel C.A. erano 7, è da concludere che non erano state rilevate tutte le batterie presenti e che il dato fornito dagli osservatori peccava per difetto. La scarsa attività di fuoco e le pessime condizioni meteorologiche in quel periodo possono giustificare l’incompletezza dei dati raccolti.
Il traffico radio-telegrafico intercettato era sensibilmente in aumento. La costituzione di un centro ospedaliero a Nizne Mamon, a pochi kilometri dalle posizioni tenute dalla Ravenna nell’ansa omonima, rappresentava un’informazione molto importante che non lasciava dubbi sulla base di partenza per l’attacco sovietico. L’attività aerea sovietica si stava spingendo in profondità bombardando comandi, nodi ferroviari, depositi.
Un’altro punto che chiariva le intenzioni di tutto lo schieramento sovietico era la costruzione di passaggi sul Don che al 10 dicembre era costituito da 8 passerelle e 2 ponti, tutti questi passaggi erano addensati a ridosso dell’area di Verhnij Mamon.
In sostanza lo schieramento dell’8^ Armata, che all’inizio del novembre ’42 era quello riportato in Allegato “L", fig. 1, alla vigilia dell’inizio dell’operazione “Piccolo Saturno” si modificò risultando quello riportato in Allegato “L", fig.2.
In conclusione, secondo i precisi ordini del Comando Gruppo d’Armate B, la difesa doveva essere condotta ad oltranza sulle posizioni occupate, vale a dire che non ci si poteva allontanare da tali posizioni per dar vita ad una manovra. D’altra parte la manovra non sarebbe stata possibile, sia perché spostando reparti da un settore ad un altro si sarebbero sguarniti interi tratti della posizione difensiva, sia perché mancavano del tutto unità di riserva. La realtà fu che, vista la tipologia di difesa impiegata, mentre da parte sovietica si concentrarono le forze sull’asse stabilito per lo sforzo principale l’8^ Armata non poté applicare il principio della massa non avendo la possibilità di concentrare le forze contro lo sforzo principale avversario.
L’”Operazione Piccolo Saturno” sfruttò, fra l’altro, l’immobilismo della situazione operativa dell’Asse sul fronte del Gruppo Armate B, conseguente agli insistenti tentativi di sfondamento verso Stalingrado.
La preponderanza delle forze di fanteria sovietiche era accentuata dal fatto che queste disponevano di armi individuali automatiche con celerità di tiro superiore alla maggior parte delle armi in dotazione all’8^ Armata. Sussisteva, inoltre, una schiacciante superiorità sovietica anche nel campo delle artiglierie dei mezzi corazzati. Il numero dei cannoni anticarro disponibili non era assolutamente in grado di controbilanciare la citata superiorità in mezzi corazzati.
I campi minati controcarro, nel settore del II C.A. avevano una densità media di una mina per metro lineare di fronte, ma il loro valore impeditivo era assai ridotta a causa dell’irregolare funzionamento dovuto al terreno irregolare coperto di neve.
“In sintesi, esisteva, sul piano qualitativo degli armamenti essenziali per l’azione di rottura (offesa) e di arresto (difesa), un sensibile squilibrio a vantaggio dei sovietici, già numericamente superiori, sia nella lotta ravvicinata delle fanterie (assalto e contrassalto), sia nel duello tra mezzi corazzati e difese controcarro(penetrazione in profondità, azione di arresto controcarro contrattacco carrista), sia nel volume di fuoco di artiglieria(preparazione ed appoggio, interdizione vicina e lontana, sbarramento e controbatteria)”[5].
L’atteggiamento dei soldati italiani verso i russi non fu mai inspirato dall’odio, mancavo dunque il sentimento ostile individuato da Clausewitz, l’intenzione ostile era implicita nei piani operativi. La sensazione ce la campagna russa fosse di esclusivo supporto a piani di Hitler era abbastanza radicata nei combattenti italiani. La precaria organizzazione difensiva determinava seri dubbi sulla possibilità di poter validamente contrastare le ondate delle fanterie e dei mezzi corazzati sovietici. Il crollo della 3^ Armata rumena, avvenuto qualche settimana prima, avvalorava tali dubbi, il clima invernale e l’inadeguatezza di alcuni capi d’equipaggiamento erano assillante preoccupazione. Nonostante tutto ciò la combattività dell’8^ Armata non faceva e non fece difetto.
I sovietici avevano, da parte loro, la consapevolezza di combattere per il suolo sacro della Patria, fu svolta inoltre un’intensa campagna psicologico-propagandista per rafforzare il morale e le convinzioni nella vittoria peraltro già “energizzati” dall’avvenuto accerchiamento della 6^ Armata di Paulus.
(a cura di massimo coltrinari ricerca.cesvam@istitutonastroazzurro.org
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