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giovedì 18 aprile 2019

Critica al Metodo Storico






I Pericoli del dogmatismo

Sarà dedicato un volume dedicato alla dirigenza militare italiana della grande guerra nei suoi aspetti ordinamentali, con l'intento di attirare l’attenzione per una riflessione più dettagliata su uno degli aspetti più dibattuti della Grande Guerra: l’azione dei vertici militari nella condotta della guerra, e quindi nella condotta delle truppe e nell’impiego dei materiali. Oggi vi è la tendenza a considerarlo non solo improprio, ma anche insensato. Vite umane gettate via (al pari oggi dei migranti in mare respinti e lasciati al loro destino) senza nessuna considerazione per l’uomo, i suoi sentimenti, la sua voglia di vivere, il suo futuro, la sua famiglia; i materiali sperperati per niente, impoverendo ancor più una economia già povera per se stessa. La critica è alla guerra di logoramento in quanto soluzione adottata dai tecnici, i generali, rispetto ad altro tipo di guerra (di manovra, ecc.) considerata dispendiosa oltre ogni limite. Rimane fermo che la guerra, a prescindere da come viene condotta non è decisa dai militari, ma dalla classe politica, su cui ricade “in toto” la responsabilità di questa soluzione dei problemi politici internazionali. La condanna di questa classe dirigente, i generali della Prima guerra mondiale, è quasi unanime, senza appello; In Italia particolarmente ha permeato l’opinione pubblica in modo molto profondo, agevolato questo processo anche dalle vicende della seconda guerra mondiale. In cui una dittatura in divisa ha portato le forze armate italiane a raccogliere solo sconfitte nel dileggio dell’alleato del tempo, mascherate poi dal Valore militare a titolo assolutorio, concludendo questa parabola con una fine ingloriosa senza che nessuno dei suoi 42 milioni di iscritti si prendesse la briga di difenderla o almeno abbozzare una qualsiasi tipo di opposizione. Chi sostituì il fascismo, sempre in divisa, fece ancora peggio arrivando a quella crisi armistiziale del settembre 1943 che ancora oggi è una ferita non rimarginata, aprendo le porte ad eserciti stranieri che trasformarono l’Italia in un campo di battaglia. Due anni di tragedie, lutti  e disperazione, in cui gli Italiani, meno i soliti opportunisti, combatterono quella guerra di liberazione, così fu chiamata, per liberarsi da chi aveva generato tante disgrazie. Nacque la Repubblica attuale che ha dato pace, benessere e sicurezza per oltre 75 anni, in cui la dirigenza militare ha dato prove su prove ampie e riconosciute in Italia e all’estero, le cosiddette “missioni di pace” che di pace hanno solo il nome, di equilibrio, efficienza, dedizione, tolleranza e senso di appartenenza. In apparenza apprezzato tutto questo  da tutti, ma in realtà non sufficiente per ribaltare il profondo disprezzo che gli italiani, con una parte che ostenta adesione e consenso ma che è solamente militarismo di bassa lega,  hanno per i loro militari. Rancore, invidia, odio abilmente alimentato a fini di parte per una classe che trova via via sempre più adesioni fino all’attuale governo che, ignaro di tutti i trattati esistenti (ennesimo giro di valzer spensierato di una classe politica di basso profilo) che propongono, in nome di questioni finanziarie e soprattutto sulla utilità o meno di questo strumento, la trasformazione delle Forze Armate, infarcite da quell’ibrido equivoco,  che solo l’Italia ha, militarpoliziesco rappresentato dall’Arma dei Carabinieri, in  una ONG (Organizzazione non Governativa) di non ben definite funzioni. Espressione di questo le chiare espressioni di disistima di esponenti di vertice del Governo verso i generali, i tagli agli investimenti ( che peraltro sono tagli di posti di lavoro) di accuse di sprechi, di dileggio verso usi e tradizioni, di tagli ai trattamenti di quiescenza acquisiti peraltro in base a leggi, indicati alla pubblica opinione come azione di moralità pubblica, che ha il “recto” di presentare il “generali” come una categoria di persone poco perbene ed approfittatori. Espressioni queste che trovano il plauso nella pubblica opinione. Se prendiamo in esame il metodo storico vediamo che tutti questi approcci adottati verso le scelte per le Forze Armate oggi in Italia hanno portato a tragedie, disastri e lutti, con la scia poi di giustificazioni postume, senza che nessuno risponda mai del proprio operato, come sta a dimostrare il fatto che, mentre in Germania una classe politico-militare è stata chiamata a rispondere delle sue scelte con il Processo di Norimberga, in Giappone lo stesso con il processo di Tokyo, in Italia nulla. Approcci quindi che trovano la loro radice molto lontano, fino ad arrivare alla dirigenza militare della Prima Guerra mondiale. Perché questi approcci vengono suggeriti dal metodo storico errati. E perché hanno portato a disastri. Oltre alla facile ed ovvia ipotesi che stiamo andando incontro a simili situazioni, occorre trovare elementi per poter poi intervenire e cercare di portare correzioni.
Il punto di partenza che proponiamo per comprendere i comportamenti della classe militare italiana nella Grande Guerra parte da quanto il Clausewitz sintetizza: ogni strategia deve ricorre all’esperienza e rivolgere la propria attenzione alle combinazioni che la storia della guerra già può offrire. Quindi il metodo storico applicato ci permette di capire gli errori del passato, che dovrebbe poi portare a non commettere errori nel presente. Questo non deve essere un assioma incontestato. Insistere nel considerare la frase di Mahan che “ la sconfitta grida ad alta voce perché pretende spiegazioni” può portare ad altri errori. Per la Prima guerra mondiale, basta constatare quante pagine sono state scritte su Vittorio Veneto, la brillante vittoria strategica italiana, e quante sono state scritte su Caporetto, la pesante sconfitta tattica italiana. Il bilancio è fortemente a favore di Caporetto. I pericoli in una fede cieca sul metodo storico, che ci permette di evitare approcci che ci portano all’errore, e riduce “per difetto” il numero delle opzioni tra cui scegliere sono evidenti prendendo in esame le conclusioni di vari storici, tutti osservanti di tale metodo, che per uno stesso evento militare giungono a valutazioni divergenti tra loro. Per questo si può dire che per uno stesso evento le valutazioni possono essere diverse. Tutto questo porta a dire del più grande pericolo del metodo storico. L’amore viscerale e completo per il precedente porta ad una eccessiva fiducia in questo aspetto che fatalmente porta ad dogmatismo, che è assolutamente da evitare. “Si è fatto sempre così” è la frase che rileva tutto questo. Nella strategia quello che è fondamentale è fare quello che l’avversario non si aspetta, non quello che è considerato giusto. Da qui la prima critica ai generali della Grande guerra che ha permesso a Clemanceau di pronunciare la sua famosa frase su di loro, su generali che si preparano a vincere le guerre del passato, che deriva appunto da una applicazione del metodo storico, della valutazione del passato, in modo dogmatico.


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