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giovedì 1 giugno 2017

La Battaglia di Custoza VIII

(a)     Le dottrine operative: la loro definizione in base agli intendimenti politici, di ordine strategico, tattico e potenziale
In Italia, come del resto anche nell’Impero, gli insegnamenti delle guerre napoleoniche erano stati lasciati volutamente nel dimenticatoio, a differenza di alcuni generali prussiani della scuola di Clausewitz. Le campagne napoleoniche avevano insegnato, ad esempio, che un corpo d’armata non poteva avere più di quattro divisioni, se non compromettendo la mobilità e la manovrabilità. Ma i principi dell’arte della guerra non erano conosciuti, se non superficialmente. Per dirlo in altre parole, gli studi militari in Italia non erano presi in seria considerazione. Certamente la dottrina tattica presentava segni di invecchiamento e necessitava di rinnovamento, ma quando applicata correttamente era ancora motivo di successo.
Anche per quanto riguarda l’Impero, all’epoca dei fatti pochi generali “sapevano” fare la guerra e uno di questi era il Comandante dell’Armata del Sud,  l’Arciduca Alberto, figlio primogenito del grande Arciduca Carlo d’Asburgo che aveva battuto Napoleone nel 1809. Egli si era formato studiando le campagne, specialmente quelle del padre. Da questi insegnamenti aveva appreso soprattutto la fermezza d’animo, il carattere serioso, ma soprattutto l’idea secondo la quale non bisognava lanciarsi alla carica fino ad un punto di non ritorno. Al contrario, bisognava avere l’accortezza di tenere sempre un atteggiamento guardingo e difensivo. E questo concetto volle applicarlo integralmente nella campagna contro gli italiani, definiti da lui stesso rapaci. Quindi come l’Armata del Nord, comandata dal Gen. Benedek, in Italia l’Arciduca Alberto si proponeva di fare una guerra difensiva, favorita dal terreno e dalle fortificazioni presenti nel Veneto.  

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