(a)
Le dottrine
operative: la loro definizione in base
agli intendimenti politici, di ordine strategico, tattico e potenziale
In
Italia, come del resto anche nell’Impero, gli insegnamenti delle guerre
napoleoniche erano stati lasciati volutamente nel dimenticatoio, a differenza
di alcuni generali prussiani della scuola di Clausewitz. Le campagne
napoleoniche avevano insegnato, ad esempio, che un corpo d’armata non poteva
avere più di quattro divisioni, se non compromettendo la mobilità e la
manovrabilità. Ma i principi dell’arte della guerra non erano conosciuti, se
non superficialmente. Per dirlo in altre parole, gli studi militari in Italia
non erano presi in seria considerazione. Certamente la dottrina tattica
presentava segni di invecchiamento e necessitava di rinnovamento, ma quando
applicata correttamente era ancora motivo di successo.
Anche per quanto riguarda l’Impero, all’epoca dei fatti pochi generali
“sapevano” fare la guerra e uno di questi era il Comandante dell’Armata del
Sud, l’Arciduca Alberto, figlio
primogenito del grande Arciduca Carlo d’Asburgo che aveva battuto Napoleone nel
1809. Egli si era formato studiando le campagne, specialmente quelle del padre.
Da questi insegnamenti aveva appreso soprattutto la fermezza d’animo, il
carattere serioso, ma soprattutto l’idea secondo la quale non bisognava
lanciarsi alla carica fino ad un punto di non ritorno. Al contrario, bisognava
avere l’accortezza di tenere sempre un atteggiamento guardingo e difensivo. E
questo concetto volle applicarlo integralmente nella campagna contro gli
italiani, definiti da lui stesso rapaci.
Quindi come l’Armata del Nord, comandata dal Gen. Benedek, in Italia l’Arciduca
Alberto si proponeva di fare una guerra difensiva, favorita dal terreno e dalle
fortificazioni presenti nel Veneto.
Nessun commento:
Posta un commento