1. AVVENIMENTI
a. Le operazioni di guerra
(1) 24 giugno 1866
(a)
Disposizioni preliminari
-
Esercito Italiano
Guidato
dalla convinzione di un improbabile ingaggio con il nemico:
· I Corpo d’Armata: deve mantenere
il collegamento con il III Corpo d’Armata sulla propria destra, lasciare una
divisione sulla destra del Mincio, prevedere che due divisioni si dispongano
fra Sona e Santa Giustina e un’altra a controllare Peschiera e Pastrengo, dopo
aver occupato Sandrà, Coà e Pacengo. Ubicazione del Quartier Generale presso
Castelnovo. In particolare:
o
La
1^ Divisione, destinata al controllo di Peschiera e Pastrengo, inizia a muovere
nel cuore della notte con il grosso. Avrebbe dovuto puntare a nord attraverso
strade alternative, ma, nella convinzione di anticipare i tempi, si porta
dapprima a sud per poi utilizzare la rotabile Valeggio-Castelnuovo con tutto il
carico logistico. Purtroppo a Valeggio incrocia le colonne della 5^ Divisione
perdendo del tempo prezioso.
o
La
2^ Divisione rimane tra Pozzolengo e
Monzambano ad osservare Peschiera.
o
La
3^ Divisione riceve l’ordine di muovere verso ovest per andare ad occupare Sona
passando per Valeggio, Custoza e Sommacampagna.
o
La
5^ Divisione, la cui avanguardia puntando a nord verso Santa Giustina,
ingannata dalle indicazioni ricevute dalla popolazione locale, sbaglia
itinerario proseguendo lungo la strada che da Valeggio porta a Castelnovo. Il
grosso rimane a Valeggio con i carri della 1^ Divisione.
o
La
riserva, partendo da Volta, e gravitando sulla sinistra del dispositivo, riceve
l’ordine di muovere dopo circa 4 ore.
· II Corpo
d’Armata:
con due divisioni deve occupare Curtatone e Montanara, successivamente
proseguire e minacciare la strada Mantova-Borgoforte. Le altre due (10^ e 19^
Divisione) devono essere pronte a raggiungere Marmirolo e Roverbella con non
poche difficoltà di movimento (circa 25/30 km).
· III Corpo
d’Armata:
ha l’ordine di schierare le quattro divisioni a disposizione tra Villafranca e
Sommacampagna. Più nel dettaglio:
o
La
7^ Divisione deve marciare sulla strada di Massimbona verso Villafranca con
l’obiettivo di schierarsi nei pressi di Ganfardine.
o
L’8^
Divisione deve mantenere la strada Pozzolo-Quaderni-Rosegaferro verso
Sommacampagna seguendo l’andamento delle colline a sud di Custoza e mantenendo
il collegamento con le unità del I Corpo d’Armata.
o
La
9^ Divisione, seguendo l’itinerario Massimbona-Quaderni-Le Sei Vie-Rosegaferro
deve raggiungere i pressi del Monte Torre.
o
La
16^ Divisione deve muovere lungo la strada per Mozzecane per schierarsi davanti
a Villafranca, mantenendo il collegamento a sinistra con la Divisione del
Generale Bixio.
· Divisione di Cavalleria,
che deve schierarsi tra Mozzecane e Quaderni ove posizionare anche il proprio
Quartier Generale, segue la 7^ Divisione sino a Rosegaferro.
-
Esercito Imperiale
Mentre
la Divisione di riserva deve muovere da Sandrà verso Castelnovo per poi
dirigersi su Oliosi, il V Corpo ha il compito di spostarsi su San Giorgio in
Salici per poi puntare su San Rocco di Palazzolo. Il IX Corpo, sfruttando tutte
le coperture che il terreno offre, deve marciare verso Sommacampagna per
schierarsi ad est intorno a Berrettara. Il VII Corpo, seguendo il IX Corpo,
deve schierarsi a Sona e rimanere in riserva. Le Brigate di cavalleria che
precedono il IX Corpo devono schierarsi davanti a Sommacampagna per coprire il
fianco sinistro del dispositivo. In caso di contatto con il nemico, l’ordine è
perentorio: “attaccare vigorosamente”
(b)
I primi scontri (06:30
– 07:30)
- I Corpo d’Armata: dopo che a
Valeggio furono coordinate le priorità di sfilamento tra la 1^ e la 5^
Divisione lungo la strada che porta a Castelnovo, l’avanguardia della 5^
Divisione, che nel frattempo ha sbagliato itinerario e deciso di marciare da
sola verso Castelnovo, ha raggiunto Oliosi. Da Monte Vento, il principale punto
di osservazione, scorge movimenti di truppe nemiche verso nord-est a dimostrazione
che l’esercito imperiale aveva già passato l’Adige.
Non
appena, il grosso della 5^ Divisione giunge nei pressi della Pernisa viene
fatta oggetto di fuoco da parte del nemico. L’attacco prende di sorpresa tutti
e solo dopo un’attenta ricognizione il Gen. Sirtori, convinto sino a quel
momento che si trattasse di fuoco amico, diede ordine per assumere le
formazioni per la battaglia, ma le truppe austriache erano ormai giunte alle
alture intorno alla Pernisa. Le condizioni erano sfavorevoli: l’esercito
italiano aveva investito in quell’area circa due divisioni, mentre gli
austriaci cinque brigate. Il rapporto numerico era di circa 1 contro 2.
- III Corpo
d’Armata:
la 7^ Divisione marciava sin dalle prime ore del mattino lungo la strada per
Massimbona con l’obiettivo di sfilare sulla sinistra di Villafranca ed andare a
schierarsi presso Ganfardine. L’ordine impartito era quello di muovere con il
massimo delle precauzioni dal momento in cui l’unità non disponeva di un
adeguato schermo della cavalleria e soprattutto di squadroni preposti
all’esplorazione. Il Gen. Bixio, comandante la divisione, era consapevole che
alla sua destra poco più avanti stava marciando la 16^ Divisione, che alla sua
sinistra si stava muovendo l’8^ Divisione e che in posizione leggermente più
arretrata procedeva la 9^ Divisione di riserva.
I
distaccamenti avanzati riportavano che Villafranca era completamente sgombera,
ma che poco più avanti era presente uno squadrone di ussari austriaci della
Brigata Bujanovics seguito da numerose colonne di cavalleria dalla direzione di
Sommacampagna e Ganfardine.
Verso
le ore 07:00, questi reparti entrano in contatto con le avanguardie della 16^
Divisione con una carica portata all’altezza di Ganfardine. Le avanguardie
della divisione a stento riescono a disporsi a quadrato per la difesa, ma una
volta completati questi movimenti sono in grado di stemperare l’ardore della carica
infliggendo numerose perdite. Stanche e disordinate dopo il primo attacco, le
unità austriache subiscono persino un contrattacco da parte dei Cavalleggeri di
Alessandria, inviati dal Comando di Corpo d’Armata. Le unità austriache si
ritirarono quasi subito dietro Ganfardine, inseguiti senza particolare vigore
da alcuni squadroni a cavallo.
Non
era trascorsa neanche un’ora da quell’abboccamento quando da Sommacampagna
alcuni (tre o quattro) squadroni di Ussari dell’Esercito Imperiale si
apprestano a caricare le avanguardie italiane, ma soprattutto la prima linea
della 7^ Divisione: il buon addestramento del personale impartito dal Gen.
Bixio permise di disperdere la carica con la pronta risposta della fanteria e
qualche salva di artiglieria, favorendo così il contrattacco dei Lanceri di
Foggia. Il Colonnello Pulz, nell’informare il suo comando superiore, scrive: “un’ora e mezza di combattimento con forte
cavalleria nemica […] presso Villafranca […]”[1].
Numerosi
cavalleggeri austriaci nell’evitare il contrattacco italiano sia da parte della
7^, ma soprattutto della 16^ divisione, aggirarono Villafranca in direzione di
Massimbona trovandosi, casualmente, nel cuore delle retrovie del III Corpo
d’Armata. Con poche scorribande portano il completo scompiglio. Il panico era
dilagato, contagiando anche alcuni “reparti
di fanteria che insieme al supporto logistico formavano una lunga colonna sino
al Mincio”[2].
In quel marasma, infatti, confluivano i carriaggi della 7^ Divisione, le
colonne della 9^ Divisione e la Divisione di Cavalleria.
(c)
Monte Cricol,
Custoza, Monte Torre e Monte della Croce (07:30 – 10:00)
- I Corpo d’Armata:
· Dalla direzione
di Castelnovo iniziavano a scendere colonne di fanteria austriaca che vanno
occupando le alture circostanti e minacciando la 1^ Divisione, ma soprattutto
l’avanguardia della 5^ Divisione che, avendo sbagliato itinerario, era orfana
del grosso dell’unità. La situazione della Brigata Brescia era veramente
delicata: minacciata da est e da nord, era stata costretta a disperdersi su una
fronte troppo larga, per di più subiva il cannoneggiamento austriaco da San
Rocco di Palazzolo. E la situazione non poteva che peggiorare a causa del
sopraggiungere di altre colonne di fanteria della Brigata Benko, della
Divisione di Fanteria di Riserva, probabilmente per andare a rinforzare le
posizioni sulle alture circostanti. Il Monte Cricol cade in mani italiane solo
per circostanze fortuite: mentre gli austriaci occupano il monte, venivano
fatti oggetto di fuoco di artiglieria da parte delle proprie batterie
costringendoli a ripiegare verso Castelnovo da dove, comunque, sopraggiungono i
rinforzi. Ma da sud arrivano anche i tanto sospirati rinforzi italiani: la
Brigata Pisa, testa della 1^ Divisione, fa assumere la formazione di attacco
alle proprie unità che viene scagliato con estrema violenza riuscendo ad
impadronirsi di Fenile, Mongabia, lo stesso Monte Cricol, ricacciando gli
austriaci. Nel frattempo giungeva da sud il grosso della Divisione, ma “la Brigata Forlì continuava a marciare per
quattro […] come se niente fosse, senza il benché minimo accenno a schierarsi a
battaglia. A guardarla da lontano, la colonna sembrava una di quelle
processioni di paese, allungata e indolente, che quando la testa arriva al
santuario, la coda è ancora in piazza[…]”[3]. La
situazione, apparentemente vantaggiosa, era drammaticamente pericolosa perché
il dispositivo aveva davanti delle unità pronte al contrattacco, sul fianco
destro le unità del V Corpo d’Armata Austriaco, a sinistra il Mincio e dietro
la colonna della Brigata Forlì.
Non
erano neanche le 09:45 quando quest’unità, testa dell’intera 1^ Divisione,
viene completamente travolta fra Monte Cricol e Oliosi dai reparti della
Divisione di Riserva dell’Esercito austriaco: “rinculando davanti ai cavalli, le prime file avevano sospinto
all’indietro quelle che immediatamente seguivano […] la maggior parte dei
soldati non aveva potuto vedere ciò che era successo […], ma aveva avvertito la
pressione provocata dal movimento di quanti retrocedevano”[4].
Esaurita questa carica di cavalleria, la Divisione di Riserva si riorganizza e
lancia un attacco “ad ala”. Non soddisfatti, gli austriaci lanciano sul fianco
della Brigata Forlì un’altra carica di cavalleria, sicuramente meno incisiva
della precedente, ma più che sufficiente a moltiplicare il panico e a
diffonderlo nella fila italiane. In questa circostanza anche il Gen. Cerale
viene ferito. Come se non bastasse dalla destra di ciò che rimaneva del
dispositivo della Brigata Forlì – cioè dalla zona di Oliosi lasciata sguarnita
dalla Brigata Brescia, il cui comandante decide unilateralmente di
ricongiungersi con il grosso - sopraggiungono i fanti austriaci che iniziano a
sparare incessantemente. Sottoposta a questo massacro, la Brigata crolla:
migliaia di soldati in fuga, senza un minimo di orgoglio, abbandonavano
posizioni ed equipaggiamenti. Molti Ufficiali e Sottufficiali si unirono alla
fuga. “La Brigata Forlì aveva cessato di
esistere”[5].
Di
fronte a questa disfatta e con il fianco sinistro completamente scoperto, gli
italiani sono costretti a rischierarsi e a lasciare Monte Cricol. I movimenti
retrogradi vengono eseguiti alla perfezione per rischiararsi sulla sinistra
della strada che collega Valeggio e Castelnovo sulle alture di Maragnotte, più
a sud rispetto ad Oliosi. Inoltre, favorita dalle località e dai frequenti
caseggiati, molti drappelli, ben comandati fecero viva ed ostinata resistenza
infliggendo ingenti perdite al nemico. Poco dopo, giunge la nomina del
Colonnello Dezza quale Comandante di ciò che rimane della 1^ Divisione.
· Nel frattempo,
nella area di responsabilità della 3^ Divisione, sulle alture intorno a
Custoza, si assiste a degli scontri importanti: parte della divisione,
impossessatasi della cresta del Monte Torre e Monte della Croce, e udendo
rumori di combattimenti provenienti dalla zona di Villafranca, si schiera con
la fronte da quella parte. L’unità interessata è la Brigata Granatieri di
Sardegna. La Brigata Granatieri di Lombardia, invece, comandata dal Principe
Amedeo, prosegue sino a fondo valle tra Custoza e Monte Torre dove il
personale, stanco e assetato si dirada per trovare un pò di ristoro. Ma proprio
quando nessuno se lo aspettava ecco che inizia un intenso bombardamento
austriaco proveniente dalla zona di Staffalo: il tiro non era preciso, ma
produsse molte perdite. Si trattava di un fuoco di preparazione per l’assalto
dei reparti di fanteria, teso ad impedire il consolidamento degli italiani
sulle alture di fronte a Sommacampagna. I Granatieri di Sardegna, con estrema
fatica, si ridispongono con la fronte verso nord-ovest riuscendo a resistere
valorosamente a ripetuti attacchi frontali. Ma per i Granatieri di Lombardia fu
la disfatta: l’unità non era completamente riorganizzata quando fu colpita dal
nemico e nella circostanza venne ferito anche il principe Amedeo. Scossi,
impauriti e senza comandante, i soldati iniziano a retrocedere verso Custoza.
Alle 09:00 la situazione è più che compromessa, la superiorità del nemico sia
in termini di uomini che di pezzi di artiglieria e la consapevolezza della
presenza di altre unità austriache, già attestate su Monte Molimenti,
sanciscono il tracollo della Brigata Granatieri di Lombardia nonostante isolati
gruppi di combattenti cercano di tenere le posizioni originarie. Gli austriaci,
galvanizzati per il successo e per la posizione favorevole, tentano l’attacco
al Monte della Croce dove, pur non soverchiando la Brigata Granatieri di
Sardegna, infliggono gravissime perdite, incrinando definitivamente il
dispositivo della 3^ Divisione.
- III Corpo
d’Armata
Dopo
le ore 09:30 e, comunque, quando la disfatta di alcune unità del I Corpo era
ormai completata, alla 9^ Divisione, che costituisce la riserva del III Corpo,
viene dato l’ordine di portare soccorso alla 3^ Divisione del Gen. Brignone
sulle alture di Custoza.
(d)
La Pernisa
(10:30)
La
5^ Divisione del I Corpo d’Armata, ora al completo, con il ricongiungimento
dell’avanguardia costituita dalla Brigata Brescia che nella zona di Oliosi
aveva subito gravissime perdite, è schierata dinnanzi alla Pernisa con
l’obiettivo di attaccare per conquistare la posizione. La mancanza di supporto
delle artiglierie, la stanchezza, il caldo e la mancanza di impeto non
favorirono il buon esito dell’operazione. Alle brevi avanzate di un fronte
seguivano i ripiegamenti dell’altro, ma nessuno sembrava in grado di prevalere
o disposto a cedere fino a quando gli austriaci decidono di impiegare forze
fresche. Dopo un accurato fuoco di preparazione dell’artiglieria, viene
lanciato l’attacco da parte del 28° Reggimento Benedek sotto il cui impeto la
prima linea italiana vacilla ed inizia a ripiegare. Nell’eseguire questo
movimento retrogrado gli italiani si imbottigliano in una conca che aveva alle
spalle il fiume Tione, oltre il quale presentava il ciglio delle Muraglie e di
Santa Lucia. Intanto, le batterie che avevano preparato l’attacco, ora dirigono
il fuoco sul ciglione di Santa Lucia a pochi passi dalla conca dove c’erano le
truppe in ritirata. Centinaia di soldati si accalcavano sul bordo del Tione che
presentava un solo ponte di legno. Quindi gran parte degli uomini decise di
guadare, sfruttando la esigua profondità. Purtroppo l’altra riva era ripida e
scivolosa. Fucili ed equipaggiamento vengono abbandonati per favorire la
risalita. Il problema era che dietro la prima linea non c’è nessuno. Al
constatare ciò, quello che fino a quel momento era una ritirata disordinata si
trasformò in una vera e propria fuga. La confusione era talmente tanta che
molti soldati si trovano nel mezzo di cambi di schieramento di altre unità
adiacenti che non erano state ancora ingaggiate, portando lo scompiglio e
facendo perdere loro il controllo di se stessi che, ignorando i richiami dei propri
ufficiali, si frammischiano ai fuggitivi della Brigata Brescia e si dirigono
verso le retrovie.
Nel
frattempo, il Gen. Durando, Comandante del I Corpo d’Armata, schiera la riserva
di corpo intorno a Monte Vento anche grazie a tempestivo, ma limitato
intervento della 2^ Divisione. Monte Vento era un’eccellente posizione dove i
pezzi di artiglieria potevano battere verso Salionze, verso Oliosi e verso
Santa Lucia.
(e)
Custoza
-
Ore 11:30
Come
detto, sin dalle 09:30, la riserva del III Corpo d’Armata, la 9^ Divisione del Gen. Govone era stata
tascata per sostenere la 3^ Divisione. La risalita verso Custoza con le truppe
in linea pronte al combattimento era abbastanza difficile. Durante questo
movimento, molti soldati in ritirata si accingevano a combattere di nuovo,
rincuorati dall’arrivo di truppe amiche. Comunque, l’arrivo provvidenziale di
una batteria a cavallo scortata dalla cavalleria italiana era l’aiuto insperato
che serviva al Gen. Govone. Gli austriaci asserragliati a Custoza erano a
questo punto minacciati da sud e da ovest. I fanti italiani, rinvigoriti da
questa situazione favorevole, entrano di forza nel paese osservando la ritirata
delle truppe imperiali appartenenti al VII Corpo d’Armata verso il Belvedere,
che sovrasta Custoza, ma che riescono comunque a mantenere una parte del paese.
-
Ore 12:30
Il
Gen. Govone, con un definitivo attacco, riesce a snidare gli ultimi austriaci a
Custoza e a farli ritirare finanche oltre il Belvedere che a questo punto è in
mani italiane. Da questo momento però inizia un cannoneggiamento da parte
dell’artiglieria austriaca proveniente dalla zona di Staffalo che si protrae
per parecchio tempo. Questo fuoco però non serve solo a coprire la ritirata, in
realtà si tratta di fuoco di preparazione di un contrattacco proveniente da
Monte Molimenti. Due colonne austriache puntano su Custoza, l’artiglieria
italiana colpisce e ne fa vacillare una, ma l’altra riesce ad avvicinarsi sino
ad impadronirsi del Belvedere. I combattimenti sono rapidi e confusi. Dopo due
ore di combattimento la situazione è molto difficile: i soldati sfiniti sono
sul punto di cedere. Dall’interrogatorio di alcuni prigionieri austriaci, il
Gen. Govone capisce che l’Arciduca Alberto sta impegnando due Corpi d’Armata
per Custoza che evidentemente è ritenuta una posizione chiave. E lo era perché
se Custoza fosse caduta in mano austriaca l’Armata del Mincio veniva tagliata
in due tronconi: uno nella zona di Villafranca e uno nella zona di Oliosi.
-
Ore 14:45
Esaurito
il fuoco di preparazione, quattro colonne austriache avanzano parallelamente:
una lungo la strada che proviene da Staffalo, una dal crinale che porta a
Belvedere, le altre due a mezza costa tra Monte Molimenti e il Monte Arabica.
Le batterie di artiglieria italiane, che si trovano sul Monte Torre, aprono il
fuoco rompendo ampi vuoti tra i serratissimi ranghi austriaci. Non appena a
tiro utile, la fanteria italiana apre il fuoco respingendo l’attacco. La 9^
Divisione accenna anche un timido contrattacco esauritosi quasi subito. Il
Belvedere torna in mani italiane.
(f)
Santa
Lucia/Pernisa e Monte Vento (15:00)
Mentre il Gen. Pianell, già comandante della II
Divisione, viene nominato comandante del I Corpo d’Armata, le cui condizioni
sono allarmanti, si combatte ancora alacremente:
- Persa la Pernisa
e subito l’attacco che ha causato la fuga di migliaia di soldati sulle rive del
Tione, la 5^ Divisione, con le poche risorse rimaste, contrattacca con non
poche difficoltà per scacciare gli austriaci dalle rive del fiume. L’operazione
ha successo e galvanizza praticamente tutte le unità per inseguire il nemico
verso la Pernisa. L’attacco è impetuoso, forse un pò disordinato, ma
sicuramente efficace: gli austriaci abbandonano la Pernisa e si riparano dietro
le alture. Purtroppo, l’ardore delle unità impegnate e la mancanza di
coordinamento di una tale operazione nata spontaneamente, distesero il
dispositivo su una schiera troppo lunga, peraltro allo stremo delle forze. Gli
austriaci, intuita la difficoltà tattica degli italiani, iniziano a
cannoneggiare e subito dopo a far intervenire i reparti di fanteria. Ma non si
arrivò nemmeno allo scontro poiché gli italiani della 5^ Divisione, quasi tutti
della Brigata Valtellina, si ritirano verso Santa Lucia. Ma la pressione
austriaca e la stanchezza fanno vacilalre la coesione e il caos ha il
sopravvento. Il Gen. Sirtori, Comandante della 5^ Divisione, da l’ordine di
abbandonare ogni posizione e di ritirarsi a Valeggio. In quella occasione circa
duecento prigionieri rimangono nelle mani del nemico.
- Dopo circa due
ore di fuoco e controfuoco tra le batterie italiane in forza alla riserva del I
Corpo, stanziate sul Monte Vento, e le artiglierie austriache che tiravano
dalla zona di Oliosi, senza grandi risultati, gli austriaci spingono verso sud
molti reparti di fanteria che in breve tempo iniziarono a minacciare la base
del monte. La situazione è delicata anche perché non c’erano collegamenti con
le divisioni collaterali e arretrate. Le uniche informazioni che arrivavano era
quelle dei fuggitivi e del caos che c’era a Valeggio. Il Gen. Aribaldi-Ghilini,
Comandante della Riserva del I Corpo, ritenendo più remunerativo preservare
Valeggio e non confidando dei suoi uomini che erano molto stanchi, impartisce
l’ordine di abbandonare le posizioni di Monte Vento. La ritirata fu semplicemente
da manuale.
(g)
Custoza (16:00-17:30)
Le
truppe della 9^ Divisione hanno in mano Custoza e il Belvedere e riescono a
respingere tre contrattacchi austriaci, ma sono allo sfinimento. Vengono
richiesti rinforzi, ma sono rifiutati dal Gen. Della Rocca per tre volte
nonostante nella zona di Villafranca non si combattesse dal mattino.
La
battaglia sembra rallentata. Il Gen. Govone da ordine di portare i carri con le
vettovaglie per ristorare la truppa che però tardano ad arrivare. Nonostante
ciò è il momento del relax per tutti: un sorso d’acqua, una parola con i
commilitoni, una battuta, un sigaro. La divisione è schierata tra
Custoza-Belvedere, e Monte Torre, mentre sulla destra sono stati stabiliti i
collegamenti con l’8^ Divisione, le cui unità si estendono sino alla piana di
Villafranca. La situazione delle munizioni, sia per l’artiglieria sia per la
fanteria, non è rassicurante in quanto i carri munizioni non erano riusciti a
seguire il grosso della divisione sulle alture.
A
rompere questo momento di stasi, arriva la notizia che da nord, nord-est, oltre
Staffalo, ci sono movimenti di truppe: circa tre o quattro brigate che si
preparano ad attaccare. Non basta: truppe austriache sono in avvicinamento
anche dalla parte del Monte Mamaor, a significare che il fronte italiano ad
ovest è stato travolto. La superiorità austriaca è palese, forse circa 5 a 1.
La divisione si sfalda e i soldati di fronte a tanta potenza militare
abbandonano le posizioni. La resistenza, molto spesso isolata, non riesce a
reggere l’urto: gli austriaci irrompono da diverse parti, riprendono il
Belvedere, puntano su Custoza, ma non tralasciano Monte Torre dove c’è il
Quartier Generale. Il Gen. Govone, furioso con il comandante del Corpo perché
gli ha negato per l’ennesima volta i rinforzi, impartisce gli ordini per la
ritirata. Il prezzo che viene pagato, rimarrà nella storia: centinaia di morti
in pochissimi minuti di combattimento dove perdono la vita anche molti
Ufficiali. Lo stesso comandante di Divisione viene ferito da una scheggia di
granata. Sono le truppe del Gen. Möring che entrano a Custoza.
Nel frattempo il
Gen. Della Rocca impartisce l’ordine che tutto il III Corpo d’Armata si ritiri
da Villafranca verso Goito[6]. Il
movimento viene protetto dalla 7^ Divisione e dalla Cavalleria di linea.
(2) 25 giugno 1866
Mentre
l’Armata del Mincio si riposa e lo staff,
con a capo il Gen. La Marmora pensa sul da farsi, il Gen. Cialdini informato
dei fatti accaduti il giorno precedente nella zona di Custoza, impartisce
l’ordine di ritirata: il IV Corpo d’Armata non passerà più il Po, nonostante
l’ordinde contrario del Re, e si ritira verso Modena a difesa di Bologna e
delle linee di facilitazione per Firenze, cioè la capitale d’Italia.
Durante
questa giornata di calma e di recupero delle capacità operative giunge al
Quartier Generale dell’Armata una missiva proveniente dal Capo di Stato
Maggiore dell’Arciduca Alberto con cui si riferiva di gravissime violazioni del
Diritto Bellico: un atto di barbarie nei confronti di alcuni soldati austriaci
che, dopo essere stati feriti, erano stati impiccati. La missiva chiudeva con
l’avvertimento che altri casi come quelli accaduti il 24 giugno 1866 avrebbero
comportato una serie di severe rappresaglie.
(3) 26 giugno 1866
Al
momento, l’esercito si trovava schierato fronte nord, con l’ala destra in
possesso del ponte di Goito, saldamente appoggiato al Mincio e con gli sbocchi
da Mantova ben presidiati. L’ala sinistra si distendeva nella pianura verso
Castiglione, il centro delle alture di Volta e Cavriana. Ma alle ore 08:00 il
Gen. La Marmora decide la ritirata sul Chiese prima e sull’Oglio poi. L’Armata
lascia le posizioni sul Mincio.
b. Considerazioni riepilogative
Analizzare
le cause del disastro della Battaglia di Custoza, ma più in generale della
campagna contro l’Austria del 1866, è impresa assai ardua. Infatti,
sull’argomento molto è stato scritto da parte di studiosi molto qualificati. Ci
sono, però, alcuni elementi dell’analisi della sconfitta che sono comuni a
tutti gli studiosi.
Condizioni
politiche, strategiche e tecnico-militari favorevoli alla guerra, condizioni
morali e motivazionali ottime, addestramento modesto, impreparazione dei quadri
elevati e mancanza, ai massimi livelli, di capi degni di uno stato maggiore
sono gli elementi chiave della battaglia di Custoza. La mancanza o quanto meno
l’ambiguità dei piani operativi, l’assenza di un comandante in grado di
condurre le operazioni completano la base di partenza della III Terza Guerra di
Indipendenza.
In
questa sezione verranno presentati quelli che a parere dello scrivente sembrano
essere i motivi principali che hanno portato alla sconfitta e che più di altri
sembrano essere di attuale interesse.
(1)
Unicità di
comando
Il
Re Vittorio Emanuele II avrebbe voluto assumere il comando effettivo delle
operazioni, assistito dal capo di Stato Maggiore il Gen. Petitti, Il Gen.
Cialdini, così come il Gen. Della Rocca, desiderosi di assumere il comando
supremo, non gradivano la possibilità che il Gen. La Marmora potesse assumere
l’incarico di Capo di Stato Maggiore. Ma La Marmora era il più anziano e
pertanto si optò per una soluzione in cui egli stesso assumeva l’incarico di
Comandante dell’Armata del Mincio, e conferiva il comando del IV Corpo
d’Armata, su otto divisioni, detto infatti Armata del Po, al Gen. Cialdini. La soluzione
adottata era simile a quella prussiana. Ma in Prussia il Capo di Stato
Maggiore, Gen. Von Moltke, ricopriva quell’incarico da circa otto anni e
pertanto era riuscito a preparare la guerra contro l’Austria in tutti i minimi
particolari. La Marmora, invece, assume l’incarico due giorni prima dell’invio
della dichiarazione di guerra, avvenuta il 20 giugno 1866.
L’organizzazione
in cui due armate operano separatamente a più di cento chilometri è, però,
forse la causa principale per la quale la campagna partì in maniera infelice
soprattutto per la mancanza di
coordinazione.
Con
questo antefatto, seguendo attentamente i fatti della campagna non si capisce
chi avesse il comando delle operazioni: il Gen. Cialdini non obbedì al Re che
gli aveva ordinato di passare il Po, dopo la sconfitta di Custoza, il Gen. La
Marmora non intervenne quasi mai sul Mincio e quando lo fece sbagliò
clamorosamente.
(2)
Pianificazione
Tutta
la campagna italiana fu caratterizzata dalla mancanza di un piano operativo
strutturato. Tutte le operazioni furono condotte senza una visione strategica,
senza che fosse stato espresso un disegno di manovra. Le operazioni erano
guidate da ordini scaturiti dalla pura
improvvisazione dei comandanti a tutti i livelli. Il piano prevedeva essenzialmente
due fronti uno sul basso Po e uno sul Mincio dove avrebbero operato due diverse
armate “secondo le occorrenze colla
massima energia per modo di battere o paralizzare il nemico attraendolo ora da
una parte, ora dall’altra”[7]. Il Gen.
La Marmora e il Gen. Cialdini erano convinto che l’altro avrebbe fatto
un’azione diversiva per agevolare la propria operazione. Ma se l’Armata del Po
avrebbe dovuto fare un’azione dimostrativa, tale operazione doveva precedere
l’attraversamento del Mincio. Per contro se a fare l’azione dimostrativa era
l’Armata del Mincio, non era necessario farlo con dieci divisioni. La soluzione
adottata dunque non solo mancava dell’unità di direzione, ma costituiva solo il
compromesso utile ad accontentare i due generali.
Per
comprendere l’inettitudine dei quadri dirigenziali che operarono a Custoza,
basterebbe osservare la disposizione dei due eserciti il 23 giugno 1866 per
rendersi subito conto di come gli imperiali siano pronti a combattere,
schierati secondo un concetto di manovra del comando supremo, mentre gli
italiani erano ben lontani da credere ad
un imminente inizio delle operazioni. L’idea era quella di un nemico
ancora sull’Adige
Più
nel dettaglio furono riscontrate carenze nelle attività di esplorazione che
furono completamente ignorate lasciando interi reparti di cavalleria nelle
retrovie e comunque inattive.
Gli
attacchi e i contrattacchi furono condotti senza unità di direzione e adeguato
sostegno di fuoco, ma soprattutto non alimentabili a causa della mancanza di
riserve o rincalzi, o se presenti schierati troppo lontani.
I
movimenti furono troppo lenti a causa di inciampi e di sovrapposizioni di
colonne su una stessa rotabile, ma soprattutto a causa del fatto che le colonne
avevano quasi tutto il carreggio al seguito.
Molte
unità non furono per nulla impegnate senza sapere cosa stesse succedendo a
pochi metri dalla loro zona di schieramento.
(3)
Il personale
“Non si può rifiutare all’avversario la
testimonianza che si è battuto con pertinacia e con valore. I suoi primi
attacchi, specialmente, erano vigorosi, e gli ufficiali, slanciandosi innanzi,
davano l’esempio”[8]. Sono le
parole con cui l’Arciduca Alberto esamina il comportamento dei soldati
italiani nel corso delle operazioni.
Dall’esame oggettivo dei fatti è indiscutibile che gli italiani si batterono
bene, con ardore e coraggio quando furono ben comandati e guidati. I soldati
italiani dimostrarono ripetutamente in quella campagna sfortunata del 1866
preziose virtù militari.
Gli
sbandamenti e gli sfasci, che ci furono sia tra gli italiani sia tra gli
austriaci, furono sempre la conseguenza del cattivo impiego delle unità,
impegnate in combattimenti con rapporti di forza improponibili e su posizioni
tatticamente e tecnicamente sbagliate e non al grado di addestramento.
[1]
Pollio A., Op. Cit., p. 109.
[2]
Gioannini M. e Massobrio G., Op. Cit.,
p. 202.
[3] Gioannini
M. e Massobrio G., Op. Cit., p. 208.
[4]
Gioannini M. e Massobrio G., Op. Cit.,
p. 227.
[5] Gioannini
M. e Massobrio G., Op. Cit., p. 229.
[6] Gioannini
M. e Massobrio G., Op. Cit., pp. 254
- 293
[7] Pollio
A., Custoza (1866), Libreria dello
Stato, Roma, 1935, p. 29
[8] Pollio
A., Custoza (1866), Libreria dello
Stato, Roma, 1935, p. 1
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