Relazione presentata al convegno "La Grande Guerra" Rimini 17-18 ottobre 2008
MASSIMO COLTRINARI
La guerra iniziatasi nell'agosto del 1914 e conclusasi nel novembre del
1918 fu il primo grande conflitto armato dell'epoca industriale. Fu una lotta
in grande per il potere economico; chiamò in causa le maggiori potenze e ne
impegnò a fondo non solo le forze militari, ma tutte le energie morali e
materiali. La posta in giuoco non fu la conquista di territori, ma il
predominio politico-economico. Le armi psicologiche ed economiche vi svolsero
un ruolo non meno determinante delle mitragliatrici, del filo spinato, delle
navi di superficie e subacquee. Obiettivo della guerra fu l'annientamento del
potenziale economico, oltreché di quello militare del nemico.
Sul
piano tecnico-militare rivoluzionò i concetti di spazio, di tempo e di massa e
le nuove e diverse dimensioni non furono né previste, né subito percepite, né
esattamente comprese. I grandi eserciti nazionali, creati per la salvaguardia
dei diritti e degli interessi dei singoli Stati, trascinarono con il loro
semplice peso le nazioni in una lotta senza limiti. I piani di guerra, una
volta messi in moto, elusero il controllo dei capi politici e militari e non si
lasciarono più governare. Le forze militari cessarono di essere una macchina
quasi a sé stante, capace, se bene oliata, di lavoro autonomo, ma divennero un
congegno di un meccanismo assai complicato del quale condizionarono il
funzionamento e dal quale furono a loro volta condizionate in misura mai vista
fino ad allora.
La
visione che la guerra dette ben presto di sé fu tragica. Alla fine del 1914, dopo appena sei mesi, il
conflitto non aveva più nulla in comune con quello franco-prussiano del 1870,
con quello russo-nipponico del 1904-1905 e neppure con quelli più recenti
localizzati nei Balcani.
Da
guerra di movimento e di rapido corso, com'era stata impostata secondo le
dottrine del tempo ispirate al prevalere dell'azione offensiva, si era
trasformata, contro ogni aspettativa, in guerra di posizione e di logoramento.
Fallito,
per una serie di motivi sui quali si è tanto discusso, il piano dello
Schlieffen la guerra giunse ad un punto morto per uscire dal quale nessuna
delle due parti possedeva la chiave di volta.
Dopo
gli scontri iniziali conclusisi senza decisione, la guerra ristagnò nelle
trincee; mancò il mezzo per rendere tatticamente attuabile ciò che era
strategicamente desiderabile. A quel punto l'alternativa fu tra la soluzione
diplomatica e la lotta di logoramento
Ad
un accordo onorevole non avrebbe dovuto essere d'impedimento l'avvenuta
occupazione di qualche provincia, mentre alla lotta di logoramento avrebbero
dovuto opporsi il senso politico e la consapevolezza del reale. Prevalsero
l'irragionevolezza e l'incomprensione dell'avventura alla quale si sarebbe
andati incontro.
Il
fallimento del piano Schlieffen ebbe una conseguenza decisiva: impedi alla
Germania di vincere la guerra. Quali ne siano stati i motivi - l'incapacità
professionale del Moltke iunior non fu
l'ultimo - era troppo tardi quando il Falkenhayn, succeduto al
Moltke nella carica di capo di stato maggiore il 14 settembre, volle ritentare
l'impresa non riuscita al predecessore.
Quando la
Dottrina non da risposte sufficienti per gestire gli avvenimenti, occorre
interrompere subito questi avvenimenti e ripensare. Se si continua senza
indicazioni di sorta, si va incontro a disastri, come è successo,APPUNTO, nella
prima guerra mondiale
I numerosi
tentativi del Moltke e del ]offre miranti ad aggirare il fianco occidentale
dell'avversario erano andati a monte; ad ottobre la battaglia intrapresa
attorno a Ypres non dimostrò altro che si era determinata la superiorità della
difesa sull’attacco. La battaglia di Ypres permise ai franco-britannici di
realizzare la continuità del fronte tra la Svizzera ed il mare determinando
così quella situazione di stallo della guerra sul fronte occidentale dalla
quale nessuna delle due parti , nonostante i tentativi per aggirarla o
batterla, riuscì nell’intento nei successivi quattro anni di guerra.
Elencare le battaglie che si sono succedute
rappresenta un mero esercizio scolastico di elencazioni di fatti: la realtà che
tutte le operazioni fino allì11 novembre 1918 sono una dimostrazione chiara
della superiorità della difesa sulla offensiva, in cui non furono trovati
rimedi sostanziali.
Nel corso della guerra i tedeschi provarono a
sfondare o aggirare il fronte avversario 2 volte
-
la seconda il 21 maggio del 1918 sul fronte della
Somme
I
Franco britannici nel 1915 lanciarono quattro offensive, due nell’Artois[2] e due
nello Champagne[3]; nel 1916
la grande offensiva della Somme, che protrattasi da maggio a settembre, non
ottenne che 30 km quadri di territorio strategicamente insignificanti e la
perdita di 500.000 uomini contro 268.000 tedeschi
Nel 1917, dopo quella del gen. Neville,
che impegnò la 1, la 3 e la 5 armata francese e cinque Armate Britanniche
conseguì vantaggi territoriali insignificanti nell’Artois e nello Champagne.
Poi l’offensiva di Haig nelle Fiandre dall’ 11 luglio al 10 novembre costò 240
mila uomini per la conquista di due
alture.
L’unica offensiva del 1917 che avrebbe potuto
avere effetti strategici rilevanti fu quella tentata a Cambrai ove, senza
preparazione di artiglieria, furono lanciati 300 carri armati contro la linea
Sigfrido, riuscendo ad aprire una breccia di 6 km e profonda 8 catturando 10 mila prigionieri tedeschi e 200
pezzi di artigliaria contro la perdita di 1500 uomini. Ma il successo andò in
fumo perché l’unica riserva disponibile per sfruttarlo era la cavalleria,quella
montata, la cui mobilità era stata da tempo neutralizzata dalle armi moderne.
La scarsa attenzione dei
tedeschi al carro armato fu pagata amaramente ed ebbero modo di pentirsi
amaramente. L’'8 agosto 1918 il generale inglese Rawlinson, nel quadro della
controffensiva alleata, lanciò all'attacco 456 carri armati, evento che indusse
successivamente il generale tedesco Zwhel a dire: «non fu il genio del
maresciallo Foch a batterci, ma il generale Tank» ed il generale Ludendorff
a scrivere: «gli attacchi in massa dei carri armati... rimasero da allora
in poi il nostro più pericoloso nemico» . Un poi che ebbe breve
durata, perché le enormi perdite subite nell'offensiva del marzo-luglio 1918
ma soprattutto lo scoramento che invase i Capi tedeschi in seguito all'insuccesso,
ovvero alla incapacità culturale e dottrinale di fare fronte alla nuova arma,
indussero i tedeschi in uno stato di prostrazione,soprattutto motivazionale,
tale da confessarsi battuti, quando ancora vi era ampio margine di possibilità
operative sole se si fosse adottata una dottrina e procedimenti d’impiego
totalmente diversi ed innovativi.
Fronte Orientale
Sul
fronte orientale, nonostante le oscillazioni di 80 km dall’indietro in avanti,
impensabili sul fronte occidentale, si ebbe lo stesso carattere di logoramento.
Anche qui ogni operazione fu impostata
su di una strategia e su di una tattica perlopiù eguale a quelle del fronte
occidentale.
La
guerra si iniziò in maniera diversa da quella
ipotizzata dai piani diligentemente preparati in tempo di pace: gli
Austro-ungarici, contro ogni attendibile aspettativa, furono respinti dai
Serbi ed i Russi si mossero con rapidità maggiore di quella immaginata e
preventivata riuscendo a battere a Gumbinnen, il 20 agosto 1914, l'armata
tedesca lasciata a guardia della Prussia orientale e della Slesia.
Hindenburg e Ludendorff, spediti in
fretta dal Moltke per rimediare alle conseguenze di Gurnhinnen, approvarono il
piano nel frattempo elaborato dal colonnello Hoffmann dello Stato Maggiore
dell'armata battuta, consistente in un'audace manovra per linee interne, e
vinsero prima a Tannenberg (26-29 agosto) poi il 6-14 settembre ai Laghi
Masuri contro le armate di Rennenkampf e si Samsonov.
Anche
sul fronte orientale siamo di fronte all’attacco frontale ed alla guerra di
logoramento, la quale si sviluppa, come si è sviluppata essenzialmente lungo un
fronte più o meno esteso e continuo sul
quale i sistemi politico-militari belligeranti fanno affluire le proprie risorse,
fino a consumare quelle di cui dispone il contendente più debole o comunque
fino al momento in cui si verifica il cedimento psicologico di uno dei due contendenti.
Le
battaglie offensive non produssero mai effetti strategici diretti e non furono
meno sanguinose di quelle combattute altrove. Nei soli anni 1915 e 1916 i russi
persero 3 milioni di uomini. Anche qui fu l'insuccesso di una grande offensiva
a provocare il crollo morale dell'impero degli Zar, ridotto in verità a mal
partito anche dal punto di vista materiale: i Russi, alla fine, come i Tedeschi
e gli Austroungarici l'anno dopo, furono stanchi di morire senza uno scopo
plausibile contro le barriere trincerate nemiche.
d'armi
della guerra 1914-1918» (20) - e successivamente (6-14 settembre) ai laghi
Masuri le armate di Rennenkampf e di Samsonov. Nel novembre-dicembre 1915
Ludendorff colse a Lodz una nuova vittoria che ebbe per effetto
l’irrigidimento del fronte ed il
passaggio alla guerra di logoramento.
Le operazioni navali
Le
operazioni navali ebbero lo sviluppo classico, sulla falsa riga di quelle
terresti. La battaglia delle Jutland svoltasi dal 31 maggio al 2 giugno del
1916, ove furono coinvolte 254 navi fra tedesche ed inglesi, la più grande
battaglia navale di tutti i tempi, né è l’esempio calzante.
Lo
scontro fu la risultante della corsa agli armamenti navali che avevano
interessato la Germania Imperiale e l’Impero Britannico. Ciò era costato molto
in termini economici, ma non portò la Germania ad essere in grado di minacciare
il primato inglese sul mare. Anche qui errori strategici di fondo: entrambi i
Paesi investirono su un tipo di nave la cui validità era molto discussa, vale a
dir egli incrociatori da battaglia. Queste costosissime navi univano la
velocità e la manovrabilità di un incrociatore alla potenza di fuco di una
corazzata, ma rispetto alla corazzata erano più vulnerabili.
La
battaglia si fonda su una serie di errori da entrambi le parti, il primo dei
quali fu madornale da parte tedesca. L’ammiraglio Scheer, comandante della Flotta d’alto mare tedesca ignorava che
i comandi britannici erano in possesso del codice segreto delle comunicazioni
radio dello Stato Maggiore tedesco, caduto in mano nemica a seguito della
cattura dell’incrociatore Magdeburg.[4] Mentre era
in navigazione nello stretto dello Skeherrak, iniziò ad usare questo codice,
rilevando così la posizione ed i suoi movimenti al Comando Inglese. Gli inglesi
oltre a questo vantaggio avevano anche quello del numero: disponevano di 28
corazzate monocalibro e 10 incrociatori da battaglia, mentre i tedeschi
disponevano di 16 corazzate monicalibro e 5 incrociatori da battaglia (rapporto
8 : 5 a loro favore)
LA
battaglia si svolse in due fasi al
termine della quale gli inglesi persero il doppio delle navi e più del doppio degli
uomini dei tedeschi per un totale di 115.000 tonnellate inglesi contro 61000
tonnellate tedesche, 6100 morti contro 2550 tedeschi.[5] Fu la più
grossa sconfitta tattica subita dalla Royal Navy, sconfitta ancora più amara e
scottante in quanto si tratto solo di uno scontro d’artiglieria classico,
avutosi contro un avversario impreparato, senza tradizione navale, inesperto e
in svantaggio per ben due volte il
numero di navi.
Ma
questa battaglia non incise sull’andamento strategico della guerra. La vera guerra
fu combattuta dall’arma subacquea tedesca contro i rifornimenti che dal nuovo
mondo raggiungono l’Europa e l’Inghilterra in particolare. L’Alto comando
britannico ebbe delle esitazioni nel ricorrere al sistema dei convogli e non
comprese l’utilità di questa soluzione. Le perdite inflitte dai sommergibili
tedeschi furono tali che portarono la Gran Bretagna e la Francia quasi
sull’orlo della disfatta. Per fare un paragone, la situazione fu peggiore in
questo settore nella Prima Guerra Mondiale che nella Seconda: almeno la lezione
per gli Inglesi era servita.
Così
come nelle battaglie terrestri anche in quelle navali non rifulse la capacità
di impiego dei mezzi a disposizione in modo tale che si potesse giungere ad una
vittoria definitiva.
Anche
qui l’incapacità di comprendere la situazione reale e prendere provvedimenti
tali da evitare disastri e perdite evitabili.
Lo stallo tattico
Questo
quadro generale delle operazioni porta alla considerazione che nella prima
guerra mondiale la decisione del conflitto veniva ricercata attraverso il
confronto esclusivo tra sistemi militari contrapposti, secondo i canoni della
strategia diretta, fortemente influenzata dalla concezione napoleonica messa in
sistema ed elaborata dottrinalmente dallo Stato Maggiore tedesco, con i suoi
grandi esponenti tra i quali il Klausewitz è d’obbligo citare.
La
prima guerra mondiale sotto il profilo delle operazioni militari si svolse sul
questo canovaccio, ciòè sui procedimenti della guerra classica. Il risultato fu
conseguito quando la Germania e l’Austria- Ungheria non ebbero più risorse
morali, e prima che materialmente,
cedettero psicologicamente inizialmente
nei propri capi poi nel popolo. Nel novembre del 1918 non furono più i
grado di contenere la potenza militare degli alleati e vennero costretti alla
capitolazione anche dallo scoppio delle rivoluzioni interne e moti
politico-sociali interni. Da notare che la potenza militare era ancora
abbastanza consistente da condurre almeno un altro anno di guerra.
Quattro
anni di offensive a cui si risponde con difensive ancora più caparbie, sia in
terra che in mare: si inventano armi e mezzi nuovi, ma non si giunge a nessuna
conclusione, tale da conseguire la vittoria, che è lo scopo per cui si è
dichiarata la guerra. La Nazione brucia intere generazioni di uomini, brucia
risorse immense ma non ottiene nulla in cambio.
Il
perché di tutto questo è da ricercarsi in quello che si può definire lo “stallo tattico”, ovvero le forze militari non riescono a
sopraffarsi con l’impiego delle armi e non si determina ne il vinto nel il
vincitore.
Il fallimento della offensiva
Lo studio, e purtroppo non vi è lo
spazio per la descrizione, delle operazioni condotte, anche se in forma
succinta, porta alla conclusione oggettiva che si è di fronte al fallimento
dell’offensiva.
Su questo
fallimento quanto abbiano influito, talvolta più talvolta meno, in qualche caso
tutti ed in qualche altro solo parte, la scarsa o nulla unità di comando e di
direzione strategica, l'insufficiente preparazione dei comandi e degli stati
maggiori, il maggiore o minore grado di addestramento delle unità, l'abilità
o l'imperizia dei Capi, la migliore o meno buona qualità delle armi e dei
mezzi, la maggiore o minore disponibilità del supporto industriale, agricolo e
logistico, è un mero esercizio in termini relativi. In termini assoluti il
fallimento della offensiva è un dato reale.
E', peraltro, fuori discussione lo spirito
combattivo che animò la grandissima maggioranza dei soldati di entrambe le
parti, i quali avrebbero meritato capi politici e militari più esperti valenti,
accorti.
Nonostante
le eccezioni, naturalmente, proprio la direzione della guerra fu carente. La
maggioranza furono inclini al distacco mentale ed all'isolamento nei
quali spessissimo si collocano, o si lasciano collocare, coloro che occupano
le supreme posizioni militari. Troppo
peso dato alle considerazioni strategiche rispetto a quelle tattiche,
l'attaccamento quasi fideistico alle teorie ed agli schemi del passato, la
chiusura mentale alle innovazioni, l'abbandono di taluni principi
insurrogabili della lotta, furono gli errori più comuni che produssero il
logoramento morale e materiale delle proprie più che delle altrui forze. I
decisori militari, o come si direbbe oggi, gli stockholders, continuarono a
credere che l'azione offensiva fosse solo problema di superiorità numerica e di
disciplina delle unità e dei singoli e mortificarono cosi l'arte e la
scienza della guerra; non sapendo ideare una nuova tattica efficace da portare
al servizio della strategia, insistettero nell'attaccare ad ogni costo e ad
oltranza indipendentemente dai morti che seminavano, dimentichi che la bravura
del capo sta nel cogliere la vittoria con il minore numero possibile di
perdite. E questo non lo si poteva ottenere con il movimento allo scoperto di
masse di soldati, in formazioni serrate, agenti per ondate successive contro
baluardi trincerati e con sulle spalle un peso che era quasi la metà di
quello del loro corpo.
Anche le
offensive bene impostate e condotte non sentirono effetti strategiçi decisivi o
perché non consentirono la creazione di brecce sufficientemente ampie e
profonde attraverso i baluardi difensivi o perché quelle che permisero tale
risultato ne inibirono lo sfruttamento stesso.
Gli errori sono evidenti: Manovra
frontale voleva dire rinunzia alla combinazione di più sforzi manovrati e di
più direttrici convergenti e, conseguentemente, ricorso ad azioni parallele e
ad avanzate frontali; rompere significava rimuovere o distruggere l'ostacolo e
neutralizzare il fuoco nemico; penetrare era come dire realizzare la continuità
e la coordinazione del proprio movimento con il proprio fuoco; dilagare
significava correre in profondità senza ridurre nel progredire la potenza della
falcata e della progressione nello spazio.
Gli Imperi
Centrali non riuscirono a formare la massa sui punti decisivi; l’Intesa
disperse le forze in sforzi non coordinati o non sempre utili nel tempo e nello
spazio nell’interesse comune
Di fronte
al dominio, ben presto incontrastato, del binomio mitragliatrice
fortificazione, l'attacco fu colpito da paralisi, sia perché la potenza
distruttrice dell'artiglieria da campagna era assai limitata ai fini della
distruzione dell'ostacolo passivo, sia perché la cooperazione tra fanteria ed artiglieria
presentava troppe alee ed interruzioni per garantire lo sviluppo e la
continuità della penetrazione nell'interno del sistema difensivo nemico.
La evoluzione della Dottrina
Fu lo Stato Maggiore
dell’Esercito Tedesco ad influenzare per l’intera durata dell’arco delle guerra
l’evoluzione della dottrina e delle tecnica d’impiego nei riguardi dell’azione
difensiva. Esso elaborò di volta in volta, sulla base dell'indagine teorica e
soprattutto dell'esperienza che veniva compiendo nei vari scacchieri e nelle
varie situazioni, criteri, provvedimenti e modalità che, particolarmente in
materia di difesa, nessun altro stato maggiore seppe eguagliare. Al modello,
anzi ai modelli tedeschi, si uniformarono di volta in volta, chi più chi meno,
adattandoli e perfezionandoli, gli eserciti di entrambe le coalizioni talché
le varie dottrine e tecniche finirono quasi sempre, prima o poi, per
assomigliarsi.
E’ sorprendente che gli
Stati Maggiori degli eserciti impegnati nella guerra non siano stati in grado
di elaborare percorsi alternativi a quelli proposti dallo Stato Maggiore
tedesco: anche qui si coglie la impossibilità di essere propositivi.
Dottrina e tecnica dell’azione difensiva ebbero una
evoluzione lineare e costante senza ripensamenti ed evoluzioni mirante al
progressivo aumento dell'inespugnabilità
ricercata questa nell'incremento e nel perfezionamento della tecnica
fortificatoria e nell'esaltazione delle caratteristiche di profondità,
elasticità e reattività.
Dall'inizio alla fine
della guerra, in una trama sempre, più fitta ed intricata, le mitragliatrici, i
reticolati e le trincee dettero alla difesa la superiorità sull'attacco e
determinarono l'equilibrio statico tra le due azioni rimasto tale fino
all'avvento del carro armato.
La trincea divenne la
linea di combattimento, sulla quale si doveva per ragioni operative, e nello
stesso tempo morali e politiche, resistere o morire.
La
evoluzione della dottrina tattica offensiva fu meno lineare, soggetta a ritorni involutivi, non
risolutiva del problema, che vagò a lungo alla ricerca della formula idonea a
rompere l'equilibrio statico nei riguardi della difesa e che non seppe comporla
nei giusti termini, o quanto meno non ne percepì l'esatto valore, neppure
quando ebbe a disposizione il mezzo - il carro armato - per farlo. Il
fallimento delle dottrine offensive in vigore all'inizio del conflitto aveva
colto di sorpresa tutti gli eserciti, compreso il tedesco che pure disponeva di
un'artiglieria superiore per quantità e qualità e soprattutto di obici pesanti
meglio idonei a distruggere l’ostacolo.
La lotta tra attacco e
difesa divenne impari; questa disponeva di spada e di scudo l’attacco solo di
lancia che lunga che fosse fini quasi
sempre perspezzarsi senza forare lo scudo, o quando vi riuscì non ebbe lo
scatto e la distenzione necessari per l’affondo, che venne sempre parato o
schivato, magari, come sul fronte orientale con un lungo salto all’indietro
sena perdere peraltro il cotrllo dell’arma.
Delle tre fasi della
manovra di rottura:
a)
l’apertura
della breccia, venne in un primo momento affidata all’artiglieria
b) La seconda alla
fanteria
c) E la terza il
dilagamento e sfruttamento del successo
alla Cavalleria
I risultati furono tutti
deludenti.
L’artiglieria non
riusciva a distruggere l’ostacolo passivo;
la fanteria con i propri mezzi e con i
procedimenti in vigore, non fu assolutamente in grado di muovere con rendimento
operativo accettabile nel dedalo delle superstite difese passive ed attive
la cavalleria non
riusciva a dilagare per effetto della incapacità di avere mezzi idonei.
Di fronte alle ecatombe
di fanteria le cui ondate successive si accavallavano l’una sull’altra la
seconda calpestando i morti della prima e via dicendo, , si otteneva la
conquista di qualche decina di metri, assolutamente insignificanti sul piano
tattico e sul piano strategico.
Come si cercò di porre rimedio
Quando
verso la fine del 1917 i tedeschi, dopo circa tre anni, decisero di passare
nuovamente all'azione offensiva sulla fronte occidentale, avevano pronta una
nuova tattica che esperimentarono prima a Riga e poi a Caporetto. Con la
tattica dell'attacco contro i punti deboli che essi adottarono,
intesero: restituire alla fanteria il compito della conquista degli obiettivi;
conferire alla fase di penetrazione carattere di potenza, continuità e
flessibilità, da essi stessi sottratto con la tattica d'intermittenza; rimettere
in auge i principi della sorpresa, dell'inganno e del1'economia materiale delle
forze per troppo tempo disattesi. La nuova tattica, alla quale ben presto si
uniformarono gli altri eserciti e che costituirà la base delle dottrine
offensive tra la prima e la seconda guerra mondiale, poggiò sui seguenti
criteri fondamentali: preparazione dell'artiglieria non superiore alle 3-5 ore;
mascheramento dello sforzo principale mediante il ricorso a sforzi finti di
potenza iniziale non inferiore a quella dello sforzo principale; continui
spostamenti di truppe nelle retrovie per disorientare il difensore; riduzione
e, se possibile, annullamento delle soste attacco durante, mediante stretta
cooperazione fanteria-artiglieria che assicuri, finché possibile, l'appoggio
mobile di fuoco, e mediante lo stretto coordinamento del movimento dei reparti
fucilieri con il fuoco dei nuclei mitraglieri e lanciagranate, delle bombarde e
dei cannoni di accompagnamento; sostituzione nelle formazioni della fanteria
della riga con la fila come la più idonea al movimento e "la
meno vulnerabile; riduzione della densità della catena.
Prendere
posizione durante la notte, non logorarsi contor i punti forti, sfruttare le
occasioni favorevoli, insinuarsi nelle zone di maggiore facilitazione e di
minore resistenza, non gettarsi in massa contro la fronte ma sondare i punti
deboli, avvilupparli e non battere contro di essi: questi furono i canoni della
nuova tattica e che modificarono sostanzialmente le operazioni terresti nel
1917 e 1918.
Ma trovata
la soluzione per le prime due fasi della manovra di rottura non fu trovata la
soluzione perche non vi erano i mezzi, per la terza fase, il dilagamento e lo
sfruttamento del successo per trasformare il successo tattico in successo
strategico.
Questa
incapacità è da addebitarsi ai mezzi in dotazione alla cavalleria. Troppo
legata al passato, al cavallo, alle tradizioni, non era riuscita a trovare il
mezzo idoneo: La sua iniziale insufficienza di capacità,operativa era venuta
aumentando in proporzione geometrica con il progressivo accrescimento della
robustezza delle difese, non era stata non era e non sarà mai più in grado di
esprimere la potenza necessaria a sfondare le barriere difensive che incontrava
in profondità e neppure a prevenirvi il nemico che a ragione le predisponeva
cosi lontane.
La forza della tradizione, lo spirito di
sacrificio, il coraggio, il valore non erano più sufficienti a superare la
debolezza costituzionale dei mezzi in dotazione, inidonei e vulnerabili.
La difesa
ebbe sempre modo e tempo di correre alla parata anche quando l'attacco ruppe il
muro e riuscì a sboccare in campo aperto, dove giunse però quasi sempre esausto
e logoro, privo cioè della forza psicologica e materiale per spingersi con
slancio in profondità. La cavalleria, in conclusione, non fu egualmente in
grado di svolgere il suo compito principale e dovè appiedare per combattere con
procedimenti infantieristici nell'ambito delle azioni tattiche delle divisioni
e dei corpi d'armata, venendo meno ai suoi compiti di arma, ne inficiava l’esito finale.
Le
operazioni terrestri e navali ebbero queste caratteristiche che furono la
matrice della evoluzione dottrinale fra le due guerre negli anni venti e
soprattutto negli anni trenta e poi la base dei criteri operativi applicati nel
corso della seconda guerra mondiale.
Quanto successe nel 1918 fu il
riferimento per cambiare: finalmente si
ricorse alla strategia indiretta, ovvero agire per vie diverse, con le finalità
di colpire soprattutto il sistema politico-sociale avversario e distruggere il
consenso della sua opinione pubblica alla
prosecuzione delle operazioni militari come premessa alle azioni sul
terreno; poi superare lo stallo tattico, riportare l’offensiva ai suoi reali
valori e superare con la tecnologia disponibile i mezzi messi in campo dalla
difesa.
La “summa” di tutto questo è quanto
elaborò Liddell B. Hart con il suo “British way of Warfare”, ovvero la
diversione strategica ed quanto si trova nel “ Blitzkrieg tedesco”,
ovvero la penetrazione in profondità e attacco alle connessioni intrinse
nemiche. Da qui le mosse per evitare le immani carneficine della Prima Guerra
Mondiale, che rimane uno dei ricordi più pesanti di questa guerra, la quale ha
insegnato ed insegna che la cultura, le idee, lo studio sono la base di ogni
attività militare brillante ed efficace.
[1] La
battaglia di Verdun, impegna per cingerla prima che l’impero britannico fosse
in grado di intervenire con l’esercito professionale che Lord Kichcner stava
preparando, ancorché condotta su un piano di battaglia estremamente
intelligente e secondo la tattica appropriata all’attacco di fortezze,
preponderanza della artiglieria ed economia di fanteria, ebbe termine con la
vittoria della difesa. I francesi vi persero 419 uomini , mentre i tedeschi ne
persero 350.000 mila. Al termine i tedeschi, che avevano inizialmente
guadagnato posizioni e terreno, si ritrovarono sulle basi di partenza.
[2] La
prima 20 dicembre 1914- 15 gennaio 196 e
16 febbraio-20 maggio 1915; la seconda 9
maggio- 27 maggio .
[3]
Spiegatesi nell’autunno non ebbero altro risultato che la perdita di 190
mila.uomini fra gli Alleati e 50 mila fra i tedeschi.
[4]
Dal
momento che nessun ufficiale responsabile aveva avuto il coraggio di denunciare
la grave infrazione ai superiori, il 30 maggio 1916, Scheer, in
navigazione nelle acque dello stretto dello Skegerrak, un lungo braccio di mare
tra la Danimarca
e la costa meridionale della Norvegia, continuò ad usare questo codice. Decrittati i
messaggi dell'ammiragliato tedesco, il capo della flotta inglese, l'ammiraglio
Jellicoe, ordinò a tre squadre di navi di
linea di prendere il mare la sera stessa e di puntare ad est alla
massima velocità con l'obiettivo di inchiodare e affrontare il nemico proprio
nello stretto dello Skegerrak. Dall'altra parte Scheer, a bordo della Friedrich
der Große, non sospetta nulla dell'avanzata della Grand Fleet.
[5]L'alto numero di
morti è spiegabile dal fatto che l'Indefatigable,
l'Invincible e la Queen Mary furono colpite e affondate con
un'unica fortissima salva, inabbissandosi così rapidamente da impedire il
recupero degli equipaggi, mentre da parte tedesca le perdite furono
incredibilmente limitate; persero solo l'incrociatore da battaglia Lützow,
la nave di linea Pommern, gli incrociatori leggeri Wiesbaden, Elbing,
Frauenlob, Rostock, nonchè 5 torpediniere.
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