Introduzione
(Cenni sul personale
impiegato e sulla guerra di trincea)
Aprilia, 18 febbraio
2015
(Gen.D. Dott.
Gianfranco Gasperini)
Il
mio compito, stamane, è quello di gestire gli interventi degli amici relatori e
le eventuali vostre domande di chiarimento o approfondimento che alla fine
della mattinata vorrete porre.
Prima
desidero chiarire quale sarà l’oggetto della mia breve introduzione: l’uomo
soldato della grande guerra e la trincea; infatti questi due elementi hanno
caratterizzato in modo imponente questo
terribile primo conflitto mondiale il cui inizio -da parte italiana- celebriamo
quest’anno. Altri fenomeni quali gli aspetti tecnologici innovativi delle armi
utilizzate, l’uso indiscriminato dei gas, l’uso intenso del nuovo mezzo aereo, l’impiego
massiccio delle donne nell’industria, quella bellica in particolare, eccetera,
furono anch’essi notevoli, ma non come i due che ho scelto.
1.IL
PERSONALE
Durante
l'intero corso della guerra il traguardo dell'armonizzazione della quantità con
la qualità fu uno dei principali problemi degli Stati Maggiori di tutti i
belligeranti. Il problema dei quadri ufficiali e sottufficiali fu assillante.
L'esercito italiano, procedette rapidamente all’incremento della truppa (last. 3) e in seguito a
provvedimenti di ogni genere, dei quali fondamentale quello dell'istituzione di
corsi accelerati integrati da concorsi tra ufficiali di complemento e da
promozioni di sottufficiali, entrò in campagna(last
4,5) con 45000 ufficiali, dei quali 26000 in
servizio attivo, sufficienti a mobilitare tutte le unità di arma combattente
con la quantità dì ufficiali previsti, tranne l'artiglieria.
La
loro provenienza sociale era molto varia, quelli usciti dalle Accademie di
Modena e Torino provenivano, in gran parte dalla piccola nobiltà terriera e
dalla borghesia, quelli di complemento (che avrebbero arricchito i quadri
inferiori durante la guerra), appartenevano alla piccola borghesia impiegatizia
cittadina e rurale.
Gli
ufficiali a ruolo, all’inizio del conflitto, come si è visto, erano 45.000; questi
però erano diversi per origine, provenienza, cultura e pratica del servizio; in
compenso, tutti erano animati da un alto spirito del dovere che essi
dimostrarono con quegli atti di sublime sacrificio che caratterizzarono le
nostre battaglie e che tanti vuoti provocarono tra le file di questi magnifici
giovani e dei loro soldati. I dati relativi a tali ingentissime perdite
appaiono dalle successive (last. 6, 7, 8).
I
nuovi comandanti (last. 9) venivano tratti in gran parte dai giovani soggetti ad
obblighi di leva con titolo di studio superiore e dai sottufficiali più esperti
con o senza titoli speciali di studio; si dava loro una istruzione
professionale sommaria in corsi accelerati di qualche mese presso l’Accademia
di Modena, o in zona di guerra e dopo un breve periodo di servizio alle truppe
con il grado di aspirante si nominavano ufficiali .[1]
A causa delle perdite, derivanti dalla furia della guerra, la fabbrica
artigianale dei quadri continuò a sfornare per tutta la durata della guerra
ufficiali che giunsero in tempi brevissimi al comando delle compagnie e
addirittura dei battaglioni.
Il
fabbisogno di personale qualificato non riguardò solo i quadri ufficiali, ma
anche i sottufficiali e la truppa e crebbe, in proporzione geometrica in relazione
all'aumento delle unità e all'introduzione di nuovi mezzi e di nuove tecniche.
Ciò
che esasperò il problema della qualità, più che quella di nuovi corpi o
specialità di arma, fu la creazione in tutte le armi di personale specializzato
nell'impiego dei nuovi mezzi tecnici e delle armi nuove. La fanteria,
l'artiglieria, il genio e l'aviazione stessa, in seguito all'aumento
quantitativo delle dotazioni e dei tipi di materiale da impiegare, dovettero
moltiplicare gli incarichi speciali all'interno delle unità preesistenti nei
riguardi sia dell'organizzazione degli organi direttivi, sia dei reparti
d'impiego.[2]
Testimonianza
delle capacità e del valore dimostrato dai nostri soldati sono i dati relativi
ai decorati al V.M. (last. 10, 11, 12)
2.LA
GUERRA IN TRINCEA (last.13)
Fu
la mitragliatrice resa quasi invulnerabile dalla fortificazione potenziata
dall'ostacolo, a determinare il carattere particolare della guerra e la
prevalenza dell'azione difensiva su quella offensiva. Venne meno la mobilità
tattica e la fanteria cercò di riacquistarla mediante l'aumento della sua
potenza di fuoco e di urto, intesa non solo come aumento del numero di armi
automatiche in dotazione e del loro decentramento ai minimi livelli fra i
combattenti. Quella routine giornaliera, quell' abitudine alla morte come
evento frequente e quindi accettato come un rischio quasi normale dell'
esistenza, faceva, sì, apprezzare come beni eccelsi i piaceri più normali, una
buona dormita in un letto, un pasto caldo e ben servito, un abito decente; ma,
a differenza di quanto accadeva negli
attacchi sanguinosi, non raggiungeva il limite dell' insopportabilità. Ed aveva
anche affratellato gli uomini, i soldati di provenienza contadina, con i
giovani ufficiali inferiori, figli della modesta borghesia delle città. Il
pericolo non aveva acuito l’egoismo personale, aveva anzi sviluppato un
cameratismo affettuoso, che impediva di cercare la salvezza propria a scapito
della vita degli altri.[3]
Il
luogo paradigmatico di questi fenomeni fu principalmente la trincea. Le trincee,
(last.14) compatibilmente con la natura del terreno,
erano state portate quanto più possibile vicino a quelle dell' avversario:
talora la distanza reciproca non superava qualche decina di metri. Reti di filo
spinato costituivano la prima difesa contro l’improvvisa irruzione del nemico.
Agganciate a paletti infissi nel terreno, esse potevano essere distese, salvo
nei giorni nebbiosi, soltanto di notte. Per aprire in essi dei varchi, dopo le
cesoie di infame memoria e i tubi di gelatina esplosiva - i soli strumenti
disponibili nel 1915 - venivano largamente usate le bombarde, vere artiglierie
da trincea, in grado di lanciare a breve distanza e con scarsa precisione
enormi bidoni di esplosivo. Quando uno di questi barili scoppiava, erano di
solito stragi paurose; ma appunto per mitigare i danni le trincee non erano
costruite rettilinee, ma (last. 15) ad angolo o a labirinto.[4].
Qui
i nostri fanti mangiavano, bevevano, dormivano e morivano. Camminamenti
trasversali, che partivano dalle terze linee, incrociavano le seconde e le
prime, per arrivare alle trincee degli avamposti, infelici, che avevano il
compito - a chi toccava toccava -di subire il primo assalto di sorpresa. Lungo
questi camminamenti, defilati fin dove possibile al tiro nemico, ma per forza
di cose scoperti in taluni punti, che diventavano dei trabocchetti obbligatori,
in cui si giocava a rimpiattino con la morte, si svolgeva un intenso traffico
di rifornimenti verso i reparti più avanzati. Dinnanzi al reticolato e alla
trincea, verso il nemico, si stendeva la "terra di nessuno” popolatissima
dai morti e dai disertori di entrambe le parti.
Di seguito e concludo, una serie di immagini dei vari tipi di
trincee che danno loro un’idea della vita che vi si svolgeva.(last. 16, ecc.)
1 Relazione sulla grande
guerra, Pubblicazione Nazionale in occasione del decennale della vittoria,
Vallecchi, Firenze, 1929
2 USSME (Filippo
Stefani), La storia della dottrina e degli ordinamenti dell’Esercito
Italiano, Roma,1984
[1] www.bibliolab.it, Laboratorio di storia, la 1^ guerra
mondiale
[1]
USSME, L’Esercito
Italiano nella grande guerra, vol. VI, Roma, 1980
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