IL CONTESTO STORICO
L’ITALIA E LA NEUTRALITA’
In questo contesto l’Italia, nonostante facesse parte della
Triplice Alleanza con l’Austria-Ungheria e Germania fin dal 1882, proclamò la
sua neutralità.
Le ragioni sono:
-
il trattato di alleanza aveva
carattere difensivo e non offensivo, mentre in questa occasione era stata
l’Austria stessa a provocare la guerra
-
il medesimo trattato, al’articolo 7,
dichiarava che, se l’Austria o l’Italia, fossero state costrette a mutare lo
“status quo” in Oriente, avrebbero dovuto prendere precedenti accordi sul
principio del reciproco compenso, mentre in questa occasione l’Austria aveva
dichiarato la guerra all’insaputa dell’Italia.
Queste ragioni devono, naturalmente, essere approfondite per
comprendere e rifiutare l’accusa di non rispetto dei patti avanzata, a
posteriori, da Austria e Germania, accura che ancora oggi aleggia attorno al
nome dell’Italia nei paesi di lingua tedesca.
La figura chiave per comprenderle e approfondire gli
avvenimenti del 1914 nei rapporti nell’ambito della Triplice Alleanza e dei Governi interessati, è quella del
Ministro degli Esteri Italiani, marchese di San Giuliano. Attraverso la sua
azione fino alla crisi estiva del 1914, si può capire il perché delle scelte
dell’Italia.
Ora questo equilibrio stava per finire.
Secondo San Giuliano, nelle rivoluzioni territoriali che si
delineavano per il caso della guerra europea, il Governo tedesco avrebbe
conseguito grande conquiste a spese della Francia e della Russia nel continente
europeo e nelle colonie; Il Governo austriaco avrebbe esteso il suo controllo a
tutta la penisola
Balcanica ; il Governo italiano doveva, nel quadro della
Triplice secondo questi presupposti, secondo San Giuliano, partecipare alla
spartizione del bottino.
Gli “acquisti” dell’Italia potevano avvenire in diverse
direzioni: in Europa a spese della Francia verso i confini occidentali o a
spese dell’Austria o questa consenziente, verso i confini orientali; in
Albania, nel Mediterraneo orientale a spese della Turchia o della Grecia;
nell’Africa settentrionale, a spese della Francia, in Africa orientale a spese
dell’ Abissinia. San Giuliano non aveva preferenze: avrebbe agito secondo le
circostanze.
Era fermo nella convinzione di sostenere l’Austria e la sua
azione contro la Russia e la Serbia, convinto che il movimento slavo e
l’irredentismo italiano fosse un pericolo non solo per l’Austria ma anche per
l’Italia. L’Austria doveva contenerli tutte e due ostacolarli con ogni mezzo e
quindi procedere alla conquista di tutta la Balcania espandendosi verso
oriente.
Era una visione che presupponeva la vittoria della gemania ad
occidente e dell’Austria nei Balcani.
Secondo la tradizionale teoria dello Stato Maggiore Italiano
la difesa del Veneto era difficile se non impossibile contro un assalto da
oriente finchè l’Austria fosse rimasta padrona di Trieste e dell’Istria, ed
anche del Trentino, che rappresentava una ulteriore minaccia aggiuntiva.
In accordo con il Ministero della Guerra, il Ministero degli
Esteri insisteva con posizione ferma che la primaria richiesta Italiana di
compensi per l’espansione dell’Austria nei Balcani era, in modo assoluto,
Trieste e l’Istria, anche per garantirsi i confini orientali e il Veneto, poi
territori in Albania e nelle colonie o altrove.
San Giuliano era, peraltro convito, che questa richiesta non
avesse nessuna speranza che questo potesse accadere ( da qui il suo rifiuto
dell’irridentismo che considerava un male incurabile sia per il Governo di
Venna che per quello di Roma). L’Austria non avrebbe mai acconsentito a cedere
Trieste e l’Istria al tavolo diplomatico. Le cose sembravano impossibili, ma
nessuna porta poteva essere chiusa verso l’avvenire, come la Storia ben
insegna. San Giuliano, quindi si affida ad una sorta di fatalismo di speranza.
Dal 1910 al 1914 la trattativa sui compensi tra Berlino,
Vienna e Roma fu intensa; l’Austria arrivò a proporre come compensi Valona e territori
in Albania, ma l’Italia voleva Trieste e l’Istria.
“Ma a Vienna tutti erano d’accordo
che concessioni su quel terreno erano assolutamente impossibili. Era, dunque,
da prevedere che una crisi sarebbe scoppiata nei rapporti italo-austriaci non
appena il Gabinetto di Vienna avesse avuto l’opportunità o si fosse trovato
nella necessità di prendere iniziative aggressive nei Balcani.”[1]
Su questo assunto si aggregarono a Vienna molte correnti anti-italiane.
Uno degli esponenti più influenti ed incisivi di queste correnti era il Capo di
Stato Maggiore Austro-Ungarico, Conrad von Hotzendorf.
Le sue tesi erano estremamente chiare:
“Il Governo di Roma non doveva
pretendere compensi che il Governo di Vienna era deliberato a rifiutare. Meno
che mai doveva disdire l’alleanza e dichiarare la guerra all’Austria se il
governo di Vienna rifiutava di accordarsi. Se questo avesse fatto, si sarebbe
reso colpevole di “tradimento”. Prima che il “tradimento” si manifestasse,
L’Italia doveva essere messa fuori combattimento mediante una guerra
“preventiva” [2]
Siamo nel 1907 è già gli Austriaci parlavano di “tradimento”italiano se questi non
accettavano la loro politica. Peraltro la guerra preventiva di Conrad non era una
fantasia e fu più volte preparata.
Durante il terremoto di Messina (1908) che prostò e costernò
L’Italia, Conrad pensò che quello era per l’Austria il momento buono per
dichiarare la guerra preventiva, contro il “tradimento” futuro. I preparativi
erano in uno stato avanzato.
Roma si rivolse a
Berlino per frenare tali ardori e tali azioni, che sicuramente non erano i
crismi di un alleato onesto e corretto. Il tentativo di attacco all’Italia
rientrò grazie a Berlino.
Comrad ritornò alla carica tre anni dopo.
Nel 1911, quando l’Italia si impegnò a fondo nella guerra di
Libia e stava avendo delle difficoltà, anche di carattere interno, Conrad
avrebbe voluto approfittare di questa situazione per assalire l’Italia. Questa
volta fu fermato dall’Imperatore Francesco Giuseppe e dal ministro degli Esteri,
Achrenthal.
In sintesi Conrad e molti come lui a Vienna voleva attaccare l’Italia
“preventivamente” in quanto l’Italia insisteva nel volere Trieste e l’Istria, e
questo significava “guerra” e quindi “tradimento” dell’Italia. Quello che era
scritto nel trattato della Triplice non contava nulla ed anche per gli
Austriaci, come per i tedeschi, i trattati sono “pezzi di carta”, con dimostra
l’invasione del Belgio nell’agosto del 1914.
Occorre riflettere molto attentamente sulla politica del San
Giuliano. Si era alleato con una nazione che mai avrebbe acconsentito
politicamente a dare ciò che l’Italia chiedeva; inoltre aspettava questo
alleato il momento buono per attaccare per eliminare ”un pericolo futuro”. Buon
senso ed altro avrebbe consigliato, per lo meno di uscire dall’Alleanza quanto
prima w trovarsi nuovi alleati o affidarsi ad una rigorosa politica di
neutralità, sull’esempio di Svizzera e Svezia.
Ma la neutralità italiana del 1914 ha avuto una ragione
ulteriore, che è forse quella più esemplificativa. Berlino e Vienna erano così
sicuri della loro potenza che consideravano l’Italina un fattore ininfluente
sullo scenario europeo. In pratica, come ha scritto Margherita Mcmillan,
l’Italia era considerata grande potenza solo per convenzione e cortesia, non
nella realtà.
“La politica dei Gabinetti di Berlino
e di Vienna verso il Gabinetto di Roma si spiega perfettamente quando si
consideri che i diplomatici tedeschi e austriaci basavano la loro azione verso
l’Italia sulle stesse ipotesi su cui
fondava la propria azione il marchese di San Giuliano. San Giuliano , infatti,
pensava che l’Inghilterra sarebbe rimasta neutrale in una guerra continentale;
che la Francia sarebbe stata facilmente prostrata in conseguenza della debolezza
propria e della impotenza russa. Sfortunatamente per lui anche i Tedeschi e gli
Austriaci erano convinti che l’Inghilterra non avrebbe partecipato ad una
guerra continentale, che la Russia era una grande “Im-Potenza” e che sarebbe
stato facile abbattere la
Francia. Date queste illusioni, l’aiuto dell’Italia non
appariva indispensabile né al Governo di Vienna né a quello di Berlino.[3]
Lungi da desiderarlo, il Governo di Vienna Giudicava il Governo di Roma
ingombrante e noioso, oltre che inutile.
“Per il Governo di Vienna l’ideale
era che Roma rimanesse neutrale e lasciasse le mani libere all’Austria sulle
questioni balcaniche. Rimanendo neutrale essa non avrebbe potuto aver pretese
nella distribuzione del bottino e nel nuovo assetto territoriale. Se avesse
alzato la voce sarebbe stato agevole metterla a posto, in una Europa in cui la
Germania e l’Austria avessero già soggiogato la Francia e la Russia.[4]
Berlino, peraltro,
avrebbe desiderato l’intervento italiano nel quadro della Triplice
“.Ma l’aiuto dell’Italia, per quanto
utile, non appariva neanche a Berlino indispensabile e perciò non meritava di
essere pagato troppo caro. Soprattutto non meritava che il governo di Berlino
compromettesse, per i begli occhi dell’Italia, la intimità ben più necessaria
col governo di Vienna. Così anche il Governo tedesco era portato a contentarsi
della neutralità Italiana.”
San Giuliano offriva agli Imperi Centrali un aiuto di cui
questi non sentivano con assoluta
necessità e domandava in cambio di questo aiuto un pagamento, Trieste e
L’Istria, che i destinatari dell’aiuto offerto, soprattutto l’Austria, non
intendevano corrispondere.
San Giuliano non aveva ben compreso e bel valutato che nel
1914 che la politica dell’equilibrio in Europa, tra l’Intesa e gli Imperi Centrali
stava per finire per volontà di quest’ultimi. San Giuliano si era sbilanciato
verso gli Imperi Centrali, ma questi lo avevano ignorato e respinto, e quindi
la sua azione di trasformare la Triplice Alleanza da “un contratto di assicurazione” ad un “contratto di acquisti” non riuscì.
“ E’ non vi poteva riuscire, perché
quando più si era allontanato dalla Triplice Intesa tanto più si era indebolito
nella Triplice. Faceva come chi rinunzia a dei possibili amici, si chiude da
solo a solo in una stanza con un gangester
più forte di lui, e aspetta che il più forte non abusi della propria
forza.”[5]
Questo il giudizio di Gaetano Salvemini sul marchese di San
Giuliano e la sua politica estera, che non si può non condividere.
Il corollario di quanto sopra è semplice e lineare.
Appare quanto mai evidente che ormai si dovrebbe cessare di parlare per
il 1914, di tradimento “di una Italia
deliberata a tradire un’Austria, candida, innocente e generosa come una colomba”.
Non si può parlare di tradimento fra uomini che non erano colombe e che conoscevano benissimo le intenzioni gli
uni degli altri. Se proprio di un tradimento si volesse parlare bisognerebbe
dire che erano i diplomatici austriaci che erano deliberati a tradire gli
italiani considerato come “un pezzo di carta” il trattato di alleanza, e si
tenevano pronti a punire come tradimento qualunque domanda gli Italiani
avessero fatto sulla base di quel trattato”[6]
Il 1914, l’anno della conflagrazione europea, della rottura
degli equilibri, dell’Europa in fiamme”, dal punto di vista Italiano può avere
questa chiave di lettura, che permette di comprendere e capire che cosa poi
accadde l’anno successivo, il 1915.
[1]
Salvemini G., La politica estera italiana
dal 1871 al 1915, Milano, Feltrinelli, 1970, pag. 463
[2] ibidem
[3]
Ibidem “Se fosse intervenuto nella
guerra a fianco degli Imperi Centrali, il Governo Italiano avrebbe domandato i
componenti secondo l’articolo VII della Triplice, e avrebbe sollevato problemi
su cui il governo di Vienna non ammetteva discussioni. I suoi compensi il
Governo Italiano doveva andarli a cercarli sulle Alpi Occidentali, in Corsica,
in Tunisia ovunque meno che verso la frontiera austriaca e nell’Adriatico.
[4] Ibidem,
pag. 465
[5] Idibem,
pagg.466
[6] Idibem
pagg 466
Testo della Conferenza tenuta da Massimo Coltrinari il 23 ottobre 2014 al Polo Museale della marina Militare in Ancona sul tema "Le marche e la I Guerra Mondiale"
La II Parte della conferenza "Le Brigate di Fanteria dal nome marchigiano" sono in via di pubblicazione sul blog
www.ancona.lastoria.blogspot.com
per informazioni: massimo.coltrinari@libero.it
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