L’approccio della Germania nei confronti della
guerriglia
e
della guerra per bande
II Parte
Massimo
Coltrinari
(la prima parte è stata pubblicata il 20 luglio 2023 su questo blog)
L’approccio della
Germania nei confronti della guerriglia ed alla guerra per bande
Se
si vuole analizzare gli aspetti riaurdanti il secondo fronte, ovvero la guerra
partigiana condotta nel Nord Italia, occorre fare una riflessione su come la
Germania, e di conseguenza, i Nazisti, affrontarono e considerarono,
soprattutto da un punto di vista dottrinale e concettuale, quello che
nell’anteguerra si chiamaba “guerra per bande” o “guerriglia”, e che poi nel
secondo dopoguerra assurse al nome di “movimenti di Resistenza”.[1]
E’
fondamentale questo passaggio per capire come mai i tedeschi in generale, ed i
nazisti in particolare, si crearono così tanti nemici non in divisa, in tutti i
paesi che occuparono e comprender eperchè non riuscirono, nonostante i vari
governi collaborazionisti, a neutralizzare o ridurre al minimo i fenomeni di
ribellione, fenomeni che sempre is manifestano quando di attua un regime di
occupazione militare di territori di Stati militarmente sconfitti in battaglia
o in guerra. E’ un aspetto che riserva molte sorprese ed è poco studiato.[2] Qui si
può fare solo un accenno ai rapporti tra gli occupanti tedeschi, le popolazioni
occupate, i movimenti di resistenza ed i collaborazionisti. Mentre, ad oltre 60
anni dalla fine della seconda guerra mondiale, vi è una vasta podruzione
scientifico-letteraria sugli eventi della guerra di liberazione, che hanno
sudiato a fondo gli aspetti della lotta partigiana, lo sfruttamento, le
atrocità, le violenze, i sopprusi che hanno punteggiato la occupazione sia
nazista che giapponese, e le vicende connesse con l’attività parallela dei
collaborazionisti, poco o nulla è stato approfondito 3 studiato su come era
organizzata l’attività repressiva germanica, quale evoluzione ha avuto nel
corso della guerra, anche frutto delle esperienze acquisite sul campo, quale
funzione avessero al suo interno le violenze, le rappresaglie, le atrocità, che
necessariamente non erano fine a se stesse, almeno in linea di principio.
E’
evidente che non può essere accettato il semplice fatto che i Tedeschi
adottassero questi sistemi di violenza, ricorrendo ad ogni sorta di crudeltà
verso le popolazioni occupate e sostanzialmente inermi, non solo in Italia ma
in tutta Europa compresa la Russia perche “cattivi” o ubbedienti ciecamente ad
un “pazzo”. Troppo semplicisticoe superficiale. I Tedeschi così rappresentati
non possono essere “veri” ed il loro regime di occupazione sostanzialmente un
brutto periodo da dimenticar ein fretta.
Questa percezione è da respingere perché non è
ipotizzabile pensare all’apparato poliziesco- repressivo germanico-nazista come
semplicemente una formidabile macchina di violenza ed atrocità, a cui si
contrappone in modo statico e, spesso nelle rievocazioni degli ultimi decenni,
apologetico apparato partigiano, tutto virtù ed idealità, teso alla vittoria
del bene sul male. Questo approccio sottovaluta e sottostima la capacità
reattiva, di elaborazione dottrinale, di evoluzione dell’impiego delle forze,
e, in sintesi, della capacità innovativa della lotta antipartigiana nazista.
Perché se si accetta questo ne discende , in definitiva, che tutti i movimenti
partigiani siano sottostimati e, in pratica, li si denigri nella sostanza, non
riconoscendone i meriti.
E’
necessario, quindi, riproporre un quadro dinamico e e dialettico della azione
condotta dai protagonisti della Guerra di Liberazione, soprattutto quelli che
hanno dato vita al movimento partigiano, che noi consideriamo come Secondo
Fronte. Questo anche al fine di sottolineare, ancora una volta, che il
movimento partigiano non è stato condotto da una sola parte ma da tutte quelle
componenti, politiche e non politiche della nostra società che non accettavano
imposizioni, violenze e quant’altro i Tedeschi imponevano.
Ed
ancor più per sottolineare con maggiore energia le varie categorie di
lacerazioni che l’occupazione tedesca ha prodotto, e quale portata
politico-sociale, economica, religiosa abbiano avuto i successi del movimento
partigiano.
Questo
approccio, di studiare l’azione tedesca in regime di occupazione, può aiutare
ancor di più a comprendere come nella mentalità, nelle scelte, nella essenza
della ideologia nazista, si può trovare la impossibilità di avere un
qualsivoglia rapporto positivo ed ottimale con le popolazioni occupate. E,
conseguentemente, trarre le conseguenze del caso in termini di adesione, di
consenso e di aiuto da parte delle popolazioni al movimento di partigiano, al
distacco e all’allantonamento dalle proposte germaniche e collaborazionistiche
e, in termini più ampi, per alcuni di apologia, di rimpianto, e di negazionismo
più o meno esteso.
Non
vi è lo spazio per uno studio approfondito, ma alcuni cenni alla soluzione
delle dottrine che hanno guidato l’attività germanica in tema di attività di
controguerriglia exstraurbana può aiutare a comprendere alcuni capisaldi di
quello che poi in sostanza è il comportamento del “nemico” quando si parla di
Guerra di Liberazione.
Una
rapidia presentazione dei principali documenti, così come sono stati presentati
ed elaborati dauna ricerca edita dall’Ufficio Storico dello Stato Maggiore
dell’Esercito,[3]
può dimostrare che la Germania affrontò il problema della Guerriglia già in
fase di preparazione ad una guerra futura negli anni trenta. Si tratta di una
esercitazione di polizia del maggio 1936[4],
presentata sotto forma di un ordine di operazioni, in cui lo scenario
ipotizzato è di guerra totale, in cui occorre contrastare un ipotetico nemico
che opera nelle retrovie, in coordinazione con l’esercito regolare e
l’aviazione strategica, tramite bande irregolari. Lo scopo della esercitazione
è di eserciatre tutti i componenti la polizia ad affrontare queste bande
irregolari superando, anche d’iniziativa, conflitti di competenza e situazioni
di emergenza. Si deduce dal documento che l’azione is svolge su territori
nazionale e che i possibili nemici erano la Polonia e la Cecoslovacchia e che
le forze armate tedesche fossero sulla difensiva.[5]
L’importanza di questa esercitazione sta nel fatto che già nel 1936 si voleva
preparare i quadri di polizia a fronteggiare attacchi di irregolari nelle
retrovie, in un quadro di guerra totale. Cardine fondamentale adottato
l’impiego brutale e spietato della forza laddove le necessità lo richiedevano.
Da questi elementi, ed altri che si possono scorgere nella esercitazione,
emerge il fatto che non è accettabile la tesi che la spirale di violenze
reciproche abbia portato la controguerriglia tedesca a livelli di crudeltà ed
efferatezza che sono noti in tutta Europa. Secondo Politi “è stato un fattore che ha soltanto facilitato l’esprimersi di una
attitudine mentale ricevuta in addestramento” [6]da
cui è facile dedurre che è nella dottrina tedesca insito il fatto che la
controguerriglia, in quanto tale, deve avere i caratteri della efferetazza,
della crudeltà e della spietatezza, che trova ampio margine di accoglienza
nella ideologia nazista.
Il
primo documento tedesco che tratti di controguerriglia sulla scorta di
esperienza belliche è del 22 settembre 1941 ed è intitolato “Manuale per
l’addestramento delle unità di polizia riunite al combattimento di polizia”.[7], in
cui si può cogliere le direttive per il comportamento delle unità tedesche
nella fase iniziale della controguerriglia, con prevalenza per la difesa da
imboscate e la relativa reazione, più che
ad azioni per annientare il nemico partigiano.
I
vertici tedeschi, dopo due anni di guerra ormai avevano ampiamente affrontato
il tema della lotta antipartigiana, tanto che si arrivò ad un accordo tra la
componete militare e quella di polizia della Germania, ovvero l’accordo tra la
Wehrmacht, rappresentata dal gen. Wagner e il RSHA (Reich Sicherheitshauptamt –
Ufficio Centrale per la sicurezza del Reich)[8],
rappresentato da Heydrich. L’accordo Wagner-Heydrich, sigliato il 26 marzo
1941, divideva le competenze nella lotta antipartigiana. La Wehrmacht era
competente per la lotto contro i partigiani a ridosso e sulla linea del fronte
a contatto con il nemico, l’SD[9]
nel territorio retrostante con il compito primario di reperire, appena
conquistato il territorio, archivi e documentazione utile a individuare le
organizzazioni ostili al reich ed arrestandone i quadri, decapitando sul
nascere ogni forma di guerriglia già sul nascere. Le unita SD erano aggregate
ai grippi di Armate, da cui ne dipendevano logisticamente, ma erano ai diretti
ordini di Himmler per l’impiego. Unico punto di contatto operativo con la
Wehrmacht era quello informativo. L’accordo era sostanzialmente di natura
politica, volto a dare equilibrio di potere tra la Wehrmacht e gli apparati di
sicurezza del Partito Nazista; sul terreno operativo, sommato alla scarsa
consistenza degli organi dello SD, e delle forze di retrovia della Wehrmacht,
si rilevò pineo di lacune, lacune che permesiero le azioni inziali delle forze
partigiane sovietiche. Infatti questo accordo era stato voluto proprio in
funzone della invasione della Unione Sovietica, che iniziò il 22 giugno 1941,
in cui nella occupazione del territorio operavano le due organizzazioni
tedesche, però in modo parallelo.
Dopo
quattro mesi di guerra, l’esperienze acquisite furono raccolte in un documento
del 25 ottobre 1941 “Direttive per la lotta antipartigiana” edito dall’OKH[10]-Gen.St.d.H./Ausb.Abt
(Ia) n. 1900/41 e fu diffuso come testo
di istruzione ed addestramento tra le unità di polizia apartire dal 17 novembre
1941.[11]
Il
documento riprende i principi della
esercitazione di polizia del 1936 è sottolinea che la lotta antipartigiana deve
essere condotta dalle sole forze di polizia, e si sottolinea che l’azione deve
essere, dura, energica e spietata, mentre persiste il fatto che i rapporti con
la popolazione sono sempre di scarsa importanza e posti sullo sfondo di ogni concetto espresso.
Con
l’opuscolo “Waldkampf” (combattimento
nei boschi)[12],
dato 31 marzo 1942, edito dall’Oberkommando des Heres, in cui la lotta
antipartigiana è focalizzata
sull’ambiente operativo e sulle implicazioni che esso ha sulla azioni di
contorguerriglia. Questo documento è una ulteriore affinamento di quelli
precenti ed è estremamente preciso. Nei
documenti precedenti vari concetti erano espressi in modo generalizzato, qui si
chiarisce con precisione e chiarezza Ad esempio “gli uomini colpevoli di fiancheggiamento partigiano nella famiglia e a
volte dell’intera stirpe vanno giustiziati. Le donne condotte in campi di concentramento,
i bambini nel reich e li esaminato il loro valore razziale. I beni vengono
confiscati” . Concetto che prima era confuso, ora chiarito in modo
definitivo.
I
tedeschi impiegarono anche unita controguerriglia, nella convizione che agendo
con le stesse tecniche e formazioni partigiane avrebbero avuto facilmente
partita vinta. Si tratta delle unità Jadgkommando[13],
letteralmente “distaccamento di caccia. Queste unità specializzate erano
composte, nella loro struttura organica,
di 39 uomini con una dotazione di
armi particolare[14]
ed operavano in n ciclo di operazioni di 8-14 giorni di azione, 8 di riposo 3
di esercitazione per un toale di 10-25 giorni tra due inizi di operazione. Gli
obbiettivi erano chiari: l’annientamento del maggior numero di partigiani, la
scoperta dei reparti più consistenti, lo sconvolgimento della reta logistica e
organizzativa dei partigiani, la diffusione della insirucrezza tra le
formazioni nemiche, la creazioni di condizioni operative sempre più difficili.
La tattica era semplice: lo Jadgkcommando, di notte, occultato, si stabiliva in
una determinata zona, a piedi, percorrendo strade alternative. Acquisiva
informazioni , e per circa 72 al massimo aspettava che unità partigiana
cadessero nel tranello ed attacca, sfruttando l’elemento sorpresa usando le
stesse tattiche partigiane; poi si ritirava e lasciava la zona; se si imbatteva
in un reparto più consistente, non si impegna in combattimento, ma chiamava le
unità di polizia territoriali e si sganciava. Ma l’impiego dello Jadgkcommando
non diede i risultati sperati, anzi essi furono uno strumento che rese più
sanguinosa l’azione e la vittoria partigiana in quanto senza l’appoggio di una
azione politica tesa ad isolare il movimento partigiano dalla popolazione sotto
occupazione e di una propaganda tale ad acquisire il consenso, cose tutte
godute dal movimento aprtigiano, non si può sperare di eliminare qualsiasi
movimento partigiano. I tedeschi capirono, con l’impiego di queste unità, che i
sistemi di presidio, i grandi rastrellamenti ed i colpi di mano lasciano in
piedi il movimento partigiano e solo mettendosi sullo stesso piano dei
partigiani si può contrastare questa forma di lotta. Cosa che invece non riusci
ad esser capita dai quadri e dai dirigenti militari della Repubblica Sociale
Italiana nel loro contrasto al movimento partigiano.
Da
notare, infine, che ai Jagdkommando furono affiancati, nel sistema repressivo
tedesco, unità collaboratrici, ordinate organizzamene per meglio contrastare la
guerriglia ed avere unità aguli per la controguerriglia.
Interessante
un altro documento, “Der Kampf gegen die Partisanen”[15] in
cui tra le tante cose affermate[16], si
riafferma il principio che la totta antipartigiana e spietata. Una volta
enunciato all’inizio “non si parlerà più
nel resto dello scritto del carattere selvaggio di questa lotta, ma non bisogna
trascurare che prima ancora delle qualità del combattente e dei suoi
comandanti, conta la sua durezza. E’ facile, guardando questi documenti
precdeneti, osservare la continuità di questo principio variamente espresso e
accentuato , ma ben presente. Finchè per spiegare la crudeltà dei tedeschi nei
paesi occupati si farà ricorso all’analisi delle sequenze di azioni partigianie
e rappresaglie tedesche, ci sarà sempre spazio per spiegazioni irrazionalistiche
le quali si appellano a oscure elucubrazioni sul fondo barbarico del popolo
tedesco, o altre con intenti giustificazionismi che citeranno analoghe crudeltà
partigiane oppure sosterranno che non era possibile agire diversamente.”[17]
Nella lotta antipartigiana i tedeschi
arrivarono ad impegare su larga scala anche la componente aerea[18], la
cui importanza è notevole in quando i suoi contenuti[19], che
qui non v è lo spazio di riportare, rappresentato i capostipiti delle
successive teorizzazioni post-belliche, compreso l’impiego degli elicotteri.
Da
questi documenti si evince un dato essenziale. La Germania, nella seconda metà
degli anni ‘30 dedicò studi e riflessioni su come affrontare il fenomeno della
guerriglia, in un quadro di guerra totale. Coloro che erano proposti allo
studio della guerra e come condurla, cioè coloro che elaborarono la dottrina,
non sfuggì questo aspetto, e non ne sottovalutarono assolutamente il peso che
una qualsiasi forma di guerra non “convenzionale” avrebbe potuto avere in un
grande conflitto come si andava delinenando e come si sperava che andasse. Le
riflessioni dei pensatori tedeschi in quell’epocapartivano dal concetto che la
componente partigiana non fosse che una versione aggiornata dei Freikorps (o
corpi franchi) che tanto spazio ebbero all’indomani della Prima Guerra
mondiale. Ma con questa elaborazione vennero poste le basi dottrinali, come ad esempio l’azione
coordinata di tutte le forze disponibili, ricorrendo anche alla terza
dimenzione, per il contrasto e l’annimetimento degli elementi componenti la
guerriglia, o dir si voglia il movimento partigiano. Emerge con sopresa, ma
fino ad un certo punto, che la elaborazione tedesca del contrasto al movimento
partigiano come la formulazione delle principali tecniche di rastrellamento, il
corretto impiego della aviazione, a quell’epoca l’elicottero non era così
sviluppato da essere impiegato a massa, la formazione di unita specializzate di
controguerriglia, sono la risultante delle esperienza maturate sul campo,
specialmente nei Balcani e in Russia. Nulla toglie alla validità di questa
elaborazione, ancorché inserita in un quadro politico-strategico da non
accettare, alla validità intrinseca dei criteri operativi e tattici adottati,
tanto che si può dire che essi riemergono con altre etichette, ma
sostanzialmente immuati, negli anni del primo dopoguerra in Algeria da parte
delle truppe speciali francesi, nella guerra di indipendenza alegerina e
soprattutto in seno all’Esercito degli Stati Uniti in Vietnam.
E’ importante sottolinearre
che questa documentazione permette di affermare che l’uso del terroe quale
mezzom intimiditario nella lotta antipartigiana vien previsto in funzione
antibande già prima che la guerra iniziasse; questo sgombra il campo da tutte
quelle asserzioni che è la guerra partigiana che alimenta la crudeltà eche i
tedeschi ne furono coinvolti e costretti. Il successivamente inasprimento della
guerra non farà che accentuare questa premessa di fondo. Questo si inserisce
nel tradizionale pugno di ferro che gli eserciti tradizionali europeo trattano
i combattenti irregolari ed i loro fiancheggiatori, specie nelle cosiddette
operazioni di pacificazione dopo la conclusione delle ostilità. E’ difficile,
nel comportamento dei tedeschi scindere quanto vi è nelle concezioni
terroristiche da essi applicate in funzione antipartigiana, appartengono al
patrimonio europeo della prassi politico-militare di repressione e quali sono
invece gli elementi specificamente nazisti. Il fronte orientale fu la fonte di
esperienze ed il terreno della elaborazione delle dottrine tedesche di
controguerriglia, con tutti il quadro di crudeltà e violenza che in quel fronte
si andava applicando. La elaborazione dottrinale si affina sempre più e
raggiunge il culmine nel 1944-1945.[20]I
tedeschi apprendono che la controguerriglia si basa sulla parcellizzazione
delle forze e delle azioni, piuttosto che sulla concentrazione di esse nel
tempo e nello spazio. Queste devono essere decise e spietate e da qui la
puntule sequenza di atrocità in tutti i territori occupati dai tedeschi
Un particolare cenno occorre
fare alle rappresaglie. Queste nella coscienza collettiva nazionale
rappresentato ferite ancora non rimarginate. Ad ogni ricorrenza, nelle
commemorazioni, spesso ci si chiede perché tanta crudeltà. E’ un problema
inquietante che la rappresaglia solleva, ponendo grossi interrogativi alla
coscienza umana, che totalemtne la respinge, anche con accenti permeati di
parole di ripugnanza, dall’altro, se ci si mette nelle parti di chi subisce
l’attacco partigiano e guerrigliero, è una continua tentazione ricorre ad essa,
per le possibilità che essa offre per tentare di porre un freno al continuo
stillicidio di perdite, spesso innocenti ed apparentemente non coinvolte nella
lotta, causate da nemici inafferrabili e senza volto. E’ un aspetto che occorre
tenere presente.
Ma nel affrontare la
descrizione del fronte nemico, la componente italiana della coalizione
hitleriana, ovvero la Repubblica Sociale Italiana, non si può non tenere
presente come i tedeschi affrontavano gli oppositori loro e dei loro
collaboratori, ovvero i fascisti repubblichini, ovvero il movimento partigiano che noi abbiamo definto secondo
fronte.
Ma un elemento ulteriore
occorre sottolineare, forse il più importante, quale suggerito dalla presentazione
delle dottrine antiguerriglie tedesche. I successi in questo campo hanno sempre
una efficacia temporanea, non definitiva. I Nazisti, i tedeschi in genere ed i
loro collaboratori e sostenitori si accorgono che l “Ordine Nuovo” attira
qualche singolo, ma non dice nulla alle grandi masse, che rimangono lontane.
Più che azioni di antiguerriglia, necessita un grande piano politico che attiri
le masse, e su questo successo, si inerirebbe il movimento aprtigiano; allora
le azioni antiguerriglia, rivolte verso pochi, isolati dalla popolazione,
avrebbe successo definitivo. Ma questo piano politico non c’è, le masse rimangono lontano , ed il
solo antibolscevismo non basta, essendo solo un elemento negativo e non propositivo.
I Nazisti sembrano impotenti di fronte a questo dilemma. Allora lo sterminio
degli oppositori politici e la rappresaglia non diventano più una inspiegabile
aberrazione, ma una possibile soluzione. Sostiene Politi “quanto essa sia
logica e vantaggiosa dipende dal regime politico che la attua, dai costi
politici che comporta in una data congiuntura e dia metodi adottati. Le tesi
che sostengono si tratti di uan follia collettiva verificatosi sotto il regime
nazista o sono giustificazioni o tendono a ignorare che in tempi e situazioni diverse si sono usati i medesimi
sistemi. Per il nazismo fu una scelta logica e perdente.”[21]
Ma per chi si alleò con i
Tedeschi e agì come collaborazionista nel loro regime di occupazione, non può
non essere importante chiedersi perchè le dottrine tedesche di controguerriglia
non abbiamo schiacciato in tutta Europa, e in Italia, i movimenti di
liberazione, pur essendo valide, significative ed efficaci, in quanto tuttora
ancora valide. Il fatto che non abbiamo raggiunto lo scopo ultimo, eliminare i
movimenti partigiani, lo devono non alla loro validià intrinseca, ma perché non
sorrette da un piano politico tale da coinvolgere le masse, ovvero non si può
imporre con la forza il proprio dominio, ovvero non si può ignorare il
principio fondamentale che senza l’aggregazione dei consensi i successi e le
misure di ritorsione sono sterili e controproducenti.[22]
La Repubblica Sociale
Italiana, rappresenta agli occhi dei tedeschi, lo strumento ideale di gestione
del territorio italiano sotto occupazione, ed ai fascisti italiani vengono
lasciati quegli spazi politici utili solo agli interessi tedeschi; quando
questi vengono minacciati, come la presena di un movimento partigiano, allora
si apllicano le dottrine tedesche di controguerriglia, così come lo si è fatto
in tutta Europa. I fascisti repubblicini, loro malgrado, furono coinvolti in
questa logica così come tutti i collaborazionisti della coalizione hitleriana e
se ne dovettero assumere tutte le responbaibiltà e conseguenze.
Per l’Italia l’opposizione
alla azione germanica inizia l’8 settembre 1943 perché da quella data inizia
l’occupazione tedesca Dall’8 settembre 1943 la Germania non riconosceva
il Regno d’Italia con a capo il Re Vittorio Emanuele. Riconosceva la Repubblica
Sociale Italiana , che aveva favorito, e sostenuto fin dalla liberazione di
Benito Mussolini il 12 settembre 1943. Al momento della proclamazione dell’Armistizio la Germania
riunisce i dirigenti fascisti, quali farinacei, Tavolini, Ricci, il figlio di
Mussolini Vittorio,Preziosi per dar vita ad un governo provvisorio. La
liberazione di Mussolini da al governo provvisorio il suo capo carismatico. Il
23 settembre 1943 informalmente nasce la Repubblica Sociale Italia (
formalmente solo il 1 dicembre 1943), ed è riconosciuta solo da Giappone e
dalla Germania. E’ una repubblica totalmente asservita alla Germania: a riprova
di ciò valga il fatto che tutte le industrie vengono inserite nel meccanismo
della produzione bellica tedesca sotto il diretto controllo di commissari
tedeschi (OZAV e OKAK). Il tentativo di porre la Capitale a Roma o
nell’Alpenvoreland falliscono, in quanto contrari agli interessi tedeschi.
Gli organi della repubblica sono disseminati
in varie località del Veneto e della Lombardia 8 Desenzano, Lago di Garda,
Bogliaco, Gargano, Milano, Brescia e Venezia ed è un altro fattore di
debolezza. Del potere stauale. Compito principale della repubblica è quello di
mantenere l’ordine pubblico e svolgere un ruolo di collegamento subordinato tra
l’amministrazione tedesca e la popolazione italiana.
Sul
piano strettamente militare tutte le operazioni sono pianificate e condotte
dalla Wehrmacht, e gli organi della Repubblica ne sono esclusi e quindi
delegittimati, soprattutto non sono in grado di impedire o porre un freno alle
violenze dell’alleato contro la popolazione civile.
Una
delle principali iniziative della repubblica, varata con provvedimento di legge
nel febbraio 1944, peraltro avversato dagli stessi tedeschi, fu la
socializzazione delle imprese, ovvero la gestione delle industrie attraverso
una struttura d’impresa con la partecipazione di operai ed altri soggetti
produttivi. Si voleva, attraverso la socializzazione, da una parte colpire
l’alta borghesia che aveva “tradito” il fascismo” dall’altra avvicinare le
masse operaie al fascismo della repubblica e creando attorno ad essa consenso
ed adesioni. Il tentativo fallì sia per il già citato opposizione
dell’occupante, ma anche per il rifiuto pressoché totale delle masse operai.
Sono proprio del marzo 1944 i grandi scioperi nei maggiori impianti industriali
del nord. Scioperi che, oltre a far tramontare l’esperimento della
“socializzazione” sottolineano la grande distanza tra ampi strati della
popolazione e la dirigenza fascista repubblicana.
Chi
doveva dare una base politica e sociale
di adesione doveva essere il partito fascista repubblicano, alla cui guida assurse Alessandro Tavolini.
Il partito tenne una sola assise, a Verona nel novembre 1943 ove furono
definiti, nel Manifesto di Verona, i punti programmatici del Partito, riassunti nello slogan “Italia, Repubblica, Socializzazione”. Il
partito fu diviso inizialmente da una tendenza moderata, volta a cucire lo
strappo con gli Italiani e una linea oltranzista, di cui Tavolini era uno degli
esponenti, che favoriva la alleanza pedissequa con al Germania nazista,
l’assorbimento integrale dei suoi valori e l’estremismo repressivo e violento
tipico del primo fascismo. Il Direttorio del partito si riunisce una sola volta
, nel marzo 1944 e ribadisce la linea dura ed estremista. Si calcola che si siano isciritti oltre 487.000 persone, che
per lo più aderiscono anche alle formazioni militari della repubblica.
Nell’estate del 1944 il partito si militarizza e da vita alle cosiddette
Brigate Nere, in cui sono arruolati tutti gli iscritti da 18 a 60 anni. Le
Brigate Nere sono intitolate a caduti e
non hanno gerarchia, un comandante e tutti soldati, con gravissime
ripercussioni sulla operatività e sulla disciplina. L’impiego è sostanzialmente
antipartigiano. Ma anche in questo campo vi è la non adesione sperata se si
calcola che nel complesso le Brigate nere non superarono il totale di 20.000
uomini arruolati.
La
struttura delle Forze Armate della repubblica è complessa. La Repubblica visse
sempre il dissidio tra la concezione di Renato Ricci, che sostiene che la
repubblica debba dotarsi di una milizia fascista, politicizzata e ben allineata
sulle questioni ideologico-politiche, e quella del maresciallo Graziani,
Ministro della Difesa dal 23 settembre 1943, che vuole un esercito nazionale
apolitico. La soluzione di questo dissidio fu un altro fattore di debolezza
della repubblica: Graziani realizzerà un apparato militare tradizionale
sull’impronta del regio esercito, Ricci una nova articolazione chiamata Guardia
nazionale repubblicana, in cui confluiranno elementi della disciolta Milizia
Volontaria per la Sicurezza nazionale, i Reali carabinieri ed elementi della
Polizia Africa Italiana (PAI). Graziani riesce a stipulare un accordo con i
tedeschi, che si impegnano ad addestrare in Germania quattro divisioni (Monterosa,
Italia, San Marco, Littorio) e a dar
vita a formazioni tradizionali alimentate dalla leva obbligatoria. I Bandi
Graziani per la leva saranno uno dei fattori di non consenso della Repubblica:
si presentaranno circa la metà dei coscritti, l’altra per sottraesi andrà in
montagna ad alimentare le fila partigiane. Si arriverà a decretare la “pena di
morte” per chi non si presenta e, alternando minacce e blandizie ( il
cosiddetto “Bando del perdono”) si riesce ad arruolare oltre 44.000 giovani di
leva che sommati a 13.000 uomini provenienti dai campi di intermanento in
Germania saranno l’ossatura dell’esercito voluto da Graziani, un Esercito
prevalentemente impiegato in funzione antipartigiana.
Nell’estate
1944, con la destituzione di Renato Ricci, la Guardia Nazionale Repubblicana
viene incorporata nell’Esercito e ne divine la prima arma combattente. Con i
suoi 94 comandi provinciali ed un comando Generale la GNR ricalca la struttura
dell’Arma dei Carabinieri.
Nella
repubblica Sociale Italiana sorgono formazioni che non sono inquadrate
nell’esercito e nella GNR, ma sono autonome e
riconoscono solo l’autorità del Duce. La Banda Carità, composta da 200
uomini circa, ricostituisce a Firenze, per poi trasferirsi in Veneto a Padova.
Fuori di ogni controllo svolge con metodi crudeli e violenze inaudite attività antifascista ed
antipartigiana. Altra Banda è quella di Koch, ex ufficiale, che opera a Roma
composta da circa 70 elementi ed agisce con gli stessi metodi della banda
Carità. Trasferita a Milano (Villa Triste) compie tali oscenità ed illegalità
che sono gli stessi fascisti il 24 settembre 1944 ne decretano lo scioglimento
con arresti e condanne. Con attività più
prettamente militari ma sempre con aspetti violenti e creduli e sempre in
funzione antipartigiana operano le Legioni.
La
Legione “Tagliamento” al comando di Mario Zuccai ha sede a Vercelli e poi in
autunno il Valcamonica ove si distingue
negli attacchi alle posizioni partigiana del Mortirolo.
La
Legione “Ettore Muti”, al comando
dell’ex Sergente Franco Colombo,sorta a meta settembre 1943 forte di 1400
uomini ed ha compagnie varie sedi, a Milano, nel cuneese, in Valtellina, nel
piacentino e in Valsesia ,
La decina Flottiglia Mas al comando del
principe Junio Valerio Borghese, che più che una formazione della RSI è una
formazione militare che decide, per opera del suo comandante, di staccarsi
dalla regia Marina e continuare la guerra accanto ai tedeschi sulla base di un
reciproco accordo. La Decima Mas raggiungerà la con esistenza di circa 25.000 uomini
organizzati in sei battaglioni. Uno di questi, il Barbarigo, tra marzo e maggio
del 1944 sarà impiegato nella testa di ponte di Anzio, unica formazione
fascista che entrerà in linea contro gli Alleati. Nella sostanza, come le
Legioni, la Decima sarà impiegata in azioni di controguerriglia, macchiandosi
anche lei di eccidi, torture e rappresaglie.
Altre
formazioni sono l’Ispettorato Speciale polizia antipartigiana, circa 150 uomini
organizzato dal Questore di Brescia, Il reggimento Volontari friulani Tagliamento
al comando del Colonnello Zuliani,
tutte formazioni che si dedicano alla lotta antipartigiana con metodi
brutali ed efferate violenze.