Una profonda frattura.
La popolazione
italiana ha sempre accolto, dal settembre 1943 alla fine della guerra, le
truppe alleate, a prescindere dalla loro appartenenza, con ammirazione ed
entusiasmo, vedendo il loro arrivo come la fine di un incubo e l’inizio di un
periodo di vita materiale e morale, migliore.
La
convinzione di tutti gli Italiani, a quel tempo, era che la alleanza delle
Nazioni Unite gli Alleati come venivano chiamati, era solida, granitica,
potente, invincibile.
In
realtà, al vertice della organizzazione militare alleata, sul piano strategico,
dalla fine della conquista della Sicilia e per tutta la durata della Campagna
d’Italia, esistettero tra Statunitensi e Britannici profonde divergenze in tema
strategico, ovvero come condurre la guerra in Europa e, conseguentemente, in
Italia.
Queste
divergenze portarono a dolorose e significative sconfitte sul piano
strettamente tattico, come l’arresto della offensiva sul Sangro, le prime tre
battaglie per Cassino, e lo sbarco sul litoraneo pontino, solo per citare
quelle dell’autunno 1943 – primavera 1944.[1]
Nel
maggio-giugno 1944, superato l’ostacolo di Cassino e conquistata Roma, mentre
le truppe alleate sbarcavano in Normandia, le divergenze strategiche in Italia fra
Statunitensi e Britannici, molto gravi fino a quel momento, raggiunsero il
massimo. Il pomo della discordia consisteva nella attuazione, o meno, della
operazione “Anvil”, ovvero lo sbarco nel sud della Francia, in sostegno e
supporto a quello che era già stato effettuato con successo in Normandia. Per
“Anvil” i quesiti a cui si doveva rispondere erano: deciso lo sbarco, quante
forze vi si dovevano impiegare? Da dove si dovevano prendere queste forze? Chi
avrebbe alimentato le successive operazioni di penetrazione in profondità? La
risposta a questi interrogativi non facevano che acuire i contrasti fra i due
Stati Maggiori, contrasti che erano la diretta conseguenza delle differenti
vedute strategiche tra gli Alleati.
Gli
Statunitensi, una volta che l’Italia era stata sconfitta e costretta ad uscire
dalla guerra, settembre 1943, e resisi gli Alleati padroni delle rotte del
Mediterraneo, non ritenevano utile impegnare ulteriori forze nello scacchiere
italiano. Essi rimanevano, in tema di strategia, fermi alla loro convinzione
che, per conseguire la vittoria finale, ci si doveva concentrare sull’obiettivo
principale, perseguirlo con il massimo della concentrazione degli sforzi nel
momento e nel punto decisivo, limitando al massimo, se non per operazioni
diversive, di inganno e sussidiarie, ogni operazione su obiettivi collaterali.
Questa strategia era direttamente discendente dalla loro politica che voleva
essere distante da quello che loro consideravano antiquati poteri politici
europei e vedevano con diffidenza e circospezione il colonialismo britannico in
tutte le sue forme. In più non volevano essere coinvolti in operazioni nel
centro Europa né tantomeno nell’Europa Orientale, impegno che consideravano
solo un sperpero di risorse e di vite umane. Il loro desiderio era quello di
terminare il più velocemente possibile la guerra in Europa e concentrarsi
totalmente contro il Giappone.
I
Britannici, di contro, adottavano anche in questa guerra la loro tradizionale
strategia indiretta e pragmatica, ovvero, per le operazioni terrestri, la
strategia del Debole verso il Forte. Era una strategia che aveva dato, al
momento in cui
Con
l’uscita dell’Italia dalla guerra, e severamente impegnata dalla Unione
Sovietica, la Germania stava iniziando a cedere; basta attendere il momento
opportuno e la vittoria sarebbe stata conseguita. Non erano necessari sbarchi
in Francia: tutte le forze dovevano essere tenute in Italia, da cui, crollata
la Germania, sarebbero state indirizzate su Vienna ed il centro Europa a
fermare e contrastare l’avanzata sovietica.
Lo
scontro tra queste due opposte visioni strategiche era costante. Nel giugno
1944, quando conquistata è superata Roma, e le truppe Alleate entravano nelle
Marche, si avvicinava sempre più il momento di decidere. I termini del problema
strategico-operativo erano chiari: o proseguire speditamente verso Nord e,
superati gli Appennini, arrivare alle Alpi, avendo conquistato
2.
[1] Questi temi sono stati dibattuti al
convegno “Gli Alleati da Salerno ad Anzio” tenutosi il 24 gennaio 2004 alla
sala delle Conchiglie di Villa Adele ad Anzio organizzato dalla Associazione
Nazionale Reduci dalla Prigionia, dall’Internamento e dalla Guerra di
Liberazione (A.N.R.P., coordinato e presieduto dal Prof. Enzo Orlanducci.)
[2] In campo marittimo
[3] Il famoso e quanto mai discutibile
messaggio del Comandante in Capo del XV Gruppo di Armate in Italia, Maresciallo
Alexander al movimento di Resistenza nel Nord Italia nell’autunno 1944 con il
quale si invitavano i “Partigiani”alla stasi invernale, ovvero a deporre le
armi e ritornare a casa, ha le sue lontani e chiare origini da queste
discussioni.
[4] In pratica
l’esame fu superato con Filottrano e con la partecipazione alla liberazione di
Ancona e del suo polo logistico nella seconda decade di luglio 1944.
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